Aprile 18, 2024

218 thoughts on “DARE SPAZIO ALL’UTOPIA?

  1. Come vi dicevo, giorni fa ho ricevuto una mail che aveva a che fare con… l’utopia.
    Da lì ho iniziato a riflettere su come (e se) il ricorso all’utopia (nella sua accezione positiva), oggi, possa in qualche modo essere utile alla crescita collettiva e individuale.

  2. Poi, vi dicevo, mi sono imbattuto su due citazioni celebri. Le ripeto anche qui tra i commenti.
    La prima – quella a favore dell’utopia – è di Oscar Wilde e recita così: «Una carta del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l’Umanità approda di continuo. E quando vi getta l’àncora, la vedetta scorge un Paese migliore e l’Umanità di nuovo fa vela.»

  3. La seconda – a sfavore – è di Paul Claudel e dice: «Chi cerca di realizzare il paradiso in terra, sta in effetti preparando per gli altri un molto rispettabile inferno.»

  4. Seguendo i percorsi della mia riflessione, mi è venuto in mente il titolo di un famoso romanzo ispirato a una storia vera: “La città della gioia” di Dominique Lapierre (dettagli sul post).

  5. Definizione di “Utopia”:
    s. f.
    1 Concezione immaginaria di un governo o di una società ideali.
    2 (est.) Concezione, idea, aspirazione, fantastici e irrealizzabili. ETIMOLOGIA: voce tratta dalle due parole greche ou ‘non’ e tópos ‘luogo’.

  6. da Wikipedia Italia

    Il titolo dell’opera è un neologismo coniato da Moro stesso, e presenta un’ambiguità di fondo: “Utopia”, infatti, può essere intesa come la latinizzazione dal greco sia di Εὐτοπεία, frase composta dal prefisso greco ευ- che significa positività, bontà (basti pensare a termini come eugenetica, eutanasia o eufemismo) e τóπος (tópos), che significa luogo, seguito dal suffisso -εία (quindi ottimo luogo), sia di Οὐτοπεία, cosiderando la U iniziale come la contrazione del greco οὐ (non), e che cioè la parola utopia equivalga a non-luogo, a luogo inesistente o immaginario. Tuttavia, è molto probabile che quest’ambiguità fosse nelle intenzioni di Moro, e che quindi il significato più corretto del neologismo sia la congiunzione delle due accezioni, ovvero “l’ottimo luogo (non è) in alcun luogo”, che è divenuto anche il significato moderno della parola utopia. Effettivamente, l’opera narra di un’isola ideale (l’ottimo luogo), pur mettendone in risalto il fatto che esso non possa essere realizzato concretamente (nessun luogo).

  7. Caro Massi,
    sì. E’ possibile la gioia nel dolore. E’ possibile sollevarsi oltre. Sfiorare il mistero dell’esistenza nella negazione dell’esistenza. Avere libertà in carcere e sazietà nella fame. Assenza di giudizio in chi giudica e strenua difesa in chi ha errato.
    L’utopia è la provocazione necessaria. Una risposta, anche. Ti lascio un link per confermarti la gioia nel dolore. Il senso nell’arresto di un battito. La speranza a dispetto della realtà.
    http://www.antoniosocci.com/2009/10/la-mia-speranza-per-caterina/
    Un bacio

  8. Oggetto: PRIMO “FESTIVAL DELL’UTOPIA” DI BIANCAVILLA (CT)

    Buongiorno Massimo Maugeri,
    mi chiamo Antonio Lanza, ho 27 anni e sono uno degli organizzatori di un progetto culturale molto interessante, di cui vorrei parlarle. Lo abbiamo chiamato “Festival dell’Utopia” e si terrà a Biancavilla in provincia di Catania. Il progetto, nato su iniziativa dell’Assessorato alle Politiche Agricole della mia città, ha l’obiettivo di educare i giovani all’immaginazione, al sogno e, perchè no, all’utopia. Troppo spesso vediamo in giro rassegnazione, fatalismo, accettazione passiva di tutto ciò che sembra immodificabile. Questo fa ancora più male se consideriamo che i primi a rinunciare alla fantasia, all’attivismo, alla passione del fare sono proprio i giovani, che invece dovrebbero essere il motore della nostra società.
    Bene, abbiamo pensato che sarebbe stato bello apparecchiare ai giovani le premesse per far brillare (nel significato esplosivo del termine, come se si trattasse di un ordigno) la fantasia, nascosta o repressa, proponendo loro di immaginare una città a loro misura, una città possibile al di là di quella reale e, a volte, mortificante. E per raccogliere le preziose scintille della fantasia dei ragazzi, abbiamo pensato di spronarli a mettere per iscritto quanto essi sognano per Biancavilla, cosa essi si apettano di trovare, e non trovano, nella loro città.
    Si è dunque pensato di invitare a Biancavilla esperti nel campo della poesia, della narrativa, della musica e del giornalismo, i quali in dei seminari brevi ma intensi cercheranno di spiegare ai ragazzi le tecniche della scrittura di una poesia, di un racconto etc.
    Dopo i vari seminari che si terranno nei locali della “Villa delle Favare”, ai ragazzi verrà chiesto – sulle basi di quanto appreso – di produrre un testo (poetico, narrativo, giornalistico) che contenga una piccola grande proposta per migliorare la nostra città.
    Ci sarà certamente una premiazione simbolica dei testi migliori, ma la cosa più bella è che almeno una delle proposte avanzate dai giovani verrà realizzata con il contributo del Comune: utopia, quindi, che diventerà realtà concreta e tangibile.

    L’invito a partecipare è ovviamente rivolto a tutti, non solo ai residenti a Biancavilla. La partecipazione però è a numero chiuso.

    Il motivo per cui ho pensato di spedirle questo messaggio è che lei, bravissimo scrittore catanese (ero presente alla sua premiazione al Martoglio di due anni fa), tiene un seguitissimo blog letterario, fucina di idee e ricco di interventi, molto apprezzato dai giovani appassionati di narrativa e della cultura in genere, e quindi potrebbe darci un grandissimo aiuto nel far pubblicità alla nostra iniziativa, che è sì alle prime armi ma che ha tutta la voglia di continuare negli anni. Ci piacerebbe, magari, averla come ospite.

    Dunque: spero che lei vorrà parlare del nostro “Festival dell’Utopia” nel suo blog.
    Le riporto qui di seguito quello che dovrebbe rappresentare una sorta di MANIFESTO del nostro Festival. L’ho scritto io, spero le piaccia.

    La saluto cordialmente,

    Antonio Lanza.

  9. UTOPIE D’AUTUNNO
    Progetto di formazione collettiva e di contributo attivo alla bellezza della nostra città

    Manifesto ideale
    —————-
    Capita un giorno nella vita – un pomeriggio autunnale con poca luce, per esempio – che un ragazzo stia passeggiando, mani in tasca e sguardo assente, per il corso principale della città. Osserva distrattamente le foglie secche che mulinano al vento e alcune cartacce che strisciano lungo il marciapiede, e di colpo, senza un motivo preciso, avverte una strana sensazione di scollamento tra sé e la città che gli sta intorno, come se improvvisamente faticasse a riconoscerla o la trovasse non corrispondente ai suoi desideri. L’emozione è così forte che il ragazzo è costretto a sedersi su una panchina per rifletterci sopra. Quand’è successo – si chiede guardandosi intorno stupito – che abbiamo smesso di sognarla, questa città, di pensarla diversa da com’è? Quando è avvenuto che l’idea di essa si è talmente pietrificata davanti ai nostri occhi che abbiamo messo da parte la voglia di modellarla, come argilla, secondo il nostro capriccio, il nostro desiderio, la nostra fantasia? Quando è stato che la pesantezza del reale ha schiacciato la vertigine del possibile? Quando il classico ‘buon senso’, il ‘guardare in faccia la realtà’, i dannati ‘piedi per terra’ hanno avuto la meglio sullo slancio salvifico dei sogni? E quand’è che abbiamo smesso di osservare nel cielo il solenne movimento delle nuvole, credendolo uno stupido vizio infantile? E in cambio di cosa, poi, abbiamo barattato le nostre nuvole? In cambio di queste foglie secche e accartocciate che si sfarinano sotto i passi di gente distratta? O in cambio di queste cartacce unte di rassegnazione che svolazzano a pochi centimetri da terra?
    Capita un giorno nella vita che ci si senta demoralizzati, che l’addensarsi delle ombre del crepuscolo sulle strade desolate renda il cuore pavido, e ogni piccolo progetto sembri prossimo al fallimento. Capita allora che solo il profilarsi timido di un sogno, un sogno d’autunno fatto a Biancavilla, o – perché no? – di un’utopia siano capaci di schiudere la possibilità di una lenta gemmazione. Slancio, sogno, desiderio, utopia. A ben vedere, Biancavilla ha da sempre mantenuto una affiliazione naturale con queste astrazioni. La sua stessa fondazione non è altro che la realizzazione concreta del sogno di libertà di alcune famiglie albanesi sfuggite alla tirannia turco-ottomana. Il coraggio del cambiamento, la fiducia nel futuro fanno pertanto parte del patrimonio genetico che Biancavilla ha ereditato dai suoi padri fondatori. Straordinario patrimonio, che la difficoltà dei tempi o la precarietà di una stagione, l’autunno, che sembra non ammettere futuro, non ci autorizza a mortificare.
    Cosa vogliamo che sia Biancavilla?
    La città pietrificata e immobile che, come la Zora delle Città invisibili, rimanendo sempre uguale a se stessa, finì per scomparire o invece, come Anastasia, auspichiamo che essa incarni la città del possibile, quella in cui «nessun desiderio va perduto», perché ogni desiderio che ha il coraggio di essere formulato potrebbe preludere a un cambiamento?
    Biancavilla città dell’utopia d’autunno, quindi.
    Ma non quell’utopia che a tanti – per fatalismo, inedia o ignavia – piace pensare sinonimo di chimera e irrealizzabilità; ma utopia come miniera segreta da cui attingere per possibili altre realtà. «Tutto l’immaginabile» scrive Calvino «può essere sognato». E di chi è il regno dell’immaginazione se non dei giovani e dei bambini? È infatti su di loro, sulla loro creatività e la loro spontanea fiducia nel futuro, che Biancavilla conta per il proprio rilancio sociale, culturale e urbanistico. Sono loro – i bambini e i giovani – che, gemme preziose, hanno il coraggio di spalancare la città di pietra alle infinite possibilità che l’attendono, loro che hanno il compito di indicare alla collettività le vie di superamento dell’autunno. Non una sola Biancavilla, quindi, ma migliaia di Biancaville, una per ogni giovane che, per il semplice sforzo di immaginarla diversa da com’è, la rende in potenza già migliore, più conforme ai propri bisogni e alle proprie necessità. Dice sempre Calvino: «D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda».
    Dopo un po’ di tempo, il ragazzo si alza fiducioso dalla panchina, felice perché il seme di una nuova utopia ha germinato dentro di lui. Se effettivamente le giornate cominciano ad essere molto brevi e stanno per calare le tenebre, basta il lampeggiare dei suoi occhi per illuminare il cammino. Adesso la città che gli si dipana davanti è una delle Biancaville possibili non ancora realizzate che presto potrebbero essere realtà. Le cartacce che fino a poco prima si staccavano appena da terra diventano lettere d’amore infuocate che il vento, con un soffio più forte, penserà a smistare alle dirette interessate. Le foglie secche cadute sul marciapiede si trasformano in particolari congegni che, se calpestati, riproducono ninnenanne dolcissime e dimenticate.
    Il ragazzo continua così a camminare, a sognare e a camminare, in attesa di poter condividere con gli amici le sue nuove utopie e poter riferire persino al più scettico di quelli che incontrerà la sua personale idea di superamento dell’autunno.

    Antonio Lanza

  10. bellissimo post, massimo… spero di trovare un po’ di tempo nei prossimi giorni.
    per ora, solo un’annotazione: tra le due etimologie possibili, senza dubbio preferisco la seconda. Non-luogo, perchè non è un luogo, ma una condizione.

  11. – venerdì 6 novembre ore 16.00: LORETTO RAFANELLI, poeta bolognese (Selezione Mondello opera prima, Premio Gozzano 2002, Premio Metauro 2003, Premio Sibilla Aleramo) tra i più interessanti della sua generazione, direttore della rivista “I Quaderni del Battello Ebbro” nonché dell’omonima casa editrice.

    – sabato 7 novembre ore 10.00: DOMENICO SEMINERIO, scrittore calatino autore di di diversi romanzi di successo (“La corda e il cammello” etc.) tutti pubblicati dall’editore palermitano SELLERIO (per intenderci: lo stesso editore che pubblica Andrea Camilleri) sul tema: come si scrive un racconto.

    – domenica 8 novembre ore 10.00: LUCA RANDAZZO, autore di alcuni libri per ragazzi favorevolmente recensiti su importanti quotidiani nazionali come il “Corriere della sera”, sul tema UTOPIA E LETTERATURA.

    – lunedì 9 novembre ore 16.00: LUCIANO GHELFI, storico giornalista televisivo di RAIDUE, che in occasione del ventennale della caduta del muro di Berlino confronterà i diversi servizi che in merito fecero i TG delle tre reti RAI.

    L’invito a partecipare è ovviamente rivolto a tutti, non solo ai residenti a Biancavilla. La partecipazione però è a numero chiuso.

  12. Be’, come avete visto ho deciso di dare spazio all’utopia.
    Prima di chiudere vi riporto, una dopo l’altra, le domande… nella speranza che abbiate voglia di rispondere.

    – È possibile, oggi, dare spazio all’utopia?
    – Quali sarebbero i pro e i contro?
    – Tra Wilde e Claudel… chi ha più ragione? E perché?
    – È ancora possibile, oggi, trovare dignità e forza nelle situazioni e nei luoghi più disagiati?
    – “La città della gioia”, in altri termini, può esistere o è solo una… utopia (intesa, stavolta, nella sua accezione “negativa”)?
    – E avrebbe ancora senso, oggi, rileggere (o far leggere) il famoso romanzo di Dominique Lapierre?

