Incontriamo Keichiiro Toyama a Lucca Comics & Games 2025
Rigocare Silent Hill e spaventarmi come prima? Un “incubo” proibito anche per me!
Keichiiro Toyama, sceneggiatore, regista e creativo autore dell’iconico primo Silent Hill, e di altri titoli horror e non horror (Siren, Gravity Rush, Slitterhead) confessa al Press Café di LCG2025 un suo cruccio dovuto all’obsolescenza programmata dei titoli e svela alcuni segreti sul fare paura ai gamer
* * *
di Furio Detti
Camera di Commercio, Sala Oro
Lucca, 31/10/25 – Introduce il Sensei, Marco Giannatiempo, che parte dalla sua personale esperienza videoludica per chiedere al maestro con quale ingrediente segreto egli riesca a confezionare le atmosfere inquietanti che lo hanno reso un maestro della paura via console con Silent Hill.
Keichiiro Toyama risponde: “All’epoca – era la metà degli anni Novanta – il titolo che aveva fatto furore nel settore dei videogiochi horror era Resident Evil, e la nostra casa, un team nuovo e giovane che serviva la Konami, doveva competere con questo successo, inventando qualcosa di nuovo e altrettanto avvincente. Io sono quindi partito dalla mia esperienza dell’infanzia: la mia paura del buio, elemento assente in Resident Evil. Ho costruito quindi la polarità drammatica di Silent Hill, basandomi sul contrasto fra buio e luce. Inoltre sapete benissimo che la console Sony Playstation aveva difficoltà di hardware nel gestire i calcoli per la grafica; quindi ci è venuta l’idea di eliminare il panorama distante, avvolgendo ogni cosa nella nebbia e nell’oscurità. Questo eliminava il problema del rendering massivo e permetteva alla macchina di performare con agio, mantenendo fluidità grafica, la suspence e la qualità terrificante dell’esperienza. Una soluzione che si è rivelata molto originale.
La seconda domanda di Giannatiempo è se il Sensei conosca il film L’Esorcista di Friedkin, perché è stato per la sua generazione una sorta di “battesimo della paura”: quanto è importante la paura per il Sensei?
“Sì conosco il film. Ho preferito tuttavia lavorare diversamente per Silent Hill: investendo innanzi tutto sul contrasto fra le monocromie e sulle texture più che sulla storia – che in effetti, resta assai spaventosa, a ogni modo. I nostri competitori tendevano a creare ambienti nitidi; io invece imbruttivo volutamente le superfici e gli ambienti, sporcandoli e creando disturbi visivi, per esempio con macchie sulle pareti, di sporco, di umidità, di muffa. Esse oltretutto contribuivano all’effetto generale, perché come sapete, in condizioni di scarsissima visibilità, persino una tinta su un muro viene scambiata per un’apparizione o un mostro!”
Come è cambiata – prosegue Giannatiempo -, la sua carriera aprendo la sua casa di produzione (Bokeh Game Studio)?
“Beh, mi sento più libero anche se non sono l’unico a decidere. Però anche se devo consultarmi con i miei collaboratori è ben diverso da lavorare per un colosso dell’intrattenimento.”
Ha mai ricevuto proteste, critiche o minacce per i contenuti dei suoi videogiochi?
“In Giappone naturalmente si critica un prodotto creativo proprio come all’estero, ma devo dire che noi siamo molto attenti a separare la finzione dalla realtà e poniamo grande cura nell’avvicinare i giocatori, giovani e molto giovani alle esperienze videoludiche, in modo da evitare imitazioni reali e pericolose di comportamenti fittizi, come è avvenuto talvolta in passato. Quindi da noi c’è uno spazio relativamente esiguo, quasi niente, per l’ostilità o gli haters.”
Lucca celebra i videogiochi e le arti grafiche e visive come il fumetto. Come vede il rapporto fra arte e videogiochi?
“Quando sono nato non esistevano i videogiochi. Quindi quando essi comparvero erano considerati inizialmente come i giocattoli. Poi col crescere della base di utenti e giocatori l’esperienza è diventata complessa e si è evoluta in una forma d’arte. Anche io sono stato un gamer e per me è stato lo stesso nel passaggio da semplice esperienza ludica a mezzo espressivo e creativo maturo.”
Si passa alle domande dei giornalisti. Letteratitudine ha aperto il fuoco, leggerete come sempre la domanda in calce.
Che relazione c’è fra suono, musica e videogiochi horror? Esiste qualche autore a cui Toyama fa riferimento?
“Credo che nei videogiochi i suoni abbiano una parte molto diversa da quella nei film horror. Certo è essenziale far entrare il giocatore nel mondo emozionale del personaggio. Di fronte a un corridoio immerso nelle tenebre il giocatore deve finire per tormentarsi angosciosamente, come il protagonista: ‘Devo procedere ma non voglio, ho troppa paura!’ In questo momento il suono affianca e segue l’azione più intensamente e direttamente che nel caso del girato.
