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lunedì, 29 dicembre 2008

LA MORTE DI HAROLD PINTER E IL TEATRO OGGI

Come è noto, il 24 dicembre è morto Harold Pinter: drammaturgo, regista teatrale, attore teatrale britannico. Ha scritto per teatro, radio, televisione e cinema. I suoi primi lavori sono considerati fra i capolavori del teatro dell’assurdo.
Come ha sostenuto Alessandra Serra in “Harold Pinter, Teatro” (Einaudi): «Le prime rappresentazioni delle opere di Harold Pinter furono massacrate dai critici. Ad eccezione di Harold Hobson, scrissero tutti che era un autore eccentrico, inaccettabile, incomprensibile, che non aveva nulla da dire. Oggi forse è l’autore [vivente] più rappresentato al mondo ma, come dice egli stesso, «Adesso sono diventato comprensibile, accettabile, eppure le mie commedie sono sempre le stesse di allora. Non ho cambiato una sola battuta!». »
Nel 2005 gli fu tributato il Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: “nelle sue opere scopre il precipizio che si nasconde sotto i discorsi oziosi di ogni giorno e entra con forza nelle stanze chiuse dell’oppressione”.
Di seguito troverete due articoli: il primo, pubblicato dal settimanale “Panorama”; il secondo, firmato da Paolo Petroni per l’ “Ansa”. Troverete anche quattro risposte di Pinter a quattro domande (fonte: Il Giornale).

Vi invito a dire la vostra per ricordare Pinter e le sue opere (se ne avete voglia).
Tra le varie citazioni attribuite al Premio Nobel appena deceduto, ho trovato questa (mi sembra particolarmente interessante): “non dimenticate che la terra ha circa cinquemila milioni di anni, come minimo. Chi può permettersi di vivere nel passato?”
Già! Chi può permettersi di vivere nel passato? Che ne dite?

Poi – visto che Pinter era un uomo… “da palcoscenico” – vi invito a discutere proprio sul teatro.
Che rapporti avete con il teatro? Lo amate? Lo detestate? Vi lascia indifferenti?
Il teatro vi sembra in crisi? Qual è la vostra percezione?

Segue una domanda provocatoria…
Ritenete che il teatro abbia dignità uguale, inferiore o superiore alla narrativa e alla poesia?
A voi la parola… rinnovandovi gli auguri per il nuovo anno.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI   126 commenti »

giovedì, 11 ottobre 2007

DORIS LESSING VINCE IL NOBEL PER LA LETTERATURA 2007

Doris LessingDiamo la notizia in tempo reale (h. 13): Doris Lessing, autrice britannica nata in Iran – ex Persia – (nel 1919) ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura 2007. Come al solito le voci della vigilia si sono bruciate nell’aria fritta che le aveva generate. Nelle ultime ore si parlava di una probabile vittoria di Claudio Magris (dimenticando la recente attribuzione del Nobel a un italiano: Dario Fo). Gli altri nomi che circolavano erano Philip Roth, Les Murray, Vargas Llosa, Amos Oz.

La Lessing è un’autrice nota – in Italia la pubblicano Feltrinelli e Fanucci- ma la sua vittoria quest’anno era piuttosto inattesa. Ecco la motivazione del Premio: “that epicist of the female experience, who with scepticism, fire and visionary power has subjected a divided civilisation to scrutiny”.

(“cantrice dell’esperienza femminile, che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa”).

I suoi libri più importanti sono: L’erba canta, Le nonne, Il taccuino d’oro, Il senso della memoria, Sotto la pelle.

Videointervista di RaiNews24 a Doris Lessing (precedente al Premio)

Riporto di seguito la biografia di Doris Lessing pubblicata su Wikipedia Italia.

Poi aspetto i vostri commenti. Non mancate!

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Doris Lessing (22 ottobre 1919) è una scrittrice inglese, nata Doris May Tayler, a Kermanshah in Persia (Iran).

Il padre, un ufficiale britannico reduce della prima guerra mondiale, dove aveva sofferto diverse amputazioni, aveva sposato la madre di Doris, una infermiera, e si era trasferito in Iran dove lavorava come impiegato di banca. La sua famiglia si trasferì nella colonia inglese della Rhodesia del Sud (l’odierno Zimbabwe) nel 1925, conducendo la difficile vita dei coltivatori di mais. Sfortunatamente i mille acri di bush africano non divennero sufficientemente fecondi, ostacolando il desiderio della madre di vivere il sogno vittoriano delle “terre selvagge”.

Doris Lessing frequentò una scuola cattolica femminile, sebbene la sua famiglia non fosse cattolica. Anche come manifestazione del suo conflitto con la severità materna, lasciò la scuola all’età di quindici anni, divenendo da quel momento autodidatta.