  13. e un’altra cosa… giusto per deprimersi un po’, prima di dormire…
    comincio a credere che una delle cose peggiori che si possa fare ad un uomo non è dirgli che i suoi sogni non si realizzeranno mai, dirgli che è inutile sognare, perchè lui lo farà sempre, comunque…
    molto peggio è fargli credere che gli si sta servendo su un piatto d’argento una realtà migliore di tutti i sogni possibili, perchè allora, forse, davvero smetterà di sognare.
    e con questi ameni pensieri me ne vado anche io a nanna (spero)
    bnotte

  14. 1-È possibile, oggi, dare spazio all’utopia?
    Apparentemente il mondo sembra essere orientato a far confluire l’utopia nella distopia. Ma è anche vero che il catastrofismo non ha mai condotto a risultati apprezzabili. Più che di utopia, forse, sarebbe più giusto parlare di forti aspirazioni al cambiamento. Che poi esso riguardi noi stessi o l’universo mondo, poco importa.
    2-Quali sarebbero i pro e i contro?
    Non vedo alcun pro, giacché si parla di cose eventualmente da realizzare o che debbano realizzarsi. I contro direi che potrebbero essere le disillusioni. Bisogna essere pronti a gestirle, se si è scelto di perseguire un’utopia.
    3-Tra Wilde e Claudel… chi ha più ragione? E perché?
    Gli estremismi mi convincono raramente. Le due opinioni potrebbero essere “miscelate” sulla base delle considerazioni fatte al punto 2
    4- È ancora possibile, oggi, trovare dignità e forza nelle situazioni e nei luoghi più disagiati? “La città della gioia”, in altri termini, può esistere o è solo una… utopia (intesa, stavolta, nella sua accezione “negativa”)?
    E avrebbe ancora senso, oggi, rileggere (o far leggere) il famoso romanzo di Dominique Lapierre?
    Non ho letto il romanzo, ma ne conosco la trama dalla quale (se non sabglio) è stato tratto anche un film. Per quanto ne so, non mi pare si possa parlare di utopia, ma semmai della ricerca di una dimensione umana in una realtà particolarmente difficile. Fatti i debiti distinguo, potrei pensare alle suore di madre Teresa o a Medici senza frontiere.

  15. Un mondo che non insegue l ‘utopia è un mondo che rinuncia a sognare. E’ anche vero che chi è chiamato a governare deve affrontare problemi pratici e, soprattutto, a breve scadenza. Tuttavia la ricerca continua di soluzioni che possano migliorare il livello qualitativo della nostra società deve essere costante. Una delle più grandi utopie del nostro secolo è stato il comunismo, nobile nei suoi principi di uguaglianza e solidarietà tra gli uomini ma inapplicabile nella realtà. All’opposto, il capitalismo sfrenato, il concentramento di potere nelle mani di pochi rischia di causare effetti ancora più nefasti. La società ideale credo non si possa mai raggiungere perchè l’uomo è imperfetto e tende generalmente ad anteporre gli interessi personali a quelli della collettività. Un giusto equilibrio, una distribuzione quanto più eterogenea dei poteri garantisce maggiore democrazia e controllo reciproco. Sul libro di Lapierre sono d’accordo con Enrico. Io l’ho letto a suo tempo e mi lasciò ferite profonde. Descrive una società abbandonata a se stessa, figli del nulla che ogni giorno devono strappare un raggio di sole alla propria esistenza. E la speranza viene riposta nel volontariato, nel senso del dovere votato al martirio di medici e sacerdoti di buona volontà. A mio parere la società, gli Stati più evoluti hanno l’obbligo di fare ben altro in favore di queste popolazioni, in termini di investimenti, utilizzando risorse finanziare e favorendo l’istruzione.

  16. Utopia come doppia accezione del termine.Se penso all’utopia in senso positivo richiamo l’idea dell’altrove,della possibilità di straripare dai confini di una realtà inaccetabile,della voglia non solo di sognare come hanno già detto in molti ma della voglia di cambiare che è la risposta al dolore quando si cristallizza nel suo essere immutevole e ci chiude la via di fuga.L’utopia in tal caso è l’uscita di sicurezza che la speranza di vivere e di farlo dignitosamente non deve mai perdere,l’utopia per molti è stata l’ossigeno per non soffocare sotto la pressione dell’ineluttabilità di una vita che non può migliorare.Perciò una vita senza un’utopia è la negazione della vita stessa,eppure uno spirito utopico esasperato può spingerci all’idea di una realtà impossibile perchè sottoposta ad un senso di controllo che non è umano,mentre l’impoderabile è sempre umano,pemso a dottrine che dell’utopia hanno fatto bandiera strumentalizzando il pensiero utopico e portandolo all’estreme conseguenze.nelle sue intenzioni più nobili l’utopia resta un pensiero certamente costruttivo e può essere il motore per trovare dignità e forza dove la realtà tenta di strappartele,ma non deve correre il rischio di cadere nell’eccessivo spirito religioso di un ‘utopia dell’aldilà come àncora di salvezza perchè la dignità va conquistata in questa vita.
    Sì penso che rileggere questo libro farebbe un gran bene a tutti noi,anche se parla di realtà lontane che non tutti conoscono,basterebbe essere meno distratti nella vita di tutti i giorni per cogliere quanta miseria vive attorno a noi e al nostro ben curato giardino.
    grazie Massimo per questo ulteriore spunto di riflessione,un abbraccio

  17. Caro Massimo, è successo un fenomeno che si potrebbe dire “magico”, simile in qualche modo a quel che Jung chiamava “sincronicità”.
    Solo alcune ore prima della pubblicazione da parte tua di questo post sull’utopia, durante la stessa giornata di ieri io scrivevo nel post del blog di Luciano Comida, “Nuovo ringhio di Idefix” (ancora oggi in primo piano, con tema il PD e il disastroso centro-sinistra italiano) due commenti, a distanza di poche ore l’uno dall’altro, dove parlavo, guarda “caso”, di utopia… Ne riporto alcuni brani.
    Dal primo commento:

    (…)
    Quel che manca oggi alla sinistra, secondo me, è una visione utopica, manca cioè l’utopia. Ci si è trincerati all’interno di uno spazio ristrettissimo, asfittico, legato all’accidentale e al brevissimo termine.
    (…)

    Dal secondo commento:

    (…)
    Per quanto riguarda l’utopia, mi riferisco ad un sogno di una società diversa, migliore, di fratellanza, un sogno da poter condividere con tanti altri fratelli e sorelle, compagni di strada, una chimera sì, una dolce fantasia infantile.
    Negli ultimi decenni il rischio maggiore di tanta parte della nostra umanità, non solo di quella italiana, è stato quello di non aver più fiducia, fiducia nell’uomo, fiducia nel futuro.
    Parlo della fiducia in una Terra che Non C’è, ma che in realtà, nella realtà più intima, già c’è, qui.
    Bisogna far rinascere il sogno, siamo così sconfortati che rischiamo quasi di dar vita concreta a questo sconforto, a questo fantasma fatto di angoscia e paura.
    (…)

  18. grazie per il post. come hanno detto altri è una grande occasione di riflessione. per me il concetto di utopia è vicino a quello di speranza. e senza speranza non può esserci futuro, né lo si può immaginare in maniera costruttiva. ancora grazie.

  19. precisazione.
    ovviamente non parlo di speranza “ingenua e vana”, ma di un meccanismo, soprattutto interiore, capace di mettere in moto la voglia di fare per migliorarsi e migliorare.

  20. «Chi cerca di realizzare il paradiso in terra, sta in effetti preparando per gli altri un molto rispettabile inferno.» (Paul Claudel)
    Perché Claudel ha usato queste parole? Ci ho molto pensato (e ringrazio anch’io per lo stimolo). Forse Claudel intendeva dire che alcune “forzature” possono fare più male del bene. Questo ho pensato. Altrimenti che significa quella frase?

  21. secondo me significa, molto semplicemente, che claudel considera l’utopia come una sorta di disvalore.

  22. Beh, forse sforzarsi (o “forzarsi”) a trovare a tutti costi il bene, anche dove non c’è, può essere considerato disvalore.

  23. Wilde e Claudel. Hanno ragione entrambi, perchè la realtà è sempre contradditoria, ha sempre due facce. Cosa sarebbe il mondo senza l’utopia, senza i nostri sogni, le nostre speranze?
    E che ne è del mondo quando con il fine di realizzare l’utopia si accetta di tutto, anche la scelleratezza?
    Claudel, padre anche dell’aforisma “Mi riservo, con fermezza, il diritto di contraddirmi”, era fortemente cattolico, e critico sia nei confronti del capitalismo (fu ambasciatore francese in USA e presagì la crisi del ’29 semplicemente constatando come quell’economia fosse ingiusta, abnormemente sperequativa e drogata), che del comunismo. Credo si riferisse proprio a quest’ultimo parlando di Utopie e inferno. Comunque la sua frase fu lungamente usata contro la dottrina comunista.
    E mi sento di condividere la sua opinione quando l’utopia diventa ossessione, quando il perseguirla diventa fanatismo bieco e ottuso, quando l’ideale utopistico si tramuta in certezza di possesso della verità unica, politica o religiosa che sia. Allora l’utopia si fa veramente pericolosa.
    ,

  24. il discorso di carlo s. mi pare molto equilibrato. però carlo s., secondo me bisognerebbe mettersi d’accordo sul significato di utopia. se esso include il ricercare un qualcosa in maniera ossessiva, bieca, ottusa allora diventa l’inferno di claudel. e non so fino a che punto rispettabile.
    ma per me utopia è altra cosa. in fondo anche evitare di ricercare qualcosa in maniera ossessiva, bieca, ottusa potrebbe essere un’utopia.

  25. Lessi questo libro 8 anni fa, frequentavo il primo anno del liceo scientifico e la mia professoressa di italiano ci incaricò di leggerlo perchè poi ne avremmo dovuto discutere in classe. La mia prima reazione, da giovane ragazzo, fu negativa… Visto lo spessore (in termini di pagine del libro) pensai più volte di non leggerlo… Ma fortunatamente non andò così. Il libro cominciai a leggerlo, prima con diffidenza, poi con avidità… Capii che il vero spessore di quel libro non era dato dal numero elevato di pagine, ma dal grande contenuto intriso in esse. Ringrazio ancora quella professoressa perchè leggere il libro a quell’età mi permise di aprire gli occhi su un mondo sconosciuto, su una parte di pianeta vista fino ad allora solo sul mappamondo come un’immensa distesa verde, gialla e marrone. E’ il racconto di un medico americano che va in India per cercare riscatto dalla sua delusione professionale… Una volta in India, attraverso la sua vita, scopriamo, anzi viviamo la realtà di questo Paese, fatta di estrema povertà, di forti contraddizoni, di lebbra… ma soprattutto di gente con una enorme dignità e un grande cuore. Per un ragazzo italiano normale, è difficile credere che esistano degli uomini (migliaia) che per campare trainano, a mò di muli, dei carretti con sopra delle persone… Sono i “tassisti” dell’India, anche loro con problemi di licenza da richiedere alla mafia locale… ma senza auto gialla: solo un carretto da tirare a mano, per km, in qualsiasi condizione di salute, sotto il sole cocente o sotto il diluvio. La descrzione di Dominique Lapierre, l’autore, ci trasporta in quel luogo, e così in India sembra di starci davvero… ci si proietta in quella realtà e si resta senza parole…. Si vede gente sul marciapiede che tutto sembra fuorchè un essere umano, si vede dolore e disperazione, ma anche una grande forza morale, persone che hanno abbandonato tutto e hanno trovato la gioia nell’aiutare gli altri. Sul libro si potrebbe dire tanto, si potrebbero raccontare molti e molti aneddoti descritti, ma non si potrebbe mai rendere l’idea. Una cosa però senza dubbio può essere detta con sincerità: leggetelo, cambierà il vostro modo di pensare e vedere il mondo.
    Per chi fosse interessato su internet si trova anche a 6 euro, ne vale davvero la pena.

  26. “Con il termine utopia si intende indicare le forme di immaginazione politica di realtà sociali, politiche ed economiche alternative alla realtà storica nella quale tali forme vengono elaborate. Le elaborazioni delle tensioni utopiche possono assumere diversi aspetti che danno luogo a espressioni alquanto diverse tra loro, sia in termini di forma sia in termini di referenti sociali, sia in termini di funzione svolta all’interno del sistema.” Così ho trovato sotto “Definizione di Utopia” cercando con Google.
    Mi pare una buona definizione. Viene dall’Università di Genova. Precisa essere “immaginazione” di realtà politiche e sociali non esistenti e in contrapposizione con quelle esistenti.
    L’utopia è pertanto un sogno. Che taluno immagina (Tommaso Moro, Karl Marx, …) taluno condivide (Oscar Wilde in questo caso, ma molti molti altri, credo tutti coloro che possono lasciarsi affascinare dai sogni, e mi ci metto anche io, se quel sogno mi piace), taluno tenta di realizzare, in grande o in piccolo (Lenin, Mao, alcune comunità religiose o pseudo-tali, come i suicidi Davidiani di Waco, o quelli del Tempio del Sole di Luc Jouret, forse oggi i Talebani,…) con i risultati spesso catastrofici che conosciamo. A questi alludeva Paul Claudel.
    A questi mi riferivo anche io.
    L’ossessione comunque non è nel sogno in sè, cara Letizia, ma in molti casi in coloro che cercano di attuarlo, rendendosi ciechi di fronte alle mostrosuità che compiono in nome di quel sogno.

  27. infatti, ma alcune di quelle che segnali sono degenerazioni dell’utopia. mostruosità, appunto. ma attenzione: ci sono casi in cui il sogno di qualcuno, può essere l’incubo di molti. la ricerca della perfezione razziale di origine nazista è un’utopia?
    per me è un’altra cosa: un incubo, una mostruosità. quando io parlo di utopia, ma che credo che sia così nel sentire comune, penso alla speranza…..come ho già detto.

  28. Non credo siano “degenerazioni dell’utopia”. Esistono innumerevoli utopie, ogniuna è quella valida per chi la crea. Ogni immaginazione di un mondo perfetto è un’utopia. L’utopia in sè non è necessariamente buona o bella, semplicemente perchè le categorie di buono o bello sono soggettive, non immutabili. Anche quella del nazismo pertanto lo era a pieno titolo (per loro, naturalmente).
    Il difetto era che chi la immaginava era un pazzo. Che una moltitudine si è lasciata affascinare (per diversi motivi) dal sogno di un pazzo. E che poi ha tentato di attuarla. Con “ossessione bieca e ottusa”.

  29. D’altro canto è pur vero che, come dice Massimo, Utopia è al contempo “l’ottimo-luogo” e il “non-luogo”, come a sottolineare la non realizzabilità concreta della città perfetta, pura idea destinata a vivere solo nei nostri sogni.
    Nell’accezione più comune oggi del resto, e specialmente in letteratura, “utopistico” equivale a “non realizzabile”, “illusorio”.
    Sotto questo aspetto non era (ahimè, magari lo fosse stata!) utopia il nazismo, che era un piano da realizzarsi concretamente già nella mente del suo creatore. E forse neanche il comunismo nella mente di Marx, che pretendeva carattere di scienza alla sua teoria: tuttavia qui il “comunismo” vero e proprio mi pare fosse solo lo stadio conclusivo, il fine ultimo di società giusta e perfetta, da raggiungere attraverso le fasi propedeutiche che costituivano il suo programma: la rivoluzione, la dittatura del proletariato, ecc. (scusate la vaghezza, confesso di non essere mai stato un attento lettore di Marx e di ricordare solo le accese discussioni di teoria politica negli anni a cavallo tra ’60 e ’70 fra persone che, come me, facevano finta di averlo letto e studiato attentamente). Non mi sentirei pertanto mai di negare che in fondo, per quanto Marx non sarebbe d’accordo, anche l’idea di comunismo fosse un’utopia.

  30. Domani potremmo parlare anche di altri due libri legati al concetto (persino all’origine, in un caso) di Utopia: il già citato “L’Utopia” di Tommaso Moro e “La Repubblica” di Platone.
    Se vi va, s’intende…

  31. Per concludere (poi mi tolgo dalle balle: promesso) direi (in linea con Wilde) che guai a non coltivare e a nutrirsi di utopie. La nostra società, le nostre stesse individualità rischierebbero di perdersi nel vuoto.
    Ma guai (in linea con Claudel) a tentare di realizzarle, a volere la perfezione, che umana non è nè mai lo sarà: si rischierà di generare mostri ed orrore.
    Accontentiamoci quindi di sognare le utopie, ma impegnandoci a realizzare programmi più concreti, alla nostra portata, con obiettivi raggiungibili.
    Mi pare più saggio.

  32. Che bel post! Mi schiero dalla parte di Wilde, mi piace la sua citazione. Peraltro non sarebbe male considerarla alla luce della vita stessa di Wilde, una vita macchiata dal giudizio.
    “Una carta del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo”

  33. Ciascun governo istituisce leggi per il proprio utile; la democrazia fa leggi democratiche, la tirannide tiranniche e allo stesso modo gli altri governi. E una volta che hanno fatto le leggi, eccoli proclamare che il giusto per i governati si identifica con ciò che è invece il loro proprio utile, e chi se ne allontana lo puniscono come trasgressore sia della legge sia della giustizia. In ciò consiste, mio ottimo amico, quello che dico giusto, identico in tutte quante le poleis, l’utile del potere costituito. Ma, se non erro, questo potere detiene la forza. Così ne viene, per chi sappia ben ragionare, che in ogni caso il giusto è sempre identico all’utile del più forte.

  34. secondo me bisogna tendere all’utopia positiva, quella che nel nostro intimo sappiamo possa dare buoni frutti. dobbiamo tentare di realizzarla, anche se non la raggiungeremo mai. ma più tendiamo ad essa, più il frutto sarà buono.

  35. @platone
    grande! quand’è che ci prendiamo un caffè insieme?
    @terzapagina
    … non ci allarghiamo…

  36. Ebbene, caro amico, qual è il carattere della tirannide? È pressoché evidente che si tratta di un trapasso dalla democrazia”.
    “Sì, è evidente”.
    “Quindi la tirannide nasce dalla democrazia allo stesso modo in cui questa nasce dall’oligarchia?”
    “In che modo?”
    “Il bene che i cittadini si proponevano”, spiegai, “e per il quale avevano istituito l’oligarchia era la ricchezza eccessiva: non è vero?”
    “Sì “.
    “Ma l’insaziabile brama di ricchezza e la noncuranza d’ogni altro valore a causa dell’affarismo l’hanno portata alla rovina”.
    “È vero” disse.
    “E anche la disgregazione della democrazia non è provocata dall’insaziabile brama di ciò che si prefigge come bene?”
    “E che cosa, secondo te, si prefigge?”
    “La libertà”, risposi.
    “In una città democratica sentirai dire che questo è il bene supremo e quindi chi è libero per natura dovrebbe abitare soltanto là”.
    “In effetti si ripete spesso questa sentenza”, osservò.
    “Come stavo per chiederti”, proseguii, “non sono dunque la brama insaziabile e la noncuranza d’ogni altro valore a trasformare questa forma di governo e a prepararla ad avere bisogno della tirannide?”
    “In che senso?”, domandò.
    “A mio parere, quando una città democratica, assetata di libertà, viene ad essere retta da cattivi coppieri, si ubriaca di libertà pura oltre il dovuto e perseguita i suoi governanti, a meno che non sano del tutto remissivi e non concedano molta libertà, accusandoli di essere scellerati e oligarchici”.
    “Sì “, disse, “fanno questo”.
    “E ricopre d’insulti”, continuai, “coloro che si mostrano obbedienti alle autorità, trattandoli come uomini di nessun valore, contenti di essere schiavi, mentre elogia e onora in privato e in pubblico i governanti che sono simili ai sudditi e i sudditi che sono simili ai governanti. In una tale città non è inevitabile che la libertà tocchi il suo culmine?”
    “Come no?”

  37. @letizia
    scusa letizia, ma il concetto di positivo è estermamente relativo. lo ha appena detto questo nuovo amico, tale platone…
    e penso che la frase di Claudel, che condivido, si riferisca proprio a questo, cioè al fatto che le utopie di alcuni non coincidono con le utopie di altri, e che purtroppo quando i primi cercano di realizzare le prime, in genere è a danno dei secondi, e quindi succedono i casini.
    anche quello che dice il caro zio Oscar è bellissimo, però tra lui e Claudel ci sono in mezzo una cinquantina d’anni e due guerre mondiali.
    e direi che si sentono.

  38. certo, il concetto di positivo è individuale. non a caso in un commento precedente facevo riferimento all’eugenetica nazista.
    ma allora, cosa dovremmo fare? rinunciare a tendere al ‘positivo’, secondo coscienza, perché il concetto di positivo è estremamente relativo?

  39. platone, scusa, ma tu scrivi su Repubblica? e quindi fai parte di quella cerchia di giornalisti eversivi… quelli che parlano tanto di libertà di stampa…

  40. @terzapagina
    problemi con la lavatrice? prova ad abbassare le temperature, che tra l’altro fa tanto ecologico…
    o problemi con altri “lavaggi”?

  41. Così facilmente s’acquisterebbe il vivere, se il desio di accumulare denari non impoverisse gli altri. (da Utopia)

  42. caro platone, credo che la tua utopia sia facilmente realizzabile, in questi tempi d’oro in cui ogni utopia si realizza a buon mercato…
    basta fargli crescere una bella barba bianca, suggerirgli di rinunciare al trapianto di capelli tinti, mettergli una toga, un bel rotolo di papiro in mano, come nelle statue antiche, e mandarlo così in televisione…
    magari funziona.

  43. letizia, detta “osso duro”, non rinunciare.
    però, per quanto mi riguarda, vigilare e diffidare. e relativizzare, anche se ultimamente questa parola piace poco. il bene assoluto esiste, probabilmente. ma la nostra percezione e concezione umana di esso, proprio in quanto umana, non può esserlo.

  44. sono belle le domande del ‘manifesto dell’utopia’ che ho letto qui sopra.
    Quand’è successo che abbiamo smesso di sognarla, questa città, di pensarla diversa da com’è? Quando è avvenuto che l’idea di essa si è talmente pietrificata davanti ai nostri occhi che abbiamo messo da parte la voglia di modellarla, come argilla, secondo il nostro capriccio, il nostro desiderio, la nostra fantasia? Quando è stato che la pesantezza del reale ha schiacciato la vertigine del possibile? Quando il classico ‘buon senso’, il ‘guardare in faccia la realtà’, i dannati ‘piedi per terra’ hanno avuto la meglio sullo slancio salvifico dei sogni? E quand’è che abbiamo smesso di osservare nel cielo il solenne movimento delle nuvole, credendolo uno stupido vizio infantile? E in cambio di cosa, poi, abbiamo barattato le nostre nuvole? In cambio di queste foglie secche e accartocciate che si sfarinano sotto i passi di gente distratta? O in cambio di queste cartacce unte di rassegnazione che svolazzano a pochi centimetri da terra?

  45. @giorgia e letizia
    e se vuole anche platone
    Secondo me siete più vicine nella posizione di quanto non pensiate.Il discorso non è per l’appunto realizzare l’utopia,che di suo porterebbe ad una realtà aderita ad un modello perfetto,di armonia,ma chiuso e autosufficiente,e strumentalizzabile da tutte le dottrine estreme di pensiero e politiche-come il passato ci ha mostrato,tant’è che il testo della Repubblica era letto e interpretato da comunisti come da nazisti-.Il discorso è tendere continuamente all’utopia coltivando lo spirito utopico sulla realtà ma senza concretizzarlo mai,come la spinta come il propulsore di un’idea che ispiri una vita migliore.Cercando ciò che riteniamo impossibile,nell’atto in cui ne prendiamo coscienza come individuo e società,noi perseguiamo e realizziamo il possibile.E restiamo “aperti”.Quest’ultima affermazione mi pare essere l’obiettico utopico più grande attualmente,ma assolutamente necessario.N’est pas?
    un caro saluto a voi,in particolare al signor Platone.

  46. Caro Massi…
    posso tirare in ballo un’utopia “giuridica”?
    Ecco…credo che l’utopia più grande stia sempre nel far coincidere legge “naturale” (o divina) e legge umana.
    La grande utopia è da sempre che giustizia umana e giustizia divina abbiano lo stesso sbocco.
    Essere consapevoli dello scarto tra i due mondi, però, non vuol dire negare questa utopia. Significa comprendere che nella strada tra essi sta il senso. Che nel viaggio, nella tensione, nella ricerca tra le due leggi (dentro di noi, eterna, fuori di noi, contingente) si gioca il destino e l’identità dell’uomo.
    Credo che l’interprete più grande di questa utopia e del dolore della frattura sia Antigone, perchè il nucleo del dramma sofocleo risiede nello scontro fra due volontà e due concezioni del mondo: quella di Antigone, fanciulla fragile fisicamente ma fortissima moralmente, di rispettare le leggi non scritte della natura (phùsis) e quella di Creonte tesa a imporre la forza dello Stato e della legge (nomos) .
    Come giudice….io credo al viaggio tra queste due sponde.
    Ti riporto nel successivo commento un brano di questa utopia e ti bacio.

  47. «Neppure pensavo – dice Antigone a Creonte – i tuoi decreti avere tanta forza che tu uomo potessi calpestare le leggi degli dèi, quelle leggi non scritte e indistruttibili. Non soltanto da oggi né da ieri, ma da sempre esse vivono, da sempre: nessuno sa da quando sono apparse». E Creonte: « Ubbidire, ubbidire, e nel molto e nel poco, nel giusto e nell’ingiusto, sempre e comunque, all’uomo che sia posto al timone dello Stato. È l’anarchia il pessimo dei mali: distrugge le città e sconvolge le case, mette in fuga e fa a pezzi gli eserciti in battaglia. Ma è l’ubbidienza, l’ubbidienza ai capi la fonte di salvezza e di vittoria. Noi dobbiamo ubbidire alle leggi, alle leggi scritte».

  48. In definitiva credo che si rinunci a sognare se si rinuncia a cercare. A interrogarsi. A essere consapevoli della necessità del viaggio.
    La più grande utopia è sconfiggere l’indifferenza ed è da realizzare dentro di noi. 🙂
    Un bacio

  49. cara francesca giulia (tu da quale mondo parallelo vieni? 🙂 ) sono abbastanza d’accordo. credo che si debba fare anche un distinguo “concettuale” dell’uso del termine di utopia. Nel senso che un conto è parlarne a livello personale – e quindi in termini di sogno, speranza, ideale morale, spinta a realizzare un mondo migliore, eccetera – un conto a livello universale, un conto al livello politico. Mi sembra che l’accezione del termine, almeno filosoficamente parlando, sia soprattutto politica. e il problema nasce là, almeno storicamente, perchè si è visto in cosa si sono risolte le varie “utopie” possibili. Non solo comunismo, nazismo, regimi autoritari vari, ma anche rivoluzione francese, e perchè no, anche impero romano (anche quella era un’utopia), o più recentemente esportazioni più o meno forzate della democrazia.
    Anche l’utopia cristiana, nella sua realizzazione terrena storica, ha svelato poi la sua natura poco utopistica e molto politica, al pari di altri vagheggiamenti di regimi a natura religiosa, nel passato remoto, prossimo, e anche nel presente.
    L’utopia personale, invece, fa parte della sfera intima, della coscienza, al pari della morale, dei sentimenti, e dovrebbe essere lasciata alla libertà individuale, come appunto dovrebbe avvenire per la coscienza e la morale, come aspirazione che può appunto tendere all’universale, ma senza avere la pretesa di arrivarci.
    altrimenti avremmo, oltre le dottrine di stato, le economie di stato, le morali di stato, le religioni di stato, anche le utopie di stato, e francamente non credo che ce sia proprio il bisogno.