In che modo gli altri autori hanno proseguito la visione di Silent Hill? Ne condivide il percorso o i risultati?
“Assolutamente in modo positivo, non solo chi è venuto dopo di noi ha proseguito lo stile da noi tracciato, ma lo ha persino affinato e completato.”
Fare horror rende immuni all’horror? Qualcosa lo spaventa adesso come lo spaventava il buio da bambino?
“Di certo lavorare continuamente con certi temi fa anche abitudine. E questa può spegnere molto della disponibilità a spaventarsi. Io comunque non sono certo un tipo coraggioso e mi spavento ancora facilmente! Forse dovrei ritornare alle origini del progetto, però, per ritrovare l’impatto della prima volta.”
C’è qualche momento della sua carriera che ricorda in modo particolare, di cui va particolarmente fiero, magari un momento poco riconosciuto dai fan, o ignoto a essi?
“Sono felice che ci sia una fanbase duratura per le mie creazioni. Nient’altro.”
Novità in arrivo, sul nuovo gioco a cui sta lavorando, che non sarà il sequel di Slitterhead. Possiamo avere qualche anticipazione, qualsiasi anticipazione?
“Mentre lavoravo a Slitterhead avevo avuto un certo tipo di idea, venutami in sogno. Quella di creare un mondo grande di tipo urbano.”
Le sue opere sono giocabili su tutte le moderne macchine, tranne Silent Hill, sviluppata per la prima Playstation e ora impossibile da far girare. Considerato questo aspetto che posizioni ha sulla rigiocabilità e sulla sopravvivenza, sulla preservazione dei giochi vintage?
“Prima di tutto, vorrei rigiocare anche io Silent Hill! [ridiamo] Quindi secondo me sarebbe bene che le grandi case prendessero in considerazione la cosa.”
Se oggi il Sensei avesse a disposizione la tecnologia più recente come rifarebbe Silent Hill per renderlo ancora più spaventoso?
“Quando abbiamo creato Silent Hill c’erano problemi di hardware. Ovviamente oggi vorrei usare le ultime tecnologie.”
Come si può spaventare il pubblico, oggi, dopo tutta questa sovraesposizione all’horror?
“Certo, forse è sempre più difficile spaventare qualcuno… ma resta pur sempre valido un concetto: ciò che non conosciamo fa e farà sempre paura. Per esempio: quando si arriva in un paese straniero se non si hanno informazioni si ha paura. Oggi che abbiamo navigatori e smartphone questo panico del viaggiatore si è molto attenuato. Perché? Perché la tecnologia ci rende accessibile ogni informazione. Sappiamo tutto in anticipo.”
Se pensiamo ai videogiochi e ai film dovremmo riconoscere che l’horror migliore è giapponese, come quello presente nelle vostre opere è particolarmente angoscioso e intenso. Come fa il popolo giapponese a avere questa capacità privilegiata rispetto all’Occidente?
“Credo che la risposta stia nella natura che ci circonda. E anche nel successo precoce che hanno avuto serie tv e letterarie orrorifiche in Giappone.”
Nella sua lunga carriera qual è l’elemento che fa divertire così tanto i giocatori nell’aver paura e come si bilanciano divertimento e terrore?
“Non ho un metodo preciso. Non è che definisco un concetto in merito, mi viene naturale. Prendete per esempio l’Italia: qui tutto è antico e storico, ma anche molto moderno; si passa in modo naturale, istintivo da una caratteristica all’altra. Ecco, dovrebbe essere così anche nel bilanciamento fra divertimento nello spaventarsi e spaventarsi almeno un po’ sul serio.”
Quale è il suo videogioco non-horror preferito?
“I puzzle-game.”
La domanda di Letteratitudine
Premesso che non parliamo di Giochi di Ruolo come genere videoludico, ma vorrei chiedere se l’ingresso inevitabile della AI nel processo creativo e produttivo in varie occorrenze (ideazione, grafica, meccaniche, strategia…) spingerà o no i realizzatori e autori a ridisegnare il loro ruolo competitivamente con questa tecnologia: diverranno come dei Game Master dedicati solo alla storia, demandando all’automazione grafica reattività, o world-building, o condivideranno con la AI oneri e compiti in modo meno distinguibile e magari più amalgamato con essa? Se ci saranno per esempio film o video on-demand in tempo reale, potrebbe accadere lo stesso ai titoli videoludici horror? Il suo ruolo autoriale, Sensei, è già cambiato a causa della tecnologia o no?
“Non nego a priori un ruolo alla AI. Ma questa non dovrebbe mai sostituire la creatività autoriale. Nel processo di produzione potrebbe trovare un ruolo utile come agente-assistente, magari avanzando proposte e lasciando a noi le decisioni finali.”

* * *
© Letteratitudine – www.letteratitudine.it
LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo