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mercoledì, 8 aprile 2020

WANN-CHLORE, JANE LA PALLIDA di Honoré de Balzac (raccontato da Mariolina Bertini, traduttrice italiana del romanzo)

“Wann-Chlore, Jane la pallida” di Honoré de Balzac (raccontato da Mariolina Bertini, traduttrice italiana del romanzo)

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Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine chiamato Vista dal traduttore (dedicato, per l’appunto, al lavoro delle traduttrici e dei traduttori letterari) è incentrato sul romanzo “Wann-Chlore, Jane la pallida” di Honoré de Balzac (Edizioni Clichy – traduzione di Mariolina Bertini ): uno dei romanzi meno noti di Balzac, mai pubblicato in italiano se non in forma edulcorata e introvabile dagli anni Trenta del Novecento, proposto adesso in una nuova traduzione di Mariolina Bertini e con un’introduzione di Alessandra Ginzburg.

Mariolina Bertini ha insegnato all’Università di Parma dal 1988 al 2017, ha studiato Proust e Balzac e ha pubblicato nel 2017 presso Pendragon Torino piccola. Una giovinezza del XX secolo e nel 2019 presso Carocci L’ombra di Vautrin. Proust lettore di Balzac.

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Honoré de Balzac, Wann-Chlore, Jane la pallida, ed. orig. 1825, trad. di Mariolina Bertini, introduzione di Alessandra Ginzburg, Clichy, Firenze, 2020, pp. 479

di Mariolina Bertini

Non è un’impresa che si affronti a cuor leggero, tradurre Balzac. Già i suoi contemporanei restavano spiazzati davanti al suo linguaggio in cui confluivano i gerghi di tutte le professioni, i neologismi alla moda, gli arcaismi mutuati dal suo amatissimo Rabelais. I giornalisti protestavano. La lingua dei suoi romanzi non era il bel francese chiaro, cartesiano dei classici: era “un ‘altra cosa”. I primi a capire che questa “altra cosa” era uno strumento meraviglioso per raccontare la modernità, furono il poeta Théophile Gautier e il critico Hippolyte Taine: oggi è un dato acquisito, che nessuno mette più in discussione. Ma per i traduttori, trasferire quel meraviglioso, sofisticato strumento da una lingua all’altra, è un’ardua prova.
L’ho affrontata volentieri, questa prova, per rimettere in circolazione un’opera misconosciuta di Balzac, il romanzo giovanile Wann-Chlore, la cui ultima versione era arrivata nelle librerie italiane cent’anni fa.  La traduzione è stata un costante esercizio di equilibrismo: evitare gli anacronismi, rendendo al tempo stesso la prosa balzachiana accessibile al lettore italiano d’oggi senza fatica, con naturalezza e piacere.  I lettori – sperando che ci siano – diranno se ci sono riuscita.
Wann-Chlore è, nell’improbabile inglese di Balzac, il nome dell’eroina del romanzo: all’inizio della storia, una quindicenne pallida e quasi fantasmatica, ma dal fascino irresistibile. Al tempo delle guerre napoleoniche, pur essendo inglese, vive con il padre adottivo a Parigi, in quella che è oggi Place des Vosges; con il suono incantato della sua arpa, affascina un giovane aristocratico, Horace Landon. Le melodie irlandesi di Thomas Moore, i suoi versi sugli amori degli angeli accompagnano la nascita di un amore intenso e puro; ma Horace deve partire per la Spagna con l’esercito di Napoleone, e l’idillio dovrà proseguire di lontano.  Horace affida Wann alle cure del suo più caro amico, l’italiano Annibal Salvati. Ma l’amico si invaghisce a sua volta del poetico pallore della giovane inglese e ordisce un perfido intrigo per separare i due innamorati. Tornato in Francia e convinto di essere stato abbandonato da Wann, Horace va a vivere in un villaggio, lontano da Parigi; qui, senza aver dimenticato il suo primo amore, è colpito dalla bellezza e dall’infelicità della dolce Eugénie d’Arneuse, vittima di una madre arrivista, civetta, gelida e autoritaria.  Dopo molte esitazioni, Horace decide di raccontare tutta la sua storia a Eugénie e di chiederla in moglie, mosso più da una fraterna compassione che da autentico amore. Eugénie invece prova per lui la prima, violentissima passione della sua vita, e accetta di sposarlo, pur comprendendo che l’ombra di Wann peserà sempre sulla loro unione.  La vicenda si complicherà con il suicidio di Salvati e la ricomparsa di Wann, che si è ritirata a vivere in un suggestivo ritiro all’ombra della cattedrale di Tours.  Trascinati dalla fatalità, Eugénie, Wann e Horace vivranno fino in fondo, ciascuno a suo modo, l’esperienza dell’amore romantico, in cui si confondono egoismo ed ebbrezza del sacrificio, erotismo e slanci mistici, sogni allucinati e crudeli ritorni alla realtà.
Balzac non incluse Wann-Chlore, scritto tra il 1822 e il 1825, nella Commedia umana, pur ristampandolo nel 1836.  Era troppo prossimo, con le sue eroine angeliche e con le inquietanti apparizioni del traditore Salvati, al mondo fantastico del romanzo gotico, che non poteva trovar posto nella sua fedele raffigurazione della civiltà contemporanea.  Ma proprio l’atmosfera così peculiare di quest’opera giovanile lontana dal realismo la rende oggi per noi particolarmente attraente e suggestiva.