  50. cara simona, ammiro la tua convinzione e la tua ricerca
    però, mi pare, che storicamente la tendenza di far concidere la legge umana con quella divina, non solo sia un’utopia, ma sia anche pericolosa. Una legge umana basata su una presunta “interpretazione” della legge divina a me fa paura.
    Forse sarebbe meglio che la giustizia umana restasse nell’ambito di ciò che è “di Cesare”, cercando di rendere al meglio questo servizio proprio a Cesare.
    antigone, tra l’altro, si pone anche un altro interrogativo. Oltre a chiedersi se sia più giusto obbedire alle leggi divine o a quelle umane, si chiede chi sia il vero inteprete di quelle divine, se le leggi scritte, o la nostra coscienza: ad un certo punto dice: “Per me non fu Zeus a emanare quella legge” e quindi mi pare proprio che contesti la pretesa del re di fare derivare la legge umana da quella divina.
    un saluto a tutti e pure ad antigone

  51. Carissima Giorgia,
    è bello, bellissimo, intuire il pericolo. Avere paura. La paura è necessaria. Ci fa allertare i sensi. Induce alla riflessione.
    Tuttavia ciò che intendevo dire è che l’utopia non è riportare in terra la legge del cielo.
    E’ essere consapevoli dello scarto tra le due dimensioni.
    Perchè è questa profonda coscienza dello scarto a renderci umili. A farci “maneggiare” con profondissima attenzione la legge umana. Il processo. L’interpretazione della legge. A renderci sempre “servi inutili”.
    Antigone dice bene quando si chiede da chi promanino certe leggi.
    Ma il senso profondo della sua domanda non è trovare il vero (o il giusto) interprete. E’ chiederselo.
    —–
    ….dimenticavo: Antigone mi sussurra in un orecchio di abbracciarti forte forte (sempre per restare in tema di sedute spiritiche!!!)

  52. Cara amiche, consentitemi di chiamarvi così,devo fare i complimenti alla bellezza dello spirito delle donne che scrivono qui e con cui ho grande piacere nel confrontarmi.
    Detto questo,tornerò più tardi,perchè questo post è una calamita ed è un’utopia restar lontani da letteratitudine per più di un giorno…cara Giorgia io forse vengo dal mondo parallelo delle …”parallele e dei funanboli” sempre in cammino sul filo della vita in costante equilibrio e disequilibrio.
    un bacione a tutte

  53. Ciao Massimo,
    con questo dibattito hai dato voce ai miei pensieri perché proprio in questi giorni mi sto interrogando sull’utopia. A proposito delle espressioni “famose” che hai citato, mi sembrano sagge e vere entrambe. Credo che trovare l’essenza dell’una o dell’altra sia ancora una volta, e sempre, questione d’equilibrio personale. In effetti, una stessa ragione (e visto che parliamo di utopia, potrebbe essere la speranza di una conclusione “ragionevolmente” improbabile) può portare la serenità di un sogno benevolo, e quindi la forza per affrontare il ritorno a realtà più crude, oppure l’angoscia che deriva dalla debolezza dell’anima. O forse da una coscienzaa troppo caparbiamente sveglia che vede troppo bene i limiti. Mi dispiace, lo spazio è poco…

  54. @francesca giulia (detta funambola)
    ecco un’altra streghetta… ci sarà forse lei dietro gli interventi … “platonici”?
    come diceva qualcuno (forse era cocteau, spero di non dire fesserie) “i gesti dell’equilibrista sembrano assurdi a chi non sa che egli cammina sull’abisso e sulla morte”
    non c’entra niente, però mi piace un sacco.
    baci

  55. Avevo promesso di togliermi dalle balle, e invece torno (come Claudel “mi riservo, con fermezza, il diritto di contraddirmi”).
    Torno perchè proprio Simona mi dà lo spunto nel suo confronto della legge umana con quella divina, ma affermo in particolare la necessità di consapevolezza di quanto le due siano in realtà distanti (così si intende più chiaramente dopo il suo ultimo intervento, dopo le perplessità manifestate da Giorgia) per sottolineare che proprio questo anelito a realizzare il pradiso interra generi le mostruosità cui assistiamo anche oggi. E mi riferisco alle teocrazie degli Ayatollah, o dei Talebani. Cosa sono se non tentativi di realizzare l’utopia in base alle leggi coraniche?
    Non sono mostruosità l’Iran e l’Afghanistan di oggi? E non era una mostruosità il nostro “Stato della Chiesa? (che forse manco aveva intenti utopistici)
    Ma vorrei scendere anche nel più piccolo, nel più quotidiano, e parlare p.e. di architettura, l’architettura di certe epoche (recenti) impregnate di ideologia. Penso al Corviale (chi sta a Roma sa a cosa mi riferisco): un ecomostro di quasi 2 Km. con con dentro 1202 appartamenti e circa 4500 abitanti (IACP-ISTAT 1991-1993; ma più di 8.000 per l’Anagrafe di Roma), immaginato per essere un’abitazione popolare moderna, quasi una città autosufficiente ispirata a Le Corbusier, secondo me qualcosa di molto vicino all’utopia architettonica-urbanistica, divenuto invece nella realtà uno dei simboli più emblematici del degrado cittadino.
    Chi non lo conoscesse direttamente ma avesse letto il racconto “La città involontaria” di Anna Maria Ortese (in “Il mare non bagna Napoli”) può farsene un’idea, anche se in realtà nel racconto si parla dei “Granili” di Napoli (furono anche questi generati da un’utopia urbanistica? Questo non lo so dire con certezza, ma in fondo credo di si).
    Non posso che ribadire quanto ho già affermato ieri: “accontentiamoci di sognare le utopie, ma impegnandoci a realizzare programmi più concreti, alla nostra portata, con obiettivi raggiungibili”.
    L’utopia, a volerla realizzare, genera facilmente i mostri.

  56. …e allora continuo con un altro post. A proposito del libro in argomento, non mi interrogherei troppo sull’opportunità di una rilettura, quanto sull’attualità e sull’efficacia maieutica dello scritto in relazione alla domanda. Più semplicemente: non mi pare che il libro inviti ad utopici traguardi quanto al seguire, invece, la ricerca interiore dei protagonisti che passa attraverso prove extraterritoriali alle loro proprie realtà.
    E’ forse troppo fantastico credere in qualcosa e cercare ogni strada per realizzarla? Penso proprio che sia una fase della vita di ognuno, quella propositiva, se poi non riusciamo perché il compito si rivela troppo gravoso, per qualsiasi ragione, ecco che avremo inseguito un’utopia!
    Ma quando riesce quello in cui noi soli credevamo, ecco la concretizzazione di un sogno! Comunque, un viaggio nel paese di utopia vale sempre la pena purché non perdiamo di vista il fatto che si tratta, appunto, di un viaggio. Del resto “La vita è sogno”, se dobbiamo credere a Calderon de la Barca

  57. Maril, concordo con te.
    Leggevo qualche anno fa VA’ DOVE TI PORTA IL CUORE. La parte finale mi rimase impressa, perché diceva che dovremmo essere come gli alberi, radicati in terra ma protesi verso il cielo.
    Realismo e utopia, realtà e sogno, sense and sensibility, altrimenti è lo squilibrio, la dissociazione.

  58. carlo, non sono d’accordo con quello che dici. non del tutto, almeno . insisto nell’affermare la necessità di distinguere il sogno dall’incubo. alcuni degli esempi che tu citi, secondo me, non hanno nulla a che fare con la voglia di realizzare l’utopia, ma con il desiderio di strumentalizzarla per fini biechi. ecco il discrimine: quando l’uomo cerca di strumentalizzare un’utopia, o di adattarla, è probabile che crei una mostruosità.
    Lo ripeto, al potere salvifico dei sogni non ci rinuncio.

  59. sottolineo anch’io questa frase di maril.
    – Ma quando riesce quello in cui noi soli credevamo, ecco la concretizzazione di un sogno! –

  60. Il sogno della ragione genera mostri…
    La razionalità – quando non diventa razionalismo fine a se stesso – e l’idealismo possono convivere. Sono come la mano destra e la sinistra.
    Giorgia, la frase sul funambolo è bellissima. L’equilibrio è la chiave di tutto. Per non cadere nell’abisso, per non morire, il funambolo bilancia i suoi passi. Avanza pareggiando spinte opposte.
    Simona, tu sai bene che giustizia e legge sono cose spesso opposte. Che il vero magistrato è colui che umilmente si pone in ascolto, che cerca di rispondere con equilibrio a richieste opposte, che tenta di risarcire la ferita, la mancanza, l’oltraggio.
    Utopia è anche quella letteraria, anzi quella artistica è l’utopia per eccellenza: ri-creare il mondo, cercare il bello, il vero, il giusto, trasfigurarli e restituirli a chi contempla l’opera.

  61. Sono moltissimi commenti – più tardi li voglio leggere con calma.

    Sono d’accordo con entrambe le massime proposte da Massimo, o volendo con nessuna delle due.
    Gli è che l’utopia non è un panorama che deve stare nel cielo dei sogni, e neanche nella terra della concretezza. Quando sta nel cielo del sogno è relegata all’impossibilità, ma quando è schiacciata nella terra si chiama dominio. Tutti gli stati etici – dal comunismo sovietico al nazismo tedesco hanno una sinistra parentela coll’utopia, eppure tutte le nostre migliori conquiste ne hanno un’altra di altro tipo. L’utopia deve stare nel nostro orizzonte psichico ecco, nel nostro desiderio, un luogo mentale dove guardare continuamente. Verso cui provare quella che Horkheimer chiamava die Sehnsucht nach den ganz Anderen, “la nostalgia del totalmente altro”. Questa nostalgia di un’ordine perfetto che un tempo c’è stato e che vorremmo tanto che possa tornare e speriamo torni, è l’ingrediente principale del messianesimo ebraico. E sono in molti a ritenere che il bello per il pensiero ebraico e per la sua traduzione intellettuale e laica (marx e la tradizione marxista, freud e la tradizione psicoanalitica) è proprio l’industriarsi a che il regno dei cieli avvenga, la sua venuta effettiva e definitiva in realtà interessa di meno.

  62. Salve a tutti.
    Sono Antonio Lanza, il “responsabile inconsapevole” dei 90 post arrivati sinora sul tema utopia.
    Innanzitutto desidero ringraziare pubblicamente Massimo perchè non solo ha voluto dare notizia nel suo blog della nostra iniziativa, ma – ancora meglio – ha creato un fervente dibattito in merito all’utopia. Non potevo aspettarmi di meglio.
    @letizia: grazie per aver voluto esprimere apprezzamento per le domande contenute nel mio scritto.
    Ho letto con attenzione la discussione che è nata su questo bellissimo blog in merito al significato di utopia e tutti i riferimenti letterari-filosofici che ne sono sorti: splendido.
    Vi dirò: quando una tarda mattinata del 9 settembre 2009 noi organizzatori abbiamo tirato fuori il concetto di utopia, ne abbiamo privilegiato esclusivamente il significato positivo. Strano, certo. Come può avere un significato positivo una parola che è composta da due elementi, il primo dei quali è ou=non, negazione assoluta (almeno in una delle due etimologie possibili)?
    Domani proverò a spiegare il nostro ragionamento. Intanto, anche se frettolosamente, desideravo lasciare traccia di me tra questi bellissimi commenti.
    A tutti una buona serata!

  63. @zauberei
    “nostalgia del totalmente altro” 🙂 🙂 🙂
    altro non solo nel senso di ordine, ma anche nel senso di persona… immagino. O no?

  64. Zauberei: in fondo concordiamo con te nel ritenere che l’utopia abbia un valore soprattutto regolativo…
    Come obiettivo, orizzonte intangibile ma visibile della nostra esistenza.
    Il cristianesimo parla di GIA’ E NON ANCORA: il famoso regno dei cieli è potenzialmente presente ma sta a noi realizzarlo.

  65. – Giorgia no come persona mi sa di no. E’ una roba un po’ platonica ecco: Platone ha quel concetto per cui c’è l’idea del bene che è perfetta e bellissima ad essa collegate tutte le idee belle, noi le abbiamo viste una volta tutte queste cose bellissime, e poi le abbiamo dimenticate. Sicchè ricordare diventa la forma dell’etica. Ricordare qualcosa di irrimediabilmente perduto e cercare il più possibile di fare una copia qui…
    ma con misura aggiungiamo, perchè come diceva Carlo Esse, con cui mi accorgevo di essere d’accordo dopo, l’utopia e la forca so cuginette. (Carlo Esse non diceva proprio così ma vabbè).
    – Si Maria Lucia me ne rendevo conto leggendo gli altri commenti!
    Utopia come ideale regolativo.