Nonostante le difficoltà e un’infanzia infelice, le opere della Lessing sulla vita nell’Africa Inglese sono piene di compassione sia per le infruttuose vite dei coloni britannici sia per le sfortune degli indigeni.

Si è sposata due volte (entrambe seguite dal divorzio) e ha tre figli. Il secondo marito fu Gottfried Lessing, un emigrante tedesco. Il suo primo romanzo, L’erba canta, fu pubblicato a Londra nel 1949 (anno del secondo divorzio), dopo il suo trasferimento in Europa, dove ha vissuto da allora.

Nel 2001 fu premiata con il Premio Príncipe de Asturias nella categoria Letteratura per le sue opere in difesa della libertà e del Terzo Mondo e il Premio Grinzane Cavour. Ha ricevuto inoltre il David Cohen British Literature Prize.
Le opere della Lessing sono comunemente divise in tre periodi: Il comunismo (1944-1956) quando scrive radicalmente su temi sociali, Il tema psicologico (1956-1969) e il Sufismo che viene esplorato nella serie di Canopus. Dopo i temi sufisti la Lessing ha lavorato in tutte e tre le aree.
Il suo romanzo Il taccuino d’oro è considerato un classico della letteratura femminista da molti studiosi, ma stranamente non dall’autrice stessa. Il romanzo la fece entrare nella rosa dei possibili candidati al Premio Nobel, ma i suoi successivi romanzi di fantascienza l’hanno screditata, eliminandola dalla rosa dei possibili vincitori. La Lessing non ama l’idea di essere considerata un’autrice femminista. Quando una volta le chiesero perché, rispose:
« Quello che le femministe vogliono da me è qualcosa che loro non hanno preso in considerazione perché proviene dalla religione. Vogliono che sia loro testimone. Quello che veramente vorrebbero dirmi è ‘Sorella, starò al tuo fianco nella lotta per il giorno in cui quegli uomini bestiali non ci saranno più’. Veramente vogliono che si facciano affermazioni tanto semplificate sugli uomini e sulle donne? In effetti, lo vogliono davvero. Sono arrivata con grande rammarico a questa conclusione.»
Quando le chiedono quali dei suoi libri considera il più importante, la Lessing sceglie la serie fantascientifica di Canopus in Argos. Questi libri mostrano, da molti punti di vista, come una società avanzata può combattere l’evoluzione forzata (vedi anche il Ciclo delle Cinque Galassie di David Brin). La serie di Canopus è basata in parte sul sufismo, cui la Lessing fu introdotta da Idries Shah. I suoi primi lavori sullo “spazio interno” come Memorie di una sopravvissuta sono anch’essi connessi a questo tema.
A parte questo, ha scritto numerosi racconti sui gatti, che sono i suoi animali preferiti.

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Aggiornamento serale

Vi segnalo dei video su Repubblica Tv con impressioni a caldo della Nobel.

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AGGIORNAMENTO DEL 12 ottobre 2007

Fanucci Editore mi ha inviato un brano estratto del romanzo della Lessing che uscirà tra circa un mese, “Un pacifico matrimonio a Canopus”, inedito in Italia. Io ringrazio e pubblico.  Credo sia un buon modo per far conoscere meglio questa autrice non più giovane, ma fresca di Nobel.

Preciso che Canopus in Argos è una serie ambientata in un nuovo Cosmo ove il destino  della Terra dipende dalle interazioni di tre potenti imperi galattici.

(Massimo Maugeri)

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Nelle immense lande delle Zone, strani reami che circondano la Terra, si sta per celebrare un’unione le cui conseguenze potrebbero cambiare per sempre il destino del pianeta. La Zona Tre, un paradiso pacifico e matriarcale, è guidata da una mite regina, mentre la confinante Zona Quattro è una terra abbandonata alla guerra e al caos, schiacciata dal dominio del brutale re guerriero Ben-Ata. Il matrimonio tra i due, che rappresentano gli estremi princìpi di femminilità e mascolinità, minaccia di destabilizzare l’intero impero galattico e i reami delle Zone. In una potente commistione di mito, favola e allegoria, la stupefacente creazione visionaria di Doris Lessing riflette e ridefinisce la storia del mondo dalle sue più remote origini all’inevitabile e tragico processo di autodistruzione.

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Doris Lessing, Un pacifico matrimonio a Canopus , 320 Pagine, Euro 16,00, Collana: Collezione Vintage, Fanucci 2007, Traduzione dall’inglese di Eleonora Federici

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Prima edizione: ottobre 2007© – 1980 by Doris Lessing© – 2007 Fanucci Editore

Le dicerie portano pettegolezzi, ma ancor di più generano canzoni. Noi, i Cronisti e compositori della nostra Zona, dichiarammo che ancor prima che i partner di queste nozze esemplari comprendessero il significato che le nuove direttive avrebbero avuto sule loro vite, le canzoni erano nostre e venivano ampliate e composte da una parte all’altra della Zona Tre. E lo stesso accadeva nella Zona Quattro.

