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venerdì, 25 febbraio 2011

DIBATTITO SUL ROMANZO STORICO (seconda parte)

dibattito-sul-romanzo-storicoImmagine 30 StoriaQuesto post nasce come “costola” del Dibattito sul romanzo storico avviato tempo fa  con il coinvolgimento di vari autori.

Qui avremo modo di discutere dei nuovi libri di Valter BinaghiRita Charbonnier, Alfredo Colitto, Patrizia Debicke van der Noot, Alessandro Defilippi, Andrea Frediani, Marco Salvador, Annalisa Stancanelli.

Avremo anche la possibilità di interagire con gli autori per conoscere meglio i rispettivi romanzi, ma non solo…

Alle domande proposte nel post originario (a cui rimando chi volesse cimentarsi con nuove risposte), aggiungo le seguenti (rivolte sia agli autori, sia ai lettori).

1. Scrivere romanzi storici, può trasformarsi in una sorta di “gabbia” per lo scrittore (a seguito di possibili etichettature e/o per via delle aspettative dei lettori)?

2. Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?

3. Esistono pregiudizi sul romanzo storico?

4. A proposito di generi letterari… Esiste un mainstream contrapposto al genere? O tutta la narrativa è di genere? O ancora: mainstream e genere sono sullo stesso piano, e il punto è unicamente l’originalità e la sincerita delle storie (anche nel rispetto della Storia) e la qualità della scrittura?
(domande poste dallo scrittore Alessandro Defilippi nel corso della discussione e inserite in aggiornamento del post)

Nel corso della discussione potranno emergere nuove domande.
Di seguito, le recensioni ai libri… e altro ancora.

Massimo Maugeri

LA SORELLA DI MOZART (Piemme) di Rita Charbonnier

recensione di Salvo Zappulla

Mi è capitato di imbattermi un paio di anni addietro in un libro di Rita Charbonnier: “La strana giornata di Alexandre Dumas”. Mi sono reso subito conto, già dalla lettura dei primi capitoli, che si trattava di un incontro fortunato, così come lo sono tutti gli incontri che in qualche maniera arricchiscono la nostra esistenza. Uno scrittore in particolare, se illuminato dalla grazia, può veicolare valori, trasmettere conoscenze, strappare all’oblio situazioni e persone condannate ingiustamente dalla storia, sempre ingrata nei confronti dei più deboli. Quel romanzo conteneva qualcosa di felicemente impalpabile destinato a lasciare il segno nella mia mente e nella mia immaginazione. Come una dolce melodia che fluttua nell’aria e cerchi di afferrarla con mano. Un intrigo di emozioni, di situazioni coinvolgenti, di meditate pause, accelerazioni, cambi di scena. Un corteggiamento raffinato al lettore, un concedersi per subito ritrarsi, prolungando l’attesa, il desiderio di sapere come va a finire. Maria Stella, la protagonista del romanzo, brillava di luce vivida, eroina e portavoce di tutte le ingiustizie subite dalle donne nel corso dei secoli. E non è poco, in questo periodo di bunga bunga, di scorciatoie facili per arrivare alla notorietà, di tette che valgono più di un cervello, che una scrittrice riesca a trasmettere con efficacia un messaggio di tali contenuti. Una scrittura così matura, così curata in tutte le sue sfaccettature non è mai figlia della casualità. Occorre studio, profondità di pensiero, spessore intellettuale e uno smisurato talento. Mi piace immaginare la signora Charbonnier con gli occhiali da miope, i capelli arruffati, ingobbita, avvolta in una nuvola di fumo, chiusa nella sua stanza, a dannarsi per un aggettivo che non la soddisfa, un vocabolo che non rende, una soluzione che tarda ad arrivare; sacramentare per una virgola impigliatasi fuori posto, afferrare il gatto (di peluche) per la coda e scaraventarlo dal balcone per una telefonata che arriva nel momento meno propizio. Ciò che fa la differenza tra uno scrittore professionista e uno che scrive per semplice diletto.
A distanza di un paio d’anni ho letto “La sorella di Mozart” ristampato da Piemme in edizione best-seller. E qui il mio compito si fa particolarmente ingrato. Mi chiedo cosa posso aggiungere di nuovo, io, improvvisato critico di periferia, ad un romanzo che ha fatto il giro di mezza Europa, ha varcato l’Oceano e di cui si sono già occupati eminenti letterati. Penso che classificare questo libro nel genere dei romanzi storici mi sembra estremamente riduttivo, c’è molto di più: la magia della musica, l’amore fraterno, le complicità, le aspirazioni adolescenziali, il sogno; il sogno che s’infrange contro una barriera di gretto materialismo. Cosa c’è di più crudele che togliere a una creatura la possibilità di seguire le proprie aspirazioni? Privarla della sua linfa vitale. Condannarla a un’esistenza piatta. La Charbonnier scava nei sentimenti delle persone, indaga, intreccia passioni, vulnerabilità, prepotenze e malcostumi. E come sempre i dialoghi sono ammalianti come canti di sirene. Anna Maria Mozart si eleva con la forza di un titano, una figura estremamente poetica, quasi commovente. Un talento, forse pari al fratello, costretto a rimanere soffocato dal padre maschilista. Anche qui, come nell’altro romanzo, una grande donna destinata a subire ingiustizie. Anche qui la grande determinazione della scrittrice a tirarla fuori dalle tenebre. Una sfida quella di Rita, come a volersi fare beffe delle soverchierie; come a voler dimostrare che la letteratura è in grado di regalare l’immortalità, rivoluzionare menti e preconcetti. E ci ha messo molto della sua fantasia in quanto di Nannerl Mozart ci sono pochissime documentazioni che rivelino il suo carattere. Penso che se questo romanzo è diventato un best- seller, lo è diventato legittimamente, per la sua forza dirompente, per la sua capacità espressiva. Niente trucchi e niente inganni. Niente trovate pruriginose ed espedienti commerciali che fanno cassetta. Semplicemente un romanzo, un grande romanzo.