  66. Bellissimo post. Cerco di rispondere ad una domanda per volta. Comincio con le valutazioni contrapposte di Utopia. Voto senza dubbi Oscar Wilde. Il suo concetto di Utopia è bellissimo perché spinge l’ anelito dell’ uomo ad un mondo migliore verso un traguardo infinito, Raggiunto un traguardo si va oltre e, raggiunto il prossimo traguardo si va ancora oltre, e così via. Non importa che si raggiunga il traguardo della perfezione. E’ importante che non si spenga l’ anelito all’ assoluto. Non vorrei essere blasfema ma mi viene da associare questo concetto all’ evangelico “Siate perfetti come è perfetto il Padre Mio. E’ chiaro che nessuno può essere perfetto come il Padreterno ma la tensione è quella di raggiungerLo. Mi viene in mente la dinamica tra essere e dover essere di Fichte. Anche qui il traguardo della pienezza morale è irraggiungibile ,
    ma è la stella che fa luce al nostro cammino. Wilde, Cristo, Fichte. Tre
    figure assolutamente diverse, ma in tutte e tre in forme e misura diverse lo stesso anelito. Vorrei ricordare anche Balducci che parlava del realismo
    dell’ utopia in quanto, se non si consegna la guerra alla preistoria, diceva Balducci, l’ umanità rischia il suicidio. L’ utopia è necessaria sopratutto oggi . Nella deriva morale a cui assistiamo l’ anelito ad un mondo più giusto è necessario. Spesso di confonde l’ Utopia con il vaneggiamento, il sogno ad occhi aperti. Secondo me l’ Utopia è progerttualità, costruzione di un mondo che ancora non c’ è ma potrebbe esserci.
    Seconda domanda. E’ possibile trovare la gioia nei luoghi più disagiati?
    Credo di di. Alex Zanotelli che ha vissuto 12 anni a Korogocho, un’ immensa baraccopoli con le fogne a cielo aperto, Alex, dicevo che ha vissuto come i baraccati, esposto come loro all’ agguato dell’ AIDS ha provato la gioia della condivisione della sofferenza. Ma non è rimasto passivo. Ha insegnato loro a lottare con le armi della non violenza per l’ affermaxione dei loro diritti. Ha formato con loro delle comunità operose che frugando tra le discariche, come cercatori d’ oro, raccoglievano qualunque cosa potesse essere trasformata in oggetti di
    artigianato povero. Le Botteghe del Commercio Equo e solidale vendono collane, bracciali, spille di legno intagliato e intarsiato.
    ” La città della gioia” resta ancora un libro degno di essere letto per il messaggio che ci consegna: condividere la vita degli ultimi ci dà una serenità gioiosa e ci stimola a porci la finalità di un mondo giusto e fraterno. Ecco di nuovo l’ utopia. “Ho un sogno” diceva Martin Luther King. Per una volta il suo sogno è diventato, almeno in piccola parte,
    realtà. Il figlio di uomini strappati alla terra africana e ridotti in schiavitù,
    è diventato il Presidente degli Stati Uniti d’ America.

  67. zauberei, intendevo persona tra virgolette… o persona metafisica, come ti pare, diciamo che può essere una “persona” che può essere un luogo che può essere una condizione che può essere una dimensione che può essere un’idea… come lo dici non cambia molto. sempre totalmente altro rimane, posto da cui siamo stati allontanati, o essere da cui siamo stati staccati.
    quanto al resto, moderazione, sempre; ragione, e una buona dose di sano sospetto…
    ciao

  68. Cari amici, grazie di cuore per i numerosi commenti pervenuti.
    Ne approfitto per salutare: Franca Maria, Zauberei, Maria Lucia , Giorgia… e ancora: Letizia, Carlo S., Maril (bentornata!), Francesca Giulia, Simona, Terzapagina, Vincenzo…
    (perdonatemi se ho dimenticato qualcuno)

  69. una “persona” che può essere un luogo che può essere una condizione che può essere una dimensione che può essere un’idea…
    arghhhh!

    Giorgia, cos’hai mangiato a cena? 😉
    Un bacio.

  70. Dò il benvenuto a Letteratitudine ad Antonio Lanza, il “responsabile incosapevole” (come dicevamo).

    Antonio, pensavo di inserire (in aggiornamento a questo post) il testo vincitore del “festival dell’utopia” che hai organizzato.
    Se vi fa piace, s’intende…

  71. Devo dire che non mi aspettavo un dibattito così vivo… partito da un concetto per certi versi “antico” (e obsoleto?) come quello dell’ utopia.
    Grazie davvero.

  72. Alcuni dei vostri commenti sono contrastanti eppure, in un modo o nell’altro, tendono a convergere. Del resto il concetto stesso di utopia è ambivalente, sfuggente…
    Credo che si siano creati i presupposti per un’utile occasione di riflessione (per me è così).
    E spero che la discussione possa continuare…

  73. massimo, è prosa post- metafisica sperimentale a-sensoriale… ultime tendenze, non ti sei aggiornato.

    ma scusa… come sarebbe, un fantasma? ma questo Platone non era un giornalista de La Repubblica?

  74. Bellissimo post Massimino, mi prendo un po’ di tempo per rispondere a delle domande di portata non indifferente. Nel frattempo però vi leggo con estremo interesse.
    Però ecco, ho passato l’estate in Etiopia che ha una strana assonanza con Utòpia detto all’inglese.
    E’ la prima cosa che di questo posto mi ha colpita, il suo nome.
    Del Paese più povero nel mondo pensavo tante cose che non sono vere. Soprattutto non immaginavo di vedere così tanti sorrisi, e miracoli come cani randagi grassi e benvulti dalla gente. Cioè, ma come è possibile che un popolo di gente denutrita si metta a perder tempo a guardare un tramonto?
    Ma l’uomo è complicato e pieno di risorse inimmaginabili. e i suoi bisogni spirituali sono misteriosamente acuiti dalla mancanza di risorse materiali.
    Lì è così, lo senti proprio forte, e difficile fare finta di non capire.
    🙂

  75. buongiorno a tutti. bello il commento di faustina.
    e bella anche la domanda : come è possibile che un popolo di gente denutrita si metta a perder tempo a guardare un tramonto?
    la domanda , ovviamente, è posta dal punto di vista di un popolo di gente grassa ed indaffarata.
    dal loro punto di vista la domanda potrebbe essere rivoltata: come è possibile che un popolo di gente ipernutrita non riesca a guadagnare il tempo per guardare un tramonto?

  76. L’Utopia è grande e misera al contempo è il ritratto di ogni uomo, ma ogni uomo che ha incontrato il dolore e lo ha dovuto affrontare ha scoperto il significato più profondo della gioia, allora se ogni cosa esiste perchè esiste il suo contrario, anche la realtà può scaturire dall’utopia, come dal dolore può nascere la vera gioia e mi giunge alla mente una straordinaria frase di K.Gibran “Il dolore è l’involucro che chiude la vostra comprensione, come il nocciolo del frutto deve rompersi, affinché il suo frutto possa stare al sole, così voi dovete conoscere il dolore”.
    Ma è il tempo che fa comprendere e trasformare il dolore, ma ogni società lo percepisce in un modo diverso, il tempo è ritmo frenetico nell’Occidente ma forse anche qui il dolore impone una pausa, nei Paesi poveri dove il dolore è quotidiano diventa una coperta che ti avvolge e ti stringe per farti più male, ma allora dove e come l’utopia può sollevarci dal dolore, forse basta solo fermarsi e comprendere? Forse si, per fermarsi basta anche leggere “La città della gioia” , anche solo qualche pagina e già tutto ha un altro sapore.
    Simona

  77. Sì, ma attenzione che qualcuno potrebbe pensare di sconfiggere la fame del mondo lasciando morire di fame chi la soffre.

  78. Ciao Massimo, ma non ti sfugge proprio niente, eh!?
    Un ultimo piccolissimo post sull’utopia per sostenere ancora che bisognerebbe affrancarla dal dominio dell’intellettualismo nel quale le elucubrazioni di grandi filosofi, forse involontariamente, l’hanno relegata, o dalla dimensione metafisica che accoglie l’intangibilità concettuale ingombrante. BAsta anche considerarla come Lete dei perdenti o nefasto demone dei fannulloni; nonostante la fama di inconsistenza essa appartiene alla realtà della quale costituisce il contraltare, l’innegabile termine di paragone che ispira, non solo commenti, bensì miglioramenti allo statu quo. E’ il “doppio” indivisibile di una realtà materiale nella quale “utopi” è il motore degli scicenziati, degli innovatori, scopritori, coloro che “sognano” che la strada continui anche dove non si vede più.
    La “città della gioia” è spinto verso un grande obiettivo sostanzialmente di tipo umanitario, ma non dimentichiamo il magistrale “la città del sole”, nel quale l'”eretico” Campanella interpreta, supera ed impiega le idee di Platone, convive con quelle di BAcone e precorre Moore nel disegnare la mappa di uno stato che, se realizzato, ridurrebbe sensibilmente la ragione di esistere degli aiuti umanitari. Altre che utopia!
    Ciao MAria Lucia, Letizia, tutti

    MAril

  79. Sono ancora Antonio Lanza, rieccomi finalmente!
    Ieri pomeriggio, commentando la parola “utopia”, avevo lasciato il mio primo commento in questo blog scrivendo: “Come può avere un significato positivo una parola che è composta da due elementi, il primo dei quali è ou=non, negazione assoluta (almeno in una delle due etimologie possibili)?
    Scrivevo così perchè quando, nello stendere il progetto, abbiamo tirato fuori la parola utopia, ne abbiamo voluto esplorare soltanto i suoi aspetti positivi.
    Eccone il motivo.
    Abbiamo pensato a un’utopia – diciamo così – minimalista, scevra da qualsivoglia implicazione ideologica, un’utopia che possa concretamente porsi al servizio della nostra città, che possa migliorarne l’aspetto, una forma di resistenza contro chi ci ha abituati a pensare che le cose sono immodificabili. Il binomio su cui abbiamo infatti puntato le nostre risorse umane e intellettuali è il seguente: utopia e città. Un’utopia al servizio della città, e una città non sorda all’utopia. A fare da collante tra questi due termini ci sono i giovani. E’ su di loro che scommettiamo per la riuscita del nostro progetto. Sono loro che, finalmente stimolati a farlo, dovranno dare via libera ai loro sogni, alle loro idee. Sogni e idee per cambiare la città, renderla più bella, a loro misura. Utopie, certo, che però verranno innanzitutto inverate dalla e nella scrittura (i ragazzi dovranno cimentarsi con poesie, racconti e articoli giornalistici tramite cui avanzeranno le loro proposte) e successivamente l’idea più bella potrebbe anche venire realizzata…
    Abbiamo insomma guardato ad Utòpia come a quel regno di cose possibili che non sono state ANCORA realizzate SOLTANTO perché nessuno ANCORA si è messo a sognarle. “Sognando si può”, potrebbe essere il nostro motto simil-obamiano.
    Nel pensare a questo progetto abbiamo avuto in mente la guida spirituale di un libro e questo libro bellissimo, multiforme, ingegnoso è “LE CITTA’ INVISIBILI” di Calvino. Un libro la cui lettura avevo sempre rimandato e che invece Alfia Milazzo mi ha consigliato di intraprendere proprio nei giorni in cui lanciò a me e ad altri l’idea del progetto. Una scoperta irripetibile, tanto che ne ho citato alcune righe sul Manifesto.
    Sarebbe ancora più stimolante questo nostro dibattito (e chiedo a Massimo se è d’accordo) se potessimo confrontarci su questo libro di Calvino, sicuramente uno dei più belli e dei più letti, ovviamente senza per nulla trascurare il tema centrale del post, ossia l’utopia. Chi di voi si è imbattuto nelle CITTA’ INVISIBILI? Secondo voi è possibile cambiare la propria città con la forza delle idee e dei sogni? Vi propongo in sostanza un minimo cambio di rotta: L’UTOPIA E LA CITTA’. Quando qualcosa che sembrava PURA UTOPIA si è invece REALMENTE concretizzata nelle vostre città? Nel mio prossimo commento dirò la mia.
    Naturalmente, in quanto ospite del tuo blog, Massimo, chiedo la tua approvazione.
    Per quanto riguarda l’eventuale pubblicazione sul tuo blog degli elaborati vincenti, io personalmente sono d’accordissimo, anzi sarebbe un modo per far proseguire il dibattito e dare notizia di quanto svolto dai nostri ragazzi. Ancora un abbraccio a Massimo: che bello il tuo blog!!!!!

  80. non ho mai letto ‘le città invisibili’ di calvino, pur avendone sentito parlare bene. il tuo precedente post mi stimola a recuperare questo deficit di lettura..

  81. @ Antonio Lanza
    Il riferimento all’utopia (positiva) applicato alle città mi sta benissimo. Se qualcuno si volesse cimentare, sarebbe il benvenuto.
    Azzeccata anche la connessione con “Le città invisibili” di Calvino (opera che amo molto).

  82. Massimo, mi permetti?

    Il libro “La città della gioia” mi è stato donato nell’85, subito dopo la sua pubblicazione in Italia, da una cara amica affinché guardassi la realtà con occhi diversi da come avevo cominciato a guardarla, in balìa – com’ero – di un malessere esistenziale che non pensavo si abbattesse su di me.
    L’ho letto senza saltare una parola proprio per trovare motivi di speranza e, se vogliamo, di utopia, giacché senza utopia la vita e il cielo non hanno né colori né sapori.
    Ebbene, ultimata la lettura, son come rinato. Ho ripreso cioè a sperare che il grigiore e l’apatia esistenziali si allontanassero dal mio animo. E in effetti sono riuscito a scacciarli più presto del previsto.
    “La città della gioia”, ovvero Anand Nagar (India) per certi aspetti ha cambiato la vita a Dominique Lapierre e anche, seppure in misura assai minore, a me.
    Detto questo, per rispondere alle tue domande, vorrei citare le parole testuali di Lapierre contenute nel suo libro-testimonianza. Dice: “Ho incontrato gente (a Anand Nagar) che non ha niente e tuttavia possiede tutto. In tanta bruttura, nel fango e nella sporcizia ho scoperto più bellezza e speranza che in molti dei nostri paradisi. E soprattutto ho scoperto che questa città disumana ha il magico potere di creare dei santi”. Ossia, aggiungo io, delle persone che – confidando nella loro utopia – riescono a contagiare il prossimo, infondendogli coraggio, intraprendenza, ossia una buona dose di ottimismo, e dignità anche nelle situazioni più disperate e disperanti.
    Un libro da rileggere o far leggere, insomma, sia nei momenti tristi, di sfiducia, sia nei momenti lieti.
    Ciao, e grazie. A. B.

