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Archivio del 31 maggio 2011

martedì, 31 maggio 2011

LA MIA STIRPE di Ferdinando Camon

La mia stirpeEravamo nella stirpe prima di nascere, saremo nella stirpe dopo la morte.
La mia stirpe“, il nuovo romanzo di Ferdinando Camon.

Tuo padre è in ospedale. Ha avuto un ictus. Non parla più, ma tenta di dirti qualcosa. Così procuri una lavagna alfabetica: nonostante la paralisi, può ancora muovere una mano e puntarla sulle lettere per comporre le parole. Ma la mano ruota in aria, tentenna. «Allora», dici «capimmo una cosa a cui nessuno aveva mai pensato: non sapeva l’alfabeto. Non ricordava l’ordine delle lettere». Lo so. È tragico non riuscire a capire colui dal quale vieni. È come se il fiume in cui scorre l’esistenza incontrasse una diga. E se non vai avanti, ti volgi indietro. Così ripensi al padre contadino che va in guerra, ma non vuole sparare, e per tornare a casa si inietta acqua infetta sul ginocchio. O ai momenti in cui tuo padre corteggia tua madre. E lì che si gioca tutto. Se qualcosa va storto, tu non esisterai. Ma poi nasci, diventi un altro anello della catena della stirpe. E in quanto tale, lo sai, non puoi fermarti dinanzi a un diga su cui pare interrompersi il flusso dell’esistenza. Devi andare avanti. E se tuo padre ti fa capire che il suo desiderio è che tu ti rechi dinanzi al Papa, tenendo la sua foto e la foto di suo padre nella tasca della camicia, è questo che farai. Andrai di fronte al Papa, sì, perché sarai invitato a incontrarlo a Roma insieme agli artisti di tutto il mondo. E non importa se non sarai in prima fila; o se davanti siederanno «divi, bestselleristi, vincitori di Leoni d’Oro, Palme d’Oro, Oscar». Non importa se sarai dietro, tra «gli artisti che sono artisti e basta, magari grandi artisti, ma hanno vinto poco». E se tuo padre e tuo nonno, da sotto la camicia ti rimprovereranno dicendo «ma che scrittore sei», tu potrai battere la mano sul petto per tenerli buoni e dire «colpa vostra, siete poveri, e la povertà è un crimine che si sconta con l’ergastolo ereditario». Ma sarà solo un attimo. Quando il Papa parlerà, loro – tuo padre e il padre di tuo padre – troveranno pace. E quando saluterà, loro risponderanno «noi già t’aspettiamo, in Paradiso». Non è facile essere anelli di una catena, ma fa bene al cuore guardare i nipotini e riconoscersi e riconoscere in loro i tuoi genitori. Non importa se tua madre, a venticinque anni, temeva di rimanere incinta con un bacio, mentre la nipotina sembra “sapere già tutto”. Lei sarà lì, tu sarai lì. E sarai in quelli che verranno dopo e dopo ancora, perché la stirpe – in fin dei conti – è garanzia di immortalità.

Ritengo che “La mia stirpe” (Garzanti, p. 151, € 14,60), il nuovo bellissimo romanzo di Ferdinando Camon, sia un esempio di come la letteratura e la vita si possano legare in un unicum inscindibile, di come l’esperienza di un singolo possa trasfigurarsi attraverso il racconto e diventare epica condivisa dell’esistenza umana e delle sue radici. Ché la stirpe questo è: sangue e cellule; ma anche una catena di segni, sentimenti, ricordi che si ripetono e si riproducono ancorando l’uomo al suo prima e al suo dopo, conferendogli senso e appartenenza. Con i pro e i contro che caratterizzano ogni “fatto” umano.

Avremo modo di approfondire la conoscenza di questo libro. Inoltre, prendendo spunto dai temi proposti dal nuovo romanzo di Ferdinando Camon, vorrei che esprimeste le vostre opinioni e riflessioni sul concetto di “stirpe” (nel senso inteso). Vi invito anche ad ascoltare l’intervista radiofonica che Camon ha rilasciato a Fahrenheit.
Seguono le solite domande finalizzate ad avviare e stimolare la discussione (a cui parteciperà lo stesso autore del libro protagonista di questo post).

1. Vi è mai capitato di trovare in voi alcuni elementi di somiglianza con i vostri genitori e nonni che, magari, vi hanno colto di sorpresa?

2. Analogamente, vi è mai capitato di riconoscervi in alcuni tratti, atteggiamenti, modi di pensare dei vostri figli e nipoti (al punto da rimanere meravigliati della somiglianza)?

3. Appartenere a una “stirpe” è più un vincolo, una consolazione o una responsabilità? O cos’altro?

4. In certi casi, può essere una condanna?

5. Fino a che punto l’appartenenza a una stirpe può essere considerata il “viatico” per sopravvivere a se stessi?

A voi, se volete, le risposte.

Massimo Maugeri

Pubblicato in IL SOTTOSUOLO (di Ferdinando Camon), SEGNALAZIONI E RECENSIONI   115 commenti »

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