LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » letteratura e pirati http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 DIBATTITO SU LETTERATURA E PIRATI: da Salgari ai nostri giorni http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/28/letteratura-e-pirati/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/28/letteratura-e-pirati/#comments Thu, 28 Jan 2010 19:30:21 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1557 Sono molto lieto di poter avviare un nuovo dibattito letterario a largo respiro. Il tema che propongo è il seguente: “Letteratura e pirati (da Salgari ai nostri giorni)“.
La figura del pirata è entrata a far parte dell’immaginario collettivo da moltissimo tempo: ha invaso le pagine di romanzi e saggi, di film e serie Tv, di cartoni animati e opere musicali. Eppure ho l’impressione che, di recente, si sia sviluppato un interesse ancora maggiore, che dal cinema (valga come esempio “I pirati dei Caraibi” di Johnny Depp) si è riversato sulle pagine dei libri e altrove.
Diversi gli ospiti che parteciperanno a questa discussione. Intanto, Maria Lucia Riccioli (a cui chiedo di darmi una mano a coordinare e a moderare gli interventi) che ha scritto un articolo sui “pirati in letteratura”. E poi alcuni autori di saggi molto interessanti (che mi piacerebbe potessero discutere del tema in generale, parlarci dei loro libri e interagire tra loro):
- Nicolò Carnimeo, autore di “Nei mari dei pirati. I nuovi predoni degli oceani” (Longanesi)
- Giovanna Fiume, autrice di “Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna” (Bruno Mondadori)
- Ignazio Cavarretta e Eletta Revelli, autori di “Pirati. Dalle origini ai giorni nostri, dai Caraibi alla Somalia” (Nutrimenti).
Di seguito troverete le schede dei tre volumi. Nel corso della discussione avrò modo di presentare gli autori e di fornire ulteriori contributi sulle loro opere.
In coda al post troverete un doppio articolo di Alberto Pezzini sui “nuovi romanzi dei pirati”, con riferimento alle recenti pubblicazioni di Michael Crichton, Valerio Evangelisti, Arturo Pérez–Reverte.

Per avviare il dibattito provo a formulare alcune domande (che potrebbero essere integrate e/o modificate nel corso della discussione).

Che tipo di rapporto avete con la “letteratura dei pirati”?

Qual è, a vostro avviso, il miglior romanzo sui pirati della storia della letteratura?

Di recente, c’è stato davvero un effettivo aumento di interesse per la “figura” del pirata? E se sì, per quale motivo?

La “figura” del pirata è stata eccessivamente “mitizzata”? C’è uno scollamento tra “fiction” e realtà? Che percezione avete in proposito?

Al di là dell’invenzione letterario-cinematografica… avete mai pensato di poter rimanere vittime di una reale “scorribanda piratesca”?

Che rapporto c’è tra storia e letteratura a proposito del fenomeno di cui ci stiamo occupando?

Che rapporto c’è (e c’è stato) tra pirateria e schiavitù?

Siete tutti invitati a partecipare.

Massimo Maugeri

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Pirati in letteratura
di Maria Lucia Riccioli