  83. volevo tornare al problema sollevato da antonio sulla città,che mi stuzzica molto, anche se non ho tempo…

    Lascio alcune osservazioni di corsa, anche se il problema è molto complesso e meriterebbe ben altri approfondimenti.
    L’utopia applicata alla città ha un nome: urbanistica. L’urbanistica è una scienza (o arte, o entrambe le cose) che ha questo scopo, creare la città ideale, perfetta, sin da quando è nata, età ellenistica, Ippodamo di Mileto, e dintorni. Proprio perché legata al concetto di polis, si tratta di una disciplina evidentemente fortemente politica, là dove polis non ha solo il significato di città fisica, ma di organismo civile, amministrativo, culturale, economico. Quindi l’urbanistica nasce proprio come espressione materiale, architettonica, delle esigenze della polis, sotto il profilo pratico, ma anche ideologico.
    Così le cose sono continuate, per secoli, a fasi alterne, e se sostituiamo al concetto di polis quello di res publica non cambia niente. In situazioni di “regime” (mi riferisco all’impero romano, perché quello conosco meglio, però si può applicare anche in altre epoche) l’urbanistica come le altre forme di arte diventano più che altro l’espressione del potere, la sua celebrazione; e l’intento pratico, di gestione della “cosa pubblica” viene oscurato da quello ideologico, anche se il primo non scompare mai del tutto, perché in ogni caso resta viva anche quell’esigenza, che può più o meno coincidere con la seconda.
    Le forme di governo che hanno un’urbanistica sono in genere quelle più evolute, o comunque quelle in cui il concetto di “cosa pubblica”, di “polis” è ben definito. Storicamente, la cura della città scompare in periodi caotici (non necessariamente oscuri, ma sicuramente caotici), per esempio tardo antico, medioevo, quando ci sono altre esigenze e non c’è più la percezione di “città”, di “ stato”, né da parte di chi governa né da parte di chi è governato. La dissoluzione della città “fisica”, in questi periodi, è la metafora della dissoluzione della città (sempre nel senso di “polis”) ideale e politica.
    Poi l’urbanistica ritorna nel Rinascimento, nel barocco (in Italia meridionale con i Borboni) che la usano in maniera assolutamente all’avanguardia, e via così, sempre oscillando tra un interesse pubblico e uno privato, cioè di celebrazione del sovrano.
    A voi trarre le conseguenze e applicarle a quanto accade oggi: nessun concetto di “res publica”, evidentemente, da parte di chi governa e di chi è governato. Non so però se ci conviene sperare nello spirito di autocelebrazione di qualche “sovrano illuminato”.

  84. scusate se come al solito faccio entrare la storia dalla porta e pure dalla finestra… ma non posso farci niente, è più forte di me!

  85. Ausilio B., acquisterò il libro di Lapierre. Ti sei preso una grande responsabilità con quel post che hai scritto:“La città della gioia”, ovvero Anand Nagar (India) per certi aspetti ha cambiato la vita a Dominique Lapierre e anche, seppure in misura assai minore, a me.
    Ma grazie 🙂

  86. Anche a me sono piaciuti entrambi i commenti. Molto poetico quello di Ausilio ed estremamente professionale quello di Giorgia. Però a questo punto un dubbio mi sorge. Non è che stiamo esagerando? Di questo passo andrà a finire che tutti vorranno trasferirsi ad Anand Nagar, alla ricerca di un paradiso dell’anima che poi così paradiso non è. Siamo sicuri che quei poveri sfigati siano felici di trainare il risciò, con i polmoni in fiamme e i piedi gonfi? E avere amputata una gamba in cancrena, senza uso di anestetici, con un cane che aspetta di ghermirla per cibarsene, siamo proprio certi che sia il massimo della loro aspirazione? Diciamo che quei poveretti accettano con disumana rassegnazione il loro stato, in quanto non hanno alternativa. Certo, bagliori fugaci di felicità si possono anche trovare nelle piccole cose, nei gesti quotidiani, nel porgere o ricevere una carezza ma nessuno ci impedisce di aspirare a qualcosa di più tangibile.

  87. Vi racconto una storiella, sintomatica per far capire come spesso le persone più umili siano anche le più generose e nobili d’animo. A vent’anni avevo deciso di emigrare a Milano, in cerca di lavoro, e mi serviva un posto dove dormire. Un mio amico, trasferitosi prima di me, si offrì di ospitarmi. “Ma come” obiettai, “siete già in sei, figli e moglie. E in più so che svolgi lavoretti saltuari e non ve la passate tanto bene”.
    “Non preoccuparti” mi disse, “dove moriamo di fame in sei, possiamo morire di fame anche in sette”.
    Io rimasi colpito dalla sua filosofia di vita, perà alla fine decisi di andare ad alloggiare da un’altra parte.

  88. Certo che tutti aspirerebbero a migliorare. Tuttavia, credo sia questo il senso del discorso, certe situazioni disagiate favoriscono paradossalmente la crescita inferiore. Non è un caso che il tasso di suicidi interessi maggiormente i paesi più ricchi.

  89. @Massimo.
    Sono contento che l’idea ti sia piaciuta, ancor di più il fatto che ami “Le città invisibili”. Sapevo della trasposizione in chiave aziendale dell’opera di Calvino per averne letto sul tuo blog.

    @Letizia
    grazie mille per gli auguri. E’ inteso che se ne avessi la possibilità (non so – ovvio – di dove sei) saresti la benvenuta alla Villa delle Favare di Biancavilla, dove appunto si terrà la manifestazione. Sai qual è la scommessa di noi organizzatori? Quella di sconfessare le malauguranti e pessimiste Cassandre, che già pregustano il nostro fallimento. Se la città fosse adeguatamente sollecitata e rispondesse al richiamo della cultura, questa iniziativa potrebbe non restare un unicum. Bisognerebbe mostrare ai nostri amministratori che non solo di notti bianche si nutre la vita dei ragazzi, ma ci sono altre richieste, spesso disattese.
    Spero che dai partecipanti ci giungeranno così tante proposte da lasciarci a bocca aperta e far riflettere qualcuno. Sarebbe avvilente se l’apatia avesse già contagiato anche i più piccoli, che neppure loro siano in grado di immaginare le cose diverse da come sono. La mia personale paura è che, incapaci di adoperare un po’ di spirito critico, le più giovani generazioni finiscano per accettare TUTTO QUELLO CHE STA LORO INTORNO, TUTTO QUELLO CHE ACCADE, senza neanche badare al fatto che NON PER FORZA le cose devono andare così.

  90. Se città della gioia significa sguazzare nella miseria, perchè ci diamo tanto da fare per raggiungere il benessere? La pancia piena fa brutti scherzi.

  91. semplifichi troppo, felice muolo. il libro di lapierre fa capire che anche nella miseria è possibile trovare la gioia. così come, dico io, anche nell’opulenza e nel benessere è possibile sguazzare nell’infelicità.
    la pancia vuota fa scherzi peggioridi quella piena. non c’è dubbio.
    buona cena.

  92. “D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda” scrive Calvino nelle “Città invisibili”.
    Ora, non potendo pensare che Biancavilla riesca a soddisfare TUTTE LE DOMANDE dei suoi cittadini, ci auguriamo una pioggia di proposte.

    Faccio un esempio: se hai 10 anni e per una serie di cause imperscrutabili, oltre ad amare – toh – il calcio, ti incuriosisce il bellissimo gioco degli scacchi, ma i tuoi genitori non conoscono le regole e a nessuno dei tuoi amici frega un accidenti di torri, alfieri e regine, cosa fai? Sacrifichi un tuo desiderio (duraturo o passeggero, che importa?) solo perchè hai avuto la sventura di provare curiosità per qualcosa che non ti allinea al resto dei tuoi amici?
    No. Vai in biblioteca e chiedi se per caso esiste un libro che spiega le regole di questo gioco. E se per caso il bibliotecario si stringe nelle spalle e ti dice che purtroppo libri di questo tipo non ne possiede, non pensi che Biancavilla stia venendo meno ad un suo dovere, e cioè quello di rispondere positivamente a una tua esigenza?
    Ecco, è questo che vorremmo che i ragazzi ci dicessero: IN CHE OCCASIONE LA TUA CITTA’ NON HA SAPUTO RISPONDERE A UNA TUA DOMANDA, A UN TUO BISOGNO, A UNA TUA NECESSITA’?
    Una domanda che rivolgerei anche alle sapienti risposte dei frequentatori/fruitori di questo blog.
    Anche il blog di Massimo è un “servizio” in più che viene offerto al pubblico di internet.
    Se non ci fosse, ci sentiremmo tutti un po’ più poveri, no?

  93. Io senza Maugeri mi sentirei più ricco. (Con tutti i soldi che gli ho prestato e ancora mi deve restituire).

  94. Leggete qui Calvino:
    “Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.”
    A QUALE DELLE DUE CATEGORIE PROPOSTE DA CALVINO PENSATE APPARTENGA LA VOSTRA CITTA’?

  95. Ricordo agli amici di Letteratitudine il primo seminario della prima edizione del “FESTIVAL DELL’UTOPIA” di Biancavilla (Catania):

    venerdì 6 novembre, ore 16.00: LORETTO RAFANELLI, poeta bolognese, sul tema: come si scrive una poesia.

    QUALCUNO DI VOI LO CONOSCE? NE HA LETTO I VERSI? LO HA MAI INCONTRATO?

    Io ho avuto il piacere di ascoltarlo quest’estate in più di un’occasione al Festival “ISOLA POESIA” a Catania, Acireale e Acitrezza. In particolare ricordo una sua lirica dedicata alla città dei Malavoglia e ai suoi pescatori: bellissima.

  96. Siracusa è inquinata dalle industrie. Pur essendo patrimonio UNESCO, subisce devastazioni ecologiche e urbanistiche anche in aree protette…
    Leggendo LA CITTA’ DI DIO mi sono resa conto che anche la grande utopia cristiana è concretissima: non ha senso creare sulla terra la Città Ideale. Il senso del nostro vivere qui è la tensione verso la Città di Dio, che si realizzerà alla fine dei tempi. Qui e non ancora. Nell’Apocalisse si parla della Gesuralemme celeste che discenderà dal Cielo…

  97. Caro signor Lanza,
    grazie delle sue riflessioni e della sua iniziativa che ci ha dato modo di confrontarci su questo tema bellissimo.
    Ci potrebbe dire come partecipare ai seminari? Questo sulla poesia mi interesserebbe moltissimo…

  98. @maria lucia
    ecco, appunto, anche noi abbiamo le nostre “città della gioia”…
    a taranto c’è una incidenza di tumori infantili più alta d’europa. non c’è bisogno di andarsi a cercare il dolore in India, anche se mi rendo conto che là è molto più esotico.
    @antonio
    i bambini di taranto vorrebbero giocare a pallone, o anche soltanto passeggiare per strada, senza rischiare di schiattare.

    —–
    siamo arrivati all’assurdo che consideriamo utopia quello che dovrebbe essere semplicemente un diritto

  99. @ Giorgia. E di cos’altro mi devo privare? Mi sono rimasti solo gli occhi per piangere.

  100. Carissimi amici, caro Massimo,
    come mi manca non essere sempre presente alla “mia” casa madre Letteratitudine.
    Stasera ho preso una vacanza dalle cose della vita per leggere i commenti a questo interessante dibattito.
    Desidero ringraziare Antonio Lanza per il bellissimo Manifesto “UTOPIE D’AUTUNNO”, scritto in modo delizioso, mi ha fatto ritornare indietro agli anni delle mie utopie.
    Tra i tanti commenti ho letto con attenzione quello di Giorgia riguardo all’urbanistica.
    Io credo, solo adesso, che questa scienza (Arte) sia la negazione dell’utopia, del sogno – uno degli esempi è la Brasilia di Oscar Niemeyer, città nata come giocattolo Lego, opera d’arte immensa, ma dal destino inumano. L’architettura è solo il bisogno delle avanguardie culturali di esprimere la loro superiorità attraverso la costruzione della bellezza, che è parte del sogno (Utopia), ma non tutto.
    Io penso che, quando le polis hanno smesso di crescere stratificandosi culturalmente, secondo le esigenze sostenibili della gente, seguendo ordini consuetudinari e sono state prese in carico dai governi e dalla politica sono diventate si utopia, ma nel senso più negativo: vi è stato impedito il sogno, è stata soppressa la creatività popolare a beneficio delle elitées dominanti (Fritz Lang aveva ragionissima nel 1927 con Metropolis).
    L’utopia, questa ricerca compendio, quasi religiosa (e le monoteiste lo sono – utopiche nella loro trascendentalità intendo) della perfezione altra, è un bisogno filosofico giovanile, si rarefa attraverso la saggezza degli anni, ed è un peccato, aveva ragione Erasmo da Rotterdam: “Se solo gli umani sapessero, quale bene è la follia…”

    @Zappulla tu lo sai!

  101. l’utopia è sogno a prescindere, è la luce nel buio che ci indica una strada da percorrere, è movimento, l’utopia è significato esistenziale; certo ognuno si aggrappa alla sua perciò è innegabile che imporre la propria è atto di violenza proprio per questo – la mia- me la tengo stretta e cammino, con la speranza di incontrarne di simili ma anche di nuove da condividere, da inseguire.
    Se poi questo non si concretizzerà, pazienza… l’importante è il viaggio non la meta, quella spesso è irraggiungibile.
    Se non credessi in questo smetterei di respirare

    Era da tanto che non passavo di qua, un saluto a tutti

    stefano

  102. @Maria Lucia Riccioli:
    quanto prima ti dirò come puoi partecipare. Ci si dovrebbe innanzitutto iscrivere, ma ancora le modalità le dobbiamo decidere. Ma, se come deduco dal tuo commento, abiti a Siracusa e sei interessata all’evento, basta che ti trovi a Biancavilla (CT) il 6 novembre e potrai tranquillamente assistere al seminario di Loretto Rafanelli. Intendo dire che, considerando che vieni da fuori, potrai anche non esserti preventivamente iscritta e partecipare all’incontro. TI ASPETTIAMO!
    Per quanto concerne Siracusa, Priolo: conoscevo già il problema, ma è un crimine che da nessuna parte (nei tg regionali, per esempio) si parli di questo.

