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martedì, 18 marzo 2008

A CIASCUNO IL SUO

Ho il piacere di presentarvi due racconti molto interessanti.

Naturalmente siete invitati a leggerli e a commentarli.

Il primo racconto, intitolato “A ciascuno il suo”, (titolo sciasciano) è firmato da Veronika Simoniti. E lo trovate in questo stesso post.

Il secondo, “I semi delle fave”, è di Simona Lo Iacono. E lo trovate qui.

Preciso subito che Veronika è la moglie del “nostro” Sergio Sozi.

Entrambi i racconti sono preceduti da una breve nota biografica.

Buona lettura.

(Massimo Maugeri)

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veronika_simoniti.jpg

Veronika Simoniti (1967, nella foto) vive a Lubiana, dove lavora, soprattutto per conto di grandi case editrici, come traduttrice letteraria dal francese e dall’italiano (Camilleri, Marani, Buzzati, Calvino, Pazzi, Tabucchi, Vassalli, ecc.), oltre che come Lettrice d’italiano presso
la Facoltà di Lettere e Filosofia di Lubiana.In quanto narratrice ha esordito in Slovenia nel 2005 con Zasukane štorije – raccolta di racconti brevi, segnalata dal Premio Esordio dell’Anno 2005 e due volte inclusa tra i finalisti del premio per la migliore raccolta di prosa breve, Fabula 2006 e Fabula 2007. Ha vinto premi o ricevuto segnalazioni anche per singoli racconti (per l’Italia ricordiamo la segnalazione del Premio Teramo). Pubblica per diverse riviste letterarie slovene e per Radio Slovenia. Alcuni suoi racconti sono stati tradotti in inglese, tedesco, ungherese, croato e italiano.Il racconto Egeo è incluso nell’antologia di scrittori sloveni nati dopo il ‘60, in inglese, A Lazy Sunday Afternoon, pubblicata dall’Associazione degli Scrittori Sloveni (Lubiana 2007) oltre che, in traduzione italiana, nell’antologia Cromografie (ed. bilingue ita/slo, 2007). Finora ha tenuto incontri letterari su invito a Budapest (Fiera del Libro – aprile 2006), Francoforte (Fiera del Libro – ottobre 2006), Roma (Università la Sapienza – maggio 2007), Torino (Salone del Libro – maggio 2007) e Berlino (Literatur Werkstatt – febbraio 2008). È membro della giuria del premio del Festival Letterario Internazionale Vilenica, dell’Associazione degli Scrittori Sloveni e dell’Associazione dei Traduttori Letterari sloveni.

Va infine precisato che il racconto A ciascuno il suo, tutt’ora inedito in Italia, ha ricevuto il personale apprezzamento di Claudio Magris.

________________________

A CIASCUNO IL SUO

Abdul non sapeva dove sbattere la testa. Non sapeva che fare. In un anno che stava in Italia ancora non aveva combinato niente. L’unica cosa buona era aver incontrato Madjid. Madjid non era curdo come Abdul, era berbero. Comunicavano in un italiano zoppicante, con quelle poche parole che avevano imparato durante il loro breve soggiorno senza permesso in Italia.

«Abdul, cosa fare noi oggi?»

«Che ne dici di andare a vedere se troviamo qualche motorino?»

«Ah, ah, Abdul, motorino per girare, brrruumm, brrruumm, ah, ah…»

E cosí Abdul il Curdo e Madjid il Berbero in quella tiepida sera settembrina si misero a cercare «qualche motorino». Si avviarono per le vie del centro storico pordenonese, senza badare alle bellissime facciate delle case rinascimentali, senza degnare nemmeno di uno sguardo le arcate che proteggevano i maestosi portoni dei palazzi signorili, senza sentire i colpi dell’orologio municipale, senza accorgersi degli affreschi rosso-marrone in restauro. Il loro passo era diretto verso l’immediato futuro perché del passato e della storia che ancora attualmente opprimevano i loro rispettivi popoli non ne potevano più. 

II 

Silvano e la sua fidanzatina salparono troppo tardi. Quella tiepida ma piovosa sera settembrina la loro macchina sembrava piú una nave che un veicolo stradale. In più, la sua fidanzata, nonostante l’aspetto magro, smilzo e indifeso, quella tiepida sera settembrina era anche un bel po’ stronzetta. Tra gli scrosci che si sentivano mentre le ruote navigavano da una pozzanghera dell’autostrada all’altra, non smetteva di rimproverargli di essere partiti troppo tardi per colpa sua, per colpa di Silvano.

