Incontriamo Rebecca Dautremer a Lucca Comics & Games 2025
Papere alla cieca: un Press Cafè con Rebecca Dautremer
L’autrice ospite d’onore di questa LCG e del poster“French Kiss” ci parla di tecnica, ricordi, ispirazioni, creatività
* * *
di Furio Detti
Lucca, Camera di Commercio – Sala Alta
29 ottobre 2025 – “Mille e cinquecento km, un atelier d’artiste leonardesco dalla Bretagna alla Limonaia di Palazzo Guinigi!” – esordisce così Cosimo Lorenzo Pancini, Art Director di LCG25, introducendo l’artista ospite Rebecca Dautremer al Press Cafe in Sala Alta della Camera di Commercio di Lucca. E invita i giornalisti presenti a visitare Rebecca che lavorerà nella prima residenza artistica ideata per LCG2025: “Rebecca aveva da terminare dei lavori e ha accettato di venire a Lucca Comics, accompagnando i manifesti realizzati da lei per noi, solo a patto di poter continuare a lavorare nel suo studio. E noi abbiamo accettato questa condizione.”
Rebecca Dautremer, illustratrice francese, artista acclamata di svariate opere per grandi e piccini (soprattutto piccini), illustra per libri, il teatro, ha realizzato l’affiche annuale di questa 59° edizione del Festival lucchese, portando il French Kiss, il bacio erotico e appassionato sulle nuvolette sopra la città dell’arborato cerchio. Ha lavorato con l’editore Gautier-Languereau, per lo stilista Kenzo, e è già stata ospite di LCG l’anno scorso e un’altra volta ancora.
Esordisce la Dautremer raccontando la sua esperienza di artista residente a Lucca:
“Inizialmente ero spaventata all’idea di lavorare in pubblico, per quanto nel mio studio, coi mobili realizzati per me, in una residenza sia pure prestigiosa. Gli artisti lavorano di solito da soli e anche io non faccio eccezione; poi però ho pensato che sono una persona che ama anche condividere qualcosa specie per coloro che sono più giovani di lei, quindi… mi sono rassicurata. Penso che sarà un’esperienza divertente. Ma partiamo subito con le domande.”
Ai giornalisti la Dautremer risponde senza esitazioni e con limpida chiarezza.
Come lavora?
“Io amo fare riferimento al teatro, per farmi capire. L’artista illustratore è come il regista di una piéce teatrale. La pagina bianca per me è come il palco vuoto. Mi chiedo: Che cosa voglio dire? Sembra ovvio ma questa è sempre la prima domanda da farsi. E poi Come farò a raccontarlo? Con che personaggio, con che abiti, luci, aspetto? Il problema dell’illustratore è che spesso ha di fronte una richiesta teorica della committenza che desidera intervenire sull’opera. Io devo trasformare questi desideri teorici in qualcosa di concreto. Questo è il lavoro dell’illustratore. In genere però la risposta non è complicata tanto quanto la richiesta. Faccio delle ipotesi, e poi procedo.”
Lo stesso per i poster di Lucca?
“Lo stesso. Ho pensato a come rappresentare un bacio. Quindi mi sono venuti in mente sei personaggi in cerca di esso. Come il cast di un’opera teatrale: ho scelto i miei volti, i corpi, i soggetti. Chi voglio? Una ragazza, una persona anziana, un uomo robusto? Come possono essere visivamente efficaci? Un bacio, quindi. La domanda è ottima. Potremmo parlarne per ore, ma la parola chiave di questo mio metodo è ‘il teatro’.”
C’è una storia precisa dietro questa scelta del poster?
“No. Onestamente no. Ho solo deciso come avrei immaginato la faccenda. Ma una struttura, diciamo, esiste. Io ho immaginato tutti questi personaggi come duplici. La bella ragazza, la contessa, ha i denti da vampiro. Il Lupo Mannaro è tenero e accogliente… Credo sia interessante vedere che cosa combinano questi personaggi con un bacio? Anzi, direi che il bacio è esattamente la storia di queste mie coppie.”
Interviene Cosimo Lorenzo Pancini: “Ci siamo poi divertiti a giocare come Pirandello con questi sei personaggi e abbiamo proposto alla community di immaginare le loro storie, in termini di fan fiction. Per Rebecca è stato molto bello perché lei ci ha dato il pretesto per le storie, non ne ha ricevute da lei.”
A Rebecca sarebbe piaciuto avere più tempo per indagare la cosa e continuare a lavorare. Da un poster si è arrivati a sei poster, poi a sei personaggi e così via.
Progetti futuri?
