LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » maria lucia riccioli http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 CHI HA RUBATO LA MIA MAMMA? http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/12/chi-ha-rubato-la-mia-mamma/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/12/chi-ha-rubato-la-mia-mamma/#comments Tue, 12 Jan 2021 17:00:31 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8679 Chi ha rubato la mia mamma? - Maria Lucia Riccioli - copertinaIn questo nuovo post della rubrica “Giovanissima Letteratura” abbiamo chiesto alla scrittrice siracusana Maria Lucia Riccioli di raccontarci qualcosa sul suo nuovo libro per bambini intitolato “Chi ha rubato la mia mamma?” (Verbavolant edizioni – illustrazioni di Laura Addari)

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“Gli adulti sono troppo seri per me. Non sanno ridere. Meglio scrivere per i bambini, è l’unico modo per divertire anche me stesso” (Road Dahl)

di Maria Lucia Riccioli

Ringrazio Massimo per aver sempre ospitato i miei libri su “Letteratitudine”, fin da “Ferita all’ala un’allodola” (il mio romanzo storico sulla poetessa e patriota netina Mariannina Coffa, che ha innescato un bellissimo dibattito sulle donne del Risorgimento) e “Quannu ‘u Signuri passava p’ ‘o munnu” (la mia raccolta di cunti in dialetto siciliano pubblicata da Algra Editore).
Nella sezione “Giovanissima letteratura” di “Letteratitudine” cinque anni fa si parlava del mio primo libro per bambini, “La bananottera”, illustrato da Monica Saladino e pubblicato da VerbaVolant edizioni.
E adesso è la volta, sempre per i tipi di VerbaVolant, di “Chi ha rubato la mia mamma?”.
Come fanno sospettare sia il titolo che la copertina e la quarta, illustrate con dolce maestria – così come tutto l’albo – da Laura Addari, il tema non è nuovo: l’arrivo di un fratellino o di una sorellina ha sempre scompaginato la vita di un bambino. È successo anche a me, è successo a mio nipote Paolo quando è arrivata Miriam e adesso toccherà a tutti e due perché a febbraio, a Dio piacendo, accoglieranno con amore Giovanni e quindi… sarò zia per la terza volta.
E qui andiamo all’ispirazione di questo libro: come era già successo per “La bananottera”, i giochi di parole e l’invenzione di racconti, fiabe e favole in famiglia mi hanno regalato l’idea per scrivere questa nuova storia, perché l’idiosincrasia di Miriam per le foto e i video dei neonati, figli delle amiche di mia sorella, mi ha fatto pensare che avrei potuto scrivere di una bambina, Milena, gelosa per via dell’arrivo in famiglia del piccolo Filippo.
maria lucia riccioliPerché tutto questo entusiasmo di compagni di scuola, amici e parenti per questi piccoli bavosi e puzzoni, “ladri” di mamme? Perché avere un fratellino quando c’è il bambolotto Pippuccio TuttoCiuccio?
Tutto l’albo è giocato su come il “rubamamma” Filippo riesca a scompaginare la vita di Milena, che però può contare su mamma e papà, sulla maestra Dora e soprattutto sulle passeggiate e i manicaretti di nonna Lisetta, sapiente nel comprendere e consigliare la nipotina.
Una sorpresa finale – che testimonia l’amore e la cura di Fausta Di Falco ed Elio Cannizzaro non solo per i testi, ma anche per l’oggetto libro – sarà la gioiosa prova che ciò che ti scombussola la vita può anche stupirti.

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La scheda del libro: “Chi ha rubato la mia mamma?” di Maria Lucia Riccioli (Verbavolant edizioni – illustrazioni di Laura Addari) -  dai 4 anni in su

Chi ha rubato la mia mamma? - Maria Lucia Riccioli - copertina“Diventerai sorella maggiore!”

A questa notizia il mondo di Milena va sottosopra: mamma e papà sono naturalmente felicissimi, mentre l’arrivo di Filippo non è esattamente quello che Milena avrebbe desiderato…
Non sarebbe meglio continuare a giocare con Pippuccio TuttoCiuccio, il suo amato bambolotto, e uscire con Nonna Lisa?
Filippo, il “rubamamma”, invaderà la casa e perfino la cameretta di Milena con tutto il suo corredo di pannolini, cacchette, vomitini e colichette…
Scritta dall’autrice de La Bananottera Maria Lucia Riccioli e illustrata da Laura Addari, Chi ha rubato la mia mamma? è una fiaba moderna, ironica e tenera al tempo stesso, dedicata a tutti i bambini che vivono il nuovo e spesso scomodo ruolo di fratelli o sorelle maggiori, ai genitori e agli educatori che vogliono aiutarli ad affrontare questa tappa importante della crescita.

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LA BANANOTTERA di Maria Lucia Riccioli http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/11/23/la-bananottera-di-maria-lucia-riccioli/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/11/23/la-bananottera-di-maria-lucia-riccioli/#comments Mon, 23 Nov 2015 14:30:28 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6967 Nell’ambito di “GIOVANISSIMA LETTERATURA“, lo spazio di Letteratitudine interamente dedicato alla cosiddetta “letteratura per ragazzi” e alla “letteratura per l’infanzia“, Maria Lucia Riccioli ci racconta la sua fiaba intitolata La bananottera(VerbaVolant, 2015): la storia di una balena particolare chiamata Nana (illustrazioni di Monica Saladino).

A seguire, qualche estratto del libro.

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LA BANANOTTERA

di Maria Lucia Riccioli

La bananottera” (VerbaVolant edizioni, Siracusa 2015) è una fiaba scritta grazie ad un’ispirazione lieve e giocosa: posso dire che è il più sereno e felice dei miei libri, frutto com’è dei giochi di parole che io e mia sorella Manuela amiamo particolarmente: “bananottera” è infatti quello che i francesi chiamerebbero “mot valise”, cioè parole macedonia. Se date un’occhiata alla copertina di Monica Saladino – che ha illustrato il libro con i suoi lavori materici, coloratissimi, fatti di perline e stoffe, ritagli di giornali che rivivono in collage personalissimi – potrete vedere questa “addizione” di parole e concetti resa visivamente: banana + balenottera = bananottera.
A parte i dovuti ringraziamenti a Fausta Di Falco, giovane ma determinata editrice siracusana che si sta ritagliando uno spazio importante nel mondo delle pubblicazioni per bambini e non solo – mi permetto di ricordare i Libri da parati, albi illustrati e poster d’autore insieme, storie che diventano complementi d’arredo –, che ha creduto in questo progetto, mi corre l’obbligo di ringraziare Annamaria Piccione, che io amo chiamare la “decana” siracusana della letteratura per bambini per via della sua competenza ed esperienza – e ovviamente Monica Saladino: un incontro che non definirei casuale – nulla lo è, quando si tratta di letteratura – ha fatto sì che Nana, la mia bananottera gialla, trovasse posto sugli scaffali e on line.
Nana ha esordito “nuotando” al Salone internazionale del Libro di Torino 2015: è stata infatti presentata in anteprima presso il Bookstock Village al Laboratorio Scienza e Saperi, con lettura animata e laboratorio per i bambini, poi ha iniziato un viaggio quasi come quelli delle balene vere! Penso a Palermo (presso la Libreria Un mare di libri), a Siracusa (presso la Casa del Libro Rosario Mascali), alla fiera “Una marina di libri” di nuovo a Palermo (presentazione e laboratorio), a Ragusa (A tutto volume) alla Libreria dei Ragazzi di Siracusa (a proposito, le labomerende sono un’idea VerbaVolant: si ascoltano e leggono storie, si pasticcia con i colori e tanti altri materiali e… si fa merenda!), alla fiera letteraria “Gufi e melone” di Joppolo Giancaxio (AG), alla spiaggetta del Castello Maniace (che fa parte dell’area marina protetta del Plemmirio di Siracusa) per “C’era un mare da favola…”.
E ancora: alla manifestazione “Il risveglio di Siracusa” organizzata da “Archimede in movimento”, al Buk Catania, al Museo del mare di Siracusa, ad “È Bio” e a La Città del Sole a Palermo, al Book b@ng di Messina,  a Ragusa presso “Le Fate”.
Ehi! È ancora un segreto… ma Nana forse nuoterà fino alla Fiera Più Libri Più Liberi di Roma!
Tra gli altri, ne hanno parlato Rosalia Messina, Costanza Lindi, Salvo Zappulla e Daniela Tralongo… e poi che sorpresa ritrovare Nana che sguazza tra le pagine di Casa Facile e Vanity Fair!

Copertinabananottera 300x300 La BananotteraChe dire degli incontri con i bambini? Una presentazione è un qualcosa di completamente differente… qui invece devi metterti in gioco – letteralmente! – raccontando, leggendo, cercando di creare una sorta di atmosfera magica. E poi si colora si ritaglia si inventa… In quest’alchimia crediamo di dover recitare la parte principale, ma in realtà i protagonisti veri sono i bambini, con i loro sorrisi i loro commenti le loro creazioni… mi hanno stupita fin dal primo laboratorio e continuano a farlo oggi, che sia in un’aula o in un cortile scolastico o in un chiostro, in una libreria o in una biblioteca.
Ma… aspettate! Qualcuno mi sta prendendo a colpi di pinne… è Nana! Non vi ho ancora presentati, scusatemi!
Nana è una bananottera, cioè una balenottera giallo banana. Sì, perché la sua nascita è legata ad una splendida notte di luna piena… gialla anche lei!
Non è cosa che si veda tutti i giorni, una cucciola di balena di questo colore così originale… l’iniziale diffidenza delle altre creature nei confronti di Nana si scioglierà come ghiaccio al sole. Beh, c’è pure un iceberg in questa storia, un capitano, suo figlio Zefirino, delfini, tartarughe marine, gabbiani seppie… vabbè, non vi rovino la sorpresa.
Alla fine del libro, una filastrocca con il decalogo di Legambiente per rispettare e amare sempre di più il mare e le sue creature. E non è finita qui: nel sito della casa editrice troverete un pdf con storie e personaggi legati al mare – dalla Bibbia a Pinocchio, da Moby Dick a Ulisse… –, giochi di parole, schede sugli animali marini e perfino ricette!

Primo sbuffo

Sulla terra ora si direbbe “C’era una volta” e la storia sarebbe divisa in capitoli.
In fondo al mare però è diverso: le storie sono divise in sbuffi e ogni creatura
le inizia a modo suo.
La piovra gigante comincia così: – Quando i miei tentacoli erano piccini…
Il corallo, attaccato alla scogliera, parla poco e ogni parola è tonda come
una bolla di sapone che dal fondo viene a galla. Lui invece dice: – Quando
ero un bastoncino rosa…
Poi arriva il delfino Fino, con il dorso lucido grazie alle carezze della schiuma di mare, e inizia:
– Quando la mia mamma mi portava nella pancia, anche la mamma di Nana la portava nella sua…
Proprio così: Delfia, la mamma di Fino e Lena, la mamma di Nana, aspettavano
i rispettivi cuccioli nello stesso periodo.
La differenza era che Delfia era una delfina che saltava nell’acqua come le acrobate del circo, mentre Lena era una balena, l’animale più grande dell’oceano.

Secondo sbuffo

Il piccolo delfino Fino e la sua mamma Delfia a volte danzavano sulle onde
per farsi applaudire dai marinai, ma non si avvicinavano mai troppo alle
navi. Sapevano che l’uomo è un animale capriccioso che un giorno ti prende
in simpatia e l’altro ti fa finire in una scatoletta, come capita ai tonni e
alle aringhe.
Ai pesciolini più piccoli tremavano le branchie solo al sentirlo nominare.
– L’uomo? Fuori dalle pinne!
Lena, la mamma di Nana, invece non aveva paura degli uomini e si divertiva
a seguire le navi da pesca e i transatlantici zeppi di turisti.
– Non hai paura delle baleniere che possono acchiapparti? – le chiedevano
in tanti.
Gli umani infatti catturano le grandi balene per farne grasso, olio e cibo.
La grande balena però rideva come solo le balene sanno fare.
– L’uomo capace di acchiapparmi deve ancora nascere! Mi fanno ridere i
loro rampini: sembrano ami per pescare lucci e trote. Per un cetaceo come
me ci vuole altro! Io sono la regina del mare e di fronte a me l’uomo è solo
una formichina che naviga in un guscio di noce!
La mamma di Nana nuotava lenta e maestosa, sembrava proprio una regina
nel suo palazzo. E la spuma dietro di lei ricordava uno strascico d’argento.

Terzo sbuffo

Un bel giorno Lena incontrò Fanone, un immenso re elegante e gentile, e
lo sposò in una notte di luna piena.
La grande palla dorata splendeva nel buio come neppure il sole aveva mai
fatto nelle giornate serene, e la grossa balena ne rimase incantata.
Forse fu quella luce luminosa la causa di tutto e qualche mese dopo nacque
Nana, che già da neonata era robusta e forte, ma con una caratteristica
molto speciale.
Va infatti detto che il giorno della sua nascita l’intero oceano rimase a bocca
aperta per lo stupore a guardarla.
– Ma l’avete vista? – gridarono i coralli, quasi staccandosi dal fondo.
– Ma l’avete vista? – esclamarono i tonni con le pinne paralizzate.
Anche mamma delfina e il piccolo Fino smisero di saltare e rimasero imbambolati.
– Ma l’avete vista? – proferirono infine.
Certo, Nana era una balenottera bellissima, questo sì.
Solo che… era tutta gialla.
Gialla.

