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martedì, 25 luglio 2017

POESIA: Ocean Vuong (Cielo notturno con fori d’uscita)

Il nuovo appuntamento dello spazio “POESIA” di Letteratitudine è dedicato al giovane poeta vietnamita Ocean Vuong e al suo “Cielo notturno con fori d’uscita” (La nave di Teseo) – prefazione di Michael Cunningham, traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan.

Di seguito, la recensione di Daniela Sessa.

* * *

Il corpo lirico di Ocean  Vuong: “Cielo notturno con fori d’uscita”.

di  Daniela Sessa

Lui getta il mio nome in aria. Io guardo le sillabe che si sbriciolano in ciottoli sul ponte“.  L’immagine è in “Immigrant haibun”  di Ocean Vuong: si finga nel nome un “io” e nell’io un “noi”, che leggiamo i suoi versi, e si resta colpiti dal baluginìo della sua poesia. Baluginìo mentre il senso se ne sta camuffato nel singhiozzo delle immagini, nel gioco di parole dal suono di oboe  e luce di stelle, quelle inghiottite dal buco nero della memoria, del dolore, del corpo. Stelle che brillano e poi muoiono. Dentro un libro. Ciottoli sul ponte sono le parole dei libri o l’inceppamento di un revolver

“ Torna indietro & vai a cercare il libro che ho lasciato

per noi, colmo

di tutti i colori del cielo

dimenticato dai becchini.

Usalo.

Usalo per provare che le stelle

sono sempre state quello che sapevamo

fossero: i fori d’uscita

di ogni

parola che ha fatto cilecca”