    @Giorgia
    Grazie Giorgia per aver voluto raccontare il problema della tua città, ed è angosciante che, come dici tu, quello che dovrebbe essere normalità per i bambini (passeggiare, giocare all’aperto) sia diventato utopia. Ecco, era proprio questo tipo di problemi che volevo che fossero sollevati dai frequentatori di questo blog. IN COSA LA VOSTRA CITTA’ DISATTENDE LE VOSTRE ASPETTATIVE? Ci sono realtà, come abbiamo visto da Giorgia, in cui utopia è persino fare due passi… Sai, Giorgia, l’anno scorso ho letto un bel romanzo di un bravissimo scrittore pugliese che tu sicuramente conosci: MARIO DESIATI. Il libro è “Il paese delle spose infelici”, è ambientato (se non sbaglio) a Martina Franca, la cui aria però è avvelenata dal Siderurgico della vicina Taranto. Ho appreso da lì e da alcune notizie che passano silenziosamente in televisione del problema inquinamento e morti per tumore che caratterizza Taranto.
    Anche Biancavilla “vanta” qualche morto l’anno per tumore alla pleura, ma qui non ci sono industrie che appestano aria e polmoni, ma un minerale killer: l’amianto. Se volete saperne di più, basta mettere “amianto a Biancavilla” sul motore di ricerca…

    @Francesco Di Domenico Didò
    grazie per l’apprezzamento che hai voluto fare al mio scritto.

  103. Passo di qui per puro caso. Sono rimasto molto, molto colpito da questa vostra discussione. Non pensavo che su internet potesse trovarsi qualcosa del genere. Grazie, ne avevo bisogno. Farò girare il link attraverso i miei contatti in posta elettronica.

  104. Lessi il libro di Dominique Lapierre tanto tempo fa e ne conservo ancora il ricordo forte, il senso di attraversamento nella pelle e nella carne. E’ un libro utilissimo perché aiuta a guardarsi dentro anche se riguarda realtà a noi apparentemente distanti.
    Ed ecco i due opposti:
    vivere nel disagio più nero e morire di fame, da una parte
    vivere nell’opulenza eccessiva, dall’altra.
    La mia personale utopia è la seguente: stare bene con me stessa e con gli altri prendendo, e accettando, tutto ciò che è necessario per me e per la mia famiglia, come un insetto che succhia il nettare dai fiori lasciando integra la bellezza. Tutto il resto, il sovrappiù, va donato agli altri. E quel donare porta frutto.
    Questa è la mia personalissima utopia.

  105. «L’utopia dà un senso alla vita perché esige, contro ogni verosimiglianza, che la vita abbia un senso» (Claudio Magris, Utopia e disincanto, Garzanti 1999).

  106. Più che da un circolo incessante di idee, l’utopia deriva dal bisogno . il mio bisogno, a proposito di città, era quello di trovare una dimensione aperta ed un mondo capace di guardare e guardarti con occhi multipli. L’ho trovata qui a Londra, la mia dimensione, abbandonando la mia città natìa. e non me ne sono pentito, pur con tutte le difficoltà che qui non mancano. CIao.

  107. Letizia, allora occupiamoci a riempire la pancia vuota di chi ce l’ha e lasciamo perdere l’utopia che, a panicia vuota, non regge neanche un po’.

  108. sono d’accordo. riempire la pancia a chi ce l’ha vuota è una gran bella utopia, forse la più grande del secolo.

  109. Immaginate un disoccupato, con due figli da sfamare.
    Immaginate che il disoccupato trovi 2000 euro in strada.
    Immaginate che li restituisca al legittimo proprietario.
    Sarebbe un’utopia?

  110. @ francesco di domenico didò
    condivido la tua valutazione sul fallimento dell’urbanistica

    @antonio lanza
    anche io ho letto e apprezzato il libro di desiati, e anche io vengo da martina.
    spero che a biancavilla siate più determinati e fortunati, e che riusciate a risolvere il problema amianto. in bocca al lupo per questo e anche per la tua iniziativa!

  111. @Giorgia
    Giorgia, sei per caso la scrittrice Giorgia Lepore, l’autrice di “L’abitudine al sangue”?
    A Biancavilla l’atteggiamento diffuso in merito ai rischi dell’amianto è di totale rassegnazione. I più liquidano il problema con un’alzata di spalle e con la battuta, non so quanto spiritosa, che tanto si deve morire comunque un giorno… Consueto fatalismo meridionale? Da voi com’è il clima generale in merito al problema? Vi battete o lasciate che tutto scorra?
    Crepi il lupo per la nostra iniziativa e… crepi di nuovo il lupo per il problema amianto…
    Biancavilla sta cercando di risolvere il problema bitumando le strade, in modo che le polveri killer rimangano intrappolate e non si alzino in aria. Il problema però è presso che irrisolvibile, sai perchè? Gli esperti hanno riscontrato che l’amianto è presente in una cava, detta Monte Calvario, da cui per decenni le manovalanze locali hanno estratto il materiale per edificare le case. Adesso il risultato è che l’amianto ce l’abbiamo “in casa”. Ovviamente ai tempi dell’estrazione, non si era a conoscenza della presenza dell’amianto. Ora la cava è stata chiusa, ma siamo ancora distanti dalla risoluzione del problema.

  112. @Antonio. Permettimi di dirti, senza ironia alcuna, che sembri uscito da una favola. Hai un candore straordinario. Immagino sarai giovane e pieno di entusiasmo. Sono stato parecchie volte a Biancavilla, conosco soprattutto il centro e mi sembra una cittadina ben tenuta, ordinata e pulita. Ben vengano tutte le iniziative atte a produrre crescita civile e cultura. Anche se a livello amatoriale, anche se svolte per distogliere i giovani da altre attività meno nobili. Giorgia Lepore è proprio lei, la grande, unica, incommensurabile Giorgia Lepore, scrittrice di fama internazionale. Io sono andato a piedi fino a Bari per farmi fare l’autografo. Ma nel blog ci sono tanti altri scrittori e giornalisti famosi. C’è Didò, che non appena sarà uscito dal manicomio, tornerà fresco e lucido come prima; Renzo Montagnoli, critico letterario e poeta; il giudice Simona Lo Iacono, fresca vincitrice del premio Vittorini opera prima. Potresti invitarne qualcuno per dare spessore alla vostra iniziativa.

  113. @ Antonio Lanza
    Caro Antonio, ti confermo (l’ha già fatto Salvo) che la Giorgia di cui sopra è Giorgia Lepore autrice de “L’abitudine al sangue” (Fazi editore), che immagino tu abbia conosciuto – qui a Letteratitudine – nel corso del dibattito sul “romanzo storico”.
    (Giorgia, firmati con nome e cognome, please) 🙂

  114. @ Felice e Letizia
    Ahimé – utopia o non utopia – la piaga della fame del mondo aumenta
    http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2009/10/fame-mondo-aumenta.shtml?uuid=1f39b890-b8ac-11de-aca8-54b9b3d67ee0&DocRulesView=Libero
    Un problema immane che non si può far finta di non vedere.
    Ma a proposito di utopia, mi è piacuto questo intervento di Vera (ciao e grazie):
    La mia personale utopia è la seguente: stare bene con me stessa e con gli altri prendendo, e accettando, tutto ciò che è necessario per me e per la mia famiglia, come un insetto che succhia il nettare dai fiori lasciando integra la bellezza. Tutto il resto, il sovrappiù, va donato agli altri. E quel donare porta frutto.
    Questa è la mia personalissima utopia.

  115. rinnovo i miei auguri ad antonio lanza per la sua iniziativa. credo ci sia molto da lavorare per formare le coscienze e far aumentare la consapevolezza degli individui, non solo a riempire le pance di chi ce le ha vuote.

  116. @Salvo zappulla
    Permettimi di replicare (bada, senza acredine) che non sono uscito da nessuna favola, ma può darsi che mi sbagli: non le conosco bene io, le favole; e può darsi che invece tu sia a conoscenza di alcune rare versioni a tinte fosche in cui – toh – Biancaneve, a causa dell’amianto, agonizza per due settimane a causa di tumore maligno alla pleura, tra atroci sofferenze, lenite solo dai sedativi e infine dalla morte. Perchè, caro salvo, io anche di questo ho parlato nei miei commenti: di amianto, di tumori, di messa in sicurezza della nostra città… Se ti sembrano favole, queste, o indizio di ingenuità… ops, di candore, accomodati… A me sembra più “candido” il tuo commento su una Biancavilla che, per averla visitata “parecchie colte” e di cui conosci soprattutto “il centro storico”, ti sembra – parole tue – “una cittadina ben tenuta, ordinata e pulita”… Ma sono solo delle mie considerazioni…
    Per quanto concerne la presenza sul blog di Massimo di scrittori, giornalisti, poeti, giudici: sono contentissimo, perchè tengono alto il livello del dibattito…
    Tengo anche presente la tua proposta di invitare anche loro al festival. Come dicevo, speriamo di non fermarci alla prima edizione. Quanto allo spessore della nostra iniziativa, crediamo che essa ne abbia già di suo. Hai visto chi abbiamo invitato?

  117. @letizia
    ti ringrazio nuovamente per gli auguri… Ti faremo sapere come è andata tramite il blog di Massimo, se lui è d’accordo. Grazie ancora…

  118. @Massimo
    Penso che Desiati sia un punto fermo della nostra giovane narrativa. Cito spesso il suo nome quando mi si dice che la narrativa italiana non produce niente di buono. “Il paese delle spose infelici” ha tutti i crismi per rimanere negli anni. Ricordo che l’ho letto assaporandone la scrittura, densa e corposa. L’avevo vinto alla trasmissione radiofonica “Fahrenheit” di RADIO3, che ogni giorno mette in palio il romanzo dello scrittore invitato. E’ stato una fortuna che lo abbia vinto, quel libro, perchè altrimenti non l’avrei mai comprato. Sai perchè? Avevo precedentemente letto “Vita precaria e amore eterno” e non mi aveva entusiasmato… e invece “Il paese delle spose infelici” mi ha fatto ricredere.

  119. Ringrazio e saluto tutti coloro che hanno preso parte al dibattito sull’utopia. In particolare, chi lo ha avviato, Maugeri e Lanza. Saluto Salvo Zappulla, che frequenta anche Biancavilla, e lo ringrazio per le parole che ha scritto su Biancavilla. Trovo infatti che il mio paese, dal quale sono fuggita a 18 anni per poi ritornarci a 40, abbia comunque, nonostante i problemi gravissimi evidenziati da Antonio, un apprezzabile aspetto estetico. Lo sforzo dei nuovi amministratori è visibile e certo, molto ancora si può e si deve fare. Il Festival dell’Utopia è espressione anche di una volontà di ascolto da parte della politica, che bisogna saper cogliere come una grande opportunità. Numerosi sono stati i dibattiti sul ruolo degli intellettuali rispetto al governo delle città, e questo Festival sebbene totalmente apolitico, vuole essere un richiamo nei confronti degli intellettuali a partecipare alla maniera platonica, se volete, alla costruzione di una città a misura del desiderio di bellezza e di serenità che ogni cittadino si porta dentro. Per questa ragione, da direttore artistico della manifestazione, ho affidato ai giovani talenti del paese l’organizzazione e la promozione del Festival, perchè, fuori da ogni retorica, in loro è da cercare la rinascita della città. Le città invisibili di Calvino sono state una scoperta che devo allo scrittore Salani Luca Randazzo, mio caro amico e docente di uno dei seminari, autore di un bellissimo romanzo per ragazzi ispirato a Calvino appunto, dal titolo Le città parallele. Parlando con lui, durante la presentazione del suo libro a Catania e a Biancavilla in aprile, ci era venuta l’ispirazione di un evento di formazione collettiva dedicato ai ragazzi e all’utopia. Poi con Antonio Lanza, l’Ass. Scaccianoce di Biancavilla e l’amico bibliotecario Scirocco, siamo giunti a formulare l’idea del Festival. Antonio sta lavorando molto e bene. Antonio hai detto che la Adelphi ha deciso di sponsorizzare l’evento? E che il 22 novembre, giorno della premiazione, è previsto un evento dedicato a Sciascia?
    Non dico altro, solo VI INVITO TUTTI A PARTECIPARE

  120. @Gentile Alfia Milazzo, se mi fa avere il bando che illustra le vostre iniziative, vorrei avere il piacere di pubblicarlo su Pentelite, una rivista culturale che curo io.

  121. @Salvo Zappulla, la ringrazio molto per la sua disponibilità. Non riesco ad aprire il suo indirizzo mail. Me lo potrebbe inviare a alfiamilazzo@libero.it? Le spedirei al più presto il bando. Colgo l’occasione per farle i complimenti per la rivista e per le sue opere dedicate ai bambini (le ho molto apprezzate, e anche i miei figli).

  122. Letizia, riempire la pancia a chi ce l’ha vuota non è utopia ma obiettivo concreto e raggiungibile, giusto per non disconoscere gli sforzi e i risultati delle associazioni umanitarie, e non solo, che agiscono in tal senso.

  123. @Massimo (e di riflesso @Salvo)
    Considerami già lì, Massimo… aspetta però che dò un’occhiata alla cartina, vediamo dove cade esattamente il punto a metà strada tra le due città… ecco, va bene: un caffè a quest’ora ci sta!!!

  124. Felice,
    è doveroso e necessario impegnarsi per raggiungere quest’obiettivo, direi (soprattutto oggi, considerato che i dati ci dicono di un aggravarsi della fame del mondo), da parte delle associazioni umanitarie, dei singoli e dei governi. Su questo credo che tutti – anche Letizia – saranno d’accordo.

  125. @ Antonio
    Il posto si chiama “bar dell’utopia”, ma fa il caffè più buono che ci sia.
    🙂
    Ho pubblicato un nuovo post (e siete tutti invitati a partecipare), ma qui (se volete) la discussione continua.

