
“La generazione ansiosa” di Jonathan Haidt (Rizzoli, 2024)
Traduzioni di Lucilla Rodinò e Rosa Prencipe
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a cura di Ennio Givoli
Nell’ambito della nostra rubrica dedicata a “capire il presente” non poteva mancare una riflessione dedicata al disagio mentale che sta interessando le nuove generazioni.
L’occasione la fornisce Jonathan Haidt, psicologo sociale di fama internazionale, che arriva nelle librerie di tutto il mondo con un’opera che non può lasciare indifferenti chi ha a cuore la salute mentale ed emotiva e il benessere dei nostri ragazzi e dei nostri giovani: “La generazione ansiosa” (Rizzoli, 2024). È un libro che non si limita a raccontare una crisi, ma la disseziona, la esplora nei suoi meandri più oscuri e giunge a porre a tutti noi una domanda piuttosto dolorosa: come abbiamo fatto a creare una generazione così fragile?
L’autore parte da un dato che appare ineluttabile: i giovani della Generazione Z, ovvero quelli nati tra la metà degli anni ’90 e il primo decennio del 2000, sembrano essere schiacciati da un peso che non riescono a gestire. Ansia, depressione, autolesionismo, sono solo alcuni dei sintomi di una società che ha creato, forse inconsapevolmente, una trappola senza uscita. L’autore ci offre due indizi cruciali che sono alla base di questa crisi: l’esplosione dei social media, da un lato; e il cambio radicale nelle pratiche genitoriali, dall’altro. In effetti non sono solo indizi, ma veri e propri avvisi che risuonano come campane (non campanelli) di allarme: non possiamo più ignorarli, per quanto non ci siano risposte facili all’orizzonte.
I social media, entrati prepotentemente nella vita dei giovani dal 2010 in poi, non sono più i ponti di comunicazione che avrebbero dovuto essere. Sono diventati agorà in cui la visibilità è ossessionante e il confronto è costante. Un luogo dove l’autostima viene decimata e le menti si sgretolano. Instagram e Facebook, inizialmente creati per unire, oggi separano più di quanto possiamo immaginare. La distorsione della realtà digitale, l’esposizione continua a una perfezione irraggiungibile, ha creato uno squilibrio che ha danneggiato in modo devastante le menti fragili.
Poi arriva il secondo indizio, quello che suona ancora più familiare ma non meno pericoloso: in inglese viene chiamato “helicopter parenting” (Genitori elicottero) e ci si riferisce a un fenomeno comportamentale che da un lato protegge, ma dall’altro priva i giovani della capacità di sviluppare resilienza. Stiamo parlando – per l’appunto – del tentativo di preservare i figli da ogni rischio, da ogni pericolo. Ebbene questo tentativo (magari perpetrato in buonafede), ha finito per prosciugare quelle risorse emotive che solo l’esperienza diretta, il confronto con la realtà, possono costruire. Una generazione che non è mai stata lasciata libera di sbagliare, oggi fatica a raccogliere i cocci della propria fragile autostima.
La critica di Haidt non si ferma qui, però. C’è una parte del libro che sembra dare una svolta alla diagnosi: ed è quando l’autore ci fa riflettere sulle differenze di genere. Le ragazze, più vulnerabili agli effetti collaterali dei social, sembrano essere le prime vittime di questo caos digitale, mentre i ragazzi si rifugiano in comportamenti altrettanto distruttivi, come la dipendenza da videogiochi e pornografia. Questi fenomeni di isolamento sociale e di perdita delle capacità relazionali sembrano aggrovigliarsi in una matassa troppo difficile da sbrogliare.
Ma la lettura di Haidt non è solo un’esplorazione inquietante. Se la diagnosi è accurata, le soluzioni che l’autore propone non sono affatto banali come potrebbe sembrare. L’idea di creare ambienti scolastici senza dispositivi elettronici, il rinvio dell’accesso ai social media fino a 16 anni, l’incoraggiamento a riscoprire il contatto umano e il legame con la natura sono risposte che suonano tanto semplici quanto urgenti. Possibili risposte alla ulteriore domanda: come possiamo davvero proteggere i giovani da un mondo che sembra averli traditi?
Siamo onesti. Il problema non è di facile risoluzione, ma leggere questo libro è un primo passo per tentare di capire la problematica (presupposto necessario per sperare di risolverla). “La generazione ansiosa” è comunque un libro che ci sfida a non rimanere passivi, a non abbandonare le nuove generazioni alla deriva di una società digitale che ha messo radici ovunque.
Il futuro è già qui, nelle mani di chi è pronto a prendere decisioni. Eppure, proprio come il nostro rapporto con la tecnologia, anche il futuro può essere ri-orientato. La domanda che ci lascia Haidt è una di quelle che non possiamo eludere: cosa faremo per cambiare le cose?
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La scheda del libro: “La generazione ansiosa” di Jonathan Haidt (Rizzoli, 2024)
Traduzioni di Lucilla Rodinò e Rosa Prencipe
La Generazione Z, quella dei nati dopo il 1995, è la prima ad aver attraversato la pubertà con in tasca un portale verso una realtà alternativa eccitante, ma pericolosa. È la prima ad aver sperimentato la transizione da un’infanzia fondata sul gioco a un’infanzia fondata sul telefono: i teenager della Gen Z hanno trascorso ore e ore ogni giorno a «scrollare» post, a guardare video proposti da algoritmi programmati per trattenerli online il più a lungo possibile e hanno passato molto meno tempo a giocare, parlare, toccare, esperire il mondo reale. Sono stati privati, cioè, di quell’apprendistato sociale insostituibile per lo sviluppo delle competenze necessarie alla vita adulta. Al progressivo spostamento dal mondo fisico a quello virtuale – dagli esiti catastrofici, soprattutto per le ragazze – è corrisposta anche la transizione da un’infanzia libera a una ipercontrollata: mentre gli adulti hanno infatti iniziato a proteggere eccessivamente i bambini nel mondo reale, li hanno lasciati privi di sorveglianza in quello online. Attingendo alle ricerche più recenti e autorevoli, Haidt mostra come queste due tendenze siano alla base di una «riconfigurazione» dell’infanzia che ha interferito con lo sviluppo sociale e neurologico di bambini e adolescenti, causando ansia, privazione del sonno, frammentazione dell’attenzione, dipendenza, solitudine, paura del confronto sociale. E mentre ne espone le disastrose conseguenze, propone quattro regole per liberare la «generazione ansiosa» e chiama alle armi genitori, insegnanti, aziende tecnologiche e governi, affinché si impegnino per salvare la salute mentale dei più giovani.
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Jonathan Haidt è uno psicologo statunitense. Laureato in filosofia e psicologia, è professore associato di psicologia presso la Virginia University. Dal 1999 aderisce alla nuova corrente della psicologia positiva, ambito per il quale nel 2001 gli è stato conferito il Templeton Prize. Tra i suoi scritti, Menti tribali. Perché le brave persone si dividono su politica e religione (Codice, 2013), Felicità: un’ipotesi. Verità moderne e saggezza antica (Codice, 2020), Menti tribali. Perché le brave persone si dividono su politica e religione (Codice, 2021), La generazione ansiosa (Rizzoli, 2024).
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