Le parole di Ocean Vuong al primo pronunciarsi paiono non trafiggere, leggere come sono per le ali delle metafore che le portano in alto, nel cielo notturno. Ma proprio in quel notturno, in quel buio sappiamo, sentiamo che stanno lacerando. Lacerano il corpo. Di chi legge e ascolta. Del poeta che scrive e legge. Lacerano il corpo se “in every body is the book”, afferma Ocean Vuong in un’intervista televisiva. Il corpo racchiude un libro, racchiude parole, versi: “Recording poems”, questo fa il corpo per Ocean Vuong. Una poesia carnale e lieve, ossimoro di scrittura e senso. Tanto più sanguinano le immagini quanto più la parola lava quel sangue fino a cancellarlo, fino a sublimare in suoni e colori le ferite aperte del corpo. Un corpo martoriato dalla guerra, dalla violenza, dal viaggio, dal sesso trova una voce nei labirinti della memoria. Ocean Vuong è molto giovane, non ha ricordi del Vietnam fatto a pezzi dalla guerra perciò prende i ricordi dalla madre e dalla nonna. L’universo femminile custodisce anche il senso del viaggio in America, la terra nemica che accoglie. Qui c’è l’assassinio edipico del padre “Carissimo Padre, che ne sarà del ragazzo/ non più ragazzo? Ti prego-/che ne è del pastore/ quando le pecore sono cannibali?”, qui c’è “l’orizzonte di ruggine” di Newport “America una fila di lampioni/ che gli baluginavano sulle labbra/di whiskey”, qui c’è una lingua nuova e la “parola esiliata” per decrittare sentimenti atavici, una lingua “fiammifero acceso” a generare un’identità nuova, meticcia di pelle e di radici emotive “Quando ti chiederanno/ di dove sei,/ di’ che il tuo nome/ è stato reso carne dalla bocca sdentata/ di una donna di guerra”.  Elegia del padre ed epos della madre è “ Cielo notturno in fori d’uscita” di Ocean Vuong (La nave di Teseo, 2017), la prima raccolta di questo giovane poeta vietnamita e americano, portato in Italia dall’acume di Elisabetta Sgarbi che lo ha pubblicato in un volume prezioso (prefazione di Michael Cunningham, traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan). Malinconia e mito sono spazio lirico. Malinconia per un padre incapace di ritorno e aura mitica per la madre quasi una presenza sciamanica di coraggio e sfida. Le trentacinque poesie di questa spaesante raccolta celebrano la scrittura come piena realizzazione dell’io poetante. Domina la figura gracile del poeta. Gracilità della dimensione di figlio sulla soglia (“Thresold” è la poesia che apre la raccolta), di ragazzo piegato da orgasmi onanistici (in “Ode alla masturbazione”) e omosessuali, di poeta alla ricerca impossibile e distratta di un modello di lessico e metro (in molte liriche c’è la tentazione immatura di rendere omaggio alla poesia americana di Carl Phillips, Robert Duncan, Frank O’Hara come anche le letture di Joseph Brodskji, di Shakespeare e di Milton, addirittura di Garcia Lorca).
lorenza-mazzettiGracile è Ocean Vuong anche nella voce. Bassa, fine, a tratti pastosa e sempre dolce; controllata è la recitazione di Vuong. Ascoltare – come è accaduto al pubblico della Milanesiana 2017-  e leggere Ocean Vuong è un’esperienza totale. Le pause e il tremore, talvolta beffardo della voce, è mimesi del poggiarsi del verso sulla pagina. Il singulto della voce è il verso libero spezzato in una qualsiasi posizione della pagina, frammenti di bianco e nero come inconsapevole eco di calligrammi e figure ermetiche; l’ansimare ampio è il calco tonale della forma scritta del verso o della misura dell’haibun (in Ocean sequenze di haiku travestito di realismo, dunque evocativo e intimo come i rifugi del corsivo). Suoni e colori. C’è una lirica dedicata a un dipinto di Mark Rothko “Untitoled (Blu, Green and Brown)” che ricorda l’attacco alle Torri Gemelle: più di tutte rende il senso della poesia di Vuong. I campi di colore (il color field painting) del pittore statunitense evocano nel loro astrattismo l’asimmetria singolare tra parole e temi del libro di Vuong. Si può non restare rapiti dalla bellezza di un verso come “Il rosso è soltanto nero che ricorda”? Il rosso ricorda il pane nero della menzogna e dell’esodo (la poesia è “Pane quotidiano”). Questo pane non ha nulla di mistico: è solo precipizio nel buio del Vietnam ed è pure inchiostro “…Non so/ niente del mio paese. Scrivo/ e basta. Costruisco una vita &la faccio a pezzi/ & il sole continua a splendere. Onda come/falce di luna. Aerosol di sale. Tsunami. Ho/ abbastanza inchiostro per darti il mare/ma non le navi, ma questo è il mio libro/& dirò qualsiasi cosa pur di rimanere dentro/questa pelle…”. Inchiostro per parole e versi evocativi, per corrispondenze di segni, talvolta enigmatiche più spesso di lampante verità. Complice di questo realismo simbolico è proprio la lingua di Vuong quasi antica, acerba. Diversa. Se mescola la colloquialità di poesie come “Frammenti da un taccuino” allo sperimentalismo di “Il settimo cerchio terreste” (dove il testo è relegato nelle note) o di “Il dono” (in cui sembra giocare a distanza con le vocali di Rimbaud), allo stesso modo Vuong è capace di creare un felice magma linguistico, per esempio tra la tradizione elisabettiana di “thee” o la devianza cercata con l’uso dell’ampersad “&” e la raffinatezza evocativa di grappoli di parole: “Non resta altro della frase/ che un verso,/il filo di un capello nero rimasto in secca/ fino ai miei piedi”. Eleganza di stile che dà ragione a Cunningham quando afferma che l’inglese di Vuong è fresco ed eterodosso ma non sperimentale: è la lingua emotiva e personale che esprime dolori di sempre, comuni, umani. Che sa trovare il codice per riscrivere i miti: nella raccolta c’è un ciclo odissiaco con un “Telemaco” che trova il padre “come una bottiglia verde potrebbe comparire/ ai piedi di un ragazzo con dentro un anno/ da lui mai toccato” e un “Odisseo reduce” simile a un pastore di Caravaggio, un padre erotico con un petalo rosso attaccato sulla lingua o anche “Troiano” che si veste di un abito rosso e danza davanti al cavallo dalla “pancia piena di lame & di bruti”. Al mito rimanda una splendida “Eurydice” trasfigurata in una cerva inghiottita dall’erba ghiacciata e a un appunto “se Orfeo fosse stato donna non mi troverei incastrato quaggiù”. I versi di Vuong diventano composti e inappuntabili nel ritmo quando attraversano lo scandalo dell’eros. Se il Vietnam è soprattutto guerra, l’America è soprattutto sesso. Anche qui la brutalità e l’oscenità si sublimano nell’ironia e nell’affinamento del lessico, nel rimpiattino tra realismo e allusività “Invece l’anno comincia/ con le mie ginocchia/ che strusciano sul parquet,/ un altro uomo che se ne va/ nella mia gola. Neve fresca/ crepita sulla finestra,/ ogni fiocco una lettera,/di un alfabeto/che ho tagliato fuori del tutto”. Come leggere “Cielo notturno in fori d’uscita”? Di certo con la predisposizione d’animo a farsi trascinare dai sensi. Vista e udito sì, e poi i sensi interni. L’immaginazione per vagare tra i luoghi e i personaggi che la memoria del giovane Vuong ha trasformato in correlativi delle emozioni e dunque l’associazione (la metafora e la realtà del corpo) e la dissociazione (la trasfigurazione della figura paterna). E infine allertare le sensazioni e accorgersi che si è offerto a noi il corpo di un poeta. “Un giorno amerò Ocean Vuong” è il dono di quel corpo scrigno in versi di disincanto e fremito.