(Riproduzione riservata)

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Torna LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/11/29/torna-letteratitudine-chiama-scuola/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/11/29/torna-letteratitudine-chiama-scuola/#comments Thu, 29 Nov 2012 21:35:07 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4704 letteratitudine-chiama-scuolaSono molto lieto di pubblicare questo post con l’obiettivo di riaprire il dibattito nell’ambito del forum permanente di LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA.

Di seguito potrete leggere un nuovo articolo di Maria Lucia Riccioli finalizzato – per l’appunto – a riaprire la discussione… con la proposta di tre domande.

Invito chi volesse rispondere e partecipare al dibattito a intervenire nell’ambito dell’apposito forum.
Grazie in anticipo!

Massimo Maugeri

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LA SCUOLA E LE RIFORME

di Maria Lucia Riccioli

Riapriamo la rubrica LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA con un post senza pretesa di esaustività ma che tenta di offrire un contributo alla comprensione di ciò che agita il mondo della scuola in questo periodo di riforme, spending review, autunno caldo.
Chi studia, insegna o ha a che fare con il mondo della scuola come genitori, personale ATA – assistente tecnico amministrativo – , sindacati, partiti, intellettuali e semplici cittadini che hanno a cuore questo settore fondamentale dell’azienda Italia e soprattutto della nazione Italia, sa che i problemi della scuola hanno pari peso, oggi, che quelli relativi al pareggio di bilancio, allo spread, alle riforme istituzionali.
La partita del futuro di un paese si gioca anche e soprattutto sul campo dell’istruzione, dell’integrazione di studenti stranieri e diversamente abili, del rapporto scuola-mondo del lavoro.
Quale futuro stiamo offrendo ai nostri bambini, ai nostri ragazzi?
Ho letto in rete e sui principali periodici articoli, post e commenti sulla situazione dell’edilizia scolastica, dei contratti di chi lavora nel mondo della scuola – la polemica sull’innalzamento dell’orario di lavoro dei docenti, per dirne una – , dei tagli di ore di lezione e cattedre, dell’ingresso delle nuove tecnologie nella scuola, dell’insegnamento delle lingue straniere.
L’argomento appassiona, la protesta verso alcune scelte governative monta – scriviamo a ridosso dello sciopero del 24 novembre, caratterizzato da una protesta civile e ironica – e sarebbe interessante raccogliere i vostri pareri.

Domande per stimolare la vostra riflessione:

1. Quali sono a vostro giudizio le cause del “degrado” dell’istruzione in Italia e quali le possibili soluzioni?

2. La reale situazione della scuola è percepita nella sua gravità da tutti i cittadini?

3. L’intervento di Mario Monti, presidente del Consiglio, a CHE TEMPO CHE FA. L’avete ascoltato? Che ne pensate?

Per rilasciare commenti, vi rinviamo all’apposito forum.

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L’UNITA’ D’ITALIA E LE DONNE NEL RISORGIMENTO ITALIANO: la Mariannina Coffa di Maria Lucia Riccioli http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/03/14/unita-italia-e-le-donne-nel-risorgimento-italiano/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/03/14/unita-italia-e-le-donne-nel-risorgimento-italiano/#comments Mon, 14 Mar 2011 18:11:38 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3098 Come tutti voi sapete, il 17 marzo 2011 si celebra il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Vorrei dedicare la pagina che state leggendo (e che spero possiate contribuire a riempire) a questa ricorrenza così importante.

maria lucia riccioliSe penso a questa nostra terra mi sovviene la figura della madre, dunque della donna. Ecco perché vi propongo di partecipare ai festeggiamenti concentrandoci soprattutto sulle figure femminili che hanno attraversato il Risorgimento italiano e – più o meno indirettamente – con la loro vita e il loro operato hanno contribuito alla nascita di questo nostro Paese.
In particolare ci occuperemo di una figura meno nota di altre a livello nazionale e anche per questo maggiormente meritevole di essere messa in risalto: quella della poetessa siciliana Mariannina Coffa (1841 -1878). L’occasione ce la offre la recente uscita del romanzo d’esordio di Maria Lucia Riccioli (nella foto accanto), intitolato “Ferita all’ala un’allodola” (Perrone Lab, 2011) di cui approfondiremo la conoscenza nel corso della discussione.

A voi, amici di questo blog, rivolgo l’invito di scrivere qualcosa (un pensiero, una citazione, o quant’altro) per contribuire alla celebrazione della ricorrenza…

Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell'unità d'ItaliaSulla festa del 150°, inoltre, mi piace segnalare questo bell’articolo di Alessandro Mari pubblicato su Tuttolibri del 12 marzo, intitolato: Italia forever giovane e forte.

E a proposito delle donne del Risorgimento italiano, ci tengo pure a segnalare questo libro di Bruna Bertolo: “Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell’unità d’Italia” (Ananke, 2011).

Di seguito, il booktrailer del romanzo “Ferita all’ala un’allodola” di Maria Lucia Riccioli e gli approfondimenti firmati da Luigi La Rosa e Simona Lo Iacono.

In chiusura, l’inno di Mameli offertoci da Roberto Benigni nel corso di una serata del Festival di Sanremo di quest’anno.

Massimo Maugeri


(booktrailer realizzato dall’artista Maria Francesca Di Natale, Sonia Vettorato esegue le musiche di Chopin che accompagnano il video)

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MARIA LUCIA RICCIOLI E MARIANNINA COFFA: UN INCONTRO

di Simona Lo Iacono

Tutto inizia in un cortile. La mattina è di quelle buone, il sole saetta come sempre fa in Sicilia, balzando sui dirupi e le nuvole. A Noto, poi, dove Maria Lucia si ferma, raddoppia l’intensità e la sferzata, perché pare farsi materia sulla materia del barocco, e incurvarsi, o arricciarsi, o gonfiarsi nel vezzo di questi balconi che tremano, di questi basalti rapaci, ghignanti, cui mano d’uomo ha dato forma di animale, di maschera balorda, di pietosissima impastatura di bestia e cristiano.
Non sa ancora che si fermerà lì, nei pressi del San Domenico. La strada fatta da Siracusa le pesa sul cuore, sebbene la nuova scuola in cui è stata chiamata a insegnare le piaccia, perché a percorrerla si snuda di quella fatica che troppo spesso è vivere, s’immette in un assaggio di paradiso, in un’ anticipazione, fastosa e luttuosa insieme, del suo vizio di sempre, o – come pure le piace chiamarla – della sua dannazione:scrivere.
E tuttavia non è preparata a questo incontro che sa già di destino segnato, Maria Lucia, finora ha imbastito versi da angelo, e la poesia non è cosa che ti venga contro come questi segnali. La poesia è dentro, lo sa bene lei che l’ha pescata nel respiro, non è come un romanzo, che – a iniziarne la trama – ti perseguita come un dio ostinato e malfattore che comincia a cospargere la tua strada di indizi. Ma da oggi imparerà che la sua storia non è più solo la sua, che sta per irrompere il flagello della narrazione con tutte le piaghe d’Egitto, la gioia, la paura, la rabbia, la speranza. Da quando si ferma in quel cortile e vede le due statue, Maria Lucia non sa ancora – infatti – che nella sua vita è entrata Mariannina.
All’inizio non le era sembrato niente più che uno di quei monumenti che si dedicano per ozio e reverenza alle ombre, ai resti del secolo, ma poi no, s’era detta, no. Questo che l’attirava con un dolore pungente, di fattucchiera, era diverso.
Due busti, infatti, uno a Matteo Raeli, che se ne stava impettito nel cortile a rasentare lo sguardo sul mondo. E poi l’altro, indecifrabile quasi, misterioso, notturno. Una donna levigata dalle rare piogge, la fronte ampia, l’occhio riverso a scrutare oltre. E poi – ma è davvero così o sogna, Maria Lucia? – basso su di lei come per una preghiera. Forse , una richiesta.
Certo, si dice sventrata dal richiamo, certo che a raccontarlo la prenderebbero per pazza. Ma le pare un incontro di carne, quello appena avvenuto, non la fissità della pietra (su cui campeggia inciso il nome di Marianna Coffa Caruso, poetessa) contro il sangue. Non l’eternità del tempo faccia a faccia col suo, di momento, veloce e appena scoccato, ma uno spazio in cui le è facile distinguere un’unica strada, senza barriere di prima e dopo, senza inciampi né logiche, suo, si dice Maria Lucia, e con lei Mariannina: nostro.
Così comincia. Come un riconoscimento.
E sì, di questa donna sapeva, della sua vita dolente di letterata. Del matrimonio cui la famiglia l’aveva costretta ignorando il suo amore per Ascenso Mauceri. All’università forse, le pare ora di ricordare, s’era detta che doveva essere stato difficile per Mariannina essere scrittrice in pieno risorgimento, mettere al mondo figli di un uomo che non senti tuo, forzarti a una vita da moglie che gli altri vogliono senza libri, senza sogni, senza quella pioggia di passi che invece sentiva scalpicciare nel fondo dell’anima, e che doveva tradurre in versi.
Questo s’era detta.
Ma ora, ad averla davanti, Mariannina, dritta come un fuso , raggelata in un marmo, privata, anche dopo, del rossore che la faceva bellissima, del coraggio con cui aveva sfidato le barriere della mentalità e dell’apparenza, Maria Lucia ha pure una vampata di sdegno, una morsicatura che la punge. E decide: ridarle vita.
Così, inizia a scoprirla. Nelle ore d’archivio, dove trova carte dei notabili di sua maestà Vittorio Emanule II di Savoia, ultimo re di Sardegna e primo re d’Italia. O a Noto, dove s’inerpica per le strade su cui spassavano gli adepti del l”Accademia dei trasformati” di cui Marianna fece parte con il nome di “inspirata”. E a Siracusa, dove aveva frequentato il collegio “Peratoner”, o a Ragusa, dove per puro caso alza gli occhi e le vien detto: è lì, che dopo sposata, viveva la Coffa Caruso. La conosce?
Maria Lucia inizia a seguire le tracce di cui sempre è cosparsa la letteratura quando risponde al suo segreto: essere una seconda possibilità. Resuscitare. Redimersi dall’unico peccato: finire, morire. Opporsi all’indecenza del silenzio, dell’oblio.
E spalanca i giorni, Maria Lucia. Ferma i minuti. Si trova a sfiatare nella canna di un flauto magico come un’incantatrice di serpenti che ridesta i torpori. Non le è difficile perché Marianna è lei e non è lei, una distanza la separa, ma anche la colma, e capisce, Maria Lucia, che quella è nostalgia, e che per questo può chiamarsi arte: perché adempie. Perciò non è arduo pensare i suoi pensieri, rievocare le voci, ridare al suo precettore – Don Sbano – il tono della cantilena netina, o al marito – Giorgio Morana – il fiato roco di quella prima notte d’amore che ha vissuto come un dovere, o all’amato Ascenso le negazioni e le affermazioni della passione, i sensi morti dell’abbandono, i veleni della gelosia e del rimpianto.
Maria Lucia Riccioli irrompe con questo suo primo romanzo facendosi mediatrice e creatrice, affermando la pietà e l’amore, dando consistenza irresistibile alla memoria.
Chiusa la pagina con l’ultima scena, ancora ambientata in quel cortile dove tutto è iniziato, Marianna svola dalla pietra, liberata, quasi una navigatrice alla prora o all’albero di maestra. Taglia il vento, sfida le onde, ride. Dietro sta la felicità perduta, i maledetti sogni delle donne, la loro innocenza e tracotanza insieme: trovare in un uomo il proprio destino. Forse a qualcuna sarà pure riuscito, pensa Mariannina, ma a lei non è stato dato, invece, che questo tempo circoscritto e traballante, queste mani che adesso stringono altre mani, inchiostro, carta, una penna.
Se esiste un destino che si compie su questa terra, sembra dirci, non è che quello di compassione. Di chi viene finalmente raccolto dall’altro e raccontato.

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MARIANNINA COFFA: IL CORAGGIO DELLA FERITA

di Luigi La Rosa

Profonde e indimenticabili le suggestioni prodotte in me dalla lettura di Ferita all’ala un’allodola, il romanzo che Maria Lucia Riccioli dedica all’esistenza tormentata e leggendaria della poetessa netina Mariannina Coffa. Un libro che nasce dalle viscere: che delle viscere possiede l’urgenza, la necessità, il fuoco intimo. Un libro che colma una delle più grandi lacune della storia letteraria italiana: nonostante i preziosi contributi di Marinella Fiume e altri eminenti studiosi, ancora troppo poco nota è infatti la vicenda umana ed esistenziale della Coffa, intellettuale, artista della parola, poeta, patriota, oltre che spirito libero di indomabile perspicacia.
Alcuni sono i temi più importanti che mi piacerebbe prendere in considerazione in questa breve analisi del testo. Primo tra tutti: il rapporto centrale e irrinunciabile tra sogno e tradimento, tra innocenza e caduta.
Mariannina Coffa è figlia della società borghese del Risorgimento. Per via paterna e famigliare le appartengono privilegi e speranze che si aprono dinnanzi al suo futuro come un ventaglio di rosee promesse. C’è luce nei suoi giorni, come nel lustro del suo cognome risonante. Mariannina è figlia di tutto un mondo fintamente scintillante, che investe nel suo talento, nel suo splendore, nella sua intelligenza. Ma che pretende obbedienza. In cui tutto ha un prezzo. E sa trasformare i benefici in spine che trapassano le carni.
Il futuro, divenuto presente, ha ben poco degli sfavillii che la sorte sembrava annunciare, soprattutto dove: “Il respiro è un ppp, un pianissimo come quelli delle partiture impolverate che si è portata dietro da Ragusa. Perché, poi. In questa casa non c’è pianoforte, a stento si mangia. Mariannina vuole vedere il cielo, vuole parlare alla luna di notte, come faceva a casa Coffa. Vuole scrivere ancora, magari anche sulle lenzuola, alla cieca, e poi decifrare al mattino i versi del suo genio notturno, l’Angelo che la visita e le detta dentro. Ma stanotte no. Gli occhi sono chiusi, le orecchie sorde alla musica divina dell’Angelo. Un diavolo si sta mangiando le sue carni.”
Un tradimento imperdonabile l’avvicina alla figura di un’altra donna ferita e umiliata nei suoi sogni più genuini. Un’altra vittima del suo tempo e dell’incomprensione sociale. L’ennesima allodola ferita all’ala, precipitata sui freddi sentieri del silenzio e dell’afonia. Mi riferisco ad Annemarie Schwarzenbach, narrata con accenti di toccante poesia da Melania Mazzucco, nel libro biografico Lei così amata. La gemellanza che lega le due figure mi sembra davvero emblematica, e il fascino con cui la grande scrittrice romana rievoca i giorni dolenti di Annemarie rimanda a quello che alona di sublime malinconia la Mariannina siciliana.
“La chiuderanno nella sua camera, fra i mobili che ha comprato lei stessa, le sue tende, i suoi libri, le sue cose che nessuno avrà toccato. Ma l’entità-Annemarie non sembrerà riconoscerle: non saprà più cos’è una macchina da scrivere, una penna, un foglio di carta, una fotografia. Nella casa di Sils-Baselgia ci sarà un silenzio mortale, e in lontananza si spegnerà anche l’eco delle campane della chiesa.”
Mariannina e Annemarie tacciono, perché il destino sembra averlo loro imposto. Perché non c’è ascolto intorno. Perché le parole sono fuggite lontane. E’ il loro canto del cigno, e tutt’intorno nessuno si chiederà il perché di una simile caduta, le motivazioni di uno spreco di sensibilità tanto imponente. Riflessione che ci conduce, inevitabilmente, al secondo grande tema del romanzo di Maria Lucia Riccioli: l’antitesi complessa e insanabile tra artista e contesto sociale d’appartenenza.
Mariannina insegue una direzione che sembra fissata fin dal principio, dai primi anni di vita. Lungo la strada risplendente che il genio parrebbe spianarle si annidano incognite pericolose e avvilenti, rancori, invidie sotterranee. Struggente dalla prima riga all’ultima il passaggio che rappresenta l’ingenuo e innocente tentativo di ribellione dell’artista davanti alla bieca normalità del gregge.
“Da quanto tempo teneva la mano alzata? Serra si riscosse da quelle che bollò come fantasticherie e abbassò lo sguardo dalla predella su uno dei banchi mediani. La signorina Coffa Caruso voleva porgli una domanda. Che non avesse compreso il compito? Che la fanciulla volesse mettersi in mostra? Una risatina o due subito interrotte dalla mano alzata di Serra. Invidie e gelosie erano le serpi consuete che strisciavano nelle teste di ragazzine che il volere dei genitori aveva rinchiuse in questo angolo di Siracusa, a dormire e studiare testa con testa, gomito a gomito, la dotata con l’indolente, la volenterosa con la promossa a via di denari del padre medico o funzionario del governo.”
Maria Lucia Riccioli manifesta una consapevolezza rara, che è la stessa dei grandi romanzieri del passato. Come Tolstoj nella Karenina, così pure lei organizza tra le sue pagine la fitta maglia delle anticipazioni e forgia l’infanzia sognante della Coffa nella materia combattuta di quelle prime nuvolose mutevolezze, indice e profezia della ventura battaglia contro la società e il suo perbenismo.
Mariannina sarà domani una donna diversa perché è stata ieri una bambina segnata, e perché il fuoco è disceso in lei, fin dalla tenera età dei primi studi. Sarà una donna sola, perché sente che è nella solitudine che ci è dato percepire il respiro possente delle cose. E sarà anzitutto se stessa, perché non v’è tradimento più grande che quello nei confronti della verità e del cuore.
Ma anche di questo la vita la costringerà a macchiarsi: del tradimento dell’amore. Per questo, poi, non ci sarà pietà dei suoi giorni. Del suo dolore. La passione di Mariannina Coffa per il giovane Ascenso Mauceri, prestante Bellini di provincia, che la scrittura della Riccioli solfeggia con accenti di intensa sensualità, prima o poi è condannata all’oblio. Le dure leggi della rispettabilità borghese impongono una differente unione, un matrimonio che ha dell’inverosimile e dell’assurdo. Tuttavia, il giuramento della Coffa è indelebile, e possiede la forza dell’acciaio e della pietra. E’ qualcosa che niente potrà mai abbattere.
“Vero è che si è tentato di dividerci, e mia madre era più d’ogni altro impegnata a farmi sposa di quel tale, ma io sfiderò gli uomini e il destino, né mai sarò d’un essere che non ha altro merito che le sue ricchezze. Non dolerti per me, che presta ad ogni sacrificio saprò anche morire per esserti fedele. Addio – amami sempre. La tua Mariannina.”
L’ipotetica incrollabilità del patto amoroso si scontra con la realtà: pian piano l’amore tra il musicista e la poetessa dal fato infelice svanirà, perché nuovi obblighi, nuove impellenze – e soprattutto nuovi lancinanti dolori – si abbatteranno sui pochi giorni che il cielo sembra disposto a concederle. Controversie famigliari, ribellioni, abbandoni, lutti personali, discese quotidiane agli inferi del risentimento e della rabbia. Un inferno da cui non ci sarà nessuno scampo, se non grazie al potere salvifico della scrittura e al miracolo terapeutico dei versi inanellati in appelli strazianti e disperati.
Viene da chiedersi: cosa è successo nell’esistenza, cosa succede nel cuore di Mariannina Coffa? Ferita all’ala un’allodola manifesta d’un tratto la sua profondità, proprio nel punto in cui la vicenda si carica di tensione psicologica, e il dramma dell’una si tramuta nella parabola universale delle tante, le molte, tutte le donne che esattamente come lei subiscono la sistematica imposizione di una poetica di vita, il sigillo comportamentale che più si conviene, la schiavitù dei sensi contro cui non bastano più parole e lacrime.
Maria Lucia Riccioli ci regala un’opera d’indiscutibile valore, oltre che un’avventura dello spirito di frastornante bellezza. Leggere questo libro significa restituire voce all’assenza, corpo alla fuga, necessità all’impegno e lineamento a una donna eccezionale, che lascia il segno in un’impronta civile di rigorosissimo impatto. Inseguendola, ci accorgiamo che Mariannina sta parlando di noi. Di noi tutti. E della nostra tristezza. Ma pure del nostro coraggio, di quello che ostentiamo davanti ai propositi traditi, agli inganni non meditati, ai pentimenti che si tramutano in fiele, e che ci tocca mandar giù, goccia per goccia. La luce s’è abbassata, e sul fondo, ora, solo il silenzio rotto dal canto. In quel silenzio, le allodole sono tornate a volare.

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PENTELITE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/02/09/pentelite/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/02/09/pentelite/#comments Mon, 08 Feb 2010 23:09:49 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1702 pentelite-logoHo il piacere di presentarvi Pentelite: volume annuale nato da un progetto letterario di Salvo Zappulla in collaborazione con il Comune di Sortino (SR).
Pentelite non viene messo in vendita. È elargito in omaggio ai collaboratori, alle associazioni culturali, alle biblioteche e ai circoli di lettura… un progetto nato in un piccolo comune siciliano con l’obiettivo di contribuire alla crescita culturale e letteraria.
Mi fa piacere dedicare un post apposito a questo progetto per un motivo molto semplice. Come scrive Zappulla nella sua prefazione, alcuni dei collaboratori di questo numero di Pentelite sono stati “intercettati” proprio qui a Letteratitudine. Insomma, Pentelite ha una sorta di aura letteratitudiniana.
Chi lo sa: magari, con la vostra collaborazione, da questo post potrebbero nascere idee per il prossimo volume di Pentelite…
Ne parliamo con lo stesso Salvo Zappulla e con Maria Lucia Riccioli (che ha co-curato questo nuovo numero)… auspicando gli interventi di tutti coloro che ne hanno contribuito alla realizzazione.
Massimo Maugeri

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PENTELITE 2010

Presentazione di Salvo Zappulla

pentelite-2010Pentelite 2010. Sono passati quindici anni. Una vita. Forse è arrivato il momento di tirare un bilancio. La prima considerazione è: stiamo invecchiando. L’entusiasmo non è più quello di una volta e anche il fisico comincia a cedere. Reggere il peso della C(q?)ultura è faticoso. In particolare per me, fare le scale che portano alla sede della manifestazione (la chiesa del Carmine) è diventata un’impresa: le ossa scricchiolano, le mani tremolano, la lingua spesso s’impiglia nella dentiera. Un bastone a cui appoggiarsi potrebbe non bastare. Occorrono forze fresche, e nuove energie. Sarebbe un peccato disperdere tale patrimonio. Giovani fatevi avanti. Quindici edizioni di Pentelite. Quindicimila copie stampate e diffuse in tutta Italia (e anche oltre) rappresentano una scommessa vinta. I migliori nomi della cultura siciliana anche quest’anno sono stati ben lieti di darci i loro testi. Scrittori e giornalisti di fama nazionale e internazionale hanno accettato con piacere di far parte del gruppo. Significherà pure qualcosa. O no? Persone che vivono in ogni angolo d’Italia (qualcuna anche all’estero). Persone belle, che credono ai sogni, conosciute attraverso questo strumento diabolico che è il computer, molte, diciamolo pure, su Letteratitudine, il blog del mitico Maugeri. Potenza della scrittura, del desiderio di condividere attraverso la parola scritta emozioni, sentimenti legati alla letteratura. Potenza della parola. Incanto e poetica della Parola. La parola come strumento salvifico. La parola-pietra per citare Carlo Levi. A volte basta poco per realizzare cose belle: spirito di iniziativa e idee, come ha fatto Virginia Foderaro con l’agendina letteraria di Opposto. Pare che quell’agendina porti fortuna a quanti ne entrino in possesso.
Internet è destinato a diventare l’invenzione del secolo, ha rivoluzionato il sistema della comunicazione. E’ una finestra sul mondo. Ha dato libero accesso a tutti, visibilità a quanti desiderano esercitare il loro diritto all’esistenza, dalla casalinga al poeta locale cui nessuno voleva dare credito letterario. Un oceano popolato da pesci multiformi che si muovono sconnessi alla ricerca di luce. Nel bene e nel male ha sovvertito certi strumenti di potere, egemonia della stampa e della televisione. Una rivoluzione in piena regola. Fioriscono i siti on-line, proliferano i blog e si intrecciano amicizie. Tornando alle cose nostre, se apriamo la parte della saggistica con Sebastiano Burgaretta e Marinella Fiume, due storici tra i più profondi conoscitori della nostra terra e delle nostre tradizioni, vuol dire che qualcosa di buono abbiamo pur fatto. E se subito dopo un’ospite illustre quale Rita Charbonnier, scrittrice romana, i cui romanzi sono tradotti in mezza Europa e persino in America, ci invia un articolo gustosissimo e illuminante sul suo rapporto con la Sicilia, vorrà dire ancora qualcosa. Giorgia Lepore, archeologa dell’Università di Bari, insegnante, scrittrice, è un altro pezzo pregiato che si aggiunge alla collezione. Così come l’articolo del caro Subhaga Gaetano Failla su Bonaviri, uno degli scrittori più importanti del nostro secolo. Renzo Montagnoli ci ricorda Mario Rigoni Stern, altro grande scrittore e grande uomo. Uno dei più amati in assoluto, un esempio da seguire. Personalmente ho un ricordo molto caro di Rigoni Stern: lo conobbi tre anni fa al Salone di Torino, c’era un pubblico enorme a seguire il suo intervento. Esordì dicendo:”Sono venuto a piedi dal mio albergo fino a qui, quanto traffico, quanto rumore, come vivete male in città”. Si levò un applauso lunghissimo, interminabile.
Sabina Corsaro, Dottore di Ricerca, aggiunge linfa vitale al nostro libro. Simona Lo Iacono, fresca vincitrice del premio Vittorini opera prima, è un’altra perla che va a impreziosirlo. E le giornaliste siracusane Annalisa Stancanelli, Veronica Tomassini, altre magnifiche realtà del nostro territorio. Angelo Orlando Meloni ci presenta un autore impegnato, pubblicato da Del Vecchio, editore giovane che promette scintille e di cui si dice un gran bene (che Dio lo illumini). Maria Lucia Riccioli quest’anno cura la stampa del libro assieme a me (la seconda parte, quella riguardante il premio letterario) e anche lei rappresenta un investimento. Forze emergenti e propulsive. Massimo Maugeri ci ha fornito un testo importante sulla letteratura per ragazzi. Rina Brundu ormai è una vecchia conoscenza e il suo saggio su Maria Teresa Scibona è l’incontro fatale tra due spiriti grandi. Morena Fanti e Marco Scalabrino ci collaborano da anni e sono colonne portanti di questo libro. A loro si sono aggiunti i giovani Serena Acquilino, Giampaolo Pitruzzello e Antonio Lanza, loro sono il futuro, la prova materiale che abbiamo fornito gli stimoli giusti. Serena ci racconta Sortino visto da lei, una ventenne. Antonio Lanza ci fornisce una testimonianza piacevole: l’esperienza culturale del Comune di Biancavilla (CT). Bene. Piccoli sintomi di risveglio in una Sicilia che non vuole rassegnarsi all’oblio Per concludere, un ringraziamento doveroso al sindaco, prof. Paolo De Luca, all’avv. Dionisio Mollica, assessore alla Cultura del Comune di Sortino, che ci seguono con affetto, e alla prof.ssa Teresa Gigliuto, la cui collaborazione è stata preziosissima. E infine il Concorso di poesia e la estemporanea di pittura sulla legalità organizzati dall’ACIPAS. La collaborazione dell’associazione antiracket ci onora e ci dà prestigio. C’è bisogno di legalità e c’è bisogno di moralità. Grazie anche al presidente Alfio Pitruzzello e al prof. Mauro Magnano per essere con noi.
Il resto, come sempre, è ancora da scrivere. (Speriamo).

