venerdì, 10 luglio 2020
NORDICHE: ricordando Elena Salibra
Nell’ambito delle rubrica di Letteratitudine “Poesia” ospitiamo il primo di due saggi dedicati a ricordare la poetessa Elena Salibra, firmati dalla professoressa e saggista letteraria Emma Di Rao.
Questo primo saggio è incentrato sull’opera Nordiche la quinta raccolta poetica di Elena Salibra
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L’Io di Nordiche: né Ulisse né Tiresia
di Emma Di Rao
L’inscindibile legame che intercorre tra vita e letteratura si rinviene anche in Nordiche[1], la quinta raccolta poetica di Elena Salibra, e ne costituisce il tratto più significativo. Dissimulata, o persino assunta come materia su cui viene esercitata un’ironia sottile ed elegante, la dolorosa contingenza della malattia si configura, infatti, come la prospettiva da cui l’io poetante rappresenta i molteplici aspetti del reale – finanche elementi riconducibili alla quotidianità o dettagli apparentemente insignificanti -, sui quali interviene quella “doppia visione” che consente di rinvenire in essi un significato ulteriore.
L’ambito del vissuto individuale è oltrepassato mediante il dar voce alla ricerca del significato da attribuire alla nostra esistenza, soprattutto quando essa è minacciata dal sopravvenire di circostanze drammatiche. È tuttavia innegabile che l’esperienza del dolore produce una sorta di potenziamento della capacità di vedere e di conoscere il reale, coniugandosi con una straordinaria lucidità. Come nelle raccolte precedenti[2], il discorso lirico non accoglie, però, toni che non siano pacati e sobri, dando luogo a una cifra stilistica che coincide con una scrittura elegante e armoniosa, acquisita dall’italianista siracusana anche in margine ad uno studio rigoroso del patrimonio letterario classico e moderno. Alla resa letteraria e alla creazione di un dettato sempre ricercato -anche quando si fa ricorso a toni volutamente dimessi e colloquiali – contribuisce indubbiamente la memoria poetica che, nell’itinerario lirico salibriano, si manifesta nella fitta trama di reminiscenze mutuate da poeti quali Pascoli, D’Annunzio, Gozzano, Montale. Si tratta di echi o citazioni che, come è stato a ragione affermato[3], “non fanno macchia” e non sono di ostacolo alla creazione di un linguaggio poetico autonomo. Basti pensare al tema ricorrente del varco, che, pur rimandando innegabilmente a Montale, rappresenta anche un’innovazione rispetto al modello di riferimento. (continua…)
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