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Un estratto del libro

[Il rifugio di Wann-Chlore a Tours e la cattedrale di Saint-Gatien]

Il luogo che Wann-Chlore aveva scelto per ritirarsi non era privo di fisionomia. I luoghi non hanno forse, come le persone, caratteri diversi? E poi, come l’amicizia si fonda soltanto su certi rapporti tra le anime, l’anima, che ha una sorta d’amicizia per le cose, non instaura sempre, con  istinto meraviglioso,  una segreta armonia tra se stessa e le realtà con le quali deve incessantemente confrontarsi? La nostra anima si tradisce così attraverso piccoli indizi che non sfuggono all’occhio dell’osservatore, e Wann-Chlore lasciava indovinare i suoi segreti pensieri attraverso il solo aspetto della sua dimora.
La cattedrale di Saint-Gatien è uno di quei grandi monumenti con i quali gli architetti del Medio Evo hanno abbellito la Francia.
Questa architettura ha la particolarità di riuscire a  unire l’abbondanza, la minuzia, perfino la bizzaria degli ornamenti alla grandezza, all’audacia dell’insieme: dov’è il vero Dio, sembra che là sia il sublime,  e che ci sia posto per le rappresentazioni più fantastiche delle creature. In effetti, se la vista, dopo esser salita sino al cielo con le piccole cupole delle guglie, si abbassa sulla basilica, allora i numerosi archi di sostegno che sembrano moltiplicarsi, i pilastri che raffigurano diversi alberi riuniti, incoronati dal loro fogliame a guisa di capitello,  e una  moltitudine di animali scolpiti, offrono all’occhio lo spettacolo di una foresta incantata . Ci sono tutte le creature sorte dal pensiero del Dio vivente, la loro folla è animata: alcune si arrampicano, altre strisciano, tutte giocano; questa non è più una pietra messa per respingere le acque del cielo, è un abitante del Nilo; tutte sono allineate con ordine, e par di indovinare che un pensiero bizzarro abbia dominato l’architetto  quando innalzò questo monumento.  Sembra perfino che la natura  si sia preoccupata di dare alla massa imponente di questo edificio un’espressione tutta romantica: nubi di corvi ne abitano continuamente le vette e il loro funebre canto  presta una voce terribile a questa dimora del Dio vendicatore.
Questa cattedrale,  cui il passaggio dei secoli ha lasciato in eredità una patina scura, è circondata da grandi edifici,  neri quanto i numerosi archi che proteggono le sue cappelle laterali . Nel luogo in cui, dietro il santuario, gli archi si riuniscono e abbondano, come a proteggere il santo dei santi, c’è  poi una piazzetta triste e silenziosa; l’erba vi cresce tra i sassi del selciato, è deserta come un luogo d’orrore …
Lì abitava Wann-Chlore, protetta da una duplice barriera di pace e di silenzio. A volte quella spaventosa solitudine era turbata, ma soltanto dalle mille voci del popolo, e i canti di terrore o di gioia, i canti religiosi, attraversando i muri, venivano a morire al suo orecchio come i rumori dei flutti del mondo abitato  giungono a un’anima che prende il volo verso i cieli.

(Riproduzione riservata)

© Edizioni Clichy

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Wann-Chlore. Jane la pallida - Honoré de Balzac - copertinaLa scheda del libro

Nel 1825 Honoré de Balzac, a 26 anni, pubblica anonimamente il più ambizioso dei suoi romanzi giovanili, “Wann-Chlore”. Si ispira nell’intreccio a un dramma giovanile di Goethe, “Stella”, che affronta il tema di un uomo diviso tra l’amore di due donne. È questa anche la situazione del protagonista di “Wann-Chlore”, un giovane ufficiale di nobile e ricca famiglia, Horace Landon. Durante le guerre napoleoniche, Horace vive un’intensa e romantica storia d’amore con una fanciulla inglese, Wann-Chlore. Credendosi però tradito da lei, in seguito a un complesso inganno ordito da un falso amico, sposa nel 1814 Eugénie, dolce e devota creatura martirizzata da una madre ambiziosa e durissima. Quando, troppo tardi, Horace scopre che Wann-Chlore non l’aveva mai tradito, abbandona Eugénie e torna da lei. Eugénie però non si rassegna: si fa assumere sotto falso nome al servizio della rivale e sviluppa verso di lei una sorta di complesso e tormentato odio-amore. La situazione precipiterà verso uno scioglimento tragico, che riunirà gli amanti in una «morte d’amore» simile a quella di Tristano e botta. Lungamente elaborato da Balzac tra il 1822 e il 1825, “Wann-Chlore” alterna episodi più realistici (come i rapporti di Eugénie con la madre) a parti dall’atmosfera fantastica e onirica, ispirate al romanzo gotico. Balzac lo ripubblicherà nel 1836, insieme ad altre opere giovanili, in un’edizione censurata e ridotta, con il titolo “Jane la Pale”.

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Tutte le puntate di “Vista dal traduttore” sono disponibili qui.

L’introduzione della rubrica è disponibile qui

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© Letteratitudine – www.letteratitudine.it

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Scritto mercoledì, 8 aprile 2020 alle 07:22 nella categoria VISTA DAL TRADUTTORE. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

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