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Presentazione di Maria Lucia Riccioli

Secondo Indro Montanelli, premi letterari non ce ne sono mai abbastanza, mentre non mancano mai gli incentivi all’incultura.
Saba invece, ironicamente, sosteneva che i premi letterari sono una crudeltà. Soprattutto per chi non li vince.
L’Italia, storicamente, è la culla dei premi letterari. Dai certamen poetici ai blasonati Strega, Campiello, Bancarella e tanti altri, per tutto lo stivale è un pullulare di concorsi. Eppure per la lettura il nostro popolo si classifica sempre tra gli ultimi.
Punti di vista o qualcosa non quadra?
Chi partecipa ad un premio letterario dev’essere animato dalla giusta ambizione e dal legittimo desiderio di essere letto e di vedere riconosciuti i propri meriti, ma deve rifuggire ogni spirito di vanità e porsi soprattutto nell’atteggiamento di confronto amichevole con i sodali nell’esercizio delle arti belle. Un premio letterario, vissuto in questo senso, è veramente un’occasione di crescita, sia per chi lo organizza che per i partecipanti.
Quando Salvo Zappulla mi propose di fare la “giurata” per l’edizione 2009 del Premio letterario “Città di Sortino”, non esitai ad accettare.
Le precedenti edizioni, garanzia di serietà. La rivista “Pentelite”, fregiata di pregevoli firme. Il comitato organizzatore e il meccanismo di selezione e voto, al di là di qualsiasi sospetto di maneggi o di spoil system
Solo l’amore sincero per la cultura e il desiderio di dare lustro a Sortino con una manifestazione dedicata alla scrittura narrativa e poetica e ai libri.
Le poesie e i racconti pervenuti sono animati da una genuina passione per lo scrivere e devo dire che sia contenutisticamente che stilisticamente sono di buona fattura.
Innanzitutto gli autori sono desiderosi di esprimersi, di comunicare il proprio mondo interiore. Vogliono dare voce a sentimenti e pensieri, l’urgenza fa trovare loro parole in prosa e versi.
Al di là dei risultati e delle classifiche, il senso di questo premio è offrire a poeti e narratori un’occasione di incontro, dei lettori più o meno qualificati ma sicuramente interessati. Per gli organizzatori, la soddisfazione di veder crescere la stima intorno a questo premio, di leggere i componimenti degli autori ed entrare nel loro mondo umano e creativo.
Ringrazio veramente di cuore ognuno dei partecipanti per la fiducia riposta in noi e l’esperienza che mi hanno permesso di vivere, lo staff organizzativo di “Pentelite” e… ad maiora!

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/02/09/pentelite/feed/ 129
DIBATTITO SU LETTERATURA E PIRATI: da Salgari ai nostri giorni http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/28/letteratura-e-pirati/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/28/letteratura-e-pirati/#comments Thu, 28 Jan 2010 19:30:21 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1557 Sono molto lieto di poter avviare un nuovo dibattito letterario a largo respiro. Il tema che propongo è il seguente: “Letteratura e pirati (da Salgari ai nostri giorni)“.
La figura del pirata è entrata a far parte dell’immaginario collettivo da moltissimo tempo: ha invaso le pagine di romanzi e saggi, di film e serie Tv, di cartoni animati e opere musicali. Eppure ho l’impressione che, di recente, si sia sviluppato un interesse ancora maggiore, che dal cinema (valga come esempio “I pirati dei Caraibi” di Johnny Depp) si è riversato sulle pagine dei libri e altrove.
Diversi gli ospiti che parteciperanno a questa discussione. Intanto, Maria Lucia Riccioli (a cui chiedo di darmi una mano a coordinare e a moderare gli interventi) che ha scritto un articolo sui “pirati in letteratura”. E poi alcuni autori di saggi molto interessanti (che mi piacerebbe potessero discutere del tema in generale, parlarci dei loro libri e interagire tra loro):
- Nicolò Carnimeo, autore di “Nei mari dei pirati. I nuovi predoni degli oceani” (Longanesi)
- Giovanna Fiume, autrice di “Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna” (Bruno Mondadori)
- Ignazio Cavarretta e Eletta Revelli, autori di “Pirati. Dalle origini ai giorni nostri, dai Caraibi alla Somalia” (Nutrimenti).
Di seguito troverete le schede dei tre volumi. Nel corso della discussione avrò modo di presentare gli autori e di fornire ulteriori contributi sulle loro opere.
In coda al post troverete un doppio articolo di Alberto Pezzini sui “nuovi romanzi dei pirati”, con riferimento alle recenti pubblicazioni di Michael Crichton, Valerio Evangelisti, Arturo Pérez–Reverte.

Per avviare il dibattito provo a formulare alcune domande (che potrebbero essere integrate e/o modificate nel corso della discussione).

Che tipo di rapporto avete con la “letteratura dei pirati”?

Qual è, a vostro avviso, il miglior romanzo sui pirati della storia della letteratura?

Di recente, c’è stato davvero un effettivo aumento di interesse per la “figura” del pirata? E se sì, per quale motivo?

La “figura” del pirata è stata eccessivamente “mitizzata”? C’è uno scollamento tra “fiction” e realtà? Che percezione avete in proposito?

Al di là dell’invenzione letterario-cinematografica… avete mai pensato di poter rimanere vittime di una reale “scorribanda piratesca”?

Che rapporto c’è tra storia e letteratura a proposito del fenomeno di cui ci stiamo occupando?

Che rapporto c’è (e c’è stato) tra pirateria e schiavitù?

Siete tutti invitati a partecipare.

Massimo Maugeri

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Pirati in letteratura
di Maria Lucia Riccioli

http://letteratitudine.blog.kataweb.it/files/2008/08/maria_lucia-riccioli.JPGQuant’è forte il potere evocativo delle parole… quelle tre semplici sillabe sanno ricreare magicamente un mondo fatto di mare, cordami e sartie, alberi maestri, coffe e trinchetti, daghe e cofani bellamente riempiti di dobloni spagnoli!
Ho amato Stevenson ed il suo capitan Silver, capitan Uncino che attenta alla vita di Peter Pan, Achab e la sua disperata caccia a Moby Dick, e leggendo “Piccole Donne” mi sono imbattuta in un gioco di società, una specie di domino letterario, con uno dei personaggi che monopolizza la serata citando a memoria una scena dei romanzi pirateschi che tanto ama…
E la leggenda dell’Olandese volante? E il nostro Salgari, che senza praticamente muoversi dal tavolino di un caffè ci ha regalato la figura del Corsaro Nero, oltre che a quelle di Sandokan e dei suoi tigrotti della Malesia?
I pirati hanno popolato le pagine dei romanzi fin dall’antichità. Se pensiamo a quanta letteratura greca è letteralmente naufragata nel mare magnum della storia, specialmente per quanto riguarda la narrativa, c’è da rimpiangere i romanzi, in cui i pirati la facevano da padroni nel “mare colore del vino” e separavano fanciulle e giovinetti innamorati per venderli come schiavi, come accade anche nelle novelle del Decameron, in cui ancora permane l’eco delle scorrerie saracene, di quei pirati che saccheggiavano e rapivano, alonati di fascino misterioso.
Bucanieri. Barbareschi.
E il corsaro. Altra figura leggendaria, legittimata però nel suo scorribandare in cerca di fortuna dalla protezione di alti personaggi, addirittura di sovrani: pensiamo a Francis Drake, addirittura Sir.
I filibustieri. Altra parola che poi è divenuta un insulto, un po’ datato ma che ci riporta all’epopea dei pirati.
E cos’altro è in fondo Ulisse? Il suo nostos verso Itaca si colora d’avventura e l’uomo dall’ingegno versicolore sembra più un corsaro che un re in fuga da Troia.
Il cinema molto deve ai pirati: scene spettacolari, isole e galeoni, combattimenti all’arma bianca col coltello tra i denti… e la classica camminata sulla passerella di legno per finire in pasto ai pescecani, già pronti con le mascelle spalancate.
Pensiamo ai pirati dei Caraibi, fantastici e glamourous, ad Erroll Flynn, alle trasposizioni filmiche dei romanzi pirateschi (chi non ricorda “Quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto” e la gamba di legno di Long John Silver?), i pirati di Polanski, il Capitan Harlock dei cartoni animati, il “pirata tutto nero che per casa ha solo il cielo” e che ha lasciato gli antichi vascelli per un’astronave?
Oggi i pirati sono informatici, ancora più misteriosi dei personaggi mascherati col fazzoletto al collo e il pappagallo sulle spalle, ma le loro incursioni nei sistemi computerizzati e nei nostri pc sono dannosi quanto un arrembaggio…
E che dire dei cacciatori di relitti e tesori? C’è chi spera ancora di trovare la cassaforte del Titanic, o l’oro spagnolo disseminato per l’Atlantico.
Senza dire che i pirati esistono ancora, e depredano carghi, sequestrano e uccidono. E nelle loro imprese non vi è nulla di romantico.
La bandiera nera con il teschio e le tibie, simbolo potente della morte per mare, resterà ancora a lungo nell’immaginario collettivo.
Fino a quando vivranno lo spirito d’avventura, il desiderio dell’ignoto e – perché no? – la trasgressione o meglio l’elusione delle regole del vivere civile, del mondo dei terricoli che non conosce le dure leggi del mare.

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Nei mari dei pirati. I nuovi predoni degli oceani di Nicolò Carnimeo
Longanesi, 2009, pagg. 254, euro 17,60

Lo dimostrano le cronache più recenti: i pirati sono sempre esistiti e sono ancora fra noi, ma questa volta non siamo in un romanzo d’avventura, e men che meno al cinema. La pirateria è una guerra silenziosa: si stima che negli ultimi venticinque anni nelle sole acque del Sudest asiatico siano state attaccate più di diciassettemila navi, con una media di settecento all’anno. Tutto ciò ha costi economici e sociali altissimi. I nuovi predoni del mare dispongono di armi sofisticate e tecnologia satellitare, prosperano nelle acque di quelle nazioni in cui vi è forte instabilità causata da guerre e carestie, come in Somalia, oppure dove i governi sono deboli e corrotti, come in Nigeria e Indonesia, ma tutti i mari del mondo ne sono infestati e chiunque può diventarne vittima, magari durante una crociera nel mar Rosso o ai Caraibi oppure nell’incantevole soggiorno low cost di un villaggio turistico in Borneo. Nel seguire le tracce della pirateria moderna, dal sequestro del veliero da crociera francese Ponant, a quello della gigantesca petroliera Sirius Star, alle “navi fantasma” depredate dalle mafie orientali del mar della Cina, questo appassionante reportage, scritto da un esperto di “cose di mare”, porta in luoghi lontani ed esotici, fa conoscere i nuovi spietati bucanieri e chi ogni giorno li combatte. La guerra ai pirati del terzo millennio è appena iniziata e nessuno può sentirsi al sicuro: oggi anche una tranquilla vacanza in barca a vela può diventare un incubo.

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Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna di Giovanna Fiume
Bruno Mondadori, 2009, pagg. 349, euro 22

Durante l’età moderna, l’area mediterranea è segnata dalla guerra da corsa e dalla pirateria, su cui prosperano intere città, cristiane e musulmane; il conflitto per mare assume i toni dello scontro religioso, quasi da crociata contro gli infedeli. Quanti cadono in mano dei corsari, ridotti in schiavitù, attendono di essere riscattati o scambiati, e in cattività danno origine a un’intricata storia di abiure e conversioni – dall’islam al cristianesimo e viceversa. L’analisi dell’autrice, basata su ricche e talvolta inesplorate fonti documentarie, mostra il forte coinvolgimento delle istituzioni laiche ed ecclesiastiche in questa nuova dimensione della contesa politica internazionale e offre un quadro significativo sulle condizioni di vita dei captivi, in bilico tra la vecchia fede religiosa e l’esigenza di inserirsi in un diverso tessuto sociale. L’efficacia nell’evangelizzazione degli schiavi ha come risultato più eclatante la canonizzazione di santi neri, quali Antonio Etiope e Benedetto il Moro, ma si spinge sino in terra africana, dove Juan de Prado guadagna la palma del martirio, mettendo in luce inediti aspetti del ruolo politico dell’attività missionaria degli ordini religiosi nel regno del Marocco.

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Pirati. Dalle origini ai giorni nostri, dai Caraibi alla Somalia di Ignazio Cavarretta e Eletta Revelli

I pirati dei film non rappresentano che una realtà parziale, quella del mar dei Caraibi o della Malesia; per questo molti ignorano che la pirateria ha giocato un ruolo importante in tutti i mari, Mediterraneo compreso. Dal punto di vista storico, poi, si tende comunemente a collocare le ultime imprese dei pirati nel Settecento, dimenticando circa tre secoli di feroci scorribande, che si protraggono fino ai nostri giorni. Questo libro intende restituire un volto più reale al fenomeno, con uno sguardo che comprende i Caraibi, ma a cui non sfugge la storia della navigazione a partire dai fenici, la guerra di corsa nel Mediterraneo, la pirateria nell’Estremo Oriente, nonché le ‘navi ausiliarie’ delle due guerre mondiali e gli odierni pirati delle coste somale.
Con una trattazione avvincente e leggera, corredata da numerose immagini, Pirati ci trasporta in un viaggio a bordo delle navi dei Barbarossa o di Andrea Doria; ci costringe al remo tra forzati musulmani o cristiani; ci conduce alla corte di Elisabetta I o al patibolo di Wapping Old Stairs. E ci rivela il naturale sodalizio tra pirateria e guerra: non esiste bucaniere, filibustiere o corsaro, se non in uno scenario reso instabile da un conflitto.

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Nuove storie di pirati (parte I): Michael Crichton, Valerio Evangelisti

 articolo di Alberto Pezzini

 Chissà se Michael Crichton si è ispirato a Hornblower di C.S. Forester per scrivere la postuma “Isola dei Pirati (Garzanti, 2009, pagg. 332). Della Giamaica in cui è ambientato il libro Crichton ci aveva già parlato in un suo racconto di vita, relativo ad uno suo viaggio personale legato ad una separazione sentimentale (Giamaica, in Viaggi, Garzanti Elefanti 2005).

Ma il personaggio dello spregiudicato Capitano Charles Hunter, inglese, che combatte gli spagnoli, sa moltissimo di un suo antenato molto più ortodosso: il Capitano Hornblower, che nelle galere spagnole ci resterà per due anni da prigioniero.

Sembrano figure molto vicine e contrarie.

Hornblower è un comandante nato che combatte per la regia marina, Hunter è un corsaro, una sorta di irregolare con la patente di uccidere in segreto per la corona.

Dire che il romanzo di Crichton sia stato pensato con un occhio avido verso una futura sceneggiatura è pur vero, ma banale.

Se vale il fatto che la sua scrittura – alla fine – era divenuta carne per il cinema, ciò non cancella il suo personale approccio alla scrittura. Predisposta quasi naturalmente per gli adattamenti cinematografici. Crichton è stato medico, e quindi era in possesso di una formazione scientifica per cui si impara a scrivere con parole secche. La frase – come diceva Terzani quando scriveva per Der Spiegel – doveva essere “piccante”. Senza niente di più addosso.

Il suo corsaro risente molto di Hornblower e della sua epopea nei contenuti.

Forester aveva fatto sentire molto di più il mare in una saga di quasi millecinquecento pagine dove gli spagnoli vengono gradualmente sostituiti dagli odiati francesi di Napoleone.

Il capitano Charles Hunter è un avventuriero che in Giamaica, nel 1665, decide di espugnare un galeone ancorato in un’isola vicina a Matanceros, sotto gli occhi di un sadico comandante di nome Cazalla. Si tratta di un’impresa quasi impossibile. Così come era quella di espugnare Veracruz per il capitano De Grammont nell’omonimo romanzo di Valerio Evangelisti.

In entrambi i casi si tratta di uomini che hanno scelto la guerra di corsa per combattere gli spagnoli. Mentre in Evangelisti, però, la figura di Hornblower con tutti i suoi valori non è mai esistita, e dove vince una concezione meridionale (il sesso è preminente, cioè) della pirateria, in Crichton, invece, il sesso c’è ma passa senza sfiorare nessuno. Non fa danni. Evangelisti fa parte di un girone letterario tutto suo dove la guerra di corsa e la pirateria sono qualcosa di barbaro, un reparto dove la macellazione è garantita se ti prendono e dove lo stupro è una regola fissa a cui in qualche modo il lettore è preparato pagina dopo pagina. In “Tortuga l’io narrante vive di una donna meravigliosa – anche se muta – la quale si rivelerà una nemesi feroce per le sue voglie di uomo preso alla sprovvista. Solo che il sesso resta una componente molto forte, e molto partecipata di una vita dove il mare, l’assenza di regole in guerra e la voglia di godere lasciavano davvero poco ogni giorno in cui il sole cominciava a prendere l’orizzonte. Non è un sesso espresso, però, ma più che altro una vena mentale per cui nella vita di questi uomini è la donna che comanda. Lei viene presa una volta, ma l’uomo è preso tutta la vita… e, dunque, è in manette. È la concezione di Filippo II rinchiuso nell’Escorial dove la luce è preda del buio.

Crichton in questo è più wasp, molto più anglosassone.

La visione della guerra di corsa dell’americano è forse anche più feroce di quella di Evangelisti, ma non è così bulimica sulla pagina, insomma sprizza sangue meno rosso. In entrambi si respira lo studio della marineria e della guerra di corsa sul mare che – in moti autori – diventa quasi una sorta di prova di scrittura. Ci siamo chiesti il motivo per cui molti scrittori si cimentino in una nuova edizione del Corsaro Nero. Il punto di partenza resta il romanzo di Salgari.

La prima risposta che viene in mente quando si parla di pirati è che l’animo maschile sia in profondità un pozzo dove i giochi dell’infanzia restano sempre ad un centimetro dalla superficie. Stanno sempre sotto un velo molto sottile.

Le navi rappresentano isole ove la vita è il frutto di regole rigidissime che non esistono in altri luoghi. Sono luoghi atopici, insomma, dove tutto è possibile.

Le avventure in mare sono infinite come tutte diverse – in ogni menoma particella – ne sono le onde. Mai uguali.

Il Corsaro Nero nasce come romanzo per ragazzi e diviene la base di una letteratura per adulti dove si arriva a mescolare un arrembaggio con uno stupro per tenere meno acido il sapore di una storia ormai abusata.

Crichton scrive questo romanzo verso la fine della sua vita, quando la malattia gli ha già dato qualche potente strattone tipo quelli della Morte in “Vi presento Joe Black”. Deve aver pensato a quando navigava con la mente da piccolo e lì, in quella zona di calma apparente, ha provato a fermare un poco il battito del cuore .

Il romanzo di Crichton termina con la parola latina Vincit: come il suo autore, vittorioso sulla morte per aver navigato nei mari estremi anche da adulto. Tutti siamo stati bambini, ma pochi se ne ricordano, come diceva “Il Piccolo Principe”.

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  Nuove storie di pirati (parte II): Valerio Evangelisti, Arturo Perez–Reverte

 articolo di Alberto Pezzini

 A distanza di un anno, ma neanche visto che “Tortuga” è del gennaio 2008, tornano i pirati della Tortue di Evangelisti. Un euro in più, uguale numero di pagine – per la verità una in meno – “Veracruz” è il prequel di Tortuga. Parliamo di una città situata all’interno del Golfo del Messico, proprio nel cuore pulsante della Corrente del Golfo. Viene assalita dai nostri corsari, depredata, messa a fuoco, violentata nelle donne e denudata delle merci. Diventa un deserto. Siamo nel 1683 e Michel De Grammont, l’ultimo comandante guida dei Fratelli della Costa, prende questa decisione rivoluzionaria. Espugnare Veracruz, la città più importante della Nuova Spagna, distruggendo così tutta la rete dei contatti diplomatici europei dell’epoca. L’impresa sarà condannata anche dalla corona di Francia in nome della quale i Fratelli si dicono gli agenti segreti sui mari. Veracruz si trasforma così in un casus belli che condannerà i Fratelli ed il loro comandante. Ostaggio, lui, di una donna che riesce a far liberare, la sua sorella più piccola tumulata viva dentro una prigione inumana dai cattolici spagnoli. La sete di vendetta diventa per De Grammont una benda spessa sugli occhi e gli fa perdere la visione strategica dei mari. Insieme alla moribonda, un’altra presenza femminile che conturba le menti è Gabriela Junot – Vergara, preda del saccheggio, e stuprata con piacere apparente da uno dei comandanti del Re della Corsa. Tutto viene narrato dalla voce di Hubert Macary, ufficiale votato all’obbedienza più cieca se non fosse per quell’inclinazione incoercibile verso le donne fatte di senso e bellezza. Macary sarà poi colui che si perderà nelle ultime pagine di Tortuga scomparendo dentro una fine tanto nefasta quanto inattesa. La storia dei corsari è tutta qui, sempre con il solito meccanismo del romanzo d’appendice. Ogni paragrafo fa saltare di corsa verso l’altro, sempre con il fiatone. Evangelisti ha individuato un filone aurifero che sa gestire molto bene. L’impasto è il solito: avventura, sangue, intrighi, passioni e sesso. Qui, rispetto a “Tortuga”, è più fine, più lontano all’orizzonte ma lo si avverte come la vera molla della storia. Se si apre “Il Corsaro Nero” di Emilio Salgari (1898) ci si può toccare e pizzicare perché le cose non sono cambiate. La stessa orditura, la stessa velocità nella narrazione, soltanto con qualche pepita di appetito maschile concessa in più ai lettori (che sociologicamente si sono evoluti verso un tipo di avventura dove il sesso è divenuto una componente fisiologica).
Evangelisti ci confessa nella Nota finale di avere già in mente il terzo tomo con il titolo “Cartagena”, che prima o poi scriverà. Conterà le stesse pagine, costerà un euro in più, e sarà anch’esso capace di far sentire il mare come le conchiglie.

La mano di Evangelisti – quel che è giusto va detto – è però la più abile nell’arte di “affiancarsi” a Salgari e la sua capacità mimetica supera di gran lunga anche “I Corsari di Levante”, Tropea 2009, di Arturo Pérez–Reverte, che letto in controluce è più intellettualistico e meno maroso. Evangelisti – in fatto di corsari – è più audace, ha una maggiore visione fumettistica dell’intreccio che sa far pesare di più sulla bilancia. Perez Reverte è in affanno perché la sua mano resta quello dello spadaccino, dell’indimenticabile e supremamente terreste maestro di scherma Alatriste che – sul mare – fa la figura del piemontese alla spiaggia. D’altro canto gli spagnoli, con quei galeoni così pesanti, perdono sempre contro i corsari. È una legge che regola le storie della Corsa. La Spagna è sovrana di un impero dove il sole non tramonta mai. Sulla terra, però…  soltanto sulla terra.

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LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/09/28/letteratitudine-chiama-scuola/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/09/28/letteratitudine-chiama-scuola/#comments Mon, 28 Sep 2009 21:20:01 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1115 letteratitudine-chiama-scuolaCari amici, ho deciso di aprire uno spazio dedicato alla scuola e di affidarlo a due frequentatrici di questo blog, entrambe scrittrici e insegnanti di letteratura: Maria Lucia Riccioli e Maria Rita Pennisi.
Letteratitudine chiama scuola sarà un luogo – una sorta di forum permanente – che si occuperà di scuola a 360 gradi, privilegiando l’incontro tra studenti, insegnanti… libri (ma non solo). Gli obiettivi saranno meglio spiegati nei due pezzi firmati dalle curatrici e animatrici di questo spazio che – credo – possa interessare tutti (dunque siete tutti invitati a partecipare), giacché la scuola – in un modo o nell’altro – riguarda ciascuno di noi. Inutile dire, dunque, che aspettiamo i vostri interventi.
Ci tengo, inoltre, a segnalare la rubrica “Viva la scuola” che l’amico scrittore Giorgio Morale cura sul blog La poesia e lo spirito.
Di seguito troverete alcune citazioni sulla scuola: qual è quella con cui vi sentite più in linea?
In coda al post, come già anticipato, potrete leggere gli articoli di Maria Lucia Riccioli e Maria Rita Pennisi.
Massimo Maugeri

Letteratitudine chiama scuola coinvolgerà diversi ospiti, i cui nomi verranno indicati (in aggiornamento) qui di seguito: Giovanna Bandini

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CITAZIONI SULLA SCUOLA (fonte wikiquote)

• Chi apre la porta di una scuola, chiude una prigione. (Victor Hugo)
• Dalla culla e non dalla scuola deriva l’eccellenza di qualunque ingegno. (Pietro Aretino)
• Io sono stato sempre favorevole alla scuola pubblica. La scuola privata è un anacronistico privilegio. (Giuseppe Berto)
• L’istruzione alimenta il dubbio e la curiosità: dev’essere di tutti, come vuole la Costituzione, in modo che dalla scuola escano cittadini, non sudditi. Una scuola autoritaria prepara a una società autoritaria. (Daniele Luttazzi)
• L’unico periodo in cui la mia educazione si è interrotta è stato quando andavo a scuola. (George Bernard Shaw)
• La discussione ha messo in luce un problema nuovo, che la scuola privata diventi una seconda scuola di stato. (Palmiro Togliatti)
• La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l’individuo in condizione di fare a meno di essa. (Ernesto Codignola)
• La scuola è quell’esilio in cui l’adulto tiene il bambino fin quando è capace di vivere nel mondo degli adulti senza dar fastidio. (Maria Montessori)
• La scuola è una fabbrica di echi gestita dallo stato. (Norman Douglas)
• Oggi stiamo cercando di costruire una scuola in cui le donne, i membri di minoranze etniche e religiose e le persone che appartengono a culture non occidentali possano essere visti e ascoltati, con rispetto e amore, sia in veste di portatori di una conoscenza specifica, sia come oggetto di studio. Una scuola in cui si consideri che il mondo è formato da molti tipi diversi di cittadini e nella quale si possa tutti imparare a comportarsi come cittadini del mondo. (Martha Nussbaum)
• Quando la scuola non funziona è semplicemente inutile e dannosa. (Mario Neva)
• Se la scuola fosse più efficace, la televisione non sarebbe tanto potente. (John Condry)
• Tutto ciò che non so l’ho imparato a scuola. (Leo Longanesi)
• Trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere. (Piero Calamandrei)

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PER CHI SUONA LA CAMPANELLA
di Maria Lucia Riccioli

http://letteratitudine.blog.kataweb.it/files/2008/08/maria_lucia-riccioli.JPGQuesta nuova rubrica di “Letteratitudine” sarà dedicata agli “operatori” della scuola. Anzi no. Questa parola non ci piace proprio. Perché a scuola non si “opera”. A scuola si vive. Come i personaggi di un romanzo, che lottano, soffrono, amano tra le sue pagine come tra i corridoi, i cortili, le aule dei nostri istituti. Questo spazio sarà rivolto ai personaggi del romanzo “Scuola”. Insegnanti, personale ATA, dirigenti, genitori. Soprattutto ai protagonisti, al motivo d’essere della scuola, i soggetti dell’educazione, il centro di gravità troppo spesso invece messo da parte in nome di altri interessi. Gli studenti.
Chiacchiereremo di libri che parlano di scuola, curioseremo negli zaini dei nostri alunni per vedere cosa leggono. Ci domanderemo cosa non va nel sistema scuola e quello che ci rende orgogliosi di entrare in aula ogni giorno.
Perché la scuola è parte della nostra memoria, è entrata nelle poesie, nei romanzi, nei film. Perché è la palestra e la metafora dell’esistenza. Stare assieme per imparare, per crescere insieme. Adulti e ragazzi, libri e pallone, noia e curiosità, ricreazione ed esami, l’aiuto del compagno di banco, il suggerimento, alzare la mano perché non hai capito, perché vuoi fare colpo sulla bionda seduta davanti. Perché la scuola non debba mai essere un problema. Perché la scuola di domani ci chiede di impegnarci oggi. Perché sia un’opportunità, una risorsa, un laboratorio. Perché l’avventura più esaltante, quella che ci coinvolge tutti, che richiede energie e tutta la nostra intelligenza e sensibilità, è quella educativa.

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DESTINAZIONE SCUOLA
di Maria Rita Pennisi

Vi ricordate del vostro primo giorno di scuola? Eravate piccoli, tremanti, appiccicati alla mamma e con il viso contro la sua gonna, mentre la maestra cercava di incoraggiarvi porgendovi la mano oppure eravate scalpitanti, perché avreste esplorato un mondo nuovo quello delle lettere e dei numeri e finalmente avreste potuto leggere quel giornaletto di topolino, che vostra sorella divorava pagina dopo pagina, di cui fino ad allora avevate ammirato solo le figure cercando di immaginare i dialoghi? O piangevate alla grande? Io ero una fontana, allagata dalle lacrime. Ricordo che mi sedettero accanto a una bambina brunetta dai capelli lisci sostenuti da una fascia blu, che mi sorrise e mi invitò a non piangere, perché non c’era niente da piangere. Si chiamava Anna ed aveva un visetto simpatico. Oltre Anna ci fu una cosa che mi diede un tuffo al cuore e che mi fece capire che sarebbe stato un anno felice. Io amavo giocare con il Pongo, a casa passavo interi pomeriggi a modellare oggetti più o meno riusciti. Il primo giorno di scuola mi accorsi che sul piano della cattedra c’era l’amato Pongo. La mia maestra ce ne distribuì un po’ ciascuno e ci invitò a modellare della frutta di stagione per riempire un cestino di vimini, che era posto sul primo banco. Ci divertimmo a modellare e alla fine il cestino era pieno di uva, pere e castagne alquanto ammaccate.
Questo è il ricordo del mio primo giorno di scuola. E qual è il vostro? Lo ricordate ancora?
Qual è l’episodio che non avete mai dimenticato? Cosa pensate che vi abbia dato la scuola? A me ha dato tanto, ma soprattutto mi ha trasmesso l’amore per la lettura. Il mio vero approccio con la lettura avvenne in quinta elementare, quando leggemmo in classe Cuore di Edmondo De Amicis. Ricordo che mi identificai subito con Enrico, la mia compagna Franca fu il generoso Garrone, Francesca il genio De Rossi e Gabriella il pessimo Franti. Tutte le altre un popolo di trecce e di nastrini che coloravano l’ambiente. Tutti quei racconti mensili inseriti in Cuore, come Il piccolo scrivano fiorentino, Il tamburino sardo, Sangue romagnolo, Dagli Appennini alle Ande tutti validi esempi di virtù, ci portavano a riflettere e a discuterne insieme alla maestra e pian piano diventavano una mano invisibile che ci guidava. Secondo voi si trasmettono ancora a scuola questi valori? Pensate che la lettura di Cuore sia proponibile? Adesso si vive di TV e di cinema, che non di rado ci propongono violenza e orrore. La scuola può essere un’isola felice in cui si trasmettono valori, può sopperire a una società, che spesso presenta situazioni e realtà inammissibili in un contesto civile? Possiamo ancora formare i giovani o la scuola è diventata solo un luogo in cui si trasmettono saperi che poi, date le circostanze sociali, non si convertono in valori morali? Io ho lanciato il dado. Ora tocca a voi rilanciare.

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IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI ELIO VITTORINI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/08/04/il-centenario-della-nascita-di-elio-vittorini/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/08/04/il-centenario-della-nascita-di-elio-vittorini/#comments Mon, 04 Aug 2008 13:32:37 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/08/04/il-centenario-della-nascita-di-elio-vittorini/ elio-vittorini-ritratto.JPGCent’anni fa – per esattezza il 23 luglio 1908 – nasceva Elio Vittorini.
Dedichiamo uno spazio (e un dibattito) a questo grande intellettuale e scrittore siracusano.
Di seguito avrete la possibilità di leggere quattro interventi.
Il primo è firmato da Ernesto Ferrero ed è stato pubblicato su Tuttolibri del 26 luglio.
Gli altri sono stati realizzati, dietro mia richiesta, dagli amici scrittori siracusani che frequentano questo blog: Maria Lucia Riccioli, Salvo Zappulla, Simona Lo Iacono (Maria Lucia, Salvo e Simona mi daranno una mano per moderare e animare il post).

Vi pongo alcune domande, estrapolate dagli articoli che leggerete di seguito.
Le prime sono di Ferrero (pensate con riferimento a Vittorini):
Chi è, cosa deve fare uno scrittore? In che modo deve mettersi in relazione con la società? Cosa può fare per la collettività?
E poi (pescando dal pezzo della Riccioli)…
Cosa rimane di Elio Vittorini?
Quali sono stati i frutti della sua opera? Riusciamo a scorgerli ancora oggi? Vittorini è ancora un autore fecondo e vitale, a parte il suo ruolo di “editor” e organizzatore di cultura?
Il suo stile? L’ermetismo, il simbolismo allegorico? Sono ancora proponibili?

Insomma… Vittorini.
Un’occasione per ricordarlo. E per parlarne.
Massimo Maugeri

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Il centenario della nascita di Elio Vittorini
di Ernesto Ferrero (da Tuttolibri del 26 luglio 2008)

Non c’era davvero miglior modo di ricordare il centenario della nascita di Elio Vittorini (23 luglio 1908) che evitare la melassa buonista di simili occasioni e stare ai testi: come questo secondo e ultimo tomo che raccoglie i suoi articoli e interventi 1938-1965 (il primo copriva gli anni 1926-37, in cui ebbe tanta parte il soggiorno a Firenze e la furiosa attività traduttoria).
Sono oltre mille pagine, curate come meglio non si potrebbe da Raffaella Rodondi, degna allieva di Dante Isella. Dico subito che le sue note sono così approfondite ed esaustive che chi vuole occuparsi della cultura italiana del periodo dovrà passare di lì. Vi troverà una miniera di notizie e documenti.
Lo si frequenta poco, Vittorini, a parte Conversazione in Sicilia, che tiene ancora benissimo.
Da tempo è sparita dal nostro orizzonte la sua fervida progettualità utopistica a 360 gradi. Non parliamo poi della sua pretesa di concorrere attraverso la letteratura a una rigenerazione collettiva, addirittura alla nascita di un uomo nuovo. La tensione appassionata e sciamanica con
cui il Gran Siracusano insegue il moderno, inventandoselo anche quando non se ne vedono tracce, ripercorsa adesso risulta commovente.
Uscito da un arcaico mondo contadino, lo conosce troppo bene per abbandonarsi a idilli e nostalgie, che anzi non si stanca di deprecare. Gli interessa l’incontro-scontro con le metropoli, con l’industria, il nuovo mondo che dovrebbe nascere da una sorta di palingenesi collettiva. Ha la bulimia del futuro prossimo. Se le domande sono sempre le stesse (chi è, cosa deve fare uno
scrittore? In che modo deve mettersi in relazione con la società, cosa può fare per la collettività?), ricorrenti sono anche le risposte, pur nel variare di quell’«irta vegetazione di metafore» di cui parla Italo Calvino (ma forse più avvolgente che irta): scoprire qualcosa che ancora non si conosce, aggiungere qualcosa di nuovo all’umana coscienza, fuori dai lacci delle ideologie e dei concetti astratti. Certo non «suonare il piffero per la rivoluzione», come scrisse a Togliatti nel corso della famosa polemica su «Politecnico». Vittorini sognava una letteratura che sapesse interagire al livello più alto con tutte le attività umane, che ne fosse il lievito, lo stimolo permanente.
Era (dice ancora Calvino) totalmente immune dalla negatività esistenziale, dalle voluttà del nichilismo, dalle scissioni dell’Io che connotano il Novecento degli sconfitti contenti di esserlo. Anteponeva l’urgenza di un rinnovamento vero alla sua stessa creatività personale, esempio unico di disinteresse.
Nel volume c’è di tutto: saggi, articoli di varia occasione, recensioni, i risvolti per i «Gettoni» einaudiani (sempre imprevedibili, spesso a contropelo), schede di lettura, interviste autobiografiche (tenerissime), risposte a inchieste e dibattiti, elzeviri, corsivi, scritti sull’arte (Dosso Dossi ma anche Cassinari e Guttuso), dibatti sul fumetto (con Eco), abbozzi di storie letterarie, lucidi ripensamenti dei propri libri, ma si possono comunque identificare alcuni nuclei forti. Il gran lavoro sugli americani, anche in vista dell’antologia poi pubblicata da Bompiani (Saroyan, James Cain, Caldwell, Faulkner, Steinbeck, Wright, John Fante); gli interventi febbrili su Politecnico (1945-47), poi sul Menabò (1959-65), principalmente centrati sul solito dolente nodo dei rapporti tra cultura e politica e sull’impegno.
Non c’è campo in cui l’autodidatta non scateni le sue curiosità, creando collegamenti fulminei,
sorprendendo il lettore laddove meno se lo aspetta.
Parla schietto, trasferendo nello scritto la vivacità orale. Gran comunicatore, incantatore nato,
immune da rigidezze accademiche e specialistiche, mercuriale sempre. Così pronto ad ammettere i propri errori che anche un nemico non può che rassegnarsi ad amarlo. Dichiara
odi e amori con il candore degli innocenti. Dice (negli Anni 30) di detestare Voltaire e Balzac,
Kipling, Rilke e Kafka, D’Annunzio e Dostoevskij e idolatra Hemingway al di là del ragionevole,
ma è capace di mandare a Montale, dalle colonne di un periodico giovanile, un saluto di ringraziamento per le Occasioni appena uscite («il fatto più importante, oltreché il più felice, dei nostri ultimi mesi di storia umana»).
Perché nel cuore di Vittorini, felice perché sempre in movimento, lanciato verso il prossimo
ostacolo, non c’è la letteratura, c’è l’uomo. La letteratura è uno strumento da usare bene, come tanti altri. Per questo si sdegna perché nel primo governo repubblicano non è stata chiamata una sola donna, nemmeno come sottosegretario.
Ripete che il più umile dei problemi di una città ha un significato per la cultura in assoluto. Richiesto di autodefinirsi, si iscrive nella categoria dei «poeti civili», lui che non ha scritto un verso. E nel 1964 arriva a dire che la letteratura è ormai destituita d’importanza, si è fatta semplice mediatrice di cose scoperte da altri.
Che la nostra fantasia è vecchia, governata da una concezione del mondo che risale a Tolomeo. Negli ultimi anni, per coerenza, si butta a leggere di scienza, matematica, biologia,
astrofisica. Dice che bisogna continuare a scrivere senza la presunzione di credere che sia importante.
Come sarebbe bello che il calore delle indomite passioni di questo «indiano delle riserve» (come si definiva autoironicamente, ma senza indietreggiare di un pollice) arrivasse fino a noi, al nostro deserto di cenere governato dal marketing.