  126. @Alfia Milazzo
    Che la Adelphi abbia voluto sponsorizzare il nostro Festival non l’avevo ancora anticipato. Ci hai pensato tu a farlo, molto opportunamente. E suppongo che entrambi lo riveliamo al pubblico del blog di Massimo (in cui – dico sul serio – mi sento già a casa) con una punta di soddisfazione. Forse anche più di una punta. Per un Festival alla prima edizione è una grande vittoria.
    Perchè Adelphi?
    Avendo voluto intitolare il premio a “Leonardo Sciascia, un sogno fatto in Sicilia” ed essendosi lo scrittore di Racalmuto più volte misurato con il tema Utopia, ci è sembrato doveroso quantomeno tentare di coinvolgere quello che oggi è l’editore della sua opera completa. E la casa editrice guidata da Roberto Calasso ci ha accordato il patrocinio inviandoci alcuni testi di Sciascia, che poi andranno in premio ai vincitori delle singoli sezioni in cui è suddiviso il premio. L’idea di base è sempre quella di far circolare i libri e, se il proposito non suonasse utopistico, accendere la passione per la lettura nei ragazzi.

  127. @Massimo

    Ottima idea, penso, quella di invitare me e Salvo Zappulla A META’ STRADA. Ci sarebbe meno conflittualità, no?, se ci venissimo sempre incontro. E poi… l’invito a QUEL bar, il bar dell’utopia, è irresistibile… Ho dato un’occhiata al nuovo post… vedo di intervenire…

  128. @Antonio. Il mio voleva essere un complimento bellissimo,(candore = purezza d’animo) anche se la mia linguaccia ironica ogni tanto mi fa andare fuori strada. Tutto a posto. Possiamo andare pure a cena, a Catania. Naturalmente mettiamo tutto sul conto di Maugeri

  129. @ Antonio
    Ti confermo che Salvo è un bonaccione (e che ero certo che il suo,rivolto a te, fosse un complimento).
    Ha un grande difetto, però: tira a campare scroccando pranzi e cene agli amici.
    E mangia pure tanto 🙂

  130. @Antonio Lanza Faccio a te e all’organizzazione del Festival grandi auguri,è un’iniziativa bellissima e necessaria.La mia utopia personale è che nelle città “difficili”,anche come la mia Napoli,non si perda la voglia sincera del fare,non ci si addormenti sotto la crosta dell’indifferenza,non ci si conformi all’arroganza che ci circonda,non ci si abbandoni al senso di impotenza,ma si cerchi sempre la forza di cambiare e di guardare oltre il proprio giardinetto.Un’utopia che getta un seme che esce dal mero sogno e si fa progetto,come una nascita che si apre alla vita e ne urla al mondo l’esistenza.
    complimenti e auguri per tutto

  131. @Alfia Milazzo. Grazie per le belle parole. Le ho già inviato la mia mail, spero sia arrivata.

  132. @Salvo Zappulla
    Se ho risposto in quel modo è perchè nelle tue parole ho subodorato dell’ironia gratuita… Tutto a posto. Resta comunque il fatto che non mi riconosco, e ci tengo a ribadirlo anche pigliando per complimento il tuo primo commento, nella definizione di “candido”…
    Discorso chiuso.
    Sono contento che tu abbia voluto pubblicizzare la nostra iniziativa sulla tua rivista.

  133. @Francesca Giulia
    Mi piace sottolineare tra le belle cose che hai scritto, questa: “non ci si addormenti sotto la crosta dell’indifferenza”… e ciò vale soprattutto nelle nostre città difficili… Grazie, Francesca Giulia, per gli auguri, ma i complimenti li rigiro a te e a tutti quelli che hanno mostrato interesse verso il Festival dell’Utopia: complimenti a tutti per la sensibilità!

  134. @Francesca Giulia
    Continuo a pensare alla CROSTA DELL’INDIFFERENZA. Molti non vogliono rimuoverla perchè temono il sangue che ne sgorgherebbe.

  135. L’Utopia ha sempre avuto e sempre avrà un senso. Il sogno di una società ideale è anche la pietra di paragone con la realtà. Se noi non siamo in grado di verificare quanti e quali scostamenti ci siano da un ideale non potremo mai migliorarci. E poi un sogno è sempre il rimedio per il grigiore quotidiano, una parentesi irreale che consente di sopportare meglio la realtà.
    Dignità e forza si trovano soprattutto nei luoghi e negli ambienti più disagiati, dove si lotta per la vita, ma dove anche si combatte per migliorare la vita.
    Perchè non rileggere La città della gioia, perchè nasconderci dietro i paraventi del nostro mondo per ignorare le tragiche realtà di buona parte del pianeta? Anche se nel caso specifico si può parlare di distopia, tuttavia una visione pessimista dell’umanità costiuisce un altro stimolo per migliorarla.

  136. FESTIVAL DELL’UTOPIA DI BIANCAVILLA (CT)

    Lunedì 9 novembre, ore 16.00: il giornalista parlamentare LUCIANO GHELFI del TG2, in occasione del ventennale dalla caduta del Muro di Berlino, confronterà i tre servizi RAI che furono realizzati in quello storico giorno. Il suo seminario verterà sul tema: come si scrive un redazionale televisivo.

    L’INVITO E’ RIVOLTO A TUTTI!!!

  137. @salvo zappulla, non ho ricevuto nessuna mail da parte sua. Può rispedirmela, per favore?
    @tutti
    Rivolgo inoltre un invito a tutti i grandi scrittori e poeti che frequentano letterattitudine non solo a partecipare di persona ai seminari, ma anche a partecipare virtualmente con una lettera di una cartella dedicata al tema dell’utopia e della città. Le vostre “riflessioni” saranno esposte nella sala delle conferenze della Villa delle Favare e costituiranno una sorta di percorso di approfondimento sull’argomento. Un segno, un vostro dono ai ragazzi del festival, una roadmap fatta di fogli da leggere “al volo”, una giostra di testi che raccoglieremo e, se sarete daccordo, pubblicheremo insieme ai lavori dei docenti dei seminari e dei vincitori del premio. Sono convinta che la generosità con la quale avete aderito al dibattito inaugurato dal nostro grande e importante “padrone di casa” Maugeri, debba trovare una “foce” argomentativa nel corso del festival. Di questo tesoro da voi creato sarebbe auspicabile rendere testimonianza a tutti coloro che prenderanno parte ai seminari. Grazie a tutti di cuore. Per l’invio potrete usare la mail del festival: festivaldellutopia@gmail.com

    Vi segnalo infine il nuovo sito del poeta Loretto Rafanelli http://www.lorettorafanelli.com. Qui nella sezione attività si parla del nostro festival.

  138. @Slvo: “C’è Didò, che non appena sarà uscito dal manicomio, tornerà fresco e lucido come prima; Renzo Montagnoli, critico letterario e poeta”

    E infatti stiamo parlando di Utopia…, preciso riguardo a me, perchè Didò è abituato ad andare in manicomio per conversare con persone normali, in quanto i matti non stanno lì, ma fuori!

  139. @Renzuccio. Non fare il finto modesto, sappiamo tutti quanto sei bravo a recensire libri. Ma poi, da dove ti viene, con quattro giorni di ritardo, andare a ripescare questo intervento. Didò ormai è andato, povero ragazzo, che i diavolacci abbiano pietà della sua anima.

  140. @Renzo mi dispiace. Agli animali si vuol bene come ai bambini, anche io ne ho una in casa. Mia suocera invece continua a resistere, nonostante vari tentativi di avvelenamento. Se vuoi te la mando, potresti tenerla al posto della cagnolina, magari ti ci affezioni.

    Per quanto riguarda Didò ormai, dicevo…è andato con la testa, non lo recuperiamo più, pare che ultimamente ne abbia combinato di tutti i colori ma preferisco non entrare nei dettagli per rispetto alla sua memoria. (Mi raccomando, che queste cose rimangano tra noi)

  141. Caro Renzo, conosco indirettamente – attraverso la grande tristezza che mi hanno talvolta trasmesso amici e familiari – il dolore che si prova per la morte d’un animale domestico. Mi dispiace.
    Non so se hai visto l’ultimo dolcissimo film di Kurosawa, “Madadayo – Il compleanno”. Ad un certo punto la storia descrive meravigliosamente questo dolore.
    Un saluto affettuoso a te e a quel caro monello di Salvo.

  142. @Gaetano: non ho visto il film di Kurosawa, ma mai come in questo caso (ho avuto altri animali domestici, come cani e gatti) il dolore per la sua scomparsa è stato così intenso. Ha vissuto undici dei suoi quasi 15 anni con me (era una trovatella del canile) e con me ovviamente ha trascorso anche momenti brutti, e poi non posso dimenticare che mi ha salvato la vita. Grazie, Gaetano.
    @ Salvo: E invece ti lascio tua suocera; chissà che tu non riesca ad addomesticarla. Che animale hai in casa?
    @Didò: vieni a difenderti!.

  143. @Renzo. Ho un cocker spagnolo (femmina) originale. Un animale dolcissimo che mi sta sempre addosso. La adoro. L’altro giorno il veterinario mi ha detto che forse aveva preso la leishmaniosi e ho tremato al solo pensiero di poterla perdere. Poi per fortuna le ha riscontrato solo una dermatite e la sto curando. Ti capisco benissimo.

  144. A me viene da pensare alla famosa pellicola di Vittorio De Sica ”Miracolo a Milano” – probabilmente uno dei suoi migliori lavori registici. Pertanto credo che l’Utopia sia una grazia delle persone illuminate e mi ritrovo (almeno in buona parte) nell’assunto di Oscar Wilde.
    Senza utopia non c’e’ buona Letteratura. A mio avviso. E non pretendo di dire assoluti, ma solamente parzialissime e criticabilissime opinioni personali.

  145. @ Alfia e Antonio
    Magari si potrebbero realizzare delle brochure (anche in forma “artigianale”… cioè in fogli A4 stampati con una normalissima stampante) dove inserire i contributi a vostro giudizio più interessanti pervenuti in questo post. Insomma, si potrebbe realizzare un piccolo libro da distribuire ai partecipanti alla manifestazione.

  146. QUESTO E’ IL SITO UFFICIALE DEL FESTIVAL DELL’UTOPIA DI BIANCAVILLA, CON CALENDARIO COMPLETO DEGLI INCONTRI:

    http://www.magiedautunno.wordpress.com

    Visitatelo e iscrivetevi mandando una mail a festivaldellutopia@gmail.com indicando solo NOME E COGNOME, e inserendo come OGGETTO la sezione cui volete partecipare, ad esempio: POESIA, o RACCONTO, o LA REALTA’ IMMAGINATA, o GIORNALISMO, a secondo dei vostri interessi.

    Grazie!

  147. Amici di Letteratitudine,

    oggi pomeriggio parte la manifestazione “Festival dell’Utopia” DI BIANCAVILLA (CT)

    Ospite: LORETTO RAFANELLI

    Ore 16.00

    Sala conferenze di Villa delle Favare

  148. Oggi ho partecipato alla serata conclusiva del “Festival dell’Utopia” Di Biancavilla.
    Una bellissima festa!
    Mi complimento con l’Amministrazione comunale di Biancavilla – per la sensibilità mostrata – e gli organizzatori: soprattutto Alfia Milazzo e Antonio Lanza.

  149. Ho aggiornato il post inserendo un video sul “Festival dell’Utopia” di Biancavilla (dal TG3 Sicilia di ieri) e il comunicato con l’indicazione dei nomi dei vincitori della competizione letteraria.

  150. Estimate Inteligenzie;
    che coltivano assiduamente questo orticello dello ‘scontentamento attivo’,
    qui si discerne o disquisisce di Utopia, presumibilmente di Sinistra.
    L’Ideologia non ci puo`permettere di dormire sonni tranquilli, ora che il Mondo è gomito a gomito come non mai. La Globalizzazione trabocca di ‘Atei’; personaggi di malaffare, arrivisti e spergiuri con corte di stolti.
    Questo è il vero pericolo per chi crede nella superiorità del messaggio d’Ordinamento Antico, quello che paesi come la Cina e la Russia Moderna testimoniano ancora oggi. Nel mezzo India e Brasile, attente al loro delicato equilibrio interno, ma non per questo attori di secondo piano sullo scacchiere del dare e avere.
    All’ angolo blu abbiamo gli Americani, a corto di fiato e di ‘svalutazione’.
    La Moderna Russia è ella stessa un Utopia(Italia Katastrophe!)?.
    Secondo il mio ignorabile parere; il disequilibrio cagionato da un economia reale interna fortemente clientelistica, non puo`spingere un vero movimento prepositivo dal basso come i discorsi piu`recenti del Premier Russo vogliono ‘velatamente’ spronare negli animi Sovietici.
    Nell’ Italietta di Silvio e del lettone con le molle che gli ‘avrebbe’ regalato Putin; non vi resta che … ripartire da valori sicuri e inossidabili.
    Qui da me, nella ridente Svissera si sente odore di bruciato … piu’ che di arrosto, dopo la normalizzazione dei rapporti bancari esteri.
    L’Italia ha bisogno di un ponte verso l’ Euro-Asia:Comunista e Neo-Liberal-Comunista. Che sia materiale è da escludere, piuttosto conoscitivo delle reciproce particolarità ed esigenze evidenziabili da un dotto disquisire.
    Il Bel Paese ha ancora molto da dare; come specchio ancora giustamente attento alla propria ‘immagine’, quanto meno si spera nella Storia Politica Europea. Ma una nicchia di buon gusto esiste e resiste ancora; alla barbarie da sottosviluppati che ‘galantuomini assortiti’ esercitano liberamente da Nord a Sud. Questo è il riflesso che fà il Bello, soventemente allo Straniero. Ispira al meglio o al peggio.
    All’ Italiano forse nè uno nè l’altro; e questo è un vero dramma morale.
    Certa Televisione che conta o ha il ”Conto” o il ”Super” davanti è da incenerire dallo sdegno, per la velata arroganza che la pervade già nel nome che si è data. Spero profondamente che la società Italiana abbia prima o poi un moto di coscienza e si riporti verso costumi piu`rispettosi delle varie entità che la compongono.
    Spensieratamente vostro.

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