LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » meter http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 CORPI… DA GIOCO. Contro la pedofilia e la pedopornografia http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/12/07/corpi-da-gioco/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/12/07/corpi-da-gioco/#comments Mon, 07 Dec 2009 09:21:24 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1402 Apro una nuova puntata della rubrica Letteratura è diritto, letteratura è vita - affidata alla scrittrice e magistrato Simona Lo Iacono - dedicandolo a un argomento spinoso e delicatissimo. Lo faccio nella speranza di poter contribuire – per ciò che è dato fare a un blog come Letteratitudine – a combattere una piaga terribile come quella della pedofilia e della pedopornografia.
Il protagonista di questo post è un prete coraggioso: don Fortunato Di Noto, creatore dell’associazione Meter. Il libro di cui parleremo si intitola “Corpi da gioco“: un libro pubblicato dalle edizioni Elledici e curato da Antonino D’Anna.
Ecco la scheda: “Libro pieno di speranza, ma allo stesso tempo inquietante, duro, coraggioso questo di don Fortunato Di Noto che, da oltre quindici anni spende la sua attività pastorale in difesa dei diritti dei bambini, che lotta strenuamente mettendo a repentaglio la sua stessa vita contro i pedofili e gli “imprenditori” pedopornografici che agiscono spesso indisturbati in quella inestricabile ragnatela elettronica che è oggi il web.
Attraverso un narrare-informare chiaro, puntuale, costruttivo, don Di Noto presenta un profilo a tutto tondo, aggiornato e reale, di un drammatico fenomeno sociale che si consuma quotidianamente in modo silenzioso e subdolo da parte di uomini che giocano, commerciano ed abusano, anche fino alla distruzione, della sacralità del corpo infantile.
Un libro per capire e lottare, affinché si affermi, al posto di un’infanzia negata, una infanzia esaltata o semplicemente “vissuta”.

Di recente (e casualmente) Simona Lo Iacono ha incontrato don Fortunato e ha avuto modo di leggere questo libro… e di ripensare a un episodio vissuto nella sua carriera di magistrato (più avanti troverete un articolo intitolato Il processo del borsellino di plastica rosa).
Un argomento spinoso e delicatissimo, scrivevo in premessa. Terribile.
Vorrei provare ad affrontarlo con voi, con il supporto di Simona (che condurrà il post insieme a me) e la presenza dello stesso don Fortunato. Parteciperanno alla discussione diversi esperti e addetti ai lavori (ve li presenterò nel corso del dibattito).
L’argomento è tutt’altro che semplice… ma vorrei tentare comunque di favorire l’avvio della discussione ponendo un paio di domande:

- Qual è il miglior modo (se esiste) per impedire che i bambini cadano nella rete dei mostri?

- Le favole tradizionali hanno sempre parlato di bambini che cadono nelle mani di adulti mostruosi o nel mistero della violenza (Hansel e Gretel, Cenerentola, Cappuccetto Rosso). La letteratura dell’infanzia che ruolo può (e/o deve) avere nella formazione della coscienza? Educare, avvertire, immaginare la minaccia? O che altro?

Di seguito, l’articolo di Simona Lo Iacono

Massimo Maugeri

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Il processo del borsellino di plastica rosa

di Simona Lo Iacono

Dodici anni fa. Tribunale di Siracusa. Un processo a porte chiuse.
Imputazione: violenza sessuale.
Persona offesa (non costituitasi parte civile): una bambina di cinque anni.
Imputato: il padre.
Sul banco testi, seduta, Carla (*) ciondolava le gambe. Unghie mangiate. Una con su residui di smalto. Un’altra con un anello di Barbie rosicato dagli incisivi.
Mani che si contraevano. Che poi tornavano quiete. Che si annoiavano, anche. Perché l’infanzia detta segreti. E misteriosi obnubilamenti. Dimenticanze che nascono dalla necessità di essere – di rimanere – bambini.
Nonostante tutto.
All’uscita – a sentenza chiusa, di condanna, a grate sbilanciate, a manette ferrate sui polsi – la bambina fu allontanata dal gruppo di suore cui era stata affidata.
La vidi di spalle. I capelli lunghi, annodati. La gonna storta, le calze a pallini blu. Vidi le piccole cose, gli impercettibili segni della vita. Una borsetta a tracolla, un borsellino di plastica rosa.
Ed è questo, più che gli articoli del codice, a farmi ricordare quel processo.
Non il gergo impersonale d’udienza: è un 416 bis, dottoressa, un 524, un 624 codice penale. No. Io fra me e me dico, io ricordo: è il processo dell’unghia mangiata. Dell’anello di Barbie. Della borsetta a tracolla e dei calzini a pallini blu.
È il processo del borsellino di plastica rosa.
Si tratta di resti. Di particolari. Quelli che – per forza di cose – il processo deve scartare.
Quelli che la letteratura raccoglie.
Il processo non è nel prima (nello sguardo), né nel dopo (nel saluto). Il processo è la prova in atto, che si forma lì. Ora.
Tutto ciò che resta fuori, però, è del libro.
Ed è di questo libro (a volte non scritto, a volte non nato) che vi voglio raccontare.
Me lo trovo tra le mani, in udienza. Proprio lì, dove la letteratura resta fuori dalla porta.
Me lo fa avere l’avvocato Maria Suma, dietro mia richiesta.
L’avvocato Maria Suma è una stretta collaboratrice dell’associazione Meter, di Don Fortunato Di Noto e da anni è impegnata sul fronte della lotta contro la pedofilia.
Quando me lo consegna, lo infilo veloce in borsa. La giornata incalza. I testi, i rinvii, le sentenze da leggere ritta, decisa, in nome del Popolo Italiano. Le ipotesi difensive da sconfessare e i diritti da proteggere.
La giustizia è un cammino faticoso che non ammette pause. Un ingranaggio, anche. Che non deve incepparsi.
Leggo solo a fine giornata, quando la notte ha già steso il suo braccio.
All’alba, sento la voce: sono quel borsellino di plastica rosa.
Quello che il processo non ha potuto raccogliere.
Ecco. “Corpi da gioco”, il libro intervista a don Fortunato Di Noto (una conversazione a cura di Antonino D’Anna) è pieno di resti. È pieno di scarti. È quel particolare che nessun processo potrebbe raccogliere. È quel borsellino di plastica rosa.
È il prima (lo sguardo).
È il dopo (il saluto).
Ma soprattutto è la voce di Letizia (*) (…“Le parole sono la tua vita”…mi ha scritto don Fortunato Di Noto. Io dico che a sorridere ci riesco ancora…).
La voce di Marco (*) ( …Scrivo ora e tra qualche giorno, dopo varie udienze preliminari, sarò in tribunale per il processo a carico di mio padre. Per la prima volta nella vita, una figura autorevole mi guarda come “la persona offesa”. Ci voleva un tribunale gelido e grigio per essere riconosciuto…).
È la voce di molti nomi senza nome, senza passato, senza tribunali.
È la letteratura degli ultimi. La affiancatrice più potente dei destini violati.
È il processo che non può esistere.
Quello che raccoglie resti.

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(*) Il nome dei minori è frutto di fantasia in omaggio alla normativa sulla privacy.

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