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Cosa rimane di Vittorini?
di Maria Lucia Riccioli

maria_lucia-riccioli.JPG23 luglio 1908 – 23 luglio 2008.
Vittorini cent’anni dopo la sua nascita.
Cosa rimane di uno scrittore? Ce lo chiediamo spesso, in particolare quando si verificano ricorrenze come quelle dei cinquantenari o in questo caso dei centenari.
La figura e l’opera di Vittorini sono state fondamentali per la cultura italiana tra le due guerre e oltre. Ma quali ne sono stati i frutti? Riusciamo a scorgerli ancora oggi? Vittorini è ancora un autore fecondo e vitale, a parte il suo ruolo di “editor” e organizzatore di cultura?
Siracusa dedica da anni un premio letterario ad Elio Vittorini e quest’anno è stata curata la pubblicazione di un volumetto che raccoglie estratti dalle sue opere più note, dei disegni realizzati da Guttuso per un’edizione di “Conversazione in Sicilia” che però vide la luce solo nel 1986. Speriamo che si realizzi il sogno di Siracusa di fare di più – magari una casa museo, una biblioteca – per onorarlo degnamente.
La Sicilia è stata sempre mater poco materna con i suoi figli più illustri e con Vittorini non ha fatto eccezione. Il figlio del ferroviere, cognato di Salvatore Quasimodo, che vide la luce nell’isola di Ortigia, alla Mastrarua, poi Via Vittorio Veneto, dopo i primi studi, il formarsi di una precoce coscienza politica e le febbrili entusiastiche letture, ha fatto la sua fortuna “in continente”.
Cosa resta, dicevamo, di Vittorini? Le istanze della denuncia civile? L’ideale riscatto degli umiliati e offesi? Vittorini patì anche l’ottusità ideologica degli stessi compagni di partito (Togliatti e il suo becero “Vittorini se n’è gliuto e soli ci ha lasciato”), oltre alla sostanziale incomprensione e indifferenza dei conterranei.
La sprovincializzazione della nostra letteratura? Grazie all’antologia “Americana”, grazie ad uno stile che risente della lezione degli autori statunitensi. L’esperienza neoilluministica de “Il Politecnico” fu fondamentale, come la sua opera di “talent scout”.
Il suo stile? L’ermetismo, il simbolismo allegorico? Sono ancora proponibili?
Certo rimane memorabile il lirismo dell’incipit di “Conversazione in Sicilia”:

Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi sono messo a raccontare. Ma bisogna dica che ch’erano astratti, non eroici, non vivi; furori, i qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero a capo chino.vedevo manifesti di giornali squillanti e chinavo il capo; vedevo amici, per un’ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo.
Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l’acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete.

Rimangono la passione per i libri e la letteratura, scoperta e passione giovanile:

È una fortuna aver letto quando si era ragazzi. È doppia fortuna aver letto libri di vecchi tempi e vecchi paesi, libri di storia, libri di viaggi e le Mille e una notte in special modo. Uno può ricordare anche quello che ha letto come se lo avesse in qualche modo vissuto, e uno ha la storia degli uomini e tutto il mondo in sé, con la propria infanzia.

Vorrei che iniziassimo un dibattito innescato dalle mie domande e da quelle che ci verranno in mente. Sono onorata di scrivere su Vittorini per orgoglio di comune siracusanità e spero che i miei concittadini prima o poi si sveglino dall’apatica quiete della non speranza.

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Vittorini editore e il suo rapporto con il cinema
di Salvo Zappulla

salvo_zappulla.JPGVittorini è stato uno degli intellettuali più poliedrici del ventesimo secolo, autodidatta, letterato per vocazione, aveva una visione pessimistica della vita, una costante tristezza che esprimeva attraverso la scrittura. E’ stato sempre dalla parte degli ultimi, i lavoratori, gli oppressi. Loro sapevano che di lui potevano fidarsi, e lo amavano. Si definiva un solariano e questo termine ne racchiude altri che intendono antifascista, europeista, antitradizionalista. In poche parole: illuminista. Se consideriamo che egli dichiarava con forza le proprie idee, in un momento storico in cui un sistema autarchico consigliava una certa “prudenza”, ci possiamo rendere conto della grandezza di quest’uomo. E’ nota la sua collaborazione con la Einaudi per la quale curò la collana I gettoni che servì a lanciare autori come Calvino, Fenoglio, Romano, Rigoni Stern, Ottieri, Testori, Bonaviri ed altri. Altrettanto famoso – una macchia sulla sua coscienza di intellettuale – fu il suo rifiuto al romanzo di Tomasi di Lampedusa. Va precisato però che il romanzo subì prima un rifiuto da parte della Mondadori alla quale Tomasi di Lampedusa aveva inviato quattro capitoli tramite il cugino Lucio Piccolo. Il testo letto dai redattori (Ricci, Antonielli e Romanò) pur non ricevendo un giudizio del tutto negativo, non fu ritenuto idoneo alla pubblicazione. Vittorini in quel caso si limitò a dare il suo parere conclusivo senza leggere il dattiloscritto personalmente. Successivamente egli ricevette ancora parte del dattiloscritto affinché il romanzo venisse pubblicato su I gettoni, ma lo ritenne lontano per la sua idea della collana in quanto Il Gattopardo, emblema dell’inettitudine sociale e politica della nobiltà siciliana, era un tema ritenuto da lui piuttosto stantìo. Come sappiamo il romanzo verrà pubblicato da Feltrinelli nel 1958 a cura di Giorgio Bassani. Forse il suo rapporto con il cinema è il meno conosciuto rispetto alle molteplici attività di intellettuale. Alla fine degli anni Trenta non esisteva in Italia una vera e propria critica cinematografica e Solaria fu una delle prime riviste a dare ampio spazio a questo settore. Gli anni fiorentini (1930-1938) sono quelli in cui Elio Vittorini si avvicina alla critica cinematografica, anche se costituisce sempre un’attività marginale rispetto alla sua corposa produzione letteraria. Sono anni di difficoltà economica per la famiglia Vittorini, ed egli si presta persino a interpretare una parte nel film Romeo e Giulietta di Castellani. L’attività dello scrittore è frenetica ma l’impegno dedicato al cinema è autentico ed estremamente competente. Egli afferma: “L’essenza artistica del cinematografo è nel movimento”. E ad esso occorre, se necessario, sacrificare le bellezze accessorie. Quando si riferisce al movimento, di successioni, di immagini, di ritmo, si riferisce al montaggio così come è inteso dai grandi maestri dell’avanguardia russa. Aveva una grande passione per Charlie Chaplin, la cui arte – a suo parere – apparteneva alla storia. Era tale la stima per il grande comico, che nel numero 10 del Politecnico gli dedica un articolo, anche se non firmato, ma la cui impronta stilistica è inconfondibilmente sua. Vittorini attribuiva al cinema un ruolo fondamentale per l’educazione del popolo italiano e già, sempre nel Politecnico, secondo numero, pubblica un breve articolo dal titolo ”Il cinematografo dell’avvenire”, a cui fa seguito nel numero successivo un altro scritto a firma di Carlo Luzzari. Il cinema come specchio dei tempi e dei problemi sociali. Tutta l’attività di Vittorini si sviluppa all’insegna dell’impegno civile e ideologico, un neorealismo che non va inteso nel suo senso più ristretto ma che lascia spazio alla poesia, al lirismo, permeato da grande valenza etica. Sicuramente ha lasciato un segno tangibile sulla storia degli uomini.

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Vittorini e l’Isola
di Simona Lo Iacono

simona_lo_iacono.JPGSi dice che l’uomo sia una scaglia di terra. Che sia nato da fango misto a saliva. Si dice che è questo a suggerirgli i passi. Che è la forma di quella terra a dar corpo al suo corpo. Parola alla sua parola. Sguardo al suo sguardo.
Si dice.
Ma non si dice soltanto.
Si sente.
Si sente se è grumo di montagna, goccia di lago, o sale di mare.
Si sente se è uomo di isola o di continente.
Ecco. Elio Vittorini fu uomo di isola. E lo fu due volte.
Perché non fu solo siciliano. Ma Siracusano. E di quella parte di Siracusa che è isola dell’isola: Ortigia.
Il nome pare venga da “quaglia”, perché Ortigia è un isolotto arpionato alla città e che dall’alto richiama la fisionomia di questo uccello.
Ma io che ci abito, io che ne respiro l’accroccato divincolarsi tra strade dai nomi ebrei, arabi, greci, io che saluto lo scudo della dea Atena che svetta dal Duomo sol che apra le mie finestre – io so che Ortigia non è nome di quaglia.
E che – anzi – non è neanche nome.
Piuttosto modalità dell’essere. Del vivere.
Del morire.
Tanto che non se ne può prescindere per comprendere l’opera di Vittorini. Né si può ignorare il suo essere contemporaneamente dentro la Sicilia e fuori di essa, quasi su un battello pencolante, che con uno sboffo di corrente potrebbe mollare gli ormeggi.
Doppia isola, dunque. E doppia solitudine. Doppio errare.
Doppio esilio.
Perché l’isolano è esule. E’ straniero.
Ma l’isolano che dall’isola passa ad un’altra isola è quasi un pellegrino di mare. Un eterno viandante. Un Ulisse meno precario che deve fare i conti con una stabilità sempre da rincorrere.
A tal punto scava in noi, la forma della terra.
A tal punto un duplice rimando ci costringe ad allungare lo sguardo – avanti e ancora avanti – a tal punto ci impone di sognare due volte.
E poi, allontanarsi due volte. Tornare due volte. Intascarsi non una, ma due manciate di nostalgia.
Credo che in questa somma di ostacoli sia da cercare anche il senso del viaggio. Della navigata che in “Conversazione in Sicilia” non solca solo lo stretto di Messina, non Scilla e Cariddi, non una fetta di mare.
Ma un portale. Un ingresso in una dimensione e poi in un’altra. Un varco tagliato da uno Stige.
Quando questo confine viene oltrepassato la memoria di ciò che ci precede vacilla. Perché rientrando in Sicilia e poi ancora in Ortigia, il passo si abitua all’ondeggio del mare.
Lo vedi che ti assale ovunque, se vai avanti, se guardi indietro, se torni a casa.
Ovunque, ovunque. L’acqua a frastagliarti addosso come un dolore. Di non poter che essere questo. Questo oscillare e questo complicato rientro che non si accontenta di compiersi come per gli altri.
Che per te si raddoppierà sempre.
A tal punto scava in noi, la forma della terra.

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PRESTO TI SVEGLIERAI. Incontro con Francesco Costa http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/06/29/presto-ti-sveglierai-incontro-con-francesco-costa/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/06/29/presto-ti-sveglierai-incontro-con-francesco-costa/#comments Sat, 28 Jun 2008 22:54:44 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/06/29/presto-ti-sveglierai-incontro-con-francesco-costa/ In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?
Conosci qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?

Due domande che emergono dall’ottimo – e divertentissimo - romanzo di Francesco Costa (nella foto) “Presto ti sveglierai”, edito da da Salani.
Due domande sulle quali si potrebbe discutere a lungo.
Vi invito a interagire con l’autore, che parteciperà al dibattito.

Di seguito potrete leggere le recensioni di Maria Lucia Riccioli – che mi darà una mano a moderare il dibattito – e Antonella Cilento (il suo pezzo è già apparso sulle pagine culturali de “Il Mattino”).

Subito dopo… una bella intervista rilasciata all’inesauribile Simona Lo Iacono (che si presenta all’intervistato nei panni di… Pulcinella)

E poi, sinceramente (e magari con un pizzico di sana ironia)… provate a rispondere!
In quali circostanze potreste uccidere qualcuno?
Conoscete qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?

Mica facile!

Massimo Maugeri

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Francesco Costa, Presto ti sveglierai, Salani Editore, Milano 2008, pag. 222

recensione di Maria Lucia Riccioli

Presto ti sveglierai è uscito pochi giorni fa per Salani dalla penna oraziana di Francesco Costa.
Oraziana, sì, perché al di là, infatti, della scrittura serrata, del ritmo indiavolato, sostenutissimo della pagina – e qui si avverte il tocco del Francesco Costa sceneggiatore per la televisione e il cinema – serpeggia una malinconia disillusa, che è l’altra faccia della medaglia di quella solarità che connota – ma è proprio così? – i napoletani.
Di oraziano c’è anche il gusto per la battuta arguta, mai veramente cattiva, il dono dei ritratti indovinatissimi, tracciati in punta di penna, un senso morale fatto di sano buonsenso e di bonomia nient’affatto superciliosa.

«In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?» (p. 7).

La domanda dell’incipit non potrebbe più perentoria.
Suo malgrado, Laura questa domanda dovrà porsela, lei che sembra essere, proprio come il suo minuscolo amatissimo giardino con un pino centenario, un’oasi integerrima e diciamocelo pure un po’ fessa in un mondo di strafichi furbastri arrampicatori fotticompagnisti.
A partire proprio da casa sua: la figlia Gemma cambia look – bonza, dark, intellettuale… – a ritmo vertiginoso ed è convinta di poter sfondare come scrittrice con un romanzo intitolato nientepopodimeno che Rebecca la porca; il marito Stefano la ignora, la tradisce forse con la bellissima Clara e non perde occasione per rimproverarle l’attaccamento alla morale kantiana ritenuta muffosa e fuori moda.
Per non parlare di colleghi e alunni, di Regina Saporito, vicina di casa tutta invidia e falsa cortesia…
C’è persino un surreale Gesù a vegliare, a suo modo, sulle vicende di Laura.

«Conosci qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?» (p. 7).

Morale, certezze, valori vacillano di fronte all’ipotesi ventilata dal tubo catodico.

«… Allora raccontalo a Miriam!» (p. 8).

Miriam è la quintessenza dello sfasciume televisivo che ha inquinato le intelligenze e le coscienze di tutta Italia e conduce l’ennesimo reality, volto ad indagare sulle fantasie omicide che infettano anche gli animi più insospettabili, come quello di Laura.
Mite e persino goffa nella sua ingenua semplicità, la nostra sprovveduta protagonista si troverà coinvolta in un complotto che include camorristi, professori in piena crisi d’autorità, vaiasse e persino un poliziotto dall’augurale nome di Speranza.

«Per salvare la vita alla persona che ami, per eliminare un ostacolo tra te e una ricca eredità, per conquistare l’uomo o la donna dei tuoi sogni, per impadronirti di un’automobile…» (p.11).

Il marito di Laura è stato rapito ed è tenuto in ostaggio. Solo la moglie può salvarlo impegnandosi a compiere ciò che il pavido, imbolsito, distratto Stefano non è stato capace di portare a termine: l’omicidio dell’avvocato Morris, un cattivo, un vilain della peggior specie, che l’umanità tutta vorrebbe veder sparire dalla faccia della terra. Chi esiterebbe?
Laura, combattuta tra il residuo amore verso un marito che pur non apprezzandola sempre il padre di sua figlia è, il cielo stellato sopra di lei e la legge morale dentro di sé, verrà catapultata in una sarabanda esilarante di colpi di scena fino allo scoppiettante finale, che lascia anche uno spiraglio di speranza per le sorti di Napoli.
Una Napoli devastata dall’inciviltà, dal cinismo, dall’ignoranza cafona, dalla speculazione edilizia, subissata dall’onnipresente monnezza.
Francesco Costa, con profetico tempismo – o forse è Napoli ad essere tragicamente sempre uguale a se stessa? – fa muovere Laura Belmonte in un presente quanto mai attuale.
E noi ci ritroviamo a tifare per lei e per la sua città, sperando che entrambe finalmente, il più presto possibile, come Francesco Costa si augura nel titolo del libro, si sveglino e trovino la via più “giusta” per il loro riscatto.

«È notte fonda, certo, ma prima o poi si sveglierà anche lei» (p. 222).

Maria Lucia Riccioli

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recensione di Antonella Cilento

«In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?»: questa è la frase che lampeggia lungo le pagine di Presto ti sveglierai (Salani, pagg. 222, euro 13), brillante settimo romanzo di Francesco Costa. A pronunziare la temibile frase è un’attempata conduttrice televisiva restaurata di fresco, che si affaccia da ogni media ad inquietare una Napoli messa a ferro e a fuoco dalle emergenze: camorra, spazzatura, campi Rom (una notevole preveggenza dell’autore, considerando che questo libro è stato scritto ben prima dei recenti fatti di cronaca: ma questo, ovvero anticipare i fatti del mondo, alla buona letteratura capita). E certo il diktat televisivo in una città già così facile agli ammazzamenti, turba, o quanto meno infastidisce, la vita della quarantenne Laura Belmonte, insegnante sposata a un professore, che per conservare la sanità mentale in un mondo allo sfascio ha scelto un imperativo kantiano da ripetersi come un mantra: «Il cielo stellato sopra di me. La legge morale dentro di me». Laura vive in una piccola isola, una casetta a Fuorigrotta dove fa crescere a fatica un minuscolo giardino che la separa da una vicina invadente con un figlio che crede d’essere Gesù – le cui apparizioni esilaranti, ma anche visionarie, sono una delle punte di diamante della narrazione – fra il cimitero, che manda miasmi di morte, e un campo Rom, che di miasmi ne manda di vitali. I problemi di Laura sarebbero molto comuni: un marito che si è stancato di lei e non l’ama più con la stessa passione, una figlia adolescente assai stramba, che passa da una moda all’altra e da un’identità all’altra senza troppi imbarazzi (ora bonzo meditativo, ora autrice di Rebecca la porca, non celata satira dei romanzetti trash di giovanissimi autori analfabeti), una collega di scuola bellissima e con casa a Posillipo, amante di suo marito. Tuttavia le cose si complicano: una sera, di ritorno da una disgustosissima e trendy cena, Laura e Stefano, suo marito, vengono assaliti. Il giorno seguente Stefano scompare. Laura lo cerca invano fino a che non le viene detto che la camorra lo tiene in ostaggio e che lei lo potrà riavere solo a patto di uccidere un certo avvocato americano. Dunque, la realtà non è come appare. Cos’è finto e cos’è vero? Di più non diremo della trama, che si avvolge come una spira attorno al lettore, complice la scrittura elegantissima di Costa, fatta di composta ironia e di situazioni esilaranti, sullo sfondo di luoghi napoletani non usurati dal copione letterario ma consueti all’autore, che di Fuorigrotta e dei Campi Flegrei ha già molto narrato nei precedenti romanzi. Presto ti sveglierai è un noir pieno di comicità e di ritratti impietosi della borghesia televisiva dei nostri giorni, un libro che scorre rapido e restituisce un’aria estiva: promette e mantiene le qualità narrative già note, con in più il dono della commedia di qualità.

Antonella Cilento

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INTERVISTA A FRANCESCO COSTA

di Simona Lo Iacono

simona_lo_iacono.JPGEcco… Ho sempre pensato che ci siano scrittori che affondano tra le maglie di una città. Che le rotolano accanto col respiro. Con i propri sogni.
Scrittori di sogni e di città, diciamo allora. Che sfiatano gli stessi sboffi del vulcano che li domina. E che ne condividono il destino fatto di precarietà e sorrisi. Quella leggerezza che solo chi vive a contatto con una terra prossima a tremare e a spaccarsi sotto il passo, è in grado di raccontare.
E allora facciamo per un attimo finta di essere a Napoli.
Andiamo incontro a Francesco Costa, edito in questi giorni da Salani con “Presto ti sveglierai”.
Pur avendo un passato da fine sceneggiatore e da romanziere di successo ( abituato – tra l’altro – alle trasposizioni per il cinema delle sue storie), Francesco è, soprattutto, un uomo aperto alla meraviglia. Al raspo repentino di un entusiasmo. All’infallibile fiuto dei veri sognatori: lo stupore – sempre rinnovato – per la vita.
Uno stupore a cui di tanto in tanto non sfugge uno strappo di malinconia. Un sobbalzo di inquietudine. Ma non per intima adesione.
Più che altro, per lo scontro con un mondo strano, che ha perduto il senso della curiosità per il proprio mistero. Per l’assurda felicità di vivere.
A volte, sebbene i mascheramenti non siano il suo forte, me lo sono immaginato come un Pulcinella. Ma diverso dagli altri. Dai mille altri Pulcinella che ci si assiepano intorno.
Il “suo” Pulcinella lo immagino a capo di una banda di bambini moccolosi, arrangiato, con scarpe di due misure più grandi, il vestito sgualcito… e un libro in mano.
Si ferma. Lo guarda. Mi toglie le parole di bocca…
Sarà lui a condurre questa intervista…

“Francesco – gli domanda, infatti, Pulcinella – ma tu cos’hai in comune con me”

F: Perdonami, ma non credo che abbiamo qualcosa in comune. Mi ha messo sempre tristezza l’idea che la tua arguzia sia per te un modo di dimenticare che hai fame. Di Napoli ricordo sempre una gran fame, tutti quelli che conoscevo (adulti e bambini) parlavano sempre di quanto avessero fame. Io covavo un’idea di fuga, che poi ho messo in atto. Pulcinella non medita di scappare: è legato da sempre alla sua Napoli. Io per poterne parlare ho dovuto mettermi a debita distanza da lei.

“E con Napoli cos’hai in comune?”

F: Napoli la rivedo ogni mese per visitare la mia famiglia. Che dire? La ami e la maledici, e questo è quanto. Ho l’impressione che non ricambi mai l’amore che le porti. Perfino i recensori napoletani se la prendono comoda nel recensire i tuoi libri quando dovrebbero quantomeno meravigliarsi ed esser grati a chi, da lontano, abbia ancora la voglia di scrivere di questa stranissima, meravigliosa e tremenda città. Inseguono il potere, pure loro, e non si rendono conto che, osservati a distanza, annaspano in una situazione emergenziale che ha dell’incredibile.

“E allora, quanta parte ha la napoletanità nei tuoi libri?”

F: Credo che se fossi nato a Nairobi, parlerei di Nairobi. Parlo di Napoli perché la conosco meglio ed è un fondale adatto alle storie che mi vengono in mente. Il fatto, anzi, che il fondale sia sempre lo stesso dovrebbe a mio avviso mettere in risalto l’inesauribilità dei registri stilistici con cui posso narrare la tragicommedia umana.

“E questa amarezza che affiora tra una risata e l’altra? Questa ricerca della salvezza in una leggerezza apparente, sempre velata da meraviglia? Forse non è della sola Napoli. Forse è oggi – non credi? – l’unica via d’uscita per sopravvivere al mondo senza rinunciare alla fantasia”.

F: L’amarezza non mi appartiene, perché ho un temperamento naturalmente gioioso. Se la si sente venir fuori dai miei libri è perché i miei personaggi devono confrontarsi con qualcosa che ha dell’incredibile. Una città pazzesca, priva di alberi, seppellita sotto la spazzatura. Dominata da gente senza scrupoli. Il contesto in cui vivono metterebbe ansia pure al serafico Oblomov.

“La fantasia. Questa nemica che ti fa credere possibile l’impossibile. Che ti precede, ti perseguita e ti condanna a barricarti tra parole a cui non puoi rinunciare. Che rapporto hai con lei?”

F: La fantasia è tutto. La vita non può essere semplicemente vissuta. Va anche raccontata, per capirci qualcosa, altrimenti l’uomo impazzirebbe.

“E il tuo ultimo libro? Perchè questo titolo?”

F: E’ il mio romanzo più dichiaratamente umoristico. Volevo far ridere. Riuscirci è per uno scrittore un dono divino. Sapere che un lettore ha riso sulle tue pagine è il massimo. Mi arrivano sms ed email di lettori (anche colleghi) che mi ringraziano per le risate che si stanno facendo. Ne sono fiero. Il titolo attiene al sonno e ai sogni. E’ musicale. Ho una ricca scorta di titoli, ai quali devo appioppare un romanzo dotato di intreccio e sensi riposti. Uno scrittore parte generalmente da una storia a cui poi dare un titolo, io parto da un bel titolo e poi vi aggiungo una storia: esattamente il percorso inverso. “Presto ti sveglierai” è un titolo che mi piace, che è piaciuto all’editore, che piace a molti lettori.

“Da quale esigenza interiore è nato?”

F: Dalla voglia di far conoscere ai miei lettori la mia abilità nel registro comico. Tutti i miei libri sono percorsi da una vena ironica, ma questa black comedy, questa commedia con delitto ha costituito per me uno sforzo ulteriore nella direzione dell’umorismo più diretto, più schietto. Presto mi misurerò invece con l’horror e con il noir: dimensioni narrative che non ho ancora affrontato. Lo sfondo sarà sempre Napoli.

“E se anche da questa tua ultima fatica fosse tratto un film, com’è accaduto per altre tue opere (ultimamente rappresentate dal meraviglioso viso di Maria Grazia Cucinotta), che volti sovrapporresti a quelli dei tuoi personaggi?”

F: Ho sempre pensato a Laura, la protagonista di “Presto ti sveglierai”, come a una donna bionda e smarrita, fragile eppur energica, con occhi azzurri stupefatti, e ogni volta mi è venuta in mente Margherita Buy: sarebbe una magnifica Laura!

“Un’ultima cosa, Francè… se ti prestassi il mio vestito, lo indosseresti?”…

F: Non mi piace travestirmi. Ho già il mio bel daffare a entrare e a uscire dalle menti dei miei personaggi. E’ sufficientemente faticoso (e spesso doloroso) inventarli e poi abbandonarli, visto che quando scrivo io divento esattamente loro, al punto che entrano nei miei sogni e mi procurano a volte perfino dei terribili incubi. Quando non scrivo, preferisco il silenzio, e dispormi all’ascolto di quella specie di mood che mi fa arrivare l’eco delle prossime storie…

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Francesco Costa è nato a Napoli. Già sceneggiatore cinematografico e televisivo, ha esordito con il romanzo La volpe a tre zampe, cui s’ispira l’omonimo film di Sandro Dionisio con Miranda Otto e Angela Luce.
Sono seguiti L’imbroglio nel lenzuolo (1997), da cui è tratto un film con Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin – attualmente in produzione, di cui Costa ha firmato anche la sceneggiatura – Non vedrò mai Calcutta, Se piango picchiami, e Il dovere dell’ospitalità.
I suoi libri sono tradotti in Germania, Giappone, Spagna e Grecia.

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