http://letteratitudine.blog.kataweb.it/files/2008/08/maria_lucia-riccioli.JPGQuant’è forte il potere evocativo delle parole… quelle tre semplici sillabe sanno ricreare magicamente un mondo fatto di mare, cordami e sartie, alberi maestri, coffe e trinchetti, daghe e cofani bellamente riempiti di dobloni spagnoli!
Ho amato Stevenson ed il suo capitan Silver, capitan Uncino che attenta alla vita di Peter Pan, Achab e la sua disperata caccia a Moby Dick, e leggendo “Piccole Donne” mi sono imbattuta in un gioco di società, una specie di domino letterario, con uno dei personaggi che monopolizza la serata citando a memoria una scena dei romanzi pirateschi che tanto ama…
E la leggenda dell’Olandese volante? E il nostro Salgari, che senza praticamente muoversi dal tavolino di un caffè ci ha regalato la figura del Corsaro Nero, oltre che a quelle di Sandokan e dei suoi tigrotti della Malesia?
I pirati hanno popolato le pagine dei romanzi fin dall’antichità. Se pensiamo a quanta letteratura greca è letteralmente naufragata nel mare magnum della storia, specialmente per quanto riguarda la narrativa, c’è da rimpiangere i romanzi, in cui i pirati la facevano da padroni nel “mare colore del vino” e separavano fanciulle e giovinetti innamorati per venderli come schiavi, come accade anche nelle novelle del Decameron, in cui ancora permane l’eco delle scorrerie saracene, di quei pirati che saccheggiavano e rapivano, alonati di fascino misterioso.
Bucanieri. Barbareschi.
E il corsaro. Altra figura leggendaria, legittimata però nel suo scorribandare in cerca di fortuna dalla protezione di alti personaggi, addirittura di sovrani: pensiamo a Francis Drake, addirittura Sir.
I filibustieri. Altra parola che poi è divenuta un insulto, un po’ datato ma che ci riporta all’epopea dei pirati.
E cos’altro è in fondo Ulisse? Il suo nostos verso Itaca si colora d’avventura e l’uomo dall’ingegno versicolore sembra più un corsaro che un re in fuga da Troia.
Il cinema molto deve ai pirati: scene spettacolari, isole e galeoni, combattimenti all’arma bianca col coltello tra i denti… e la classica camminata sulla passerella di legno per finire in pasto ai pescecani, già pronti con le mascelle spalancate.
Pensiamo ai pirati dei Caraibi, fantastici e glamourous, ad Erroll Flynn, alle trasposizioni filmiche dei romanzi pirateschi (chi non ricorda “Quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto” e la gamba di legno di Long John Silver?), i pirati di Polanski, il Capitan Harlock dei cartoni animati, il “pirata tutto nero che per casa ha solo il cielo” e che ha lasciato gli antichi vascelli per un’astronave?
Oggi i pirati sono informatici, ancora più misteriosi dei personaggi mascherati col fazzoletto al collo e il pappagallo sulle spalle, ma le loro incursioni nei sistemi computerizzati e nei nostri pc sono dannosi quanto un arrembaggio…
E che dire dei cacciatori di relitti e tesori? C’è chi spera ancora di trovare la cassaforte del Titanic, o l’oro spagnolo disseminato per l’Atlantico.
Senza dire che i pirati esistono ancora, e depredano carghi, sequestrano e uccidono. E nelle loro imprese non vi è nulla di romantico.
La bandiera nera con il teschio e le tibie, simbolo potente della morte per mare, resterà ancora a lungo nell’immaginario collettivo.
Fino a quando vivranno lo spirito d’avventura, il desiderio dell’ignoto e – perché no? – la trasgressione o meglio l’elusione delle regole del vivere civile, del mondo dei terricoli che non conosce le dure leggi del mare.

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Nei mari dei pirati. I nuovi predoni degli oceani di Nicolò Carnimeo
Longanesi, 2009, pagg. 254, euro 17,60

Lo dimostrano le cronache più recenti: i pirati sono sempre esistiti e sono ancora fra noi, ma questa volta non siamo in un romanzo d’avventura, e men che meno al cinema. La pirateria è una guerra silenziosa: si stima che negli ultimi venticinque anni nelle sole acque del Sudest asiatico siano state attaccate più di diciassettemila navi, con una media di settecento all’anno. Tutto ciò ha costi economici e sociali altissimi. I nuovi predoni del mare dispongono di armi sofisticate e tecnologia satellitare, prosperano nelle acque di quelle nazioni in cui vi è forte instabilità causata da guerre e carestie, come in Somalia, oppure dove i governi sono deboli e corrotti, come in Nigeria e Indonesia, ma tutti i mari del mondo ne sono infestati e chiunque può diventarne vittima, magari durante una crociera nel mar Rosso o ai Caraibi oppure nell’incantevole soggiorno low cost di un villaggio turistico in Borneo. Nel seguire le tracce della pirateria moderna, dal sequestro del veliero da crociera francese Ponant, a quello della gigantesca petroliera Sirius Star, alle “navi fantasma” depredate dalle mafie orientali del mar della Cina, questo appassionante reportage, scritto da un esperto di “cose di mare”, porta in luoghi lontani ed esotici, fa conoscere i nuovi spietati bucanieri e chi ogni giorno li combatte. La guerra ai pirati del terzo millennio è appena iniziata e nessuno può sentirsi al sicuro: oggi anche una tranquilla vacanza in barca a vela può diventare un incubo.

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Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna di Giovanna Fiume
Bruno Mondadori, 2009, pagg. 349, euro 22

Durante l’età moderna, l’area mediterranea è segnata dalla guerra da corsa e dalla pirateria, su cui prosperano intere città, cristiane e musulmane; il conflitto per mare assume i toni dello scontro religioso, quasi da crociata contro gli infedeli. Quanti cadono in mano dei corsari, ridotti in schiavitù, attendono di essere riscattati o scambiati, e in cattività danno origine a un’intricata storia di abiure e conversioni – dall’islam al cristianesimo e viceversa. L’analisi dell’autrice, basata su ricche e talvolta inesplorate fonti documentarie, mostra il forte coinvolgimento delle istituzioni laiche ed ecclesiastiche in questa nuova dimensione della contesa politica internazionale e offre un quadro significativo sulle condizioni di vita dei captivi, in bilico tra la vecchia fede religiosa e l’esigenza di inserirsi in un diverso tessuto sociale. L’efficacia nell’evangelizzazione degli schiavi ha come risultato più eclatante la canonizzazione di santi neri, quali Antonio Etiope e Benedetto il Moro, ma si spinge sino in terra africana, dove Juan de Prado guadagna la palma del martirio, mettendo in luce inediti aspetti del ruolo politico dell’attività missionaria degli ordini religiosi nel regno del Marocco.

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Pirati. Dalle origini ai giorni nostri, dai Caraibi alla Somalia di Ignazio Cavarretta e Eletta Revelli

I pirati dei film non rappresentano che una realtà parziale, quella del mar dei Caraibi o della Malesia; per questo molti ignorano che la pirateria ha giocato un ruolo importante in tutti i mari, Mediterraneo compreso. Dal punto di vista storico, poi, si tende comunemente a collocare le ultime imprese dei pirati nel Settecento, dimenticando circa tre secoli di feroci scorribande, che si protraggono fino ai nostri giorni. Questo libro intende restituire un volto più reale al fenomeno, con uno sguardo che comprende i Caraibi, ma a cui non sfugge la storia della navigazione a partire dai fenici, la guerra di corsa nel Mediterraneo, la pirateria nell’Estremo Oriente, nonché le ‘navi ausiliarie’ delle due guerre mondiali e gli odierni pirati delle coste somale.
Con una trattazione avvincente e leggera, corredata da numerose immagini, Pirati ci trasporta in un viaggio a bordo delle navi dei Barbarossa o di Andrea Doria; ci costringe al remo tra forzati musulmani o cristiani; ci conduce alla corte di Elisabetta I o al patibolo di Wapping Old Stairs. E ci rivela il naturale sodalizio tra pirateria e guerra: non esiste bucaniere, filibustiere o corsaro, se non in uno scenario reso instabile da un conflitto.

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Nuove storie di pirati (parte I): Michael Crichton, Valerio Evangelisti

 articolo di Alberto Pezzini

 Chissà se Michael Crichton si è ispirato a Hornblower di C.S. Forester per scrivere la postuma “Isola dei Pirati (Garzanti, 2009, pagg. 332). Della Giamaica in cui è ambientato il libro Crichton ci aveva già parlato in un suo racconto di vita, relativo ad uno suo viaggio personale legato ad una separazione sentimentale (Giamaica, in Viaggi, Garzanti Elefanti 2005).

Ma il personaggio dello spregiudicato Capitano Charles Hunter, inglese, che combatte gli spagnoli, sa moltissimo di un suo antenato molto più ortodosso: il Capitano Hornblower, che nelle galere spagnole ci resterà per due anni da prigioniero.

Sembrano figure molto vicine e contrarie.

Hornblower è un comandante nato che combatte per la regia marina, Hunter è un corsaro, una sorta di irregolare con la patente di uccidere in segreto per la corona.

Dire che il romanzo di Crichton sia stato pensato con un occhio avido verso una futura sceneggiatura è pur vero, ma banale.

Se vale il fatto che la sua scrittura – alla fine – era divenuta carne per il cinema, ciò non cancella il suo personale approccio alla scrittura. Predisposta quasi naturalmente per gli adattamenti cinematografici. Crichton è stato medico, e quindi era in possesso di una formazione scientifica per cui si impara a scrivere con parole secche. La frase – come diceva Terzani quando scriveva per Der Spiegel – doveva essere “piccante”. Senza niente di più addosso.

Il suo corsaro risente molto di Hornblower e della sua epopea nei contenuti.

Forester aveva fatto sentire molto di più il mare in una saga di quasi millecinquecento pagine dove gli spagnoli vengono gradualmente sostituiti dagli odiati francesi di Napoleone.

Il capitano Charles Hunter è un avventuriero che in Giamaica, nel 1665, decide di espugnare un galeone ancorato in un’isola vicina a Matanceros, sotto gli occhi di un sadico comandante di nome Cazalla. Si tratta di un’impresa quasi impossibile. Così come era quella di espugnare Veracruz per il capitano De Grammont nell’omonimo romanzo di Valerio Evangelisti.

In entrambi i casi si tratta di uomini che hanno scelto la guerra di corsa per combattere gli spagnoli. Mentre in Evangelisti, però, la figura di Hornblower con tutti i suoi valori non è mai esistita, e dove vince una concezione meridionale (il sesso è preminente, cioè) della pirateria, in Crichton, invece, il sesso c’è ma passa senza sfiorare nessuno. Non fa danni. Evangelisti fa parte di un girone letterario tutto suo dove la guerra di corsa e la pirateria sono qualcosa di barbaro, un reparto dove la macellazione è garantita se ti prendono e dove lo stupro è una regola fissa a cui in qualche modo il lettore è preparato pagina dopo pagina. In “Tortuga l’io narrante vive di una donna meravigliosa – anche se muta – la quale si rivelerà una nemesi feroce per le sue voglie di uomo preso alla sprovvista. Solo che il sesso resta una componente molto forte, e molto partecipata di una vita dove il mare, l’assenza di regole in guerra e la voglia di godere lasciavano davvero poco ogni giorno in cui il sole cominciava a prendere l’orizzonte. Non è un sesso espresso, però, ma più che altro una vena mentale per cui nella vita di questi uomini è la donna che comanda. Lei viene presa una volta, ma l’uomo è preso tutta la vita… e, dunque, è in manette. È la concezione di Filippo II rinchiuso nell’Escorial dove la luce è preda del buio.

Crichton in questo è più wasp, molto più anglosassone.

La visione della guerra di corsa dell’americano è forse anche più feroce di quella di Evangelisti, ma non è così bulimica sulla pagina, insomma sprizza sangue meno rosso. In entrambi si respira lo studio della marineria e della guerra di corsa sul mare che – in moti autori – diventa quasi una sorta di prova di scrittura. Ci siamo chiesti il motivo per cui molti scrittori si cimentino in una nuova edizione del Corsaro Nero. Il punto di partenza resta il romanzo di Salgari.

La prima risposta che viene in mente quando si parla di pirati è che l’animo maschile sia in profondità un pozzo dove i giochi dell’infanzia restano sempre ad un centimetro dalla superficie. Stanno sempre sotto un velo molto sottile.

Le navi rappresentano isole ove la vita è il frutto di regole rigidissime che non esistono in altri luoghi. Sono luoghi atopici, insomma, dove tutto è possibile.

Le avventure in mare sono infinite come tutte diverse – in ogni menoma particella – ne sono le onde. Mai uguali.

Il Corsaro Nero nasce come romanzo per ragazzi e diviene la base di una letteratura per adulti dove si arriva a mescolare un arrembaggio con uno stupro per tenere meno acido il sapore di una storia ormai abusata.

Crichton scrive questo romanzo verso la fine della sua vita, quando la malattia gli ha già dato qualche potente strattone tipo quelli della Morte in “Vi presento Joe Black”. Deve aver pensato a quando navigava con la mente da piccolo e lì, in quella zona di calma apparente, ha provato a fermare un poco il battito del cuore .

Il romanzo di Crichton termina con la parola latina Vincit: come il suo autore, vittorioso sulla morte per aver navigato nei mari estremi anche da adulto. Tutti siamo stati bambini, ma pochi se ne ricordano, come diceva “Il Piccolo Principe”.

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  Nuove storie di pirati (parte II): Valerio Evangelisti, Arturo Perez–Reverte

 articolo di Alberto Pezzini

 A distanza di un anno, ma neanche visto che “Tortuga” è del gennaio 2008, tornano i pirati della Tortue di Evangelisti. Un euro in più, uguale numero di pagine – per la verità una in meno – “Veracruz” è il prequel di Tortuga. Parliamo di una città situata all’interno del Golfo del Messico, proprio nel cuore pulsante della Corrente del Golfo. Viene assalita dai nostri corsari, depredata, messa a fuoco, violentata nelle donne e denudata delle merci. Diventa un deserto. Siamo nel 1683 e Michel De Grammont, l’ultimo comandante guida dei Fratelli della Costa, prende questa decisione rivoluzionaria. Espugnare Veracruz, la città più importante della Nuova Spagna, distruggendo così tutta la rete dei contatti diplomatici europei dell’epoca. L’impresa sarà condannata anche dalla corona di Francia in nome della quale i Fratelli si dicono gli agenti segreti sui mari. Veracruz si trasforma così in un casus belli che condannerà i Fratelli ed il loro comandante. Ostaggio, lui, di una donna che riesce a far liberare, la sua sorella più piccola tumulata viva dentro una prigione inumana dai cattolici spagnoli. La sete di vendetta diventa per De Grammont una benda spessa sugli occhi e gli fa perdere la visione strategica dei mari. Insieme alla moribonda, un’altra presenza femminile che conturba le menti è Gabriela Junot – Vergara, preda del saccheggio, e stuprata con piacere apparente da uno dei comandanti del Re della Corsa. Tutto viene narrato dalla voce di Hubert Macary, ufficiale votato all’obbedienza più cieca se non fosse per quell’inclinazione incoercibile verso le donne fatte di senso e bellezza. Macary sarà poi colui che si perderà nelle ultime pagine di Tortuga scomparendo dentro una fine tanto nefasta quanto inattesa. La storia dei corsari è tutta qui, sempre con il solito meccanismo del romanzo d’appendice. Ogni paragrafo fa saltare di corsa verso l’altro, sempre con il fiatone. Evangelisti ha individuato un filone aurifero che sa gestire molto bene. L’impasto è il solito: avventura, sangue, intrighi, passioni e sesso. Qui, rispetto a “Tortuga”, è più fine, più lontano all’orizzonte ma lo si avverte come la vera molla della storia. Se si apre “Il Corsaro Nero” di Emilio Salgari (1898) ci si può toccare e pizzicare perché le cose non sono cambiate. La stessa orditura, la stessa velocità nella narrazione, soltanto con qualche pepita di appetito maschile concessa in più ai lettori (che sociologicamente si sono evoluti verso un tipo di avventura dove il sesso è divenuto una componente fisiologica).
Evangelisti ci confessa nella Nota finale di avere già in mente il terzo tomo con il titolo “Cartagena”, che prima o poi scriverà. Conterà le stesse pagine, costerà un euro in più, e sarà anch’esso capace di far sentire il mare come le conchiglie.

La mano di Evangelisti – quel che è giusto va detto – è però la più abile nell’arte di “affiancarsi” a Salgari e la sua capacità mimetica supera di gran lunga anche “I Corsari di Levante”, Tropea 2009, di Arturo Pérez–Reverte, che letto in controluce è più intellettualistico e meno maroso. Evangelisti – in fatto di corsari – è più audace, ha una maggiore visione fumettistica dell’intreccio che sa far pesare di più sulla bilancia. Perez Reverte è in affanno perché la sua mano resta quello dello spadaccino, dell’indimenticabile e supremamente terreste maestro di scherma Alatriste che – sul mare – fa la figura del piemontese alla spiaggia. D’altro canto gli spagnoli, con quei galeoni così pesanti, perdono sempre contro i corsari. È una legge che regola le storie della Corsa. La Spagna è sovrana di un impero dove il sole non tramonta mai. Sulla terra, però…  soltanto sulla terra.

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