IL LIBRO DELL’ANGELO (Piemme) di Alfredo Colitto

recensione di Paolo “carrfinder” Umbriano (da Corpi Freddi)

Mondino non era tranquillo. Era davvero un peccato che Gerardo da Castelbretone non potesse andare con lui a Venezia. […] Quando era andato a cercarlo, appena presa la decisione di partire, Gerardo lo aveva accolto vestito come un damerino, e aveva rifiutato di accompagnarlo con un pretesto che suonava falso lontano un miglio.
Mondino si era offeso e il giovane allora gli aveva detto la verità: era impegnato in una missione di cui non poteva parlargli. Aveva persino menzionato delle spie francesi che lo tenevano sotto sorveglianza
.”
Bologna, 1313. Mondino de’ Liuzzi, che sta ultimando gli ultimi preparativi per il matrimonio con Mina de’ Gandoni, decide improvvisamente di partire per Venezia per rispondere ad una richiesta di aiuto proveniente da una persona a cui è molto legato: l’alchimista araba Adia Bintaba.
L’ebreo Eleazar da Worms è accusato di aver ucciso in modo crudele tre bambini cristiani, i cui corpi sono stati trovati vicino a San Marco.
Mondino, accompagnato dal figlio dell’accusato, Davide, arriva a Venezia per indagare sul triplice omicidio non sapendo che si troverà coinvolto nella ricerca del mitico Sefer-ha-Razim, il Libro dei Misteri, dettato dall’arcangelo Raziel a Noè e da questi trascritto su una tavoletta di zaffiro.
Eleazar infatti lascia un messaggio scritto col sangue sul muro della cella: una frase di difficile interpretazione per Mondino e Adia, ma che è una preciso indizio per ritrovare il libro dell’angelo.
Nel frattempo Gerardo da Castelbretone, che ha rifiutato di accompagnare Mondino a Venezia, è impegnato in una delicata missione con Pietro da Bologna, l’avvocato dei templari, che, inseguito dalle spie del re di Francia, deve a tutti i costi proteggere un documento di importanza vitale.
La conclusione delle vicende (tra cui l’arresto di Mondino) in cui sono coinvolti tutti i personaggi avverrà mentre si celebra la grande cerimonia dello Sposalizio del Mare.
“Più si andava avanti in quella faccenda, più il mistero si infittiva. E i rischi aumentavano.”
Un thriller? No, a mio parere questo libro offre molto di più al lettore.
Non è il semplice romanzo ricco di colpi di scena: la trama viene usata per rendere avvincente la lettura ma, al tempo stesso, l’autore si serve del romanzo per descrivere la Venezia del 1313 e la sua organizzazione politica.
Avventura, segreti, azione: con questi ingredienti Alfredo Colitto narra gli avvenimenti dei suoi personaggi, in una cornice storica che accompagna, senza mai prevalere, tutta la narrazione.
Il lettore si appassiona ai misteri che caratterizzano la storia e la scorrevolezza dello stile di scrittura non fa mai venir meno il desiderio di arrivare alla soluzione degli enigmi.
Poi c’è la raffigurazione dei diversi personaggi su cui spiccano le due figure femminili, Ania e Mina: due donne differenti per nascita e rango, ma entrambe di forte carattere e dotate di spiccata personalità, determinate a difendere i loro cari e a non arrendersi di fronte alle difficoltà che devono affrontare.
Chi legge non può fare a meno di parteggiare per Mondino e per la squadra che si forma, quasi per caso, nelle “nuova” città dove si svolge l’azione: una Venezia con i numerosi canali, la fitta nebbia, le lente imbarcazioni, ma anche una città descritta attraverso il modo di vivere della popolazione povera, dei nobili e delle persone di potere che hanno il controllo su tutto quello che accade nella città lagunare.
Un libro che si può leggere anche senza aver conosciuto i precedenti due romanzi dedicati al medico anatomista di Bologna; con questo romanzo infatti si chiude la trilogia dedicata da Alfredo Colitto a Mondino de’ Liuzzi i cui capitoli precedenti sono stati “Cuore di ferro” (2009) e “I discepoli del fuoco” (2010): il prossimo libro si svolgerà intorno al Seicento nel continente americano.
Se pensate che in Italia non ci siano scrittori in grado di scrivere con abilità e personalità di avventura e di storia, questo romanzo smentirà le vostre errate convinzioni.

DANUBIO ROSSO. L’ALBA DEI BARBARI (Mondadori) di Alessandro Defilippi

recensione di Carlo Grande – da Tuttolibri de “La Stampa” del 19.2.2011

danubio-rossoNon è famosa come Stalingrado o Waterloo, ma la battaglia di Adrianopoli, combattuta nel 378 d. C. in Tracia (l’attuale Turchia europea), fu un trauma per l’Impero romano e vide la storia girare maestosamente sui propri cardini: quell’interminabile pomeriggio d’estate nei Balcani segnò per alcuni la fine dell’Antichità e l’inizio del Medioevo, perché mise in moto una serie di eventi che avrebbero portato,un secolo dopo, alla caduta dell’Impero romano d’Occidente. Intorno a questo spartiacque, anzi, nei due anni che lo precedettero, è ambientato il romanzo di Alessandro Defilippi “Danubio rosso. L’alba dei barbari” (Mondadori, pp. 374,e 19,50), che con stile marcatamente epico e personaggi scolpiti a tutto tondo racconta l’arrivo dei Goti sulle rive del Danubio: spinti dagli Unni, «i figli delle streghe e degli spiriti del male», ormai dilagati dalle steppe dell’Asia centrale. È il 376 d.C.: i Goti premono sui confini dell’Impero Romano, vogliono attraversare il fiume, cercano nuove terre per sfamarsi. L’imperatore Valente manda a trattare, ma il destino del vecchio mondo è segnato. Lo psicoanalista torinese, già autore di “Manca sempre una piccola cosa” (Einaudi) e collaboratore del regista Faenza nella sceneggiatura di “Prendimi l’anima”, si affida a un intreccio ricco di snodi (molti) e personaggi ora autentici ora fittizi: è esistito l’imperatore Valente, certo, è fittizio il magister Batraz, della guardia imperiale, che accompagna un fidato consigliere dell’Imperatore alle trattative. «Salgari ci insegna – scrive Defilippi – che talora la veridicità è più limpida e affascinante della realtà storica». Attraverso agguati, duelli, complotti e tradimenti il romanzo procede verso il «giorno del sangue», la catastrofe di Adrianopoli. I Goti, preziosi alleati un tempo accolti come profughi per rivitalizzare l’economia dell’Impero, si ribellano alla corruzione dei funzionari governativi e scatenano una guerra disastrosa, che porterà alla morte dell’imperatore e alla fine all’egemonia romana sull’Europa occidentale. Una vicenda che suona familiare: la storia, si sa, è grande maestra ma ha allievi scadenti.

DICTATOR – IL TRIONFO DI CESARE (Newton Compton) di Andrea Frediani

recensione di Giuseppe Di Stefano – (da Il Corriere della Sera del 27.7.2011)

Il Potere è in molti casi figlio della corruzione e della spregiudicatezza. Segue vie strette e impervie, lastricate di compromessi e inganni che vengono poi confusi con l’ intelligenza politica. Roma antica insegna. Cesare, che amava il suo popolo, non esitò a sfruttarlo; trasse dalla sua parte gli oppositori offrendo in cambio denaro. Corruppe, blandì, minacciò. E raggiunse i suoi obiettivi. Ma fu anche un condottiero amato dal suo esercito, temuto dai nemici, capace di grandi atti di generosità. Alla figura di Giulio Cesare Andrea Frediani dedica ora una trilogia che si apre con «Dictator. L’ ombra di Cesare» (Newton Compton). Proconsole in Gallia, Cesare può contare sulla fedeltà assoluta di un amico d’ infanzia, Tito Labieno. L’ uno ha salvato la vita dell’ altro, nell’ 88 a.C., mentre Silla invadeva militarmente Roma. Insieme si ritrovano a fronteggiare, molti anni dopo, i popoli che rifiutano di sottomettersi o di venire a patti con Roma. Nel «De bello gallico» Cesare cita abbondantemente l’ amico generale, ma Labieno resta sempre figura di secondo piano, nonostante i successi militari di cui si rende protagonista combattendo contro popolazioni agguerrite come i Tigurini, i Treveri e i Belgi. Cesare gli darà nel 50 a.C. il governo della Gallia Cisalpina, ma questo non basterà a distoglierlo dalla fedeltà alla Repubblica e lo spingerà, alleato di Pompeo, contro lo stesso Cesare. «Dictator» è la storia di un’ amicizia che resterà tale nonostante tutto. Nonostante il tradimento di Labieno, che Cesare mostrerà fino alla fine di saper perdonare. Il libro ripercorre tutta la campagna militare in Gallia, e Frediani è abile nell’immergere il lettore dentro le battaglie, nell’ accendere emozioni, nel ricostruire fin nei minimi particolari paesaggi e ambienti, nel portare i lettori in prima linea, fra scintillii di spade e atroci spargimenti di sangue. La mattanza dei cadurci dopo la caduta di Uxelludunum è tra le pagine più terribili, con i prigionieri cui vengono mozzate la mani, l’ urlo delle madri, lo strazio dei bambini. Ma quel che più preme all’ autore è il recupero della figura di Labieno, personaggio di primo piano, non abbastanza valorizzato dalla Storia. Il generale è al fianco di Cesare come principale comandante subalterno. Insieme elaborano strategie e compiono gesta straordinarie, agiscono in piena sintonia e sono, di fatto, invincibili. Ma a Roma intanto cresce la fazione che si oppone a Cesare e, temendo il suo crescente potere, vuole metterlo sotto processo. Gli anticesariani riusciranno a portare dalla loro parte persino Labieno, desideroso di vedere riconosciuto il proprio valore militare messo in ombra dalla forte personalità di Cesare. «Dictator» è un romanzo storico e come tale si regge anche sul racconto parallelo di un amore, quello di Quinto, figlio di Labieno, per Veleda, una principessa della Gallia finita prigioniera dei romani.

L’EREDE DEGLI DEI (Piemme) di Marco Salvador

recensione di Renzo Montagnoli

LIl sole non si vedeva da giorni. Da una tenebra all’altra era un ininterrotto crepuscolo, più o meno cupo a seconda del gravare delle nubi. Poi il vento del nord era sceso dai monti. Sibilando appena, al principio aveva filato con le sue gelide dita il fumo dei focolari avvoltolandolo ai rami nudi degli alberi.”