«Chi dorme non piglia pesci. Se sai che il giorno dopo devi fare duecento chilometri in macchina e che l’incontro è fissato per le sei e mezza, non parti mica alle quattro del pomeriggio».

Il naso della fidanzata sembrava allungarsi per l’offesa.

«Senti, stanotte stavo ancora rileggendo la cosa. Lo sai che non sono molto sicuro che tutto vada bene».

«Ma certo che va bene, Silvano! L’abbiamo rivista chissà quante volte. Lo sai che meriterebbe di essere pubblicata».

«Lo pensi davvero?»

«Certo, amore».

Il naso della fidanzata era tornato corto come prima.

«Il fatto è che oggi funziona tutto con le conoscenze. Se non stai nel giro, se non lecchi i piedi a nessuno, non combini niente».

«Ce la farai, amore, ce la faremo», rispose la promessa sposa come rispondono le regine che dietro le quinte tengono i fili del regno del marito.

Splash, splosh… oddio, è andata la gomma!  

III 

«Abdul, piacere a te quello motorino?»

No, a Abdul non piaceva perché stava troppo vicino al baretto, e davanti al baretto c’era della gente seduta che, sorseggiando il caffè o il refosco friulano, avrebbe potuto vedere il furto da vicino e dunque reagire.

Il curdo e il berbero erano stanchi. Si sedettero sugli scalini davanti a un negozio chiuso per le tarde ferie.

«Sta per cominciare a piovere», disse Abdul.

«Da noi non piovere mai. Tutto secco», aggiunse Madjid.

«Da noi raramente. C’è anche una leggenda sulla pioggia. È una leggenda molto bella».«Dimmi la leggenda, Abdul».

«Un giorno un giovane principe vaga per i campi e avvista una  pastorella. La pastorella si chiamava Leila e pascola una sola pecorella… Il principe Najad si avvicina alla pastorella e vede che lei è molto bella…»

«Bella come Naomi Cambel, ah, ah…»

«Bella come Naomi Campbell. Ma vede anche che la pastorella Leila piange. Allora le chiede: ‘Pastorella, perché piangi?’»

In quel momento davanti ad Abdul e Madjid passò un elegante signore in giacca e cravatta che, scambiando il berretto di Abdul per un contenitore elemosiniaco, ci gettò la nuova moneta da mille lire.

Abdul e Madjid si scambiarono gli sguardi e sorrisero con complicità. 

IV 

Il professor Jagris già da tempo soffriva di quello che negli ambienti letterari viene definito il «vuoto creativo». Dopo l’ultimo libro, Il Tagliamento, una riuscitissima metafora del «taglio» tra due mondi, quello italiano e quello «furlan», era rimasto avvolto in un vacuum e gli sembrava di stare sotto una campana di vetro. Non lo poteva consolare né l’attenzione che gli recavano gli intellettualetti provinciali né gli inviti di cui era bombardato da ogni parte della regione né le lettere, piene di lodi e complimenti, che riceveva tutti i santi giorni. Non ne poteva piú di sparpagliare la propria conoscenza tra i commensali accidentalmente occasionali nelle tavolate dopo le sue conferenze, quella  gente che gli succhiava il midollo mentre lui buttava il suo sapere come le perle ai porci. Solo che i porci tornavano a casa tutti orgogliosi e arricchiti, e lui rientrava del tutto esausto e vuoto. Il  professor Jagris era disperato. Il contratto lo obbligava a consegnare un nuovo libro entro la fine dell’anno. Era autunno, era una tiepida sera settembrina, gli rimanevano ancora tre mesi e nell’orfano file del suo computer non figurava neanche una frase completa. Gli abbozzi delle idee gli giravano sí nella testa, ma nessuna di esse era degna di essere approfondita. Il tema del suo saggio letterario avrebbe dovuto aggirasi intorno alle leggende antiche e moderne orientali e occidentali. Il professor Jagris negli ultimi mesi aveva letto tanta di quella letteratura scritta sull’argomento, ma non riusciva a sviluppare un proprio punto di vista. E quella sera doveva andare all’Auditorio, per un’ennesima conferenza su Il Tagliamento. Sapeva a memoria già le domande che gli avrebbero fatto e le risposte che lui avrebbe dato. Erano le sei, bisognava avviarsi verso la sala, stava nella piazzetta sotto il corso. E poi ha fatto bene ad aver lasciato il motorino nel vicoletto lí vicino, sarà facile tornare a casa. Pensieroso, il professor Jagris passò davanti a due extracomunitari gettando una nuova moneta da mille lire nel berretto che giaceva davanti a loro. Chissà da dove vengono questi due, pensò, e chissà come sono le leggende del loro Paese. 

Il carro attrezzi dell’ACI partí e Silvano e la sua fidanzatina tirarono un sospiro di sollievo. La gomma era a posto e dopo aver fatto la pipí nell’orrendo ed anonimo autogrill continuarono il viaggio verso Pordenone. Silvano diventava nervoso perché si stava facendo tardi; la gomma gli aveva preso un’ora del suo prezioso tempo.

«Se fossimo partiti prima…», ricominciava la fidanzata col naso sempre piu affilato.

«Se fossimo, se fossimo… fatto sta che non siamo partiti prima!» alzò la voce Silvano.

«Per colpa di chi?»

«Uffa!»«E che fai???» urlò lei.

«Cosa adesso?»

«Hai appena fallito l’uscita per Pordenone!»

«Come? Non è possibile!»

«Ma sí, certo, se sorpassi il camion nel momento in cui ti sta coprendo il cartello indicatore!»

Anche il naso di Silvano diventò lungo. E per di piú, rosso.

La fidanzata stese la cartina sulle ginocchia.

«Adesso dobbiamo fare la strada statale che è molto piú lunga». 

VI 

«Allora le chiede: ‘

Pastorella, perché piangi?’

‘Piango perché prima avevo un gregge numeroso.’

‘E dove sono andate le tue pecore?’ chiede il principe.

‘Le ha rubate il Dio della Pioggia.’

‘E dove le ha portate?’

‘Stanno nel suo Regno delle Nuvole.’

‘E perché te le ha prese?’

‘Perché si sentiva solo e vuoto.’

‘Non puoi chiedergli di ridartele?’

‘Ho paura.’

Il principe Najad che pian piano si innamora della pastorella decide di andare dal Dio della Pioggia e chiedergli di restituire le pecore a Leila».

«Abdul, lei bella come Naomi Cambel?»«Sí, bella come Naomi Campbell». 

VII. 

Quando arrivarono a Pordenone erano le sette e mezza. Prima che trovassero la sala dell’Auditorio si erano fatte le otto meno dieci.

La porta dell’ingresso si aprí e uscí un grappolo di signori con la barba, c’era chi intellettualmente si accendeva la pipa, le donne ridevano con discrezione, i giovani dirigevano lo sguardo verso l’uscita della sala da dove dovrebbe da un istante all’altro venire il celebre personaggio. C’era chi, alla bancarella di uno studente stile sessantotto, comprava Il Tagliamento e c’era chi un po’ piu avanti con il libro già comprato in una mano e la penna nell’altra aspettava l’illustre docente per farsi fare l’autografo. Era questa la scena nel momento in cui giunsero Silvano e la sua fidanzata.

«Forse ci riusciamo».

«Ma come faccio a dargli la mia copia, guarda!»

Dal portone uscí un altro grappolo appiccicato al professor Jagris. Sembrava un plotone di guardie del corpo. La piccola folla si eccitò e circondò la scorta.

«Aspetta, si libererà di loro prima o poi, no?»

E infatti, dopo qualche minuto, i fan cominciarono a diradarsi, finché non restò solo il primo nucleo che accompagnò il professor Jagris attraverso la strada.

«Seguiamoli!» si entusiasmò la fidanzata di Silvano.

«Ma che sei pazza?»

«Lo vuoi pubblicare il libro o no? È un’occasione che non possiamo perdere. E poi abbiamo fatto tutta questa strada!»

