LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » josé saramago http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 RICORDANDO JOSÉ SARAMAGO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/06/18/ricordando-jose-saramago/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/06/18/ricordando-jose-saramago/#comments Fri, 18 Jun 2010 21:59:40 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2248 Oggi, 18 giugno 2010, è morto José Saramago. È spirato nella sua casa di Lanzarote, a causa di una leucemia cronica. L’orologio segnava all’incirca le ore 13, quando se n’è andato. Accanto a lui, la moglie Pilar del Rio.

Del trapasso del grande scrittore portoghese, premio Nobel per la Letteratura, se ne sta discutendo un po’ ovunque.

Vorrei ricordarlo anche qui, a Letteratitudine. E vorrei farlo insieme a voi, con il vostro supporto.

Il lascito letterario di Saramago è enorme: una grandissima eredità, quella incastonata nei suoi testi.

Fra i tanti, quello che ho amato di più è Cecità (il suo romanzo più celebre).

Un libro su come sarebbe il mondo se non vi fosse luce nei nostri occhi e nei nostri cuori. Un libro metaforico, che – nel buio – fa luce su noi stessi, sulle nostre meschinità, sulla nostra difficoltà a essere solidali.

Vorrei che ricordaste Saramago, lasciando un vostro pensiero… magari con riferimento alle sue opere o alla sua vita (o inserendo citazioni che vi hanno colpito).

Anche questo è condividere, per noi che amiamo i libri e la letteratura.

Vi ringrazio in anticipo.
Massimo Maugeri

P.s. di seguito, un articolo preso in prestito da La Stampa. Il post sarà aggiornato con eventuali interventi di scrittori e addetti ai lavori che invieranno i loro contributi per posta elettronica.


Il mio generoso amico Saramago, un uomo agli albori dell’umanità

da La Stampa.it

di GIANCARLO DEPRETIS *
* Prof. Ordinario di Letteratura spagnola Università di Torino

A mezzogiorno di oggi, nel momento più luminoso della giornata, José ci ha dato l’ultimo saluto. Si è congedato silenziosamente da me e dall’altro suo amico il poeta Pablo Luis Ávila ammutolito e sicuramente sconcertato, lui che sorvolava oceani ritrovandosi in altre terre dove migliaia di uditori, aggruppati in teatri e sovente negli stadi, avvaloravano i suoi principi rigorosi e universali con grande umanità. Generosità umana, percepibile nei suoi scritti, ma che solo nell’intimità di una fraterna frequentazione può rivelarsi senza riserve a chi gli è stato amico da tanti anni: un’innocenza commovente che lo poneva agli albori dell’umanità.

José Saramago, ancor prima di cedere la sua corona d’alloro (sono sicuro che per lui si trattava della stessa corona di fieno alla quale alludeva Agostino d’Ippona) al premio Nobel, aveva da sempre battagliato con lucidità e passione, con i suoi romanzi ma anche con articoli, lezioni universitarie (qui a Torino, dove gli venne conferita la sua prima laurea honoris causa, nelle aule universitarie era di casa), testi pronunciati in congressi, per l’idea di libertà e giustizia in senso prammatico. Tropi e allegorie che vivacizzano i suoi scritti, traducevano direttamente il lettore o ascoltatore a riconoscersi nei grovigli grotteschi ed artificiosi della propria esistenza condizionata da spazi siderali oscuri. La storia, poi, non è altro che il presente con le sue iniquità e fraintendimenti ancora da sanare. Tuttavia non va interpretata la visione di José Saramago sotto un’angolatura pessimista. Pretende, al contrario, essere una confortante e lucida documentazione degli eventi umani e delle sue contraddizioni: uno specchio non deformante in cui guardarci per trovare possibili soluzioni.

Ricordo che ancor prima del fluire impetuoso dei suoi romanzi a partire dal 25 aprile del 1974, sebbene la loro gestazione fosse già in movimento, José Saramago aveva affidato le sue parabole portatrici di fantasia, compassione ed ironia al genere poetico dove già risultava comprensibile una realtà sempre sfuggente. Sono le raccolte Os poemas possíveis (1966) e Provavelmente alegria (1970) la cui antologizzazione in lingua italiana e spagnola, apparsa con il titolo Scolpire il verso (2002), sottolinea la comune vicinanza culturale dei poeti invitati a ri-crearsi con Saramago, un premio Nobel che si concesse in amicizia ad una piccola, anche se prestigiosa, casa editrice italiana. Tra questi poeti mi viene istintivo riprodurre il testo “io dico pietra” con l’eco della voce dell’amico Sanguineti: “io dico pietra, e dico questa pietra / e questo peso, e dico acqua, e la pallida / luce degli occhi vuoti, e i millenari / fanghi di rimembranze, e dico le ali / fulminate: io dico cose a caso: / e dico terra e guerra, e questo fondo, / e sole e cielo, io che dico messaggi, / e notte senza rotta, interminabile: / dico rami ritorti e ombrosi: io dico / pietra, ma pietra dentro, dove è cruda: / io dico tempo, corde, anima molle, / rose sgozzate: e dico morte: e dico / la mia faccia scomposta, rasa e rosa”. Individuata la pietra, per Saramago non è stato difficile scolpire la parola, l’invettiva, la cordialità e persino il silenzio. Grazie alle sue lezioni di etica solidale, la sua parola e il suo silenzio li portiamo nel cuore come una perenne presenza alla quale aggrapparci nei momenti di sconforto.

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Il post sarà aggiornato con gli interventi di scrittori e addetti ai lavori che invieranno i loro contributi per posta elettronica.

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L’OPINIONE DI ROMANA PETRI

Nessuno è profeta in patria, questo lo sappiamo tutti. Anche Saramago, dunque, unico premio Nobel portoghese, se n’è dovuto andare a vivere nelle Canarie dopo le tempeste che suscitò il suo vangelo. Oggi Cavaco Silva la piange pubblicamente. Solo ieri, invece, metteva un veto a tutto ciò che lo riguardava. Certo i portoghesi illuminati lo amavano moltissimo, ne erano fieri. Quella borghesia piccola piccola, invece, lo ha sempre guardato dall’alto in basso, con quell’ottusa arroganza che solo gli incolti, e magari pure i nuovi ricchi, sanno mostrare verso ciò che è per loro alto e irraggiungibile. Tutto, sì… riesco – anche se a fatica – a capire tutto, ma non un “diselogio” funebre come quello che è uscito ieri, 19 giugno, sull’Avvenire. Posso capire, dissentire con le opinioni politiche e morali di uno scrittore (sebbene farne uso proprio a 24 ore dalla sua morte continui a sembrarmi cosa di cattivo gusto), ma arrivare a dire che anche come scrittore non valeva niente, mi sembra un’esagerata follia… un abuso di rabbia covata, una mancanza di rispetto umano e… chiedo scusa, davvero pochissima capacità di discernere la grandezza dalla banalità. Sì, perché per quello che riguarda Saramago di grandezza conclamata si parla. Certo, si può sempre dire che so “è bravo ma non è il mio genere”, su questo chi vorrebbe mai discutere? Ma dire ” Ci sono scrittori che, per essere al centro dell’attenzione mediatica e per distogliere il giudizio dalla poco rilevante qualità delle loro opere…” e intitolare l’articolo con un offensivo “La prosa debole dell’ateo”, mi sembra davvero di un cattivo gusto senza limite.
Anche tra i Nobel c’è differenza. Non possiamo farci nulla, ma è così. Ci sono quelli di una sola stagione e quelli che restano per sempre. E Saramago è stato e sarà un Nobel per sempre, un indimenticabile. Se ci mettiamo a fare un gioco e diciamo, senza guardare su internet, i nomi più famosi dei Nobel dal 1980 ad oggi, a parte gli ultimissimi che tutti ricordiamo per forza, quanti altri verranno subito in mente? Marquez, certo, come dimenticarlo? A noi italiani Dario Fo (chi a favore, chi meno)… e poi lui, Saramago, perché era un Nobel pienamente meritato, perché il mondo intero si è commosso davanti alle sue bellissime storie, al linguaggio ricercato e semplice insieme, a quella punteggiatura che era solo musica.
Era un uomo acuto, con due parole sapeva mettere a posto chiunque. Perché attaccarlo proprio ora che non può rispondere?
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Romana Petri: scrittrice, traduttrice, editrice è tra i principali conoscitori e divulgatori italiani della letteratura portoghese.

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