“L’Erede degli Dei” è la genesi di un cavaliere, Corrado da Romano, pronipote di Ezzelino, dagli inizi ancora fanciullo alla sua investitura, alle battaglie, alle sue disgrazie, fino al raggiungimento, dopo tante tribolazioni, di una vera pace interiore.
Premetto subito che è un romanzo bellissimo, scritto in modo magistrale, in quel modo che solo lui sa, da Marco Salvador che non ho esitato a definire il Walter Scott italiano.
Ricerca minuziosa delle fonti, capacità di scegliere, fra tante notizie, quella più attendibile, elaborazione di questi elementi fino a sviluppare una trama, capacità di affondare la lama quando serve e di addolcire ove è necessario, personaggi caratterizzati nella loro essenza, senza inutili appesantimenti, descrizione di battaglie talmente viva che sembra di prendervi parte, una nota malinconica di fondo sul destino degli uomini, sempre presente, anche se non esplicita, tutte caratteristiche queste ben radicate nel narratore di San Lorenzo di Pordenone e che connotano infatti tutti i suoi romanzi, dal ciclo longobardo a quello dei Da Romano, di cui il primo, immediatamente antecedente a questo, vale a dire “La palude degli eroi”, è di una tale bellezza e perfezione da poterlo definire, senza timore, un autentico capolavoro.
E “L’Erede degli Dei” non gli è da meno, una serie di quadri ininterrotti, di luce soffusa, ma vivi e che colpiscono il lettore per i toni, per gli equilibri, per un alternarsi di pochi adagi e di molti andanti, una sinfonia della vita in cui si disegnano figure memorabili, dipinte con la stessa cura, dagli umili ai potenti, dai pavidi agli audaci, una moltitudine di esseri umani, con i loro pregi e i loro difetti, tesi a sopravvivere o a vivere nella gloria.
Comunque bisogna leggere questo romanzo e i precedenti per capire cosa voglia dire saper scrivere bene, in un italiano corretto e con un ricorso puntuale a un’analisi logica ferrea, in un fiume di parole che sanno essere tumultuose, oppure quiete, tanti piccoli ceselli a formare un mosaico che stupisce e affascina.
Il tutto in un tessuto di originalità, certamente non frequente, e che fa rivivere un’epoca passata come in una pellicola cinematografica, un succedersi di vicende interpretate da uomini e donne, di varia umanità, che sembrano muoversi autonomamente, non guidate dal regista. Eppure non c’è una nota storta, non c’è un attacco o uno stacco al di fuori del tempo giusto, in un equilibrio armonico che regge, stabile, perfetto, senza la minima sbavatura, dall’inizio alla fine.
E non è solo la trama ad avvincere, ma anche le riflessioni dell’autore poste in bocca a questo o a quel personaggio, perché in fondo gli uomini, chi più chi meno, è giusto che debbano farsi un’idea sui perché della loro esistenza.
Le pagine scorrono veloci, la mente di chi legge s’invola, si sarebbe tentati di proseguire a oltranza, fino all’ultima pagina, ma non è giusto, occorre procedere adagio, per non lasciarsi sfuggire nulla, per il timore di non poter godere di ogni parola di questo splendido romanzo, un altro capolavoro di Marco Salvador.

ARCHIMEDE E IL MISTERO DEL PLANETARIO (Melino Nerella edizioni) di Annalisa Stancanelli

recensione di Gaetano Guzzardo – (da Il Giornale di Siracusa)