Hai chiesto un’altra chance

& ti viene concessa una bocca da cui svuotarti.

Non avere paura, gli spari

sono solo il rumore di gente

che cerca di vivere un po’ più a lungo

& non ce la fa. Ocean. Ocean –

alzati. La parte più bella del tuo corpo

è il luogo verso cui si dirige. & ricorda,

la solitudine è comunque tempo trascorso

insieme al mondo…

* * *

La scheda del libro

35 poesie, ispirate al vissuto di questo giovanissimo autore, in cui l’amore per il classicismo – il mito, l’estetica, l’armonia, la ricerca dell’ordine, della simmetria – si fonde con la ricerca di nuove forme, sempre fedeli al verso libero, e a una commistione fra prosa, dialogo, e lirismo.

Il Vietnam dilaniato dalla guerra e dal comunismo; New York – il simbolo dell’America – ferita dalla violenza e dall’intolleranza; l’omosessualità come condizione di diversità ed emarginazione. Trentacinque poesie, ispirate al vissuto di questo giovanissimo autore vietnamita, emigrato in America ancora bambino e celebrato dalla critica come uno dei poeti più rivoluzionari degli ultimi anni. Ad animare Cielo notturno con fori d’uscita, la sua prima raccolta poetica, è una lingua nuova, di commistione e creazione, in cui l’amore per il classicismo – il mito, l’estetica, l’armonia, la fede nell’ordine e nella simmetria – si fonde con la ricerca di nuove forme, sempre fedeli al verso libero e a un dialogo fra prosa e lirismo sorprendente e vitale.

* * *

lorenza-mazzettiOcean Vuong è nato in Vietnam nel 1988 e si è trasferito negli Stati Uniti nel 1990. Con la sua raccolta di debutto, Cielo notturno con fori d’uscita, ha vinto nel 2016 il Whiting Award. Ha ricevuto inoltre il Pushcart Prize e altri riconoscimenti da: Poets House, The Elizabeth George Foundation, Fondazione Civitella Ranieri, The Saltonstall Foundation for the Arts e Academy of American Poets. Le sue opere di poesia e narrativa sono state pubblicate sul “New York Times”, “The New Yorker”, “Kenyon Review”, “The Nation”, “New Republic”, “Poetry”, “The American Poetry Review”, che gli ha conferito lo Stanley Kunitz Prize for Younger Poets. Cielo notturno con fori d’uscita è stato tradotto in albanese, arabo, bulgaro, cantonese, francese, hindi, spagnolo e ucraino.

* * *

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Scritto martedì, 25 luglio 2017 alle 19:00 nella categoria POESIA. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

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