Il corteo jagrisiano si avviò verso l’osteria dell’Antico daino e si sedette a un tavolino fuori, sotto la tenda. La fidanzata trascinò attraverso la strada Silvano, paralizzato dalla paura. I due si sedettero due tavoli piú lontano. Sulla panchina di legno, Jagris era schiacciato da altri incravattati che guardavano solo lui e assorbivano ogni parola dalle sue labbra. Il professore stava scomodo e anche se avrebbe dovuto un’altra volta gettare le perle ai porci era contento poiché almeno per una sera gli facevano dimenticare il «vuoto creativo»…  

«È imbarazzante», disse Silvano.

«Come faccio, vado lí mentre parla e gli ficco le bozze sotto il naso? Che, gli dico: Professor Jagris, ecco il mio libro, che ne dice di leggerlo e mettere una buona parola per me presso qualche casa editrice?»

«E allora perché siamo venuti? Perché abbiamo fatto duecento chilometri? Dimentichi che per tornare ne faremo altri duecento?»

«E poi lo sai, non sono nemmeno sicuro che il titolo vada bene».

«Ne abbiamo parlato tanto, Silvano: perché Il Regno del Sole non andrebbe bene? È un saggio letterario, ci vuole un titolo un minimo misterioso».

«Forse non traspare bene il contenuto: tratto delle leggende».

«Ma l’hai scritto nel sottotitolo: Il Regno del Sole, Leggende antiche e moderne dell’Occidente e dell’Oriente».

«Forse sarebbe meglio A ciascuno il suo o Le cose cambiano. Cosí si capirebbe subito il messaggio dell’intercambio delle culture, delle ricchezze che si regalavano i popoli durante la storia, spesso senza rendersene conto».

«Sei troppo autocritico».

«E forse non ho fatto abbastanza ricerche sulle leggende ancora sconosciute con cui illustrare il mio saggio. Mi manca il materiale».

I commensali del professor Jagris si alzarono e si misero a stringersi la mano.

«Adesso, vedi, sta per attraversare la strada, seguilo!» 

VIII 

«Abdul, a te piacere questo motorino?»

«Hm, questo potrebbe andar bene. Senti, tu ti metti un po’ piú avanti, a quell’angolo e osserva. Se viene qualcuno, fischia».

«Fischia? Fiu-fiu, cosí?»

«Cosí».

Abdul cominciò a occuparsi della catena intorno alla Vespa rossa.

Il professor Jagris attraversava la strada quando sentí una voce fioca dietro di lui: «Professore, professore, scusi un attimo». Jagris si voltò e vide un giovanotto che stendeva la mano verso di lui porgendogli un fascicolo giallo. Ma la scena che aveva visto un secondo prima gli tornò davanti agli occhi, la scena di due extracomunitari che stavano aprendo la catena di un motorino. Di un motorino rosso. Della sua Vespa! Il professor Jagris non badò al giovane invadente ma corse verso i due delinquenti. In certe situazioni il nostro cervello ha delle idee geniali. Il quel momento il cervello di Silvano ebbe l’idea di acquistare la simpatia del professore salvandogli la moto. Si buttò in una corsa sfrenata dietro ai due ragazzi  che nel frattempo erano riusciti a liberare il veicolo dall’abbraccio della catena, saltarci sopra e fuggire. Si buttò allora, seguito dalla fidanzata, in una gara rocambolesca per essere pubblicato, per diventare un giorno famoso come il professor Jagris, gettando per terra la cartella gialla con dentro il suo saggio. Il professor Jagris si fermò, rimanendo immobile in mezzo alla strada. Ancora non aveva capito cosa gli fosse successo. I suoi accompagnatori erano già andati via e non avevano visto l’indescrivibile avvenimento. La pioggia sgocciolava sulla cartella gialla. Il professor Jagris si inchinò e la raccolse. Aprí il cartone e lesse il titolo: Il Regno del Sole, Leggende antiche e moderne dell’Occidente e dell’Oriente. Un sorriso malizioso gli attraversò il viso. 

 IX 

Dicono che quando uno alle cose ci tiene, riesca a attraversare mari e monti. Silvano, che teneva tanto a conoscere il professor Jagris e a pubblicare il suo saggio, riuscí a prendere i due mascalzoni e la moto del celebre intellettuale. L’ambizione gli dava un tale coraggio che se ne accorsero e si spaventarono anche Abdul il Curdo e Madjid il Berbero.

«Prego, prego, non fare male, noi poveri», supplicava Madjid.

«Non chiamare la polizia, per favore», lo pregava Abdul.

«Adesso torniamo dal legittimo proprietario, gli ridiamo la moto e voi vi scusate direttamente con lui!» era accanito Silvano che teneva le giacche dei due ragazzi sulla loro nuca mentre la fidanzata tirava la Vespa.

«Noi fare tutto, ma non dire polizia!»

Quando imboccarono la strada del furto, il professor Jagris non c’era più. Tornarono al luogo esatto del delitto e non c’era nemmeno la cartella gialla. Silvano lasciò i colletti di Abdul e Madjid, si sedette disperato all’orlo del marciapiede e, sull’orlo delle lacrime, si mise la testa tra le mani.

«Vedete cosa avete fatto, imbecilli!» disse la fidanzata abbracciando Silvano.

«Cosa? Il signore è già andato via, forse lui se ne frega della moto».

«Idioti, ho perso il mio saggio!»

«Saggio? Cosa saggio?» chiese Madjid.

«Sí, ciao, a spiegarlo a voi, cos’è un saggio. E cosa sono le leggende e cos’è la storia del Regno del Sole», singhiozzò Silvano.

«Abdul, questo come tua storia regno di nuvole».

«Sí, adesso non è piu il regno del sole, è il regno delle nuvole», ironizzò la fidanzata.

«La leggenda curda racconta che un giorno un giovane principe erra per i campi e incontra una pastorella, Leila, che pascola una sola pecorella… Il  principe Najad si avvicina alla pastorella e vede che lei è molto bella…»

«Bella come Naomi Cambel…» aggiunse Madjid.«Bella come Naomi Campbell», ripetè Abdul e continuò: «Ma vede anche che la pastorella Leila piange. Allora le chiede: ‘Pastorella, perché piangi?’

‘Piango perché prima avevo un gregge numeroso.’

 ’E dove sono andate le tue pecore?’ chiede il principe.

‘Le ha rubate il Dio della Pioggia.’

‘E dove le ha portate?”Stanno nel suo Regno delle Nuvole.’

‘E perché te le ha prese?’

‘Perché si sentiva solo e vuoto.’

‘Non puoi chiedergli di ridartele?’

‘Ho paura.’

Il principe che pian piano si innamora della pastorella decide di andare dal Dio della Pioggia a chiedergli di restituire le pecore a Leila.

Quando arriva al Regno delle Nuvole vede che le nuvole non sono nuvole bensí le pecore che pascolano sul cielo. Le pecore sono molto tristi perché non stanno piú con Leila. E le loro lacrime sono le gocce della pioggia.

Il principe va dal Dio della Pioggia e gli dice:

‘Dio della Pioggia, ridai le pecore alla pastorella Leila, perché lei è triste.’

‘Ma come faccio a essere il Dio della Pioggia se non mando la pioggia sulla Terra?

‘Allora il prinicipe Najad ha un’idea: ‘Senti,’ gli propone, ‘a ogni luna piena io ti porto cento barili di acqua dal fiume che scorre per il mio paese: tu dopo puoi rovesciarli sulla Terra come pioggia. E tu dài le pecore a Leila, lei non piangerà piú, si innamorerà di me e ci sposeremo.

‘Al Dio della Pioggia piace questa soluzione e cosi è ancora oggi: piove regolarmente e il principe Najad vive felicemente sposato con la pastorella Leila. A ciascuno il suo».

Il viso di Silvano si rasserenò. Prese la testa di Abdul tra le sue mani e lo baciò.

«Grazie, grazie, tu mi hai salvato, questa leggenda farà perfettamente da filo conduttore nel mio saggio Il regno del Sole! Grazie, grazie!» 

La macchina dei fidanzati cantanti divorava allegramente i duecento chilometri. Quella stessa sera, qualche passante infreddolito poteva intravedere attraverso una finestra del pianterreno di un palazzo liberty un professore felicemente assorto e chinato sopra un testo dalle copertine gialle.

«Bella come Naomi Cambel, vero, Abdul?» sorrise sognante Madjid.

«Bella come Naomi Campbell», rispose Abdul, tirando la motocicletta rossa nella fredda notte settembrina. 

Veronika Simoniti

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), SEGNALAZIONI E RECENSIONI   123 commenti »

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