Il grande nel piccolo

L’alto nel basso

Il tre nel quattro

Non può funzionare,

Questa era una filastrocca per bambini. Li stavo guardando dalla finestra il giorno che seppi la notizia. E uno di loro mi corse incontro facendomi un indovinello che gli avevano insegnato i genitori: nell’unione tra un cigno e un papero, chi ha la meglio?Decidemmo di non registrare ciò che veniva composto o cantato negli accampamenti e nelle baracche della Zona Quattro. Non è per esprimersi con mezzi termini, ma piuttosto perché ogni cronaca deve avere il tono giusto. Sto dicendo forse che uno disdegnava l’altro? No, non ci è permesso criticare ciò che ci viene dato dai nostri Tutori, ma si può dire che nella Zona Tre non dimentichiamo. Una poesia burlesca di quei giorni suonava così:

Il tre viene prima del quattro

Da noi c’è pace e abbondanza

Da loro… la guerra!

Erano giorni lontani, prima che tutto accadesse. Mentre questo sposalizio era celebrato nell’immaginazione di entrambi i reami, i due protagonisti erano più preoccupati. Non capivano cosa si volesse da loro. Nessuno si era aspettato queste nozze. Nessuno ci aveva pensato. Le Zone Tre e Quattro se la cavavano bene, con l’aiuto di Al-Ith per noi e Ben Ata per loro. O così perlomeno pensavamo noi.A parte la questione delle nozze, c’erano moltri altri argomenti. Cosa significava che Al Ith fosse stata chiamata nel territorio di Ben Ata, cosicché lo sposalizio avesse luogo là? Era questo che ci chiedevamo. Che significato avevano queste nozze?A cosa portava questo matrimonio? Quando Al-Ith venne a sapere dell’Ordine, pensò fosse uno scherzo. Lei e la sorella ne risero. Tutta la Zona Tre sapeva quanto ne avessero riso. Poi arrivò un messaggio che poteva essere interpretato solo come un rimprovero, e le persone iniziarono a incontrarsi in consigli e conferenze in tutta la Zona. Ci fecero chiamare – i Cronisti, i poeti, i compositori di canzoni e gli archivisti delle Memorie. Per settimane non si parlò che di matrimoni e sposalizi, e ogni ballata e vecchia storia venne ripresa e riletta con attenzione, in cerca di informazioni.

Dei messaggeri vennero mandati nella Zona Cinque, dove pensavamo avessero luogo matrimoni di qualche tipo. Ma c’erano guerre lungo tutti i confini della Zona Quattro, e non riuscimmo ad entrare in quel territorio. Se il matrimonio doveva aver luogo seguendo deteminati riti, forse le Zone Tre e Quattro dovevano organizzare un vero e proprio festeggiamento? Ma queste Zone non potevano mescolarsi, erano nemiche per natura. Non eravamo nemmeno sicuri di dove si trovasse la frontiera. La nostra non era pattugliata. Gli abitanti della Zona Tre che vivevano vicino ad essa, se vi si avvicinavano per curiosità, soprattutto bambini e giovani, ne erano ripugnati, o almeno provavano una forte sensazione negativa per quell’atmosfera; sembrava un luogo in letargo, ed estremamente noioso. Non si può certo dire che la Zona Quattro provasse per noi attrazione o fascino per il proibito: la cosa più accurata che posso sostenere è che ce ne dimenticammo.

Forse avrebbero dovuto esserci due festeggiamenti distinti e simultanei, in ciascuno dei territori, così diversi uno dall’altro. Almeno avrebbe avuto un significato. Ma aveva senso? Dopotutto, festeggiamenti e celebrazioni non erano piaceri di cui dovessimo fare a meno. Forse dovevamo organizzare dei pranzi di nozze tra di noi per celebrare l’evento? Ci servivano nuovi vestiti? Addobbi per le strade? Regali? Tutto questo veniva raccontato nelle vecchie storie e canzoni.

Trascorse del tempo. Sapevamo che Al-Ith era giù di morale, e restava chiusa nella sua stanza. Non lo aveva mai fatto prima, era sempre stata disponibile con noi. Le donne erano arrabbiate e scoraggiate per queste nozze. I bambini soffrivano. Poi arrivarono i primi segni visibili della nuova èra. Ben Ata inviò un messaggio annunciando che i suoi uomini sarebbero venuti a prenderla per scortarla da lui. Questo era l’atteggiamento che ci aspettavamo dalla sua Zona. Un regno dedito alla guerra non aveva bisogno di un atteggiamento gentile. Era la prima prova che il nostro timore e riluttanza di essere maltrattati dalla Zona Quattro era giustificato.

Al-Ith era risentita, si ribellava a questo. Disse che non sarebbe andata.

Seguì un altro Ordine: diceva semplicemente che era obbligata a farlo. Al-Ith indossò il vestito blu da lutto, unica espressione dei suoi sentimenti che poteva ancora concedersi. Non diede alcuna istruzione per un Cordoglio, ma tutti ne sentivamo l’esigenza. La sentivamo in modo confuso e – sospettavamo – ingiustamente. Non siamo abituati a questo tipo di emozioni. Non abbiamo memoria di averle provate in passato. Come individui di questo regno non ci aspettiamo – non ci viene chiesto – di soffrire, piangere o gemere. Può forse succederci qualcosa che non accade ad altri in un altro momento? Il dolore per una perdita, per un lutto, è formalizzato, ritualizzato in pubbliche occasioni considerate canali e veicoli per i nostri personali sentimenti. Non significa che non proviamo sentimenti! Ma pensiamo che debbano essere mostrati e che servano a rafforzare un concezione di noi stessi e del nostro regno. Ma con questa scelta di Al-Ith, sembrava stesse accadendo il contrario. Mai la nostra Zona pianse tante lacrime, fece accuse e provò sentimenti tanto irrazionali.

Al-Ith chiamò a sé tutti i suoi figli, e quando piansero non li confortò. Disse che questo le era dovuto e non doveva essere considerato un atto di ribellione. Ci fu chi tra di noi – molti – si sentì turbato; altri la criticarono. Non ricordavamo nulla che assomigliasse a questo; e iniziammo subito a parlare di quanto tempo era passato dall’ultimo ordine dei Tutori che avevamo ricevuto. Di come precedenti cambiamenti del Bisogno – che ci era sempre stato riferito semplicemente, e senza altra spiegazione con questa sola parola – fossero stati da noi vissuti. Del perché ora doveva verificarsi un simile stravolgimento. Ci chiedemmo se per caso avessimo iniziato a vedere noi stessi in modo falsato. Ma come potevamo non approvare la nostra armonia, il benessere e la prosperità della nostra terra? Credevamo che la nostra Zona fosse uguale alle altre per la ricchezza e l’assenza di discordia. È stato forse uno sbaglio esserne così fieri? E ci rendemmo conto di quanto tempo era trascorso dall’ultima volta che ci eravamo chiesti cosa succedesse oltre i nostri confini. Sapevamo che la Zona Tre era solo uno dei regni amministrati da Lassù. Pensavamo, le poche volte che lo facevamo, di interagire con gli altri regni, ma in modo astratto. Ci comportavamo forse come persone di strette vedute? Che non avevamo bisogno di nessuno?Al-Ith aspettava nella sua stanza. E arrivarono, una truppa di venti soldati a cavallo con le armature. Avevano scudi per proteggersi dalla nostra aria, per non ammalarsi, e questo era giusto. Ma perché anche una protezione per le teste e le famose armature della zona Quattro che potevano respingere ogni arma? Tutti quelli che erano vicino al percorso di quegli ospiti non graditi avevano un’espressione cupa e si mostravano critici nei loro riguardi. Eravamo determinati a non dare alcun segno di approvazione. Ma anche i soldati non ci salutarono. Percorsero in silenzio il tratto fino al palazzo e si fermarono sotto le finestre di Al-Ith. Un cavallo con sella e briglie era senza cavaliere. Al-Ith li vide. Seguì una lunga attesa. Poi emerse in cima al lungo scalone bianco, una figura vestita di scuro. Rimase in silenzio e osservò i soldati: un tale comportamento nel suo regno poteva solo significare essere un prigioniero di guerra. Lasciò loro il tempo di guardarla, di ammirare la sua bellezza, la sua forza, la sua sicurezza, il suo portamento regale. Poi scese la gradinata lentamente, da sola. Si diresse verso il cavallo che avevano portato per lei, lo guardò negli occhi, e gli accarezzò il muso. Il nome del cavallo era Yori, che da quel momento venne citato nelle narrazioni. Era un bel cavallo nero ma non più possente di quello dei soldati. Dopo averlo salutato, tolse la pesante sella. La tenne tra le braccia rivolgendo lo sguardo agli uomini finchè uno di loro capì cosa voleva fare. Allora lei gli gettò la sella e lui dovette bilanciarsi per reggerne il peso. Le rivolse un sorriso divertito, guardando i compagni, mentre lei restava ferma con le braccia incrociate a osservarli. Era il tipo di sorriso che si fa ad un bambino intelligente che riesce a fare qualcosa di più grande di lui. Tutto ciò non sfuggì a Al-Ith, che dimostrò loro che non avevano capito le sue vere intenzioni, togliendo all’animale con gesto lento e deliberato anche le briglie, che lanciò a un altro soldato. Poi reclinò il capo all’indietro, scuotendolo, in modo che i suoi capelli neri che teneva dolcemente legati le ricadessero lungo la schiena. Le nostre donne acconciano i capelli in diversi modi, ma se sono raccolti, in trecce o in altra maniera, e vengono scossi e liberati dall’intreccio, quello è considerato un gesto di afflizione. Ma i soldati non lo compresero, e restarono ad ammirarla, come degli sciocchi; forse lei aveva voluto lanciare un segnale agli astanti che ora affollavano la piccola piazza. Al-Ith aveva le labbra arricciate in una smorfia di disprezzo nei confronti dei soldati, e d’impazienza. Devo registrare qui che una simile forma di arroganza – sì, è necessario chiamarla in questo modo – non era qualcosa che ci saremmo aspettati da lei. Quando tornammo a parlare di quell’episodio, tutti furono d’accordo nel dire che l’amarezza che Al-Ith mostrava nei confronti del matrimonio si stava probabilmente ritorcendo contro di lei.

In piedi, con i capelli sciolti e gli occhi di fuoco, si avvolse lentamente un elegante velo nero intorno alle spalle e alla testa. Sempre mostrando il proprio dolore. Dietro quello scuro strato trasparente rilucevano i suoi occhi. Un soldato tentava in modo maldestro di scendere dal proprio cavallo per aiutarla a salire sul suo, ma lei era montata già prima che l’uomo toccasse terra. Lei fece voltare l’animale e galoppò via, attraversando i prati, diretta a est, alla volta dei confini della Zona Quattro. I soldati si lanciarono dietro di lei. A noi che li osservavamo, parve un inseguimento.

Fuori dalla nostra città, frenò il cavallo e lo fece procedere al passo. Gli altri la imitarono. La gente, ai bordi delle strade, la salutava e fissava i soldati, che non sembravamo più inseguirla, perché ora, imbarazzati, sorridevano come sciocchi, mentre Al-Ith pareva tornata quella di sempre. C’è una discesa che parte dall’altopiano al centro della nostra terra e attraversa strettoie e gole: non era possibile procedere troppo speditamente, e non solo perché Al-Ith si fermava ogni volta che qualcuno desiderava parlare con lei. Ogni volta che notava una persona che voleva rivolgerle la parola, infatti, fermava il cavallo e la lasciava avvicinare. Ora i sorrisi che i soldati si scambiavano erano differenti, e molti si lagnavano, perché erano convinti che sarebbero rientrati nei loro confini per l’imbrunire. Alla fine, quando un ennesimo gruppo di persone le aveva fatto segno e l’aveva chiamata, e lei aveva udito le voci dei soldati che si sollevavano dietro di lei, si era voltata portandosi a pochi passi da loro, costringendoli a frenare i loro animali bruscamente.

«Qual è il problema?» domandò. «Non sarebbe meglio che me lo diceste apertamente, invece di lamentarvi tra voi come dei bambini?»

Gli uomini non gradirono quell’osservazione, e tra loro si levò un turbine d’ira che il comandante soffocò.

«Abbiamo ordini da rispettare» rispose quest’ultimo.

«Finché resto nel mio Paese,» rispose lei «mi comporterò secondo le nostre usanze.»

Si accorse che non l’avevano capita, e dovette spiegarsi. «Ho la posizione che detengo per volere del popolo. Non posso avere l’arroganza di passare oltre, se qualcuno mi fa cenno di volermi dire qualcosa.»

Gli uomini si scambiarono altre occhiate. Il comandante non poté celare un’espressione impaziente.

«Non potete aspettarvi che io stravolga i nostri costumi e assuma i vostri in questo modo.» aggiunse lei.

«Abbiamo razioni d’emergenza sufficienti a un solo pasto» disse l’uomo.

Lei scosse appena il capo, come se non potesse credere a quanto aveva appena sentito. Il suo non voleva essere un gesto di disprezzo, ma così fu interpretato. Il comandante arrossì, ed esplose: «Ognuno di noi è in grado di digiunare per un’intera campagna, se necessario.»

«Non chiedevo tanto» rispose lei in tono grave, che questa volta fu preso per umorismo. Gli uomini risero, e lei riuscì a rivolgere loro un rapido sorriso, poi sospirò e aggiunse: «So che non vi trovate qui per vostra volontà, ma a causa dei Tutori.»

Ma quelle parole, per cause che lei non seppe spiegarsi, furono percepite come un insulto e una sfida, e i cavalli si agitarono e si mossero, percependo le emozioni dei loro cavalieri. Lei rispose con un’alzata di spalle, si voltò e andò verso il gruppo di giovani che la aspettavano all’angolo della strada. Dietro di loro, oltre le montagne, si intravedeva la pianura. I prati brillavano di giallo per il tramonto, e i picchi dei monti riflettevano il sole, ma il gruppo se ne stava all’ombra e al freddo. Gli uomini si raggrupparono attorno al cavallo parlando e mostrando di non avere alcun timore o paura, e il viso dei soldati rivelò il loro sgomento. Nel momento in cui un giovane accarezzò il muso dell’animale, gli uomini armati emisero all’unisono un sospiro di disapprovazione. Ma erano dubbiosi, in conflitto con loro stessi. Non potevano mostrare di disprezzare quel regno o i chi lo governava: lo sapevano. Eppure tutto ciò che vedevano, in ogni momento, contraddiceva il loro concetto di ciò che è giusto. Al-Ith alzò una mano per salutare i giovani, e i soldati si prepararono a partire a quel segnale che però non era stato rivolto a loro. Procedette cavalcando in testa al gruppo finché non furono tutti sulla pianura, poi si voltò di nuovo.

«Suggerisco che poniate qui  l’accampamento, ora che abbiamo superato le montagne.»

«In primo luogo» le rispose il comandante in tono brusco – seccato dal fatto che i suoi uomini seguissero lei e non aspettassero i suoi ordini «in primo luogo, non ho preso in considerazione di fermarci prima di raggiungere la frontiera. E in secondo luogo…»

Ma la rabbia che provava lo fece tacere.

«È solo un suggerimento» disse lei «Ci vorranno nove, dieci ore prima di arrivare al confine.»

«Di questo passo certamente.»

«A qualsiasi passo. La maggior parte delle notti, sulla pianura soffia un forte vento da est.»

«Signora! Per chi ha preso questi uomini? Per chi ha preso tutti noi?»

«So che siete dei soldati» gli rispose. «Ma pensavo agli animali. Sono stanchi.»

«Seguiranno gli ordini. Come li seguiamo noi.»

I nostri Cronisti e artisti hanno rappresentato mirabilmente questo dialogo tra Al-Ith e i soldati. Alcune storie iniziano proprio da tale momento. Lei sta di fronte a loro, sul suo cavallo che tiene basso il muso per la fatica del viaggio. Lei lo accarezza con la mano bianca, che brilla di gioielli… Ma Al-Ith era nota per il suo modo di vestire semplice, per la mancanza di gemme o ornamenti regali! La raffigurano con i lunghi capelli neri al vento, il velo anch’esso mosso dal vento e fermato sulla fronte da un fermaglio brillante. Raffigurano la rabbia del comandante, il viso distorto, e il fare beffardo dei soldati. In lontananza, nuvole sparse e allungate dal vento e i campi della pianura.

In questa raffigurazione si ritrovano numerose specie di piccoli animali. Uccelli che volano sopra le loro teste. Un cerbiatto, animale molto amato dai nostri bambini, sul ciglio del sentiero, volge il proprio muso verso il cavallo di Al-Ith per confortarlo e portagli un messaggio da parte degli altri animali. Spesso questi dipinti sono intitolati Gli animali di Al-Ith. Alcune storie narrano dei soldati a caccia di uccelli e del cerbiatto, e di come essi vengano rimproverati da Al-Ith.

Mi prendo la libertà di dubitare che tale evento possa aver avuto un effetto drammatico sui soldati, e persino su Al-Ith. I soldati volevano proseguire e andare via da quella terra che non comprendevano e che li sconcertava. Il comandante non voleva ritrovarsi a dover seguire i consigli di una donna, ma non voleva nemmeno cavalcare per ore in quel vento freddo. Un vento che già soffiava forte.

Al-Ith si sentiva di nuovo sé stessa, molto di più che nelle settimane passate. Capì che avrebbe potuto fare molte altre cose invece che piangersi addosso nelle proprie stanze! Era stata negligente nei propri doveri. Si ricordò di tutti i messaggi ricevuti da ogni parte del regno a cui non aveva risposto perché troppo occupata a tenere a bada i sentimenti intensi che provava. Stava ritrovando in sé stessa una forte disob­bedien­za, e ciò che questo implicava. Questo la rese più gentile con quella truppa di barbari e con quel comandante, che era poco più che un ragazzo.

«Non mi ha detto il suo nome» gli disse.

Lui esitò. Poi rispose: «Jarnti.»

«È al comando dei cavalli del re?»

«Sono al comando di tutte le sue forze. Le forze armate del re.»

«Le mie scuse» sospirò lei, e la sentirono tutti. Pensarono fosse un segno di debolezza. Ogni volta che succedeva qualcosa del genere con lei, i soldati non potevano fare a meno di provare una sensazione di trionfo, la stessa che i barbari nutrono sempre quando si trovano davanti alla debolezza, così come sentono il bisogno di unirsi raggrupparsi davanti a una dimostrazione di forza.

«Vorrei allontanarmi per alcune ore» disse lei.

A quel punto, come spinti dallo stesso impulso, e senza alcuna indicazione dal loro comandante, la accerchiarono. Al-Ith si trovò al centro di un cerchio formato da coloro che l’avevano catturata.

«Non posso permetterlo» disse Jarnti.

«Quali sono gli ordini del re?» gli chiese. Era calma e paziente, ma tutti scambiarono il suo atteggiamento per arrendevolezza.

Si levò un coro di risa rauche. La tensione esplose. Ridevano e urlavano, e se ne sentiva l’eco nei dirupi alle loro spalle. Gli uccelli che si erano già posati per trascorrere la notte tornarono a levarsi in cielo. Nell’erba alta lungo la strada, gli animali che erano nascosti scapparono via.

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venerdì, 28 settembre 2007

LA SCRITTURA TRA SOLITUDINE E LIBERTA’ (Gao Xingjian)

Gao XingjianNel post dedicato all’edizione 2007 del Premio Nobel per la letteratura è venuto fuori il nome di Gao Xingjian. Qualcuno di voi mi ha chiesto di approfondire la conoscenza di questo autore.

È quello che conto di fare, con il vostro aiuto, in questo post.

Ecco, intanto, come Wikipedia Italia racconta l’autore cinese.

Gao Xingjian (nato il 4 gennaio, 1940), è l’unico scrittore cinese ad aver vinto il Premio Nobel per la letteratura, nel 2000.

È romanziere, drammaturgo e critico letterario, oltre che traduttore di grande fama, regista teatrale e pittore. Nato a Ganzhou, nella provincia cinese del Jiangxi; espatriato in Occidente, attualmente è cittadino francese. Nel 1992 è stato insignito dal governo francese dell’onorificenza di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres.

Gao Xingjian nasce all’indomani dell’invasione giapponese della Cina, il padre era un funzionario di banca e la madre un’attrice dilettante che lo spinse a interessarsi al teatro e alla scrittura.
Dopo aver frequentato le scuole di base, nel 1962 ottenne la laurea in francese presso l’Istituto di lingue straniere di Pechino. Dopo l’inizio della Rivoluzione culturale venne mandato in un campo di rieducazione; in quel periodo fu costretto a bruciare un’intera valigia di propri manoscritti non ancora pubblicati.

Le sue prime pubblicazioni risalgono al 1979, quando gli venne anche permesso di viaggiare in Francia e in Italia. Tra il 1980 e il 1987 pubblicò numerosi racconti e romanzi di successo e grande scalpore suscitarono alcune sue opere teatrali. Nel 1986 la sua opera L’altra riva venne vietata e da allora nessun suo testo teatrale è mai più stato rappresentato in Cina. Per evitare le persecuzioni si dedicò a un viaggio di dieci mesi attraverso le montagne della provincia del Sichuan, seguendo il corso del fiume Yangzi (noto in italiano come Yangtze o Fiume azzurro). Nel 1987 ottenne asilo politico in Francia e si stabilì a Parigi. Dopo la strage di Piazza Tian An Men del 1989 rassegnò le dimissioni da membro del Partito comunista cinese. Dopo la pubblicazione di Fuggitivi (ispirato alla tragedia di Piazza Tian An Men) le sue opere sono state vietate in Cina e Gao Xingjian è stato dichiarato persona non grata dalle autorità cinesi.

Gao Xingjian dipinge usando l’inchiostro (secondo la tradizione cinese) e illustra le copertine di molti suoi volumi; ha tenuto in tutto il mondo oltre trenta mostre.

Le opere del Nobel cinese pubblicate in Italia sono le seguenti

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Vi propongo, di seguito, un’intervista che Gao Xingjian ha rilasciato ad Alain Elkann nel giugno di quest’anno (cfr. La Stampa del 29/6/2007).

Letteratura è un Festival dedicato alla montagna, al viaggio e all’avventura ed è alla sua prima edizione. Questi sono gli stessi temi che lei tratta nel suo capolavoro il romanzo La montagna dell’anima (Rizzoli) che le è valso il Premio Nobel per la letteratura nel 2000…

«La letteratura può solo essere la voce dell’individuo, se è al servizio di una patria, di una nazione, di un partito o di un ceto perde ogni significato. Il mio romanzo è una ricerca spirituale. Una ricerca di pace. Sono stato obbligato a lasciare Pechino, la mia città. Così ho scritto un libro solo per me stesso senza pensare di essere pubblicato, ma nel quale non sottostare alla censura e dire e scrivere tutto ciò che pensavo».

Il libro dove lo ha finito?

«L’ho terminato a Parigi. Ma non trovavo un editore, perché non era commerciale. Fu bocciato da sei editori, che volevano lo riducessi. Ero di nuovo di fronte a una censura, questa volta del mercato. Io non ho fatto compromessi e il libro è stato pubblicato per la prima volta in 2000 copie a Taiwan».

La montagna nel suo libro è una metafora?

«Nella vita uno cerca quella spiritualità, così sono stato sulle montagne. Guardavo scorrere il fiume, ho fatto un viaggio di 15 mila chilometri per cinque mesi. Mi sono perso nelle foreste vergini. Sono stati degli scienziati a recuperarmi».

La Cina come Paese si è ufficialmente opposta al suo Premio Nobel.

«Sì, le autorità cinesi hanno attaccato l’Accademia svedese. Il mio nome è censurato in Cina e non può apparire in nessuna pubblicazione ufficiale».

Allora i cinesi non la conoscono?

«Sì, mi conoscono attraverso altri mezzi come le edizioni pirata. Su questa edizione hanno messo una mia fotografia che però non è la mia fotografia, è quella di un altro».

E lei come guarda la Cina?

«L’ho lasciata vent’anni fa. Non conosco la Cina attuale ma so cosa succede. Certo c’è un boom economico straordinario e penso che sia un bene anzi per la Cina e per il popolo cinese, ma il potere resta totalitario con la stessa censura di prima. La gente sta meglio nelle grandi città e in provincia ma ci sono enormi problemi ecologici dovuti a una corruzione che non ha controllo».

E il Nobel le ha cambiato la vita?

«Sì, all’inizio. E non sapevo reggere la pressione da solo. Mi sono anche ammalato, adesso ho ripreso la mia vita in mano».

Perché gli scrittori che sono sensibili e fragili fanno talmente paura ai regimi politici di grandi Paesi?
«Perché hanno una voce indipendente. Se non si segue il potere politico, se si vuole avere una voce, questo non è così piacevole per la politica».

Lei parla molto di solitudini…

«Sì, è una necessità assoluta per uno scrittore. Se si vuole veramente pensare bisogna essere soli con se stessi. La letteratura deve essere libera dalla politica lo ribadisco».

La letteratura ha un ruolo importante in Cina come in Francia?

«Sì, c’è una lunga tradizione. La letteratura è la testimonianza della esistenza umana. Questa è meglio conservata nella letteratura che nei grandi libri di storia scritti dal potere. La letteratura parla di piccole storie individuali molto più vere della storia sociale».

E chi sono i suoi scrittori preferiti?

Ho letto molto fin dall’infanzia. Ma non solo letteratura cinese, ho letto libri giapponesi, indiani e da ragazzo ho letto la Divina Commedia in cinese. L’ho comperata due volte perché la prima volta l’ho persa. Ho letto anche Don Chisciotte quando avevo 14 anni e ho fatto le illustrazioni. Mi sembra un personaggio ridicolo e affascinante. E anche il suo valletto».

Che cosa rappresentano le donne?

«L’altro sesso resta sempre misterioso. Non si può mai dire che si conosce una donna per quanto uno voglia conoscerla».

Lei è religioso?

«Prima dicevo che ero ateo, adesso penso che ci sono cose che non si possono spiegare ed è troppo vanitoso dire che conosco tutto. Ho bisogno del rispetto per ciò che è sconosciuto, forse è un po’ la paura della morte che è misteriosa e sconosciuta».

Come guarda il mondo di oggi?

«Si dice che l’uomo è fragile, ma lo è anche uno Stato. L’11 settembre ha fragilizzato gli Stati Uniti, una catastrofe può cadere sulla testa di ognuno senza che ce l’aspettiamo. Non si sa mai che cosa crea il conflitto. Io però non ho utopia».

Ama la democrazia?

«Sì, anche se non è perfetta ma non c’è altra scelta, perché non c’è niente di meglio. Le utopie falsano la gente, sono stupide, è una malattia infantile, bisognerebbe affrontare la realtà che è complessa e solo la democrazia sa equilibrare i conflitti, ma non basta».

E quello che spera per la Cina è una democrazia?

«Quello che spero non conta niente, è un Paese con un potere pesante e totalitario, non si può influenzare, non si può criticare».

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Vorrei che questo post procedesse su un duplice binario:

1. sulla figura di Gao Xingjian (mi aspetto vostri contributi)

2. mi piacerebbe che nascesse un dibattito sull’intervista che vi ho proposto.

In particolare, vi domando:

- La letteratura può solo essere la voce dell’individuo (nel senso che se è al servizio di una patria, di una nazione, di un partito o di un ceto perde ogni significato)?

- La letteratura è solitudine?

- La solitudine è davvero una necessità assoluta per uno scrittore?

Vi ringrazio molto.

(Massimo Maugeri)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI   73 commenti »

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