Un romanzo, o meglio ancora un giallo – storico, una fitta rete di misteri che nel terzo secolo a. c. coinvolgono un siracusano doc, osannato dal mondo scientifico ma dimenticato dalla sua città e dai suoi concittadini. Un viaggio in quella che fu la culla della civiltà e della cultura tra la grande Siracusa e la straordinaria Alessandria, depositaria della conoscenza del mondo sino ad allora conosciuto, con protagonista lui, il matematico e inventore Archimede, che seppur impegnato nella difesa di Siracusa con le sue “strane” macchine, non trascura l’impegno di custode e difensore del segreto della Camera di Thot, questo sconosciuto “scrigno” sigillato e nascosto all’interno della Sfinge in Egitto.
Un segreto che qualcuno vuole “violare” e che Archimede e la sua ristretta cerchia di amici e collaboratori sono chiamati a preservare e salvaguardare. A riportaci indietro nel tempo, facendoci rivivere un periodo storico di grande splendore per la cultura e la scienza, mostrando una sorprendente conoscenza non solo del periodo in questione il 214 a.c. ma anche la vita, la storia, le scoperte e, potremmo dire, “le abitudini” di un Archimede “fuori dal comune”, è la scrittrice e giornalista siracusana, Annalisa Stancanelli, 38 anni, docente di materie letterarie al Liceo Quintiliano di Siracusa, con il suo  “Archimede e il mistero del Planetario” (Melino Nerella edizioni, pag. 154 € 12,00).
Una fitta rete di misteri ed un viaggio tra Siracusa, Roma e Alessandria, nella quale la penna di Annalisa Stancanelli, con scorrevolezza ed eccezionale semplicità di linguaggio, ma nel contempo con una rara e sorprendente padronanza storica, arricchita dall’introduzione, veramente innovativa, di flash giornalistici, agenzie, articoli su immaginari quotidiani (… che lasciano emergere lo spirito di cronista dell’autrice), conduce il lettore senza mai stancarlo, anzi, quasi siglando con esso un patto di collaborazione, per non privarlo dell’elemento “fantasioso” e “costruttivo” che possiede questo “giallo siracusano”, come lo definisce nella prefazione al libro il professore Mario Geymonat, il filologo e docente di letteratura latina all’Università Ca’ Foscari di Venezia, che conosce ed ha scritto su Archimede (“Il grande Archimede” – Sandro Teti Editore).
Geymonat, scrive, tra l’altro, presentando il lavoro della Stancanelli. “ … Annalisa Stancanelli conosce i numerosi testi di e su Archimede che ci sono stati tramandati ma mostra pure una controllata e fascinosa fantasia quando sviluppa con vera originalità l’azione del suo breve romanzo fra Alessandria d’Egitto, Siracusa e Roma (manca solo Cartagine!): le capitali militari, politiche e culturali del III secolo a.C.. Il suo racconto è corredato, peraltro, da una serie di flash forward, quali aperture, brecce nel racconto che si concretizzano in articoli veri e immaginari di giornali locali e internazionali stando a sottolineare l’interesse verso questo incredibile personaggio nel nostro e nei tempi futuri”.
Un interesse che affascina il lettore che in “Archimede e il mistero del Planetario” è chiamato dunque dalla Stancanelli a “vivere” il viaggio e la storia, ma nello stesso tempo a “trepidare” per la coltre di mistero che la circonda e a “completare”, con la fantasia, ciò che l’autrice volutamente non approfondisce e non ci svela.
Naturalmente, come ogni giallo che si rispetti, non tutto è scontato e non tutto viene alla luce… tra Siracusa, Roma ed Alessandria d’Egitto, millenni di storia nascondono ancora misteri che vale la pena “scoprire e conoscere”.
Poco prima di Natale “Archimede e il mistero del Planetario” è stato presentato a Siracusa dal professor Sebastiano Amato, Direttore dell’Istituto Superiore di Studi Umanistici di Siracusa, e dalla scrittrice-magistrato Simona Lo Iacono, Premio Vittorini Opera Prima 2009, nella grande Sala docenti dell’Istituto Tecnico “Alessandro Rizza”.
Una scelta che non arriva a caso, visto che proprio il Rizza pensò alla fine dell’Ottocento ad un’Accademia per lo studio della Storia Patria dedicata ad Archimede. Un libro dei giorni nostri, da non perdere, che nasconde dietro, come ama raccontare la sua autrice, “… mesi di ricerche e parentesi narrative alla base di un romanzo pensato anche per i giovani che devono conoscere la storia di un siracusano che tutto il mondo ci invidia, anche se è una storia fra leggenda e mito”.

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AGGIORNAMENTO DEL 26 febbraio 2011
Aggiorno il post, inserendo la recensione del bel romanzo di Valter Binaghi, “I segreti del talismano” (ed. Sottovoce), firmata da di Paolo Pegoraro.
Anche Valter parteciperà alla discussione.
Massimo Maugeri

I CUSTODI DEL TALISMANO (Ed. Sottovoce) di Valter Binaