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giovedì, 1 novembre 2007

IL FONDAMENTALISTA RILUTTANTE (recensione di Andrea Di Consoli)

La barba lunga di Changez (il giovane protagonista del bellissimo romanzo del pakistano Mohsin Hamid, Il fondamentalista riluttante) è il segno corporeo di una ritrovata unità culturale e sentimentale, ché quanto più il “giannizzero” Changez (buoni studi a New York, folgorante carriera nel mondo della finanza, rapido “congelamento” delle proprie origini pakistane) avverte il crollo di un mondo (attraverso il crollo simbolico delle Twin Towers) tanto più sente come una rifioritura fisica. Tutti i suoi colleghi americani (trendy, cool, rampanti, ragazzi giusti al posto giusto) sentono, da quel crollo in poi, che Changez, il numero uno tra i nuovi assunti, getta a terra la maschera del supercapitalismo, e questo li irrita, li rende diffidenti, così come sono diffidenti, gli Stati Uniti d’America, con tutti coloro (e sono milioni) che manifestano, nei gesti, nelle parole, nel corpo, un’altra cultura, un’altra visione del mondo, ché gli States accettano solo le culture “altre” pittoresche, depotenziate culturalmente e politicamente: le culture depotenziate e innocue, cioè, che avallano il mito della Grande Madre, delle Grandi Opportunità, della Multietnicità. Il “giannizzero” Changez, nonostante la giovane età, sente il richiamo delle origini, della famiglia, della propria casa, e questo richiamo (nostalgico, culturale, corporeo) gli rende insopportabili le conseguenze belliche dell’attacco alle Twin Towers. Da quel momento in poi la sua barba cresce, il suo volto diventa sempre più tormentato e misterioso (diventa, cioè, ingovernabile e in consumabile: insopportabile, in definitiva). Tutto questo spinge Changez a estreme conseguenze, ovvero alla decisione di abbandonare il lavoro, gli Stati Uniti e di ritornare a Lahore. Tutto è complicato dalla dolorosa storia d’amore che lega (o non lega) Changez a Erica, una ragazza americana psicotica, convinta che l’ex fidanzato morto sia ancora vivo (o, in qualche modo, incarnato nell’immagine di Changez). In una delle sequenze più belle e sconvolgenti del romanzo, Changez riesce a far l’amore con lei solo inscenando una finzione struggente, ovvero fingendosi l’ex fidanzato morto di Erica. In questa sequenza c’è il segreto del romanzo, perché Changez si riduce a ombra (a qualcosa che esiste soltanto in seconda battuta, come emanazione di un altro corpo), mentre Erica rappresenta un destino collettivo (il destino americano) proprio nella misura in cui non riesce più a vedere la realtà, ma solo ciò che è stato, solo il morto passato. Il fondamentalista riluttante è raccontato come un dialogo in cui si sente una sola voce (la voce di Changez a Lahore, che casualmente incontra un americano e gli racconta la sua storia: la storia, se vogliamo, di una conversione, di una presa d’atto, di una salvifica depressione). Changez diventa, a mano a mano che si procede nella lettura, un uomo consapevole della forza spirituale e “barbarica” della sua terra; un uomo, cioè, che non si capacita che una grande terra, una grande cultura, una grande tradizione sia stata ridotta (nella considerazione dei più) a un manipolo di lestofanti e terroristi. Forse è un fondamentalista anche lui, ma lo è nella misura in cui difende la dignità e la forza (e l’integrità) della sua personale tradizione. Non si tratta, com’è evidente, di criticare l’attuale “stato dell’unione” (siccome lo fanno tutti, risulta retorico) ma di guardare con rispetto e con attenzione ai sentimenti e ai pensieri di un popolo che ha bisogno di riscoprirsi e di accettarsi in una robusta tradizione, e non di essere rinsavito a colpi di mortaio. Nella barba di Changez non si nasconde oscurantismo, ma solo discendimento e catabasi verso il baricentro di un’anima individuale e collettiva. Ascoltare le parole di Changez è più utile di mille proclami opportunistici dei guerrafondai dell’Est e dell’Ovest.

Andrea Di Consoli

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Mohsin Hamid

Il fondamentalista riluttante

Einaudi – 134 pagine – 14,00 euro

Traduzione di Norman Gobetti

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Foto_andreaAndrea Di Consoli è nato a Zurigo nel 1976 da genitori lucani. Attualmente vive a Roma, dove lavora ai programmi radiotelevisivi della Rai. Collabora inoltre a «l’Unità e a varie riviste, inoltre scrive sul «Messaggero» e «Nuovi Argomenti». Ha pubblicato il saggio Le due Napoli di Domenico Rea (Unicopli 2002), la raccolta di poesie Discoteca (Palomar 2003) e i racconti di Lago negro (L’ancora del Mediterraneo 2005). Il romanzo Il padre degli animali (2007) ha vinto il premio Mondello ed è stato finalista al premio Viareggio-Repàci.

Pubblicato in SEGNALAZIONI E RECENSIONI   106 commenti »

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