“Ora sto lavorando a un progetto di fumetto, da me scritto, di circa 430 pagine. Se ne vedono alcune nella mia mostra. Ci sono diversi stili di disegno a cui ho fatto ricorso perché sto esplorando diverse linee narrative, al momento penso a tre storie che si incrociano. Ho voluto sfruttare idee grafiche del XX secolo e sto trattando queste tavole come un esercizio di stile. Cosa che ho provato a fare con alcuni miei lavori precedenti, quindi intendo continuare questo tipo di lavoro come autrice completa. É proprio a causa di questo lavoro che devo rimettermi in atelier senza indugio. So che è un porgetto ambizioso, può sembrare faticoso, ma per me è una strada piacevole.”
Che differenze tra fumetto e illustrazione, quindi?
“In generale non amo annoiarmi, quindi mi piace dedicarmi a lavori di natura divergente. La sfida mi tiene attiva, e poi mi posso rivolgere a editori diversi. É davvero divertente crearsi dei problemi, come acchiappare lettori diversi da quelli che conosco e mi conoscono. Cerco di sedurre, acchiappare anche chi ha un’idea fissa sul mio lavoro o lo colloca in una categoria preconcetta. A volte funziona. É come un gioco; e se sono a Lucca oggi è anche per guadagnare terreno in questa direzione. Ci sono motivazioni nobili, artistiche, pesonali e più prosaiche insieme, come il guadagno.”
Cosa ha guadagnato col fumetto a livello di tecnica?
“Mi rendo conto che sono due sistemi completamente diversi. Il fumetto è sequenziale. L’illustrazione è teatro, è mettere insieme una scena. Il fumetto è più vicino al cinema: devi lavorare più in fretta, devi correre. Se per un’illustrazione posso prendermi dieci giorni di lavoro, per una tavola non posso proprio permettermelo. Le illustrazioni forse diventano un rifugio confortante, con i suoi dettagli visivi; col fumetto ho meno appigli, e la cosa mi diverte davvero. Se verrete a vedere la mia mostra, capirete. Sto realizzando anche uno storyboard.”
Che contatti e differenze tra Francia e Italia? Che punti di contatto hai con gli autori e il fumetto italiano?
“Premessa: non è il mio mondo. Non conosco quasi nessun autore italiano. Un po’ meglio per il fumetto francese, ma sull’Italia non sono in grado di esprimermi. Forse ci sono più punti in comune con l’illustrazione italiana, ma io guardo a quella spagnola. Anche se in Italia c’è una migliore ricezione del nostro lavoro; da voi c’è una sensibilità per le immagini decisamente migliore. Ho lavorato in workshop con Roberto Ricci, per dirne una, ma non sono ferratissima sul vostro panorama; è un mondo che sto scoprendo. Però mi piace rimanere un po’ profana, perché mi consente di procedere senza complessi o condizionamenti, di osare un po’. In Francia il fumetto, per esempio, copre praticamente tutti i codici, forse al punto che non esistono più regole. In Italia mi pare che sia sopravvissuto un approccio più classico; da noi il codice è esploso. Sembra che da voi il disegno abbia mantenuto la sua importanza. In Francia redattori, editori e persino disegnatori sempre più spesso se ne fregano, anche della qualità; ho l’impressione che gli italiani siano molto più attenti della qualità. Si cerca la novità, anche se in Francia c’è più fumetto femminile. Non so com’è in Italia. Però in Francia per esempio il mercato è rimasto vivace, da voi sembra sempre in sofferenza. In Francia il mercato dei lettori dei classici si è rivelato avido di fumetti. Le riviste sono sparite, ma si consumano fumetti a ogni modo. Prometto comunque che la prossima volta sarò più preparata sul mondo del fumetto italiano.”
Quando capisce che è finita un’immagine, che è completa, che è giusto fermarsi?
“Non ha senso impuntarsi su ossessive modifiche. Non so se risponde alla domanda, ma un’immagine di solito è così ricca di dettagli che si può tornarvi sopra più volte, scoprendo cose non percepite a prima vista. É proprio questa ricorsione a stabilire il ritmo della lettura del volume illustrato. Si cerca di giocare con il visuale. La scena si allunga, quello che un po’ ingenuamente cerco di fare con il lettore, non gli lascio la libertà di abbreviare, ma gli sottopongo numerosi stimoli.”
Lavora su mezze tavole per il fumetto? Progetta molto con gli storyboard o improvvisa?
“Lavoro per capitoli e su doppia pagina. Concepisco le scene come una pièce teatrale, cambiando stile di volta in volta. Quanto agli storyboard e alla messa in tavola non improvviso mai, io sono una maniaca dei dettagli e devo avere tutto chiaro, ho la necessità di visualizzare tutto prima dell’esecuzione; e se il caso interviene è solo quando non ho idea su come procedere. Ho un approccio un po’ militare su questo. Sul fumetto utilizzo comunque tecniche assolutamente diverse rispetto alla mia illustrazione; se usassi le stesse tecniche che utilizzo abitualmente, sarebbe un fumetto orribile.”
Qualche informazione sul fumetto a cui sta lavorando?
“Racconta la storia di due ragazze, o meglio bambine, amiche. La storia è ambientata negli anni ’80’ in Costa Azzurra. Le due bambine sono amiche e l’altra è figlia di un dipendente della famiglia della prima. Queste bambine appartengono a ambienti sociali troppo diversi. Una di queste scompare. L’altra ritorna a casa sua e vuole scoprire cosa è successo. Una storia parzialmente ispirata a una storia di cronaca successa anni fa in Francia, in cui una ragazza è scomparsa. L’ambientazione precisa è la casa della mia infanzia in Provenza, una casa del XIX secolo circondata da vigne. Parte degli scenari è ispirata a episodi della mia infanzia, ma l’intera storia ovviamente è pura fiction.”
Il primo ricordo della sua infanzia associato all’arte?
“Ve ne racconto una che compare nel mio spettacolo teatrale. Ero all’asilo e avevo 4 anni. La maestra ci chiede di disegnare un’anatra, una paperella. Bene, io che ero (o meglio mi ritenevo) già bravissima, sfido il destino e comincio a colorare il disegno guardando da un’altra parte. Questo per dimostrare che ero così precoce e brava da non aver bisogno di seguire il lavoro sul foglio, senza uscire dalle righe. Non so che cosa mi passasse per la testa. Il risultato? La prima brutta e cocentissima umiliazione infantile: un disastro, un paciugo inguardabile di cui mi sono sempre vergognata. Forse ogni mio tentativo di progredire nella tecnica è dovuto all’ossessione di cancellare questa umiliazione originale in una sorta di rivincita permanente!”
La prima domanda di Letteratitudine: Lei ha lo studio in Bretagna. Parlando della magia di un luogo, le chiederemmo se le fosse mai capitato di trattare l’argomento del Ciclo Bretone, quello arturiano, con Merlino. Ecco, lei è nel genere fiabesco per elezione: chi è il Mago che vorrebbe rappresentare. Che Merlino potrebbe realizzare? Chi potrebbe essere il mago per Lei?
Rebecca Dautremer: “Ti deluderò, ma vivo in Bretagna certamente perchè quel luogo e quella regione mi piacciono sin da quando ero bambina e ci passavo le vacanze. Andavo ai festival di musica, e ascoltavo e adoravo quelle storie fantastiche. Ma… ma non mi piace molto disegnarle, né come storie né come ciclo. C’è troppa fantasia. Io ho un po’ di difficoltà. Pensa al Signore degli Anelli: lì tutto è possibile, la magia è onnipresente e ogni cosa è compiuta attraverso di essa. Quando tutto diventa possibile la storia può andare dove le pare e io mi sento un po’ persa. Come lettrice adoro quel genere, ma non come artista.”
La seconda domanda di Letteratitudine: Parlando di Intelligenza Artificiale sotto un’altra prospettiva, come artisti, in Francia, avete mai discusso sulla possibilità di allacciare relazioni produttive e di processo con i colossi della AI? Intendiamo dire: se tanto la AI investirà la filiera, perché non provare a trasformarsi in curatori della sua evoluzione, in interlocutori e maestri capaci di intervenire sugli algoritmi e sulle meccaniche euristiche, prendendoci in carico una simile responsabilità? Insegnereste alla AI a fare (seriamente) arte?
Rebecca Dautremer: “Non penso che per esempio potremmo combattere l’evoluzione di cui parliamo con dei blocchi o delle interdizioni. Prendi il caso della musica: ormai nessuno compra i dischi. La musica si copia, si scarica, si consuma secondo meccanismi ormai stravolti in paragone col passato. Se mai, potremmo recuperare il valore del prodotto artigianale, umano. Potremmo scrivere storie più sincere, evitando di combattere con la AI nelle produzioni concepite come massive, a catena di montaggio. Io di fronte a questa minaccia mi ritraggo sul foglio di carta e devo dire che, al momento, oggi funziona. Lo vedo quando incontro il pubblico: le persone percepiscono il fattore dietro i miei lavori, e io stessa mi accorgo che esiste un vero scambio. Forse un giorno cambierà tutto, non ce ne fregherà più niente, ma del resto neanche io sarò più qui. Comunque la necessità di rimanere molto umani e artigianali è molto di più che una speranza e non certo uina resa disperata. Come con la musica: i concerti sono sopravvissuti. Abbiamo bisogno di vederci e interagire. Perché le persone dovrebbero venire a Lucca. Non potrebbero seguire tutto da dietro a uno schermo? Le persone devono sentire che dietro una tavola ci sono sudore, fatica, la gente ha bisogno del contatto diretto con l’artista. In fondo anche dietro alla AI ci sono delle persone. Io comunque non la utilizzo, sono del tutto aliena a questo mondo. Faccio persino fatica a accendere la TV. [ridiamo]”

* * *
© Letteratitudine – www.letteratitudine.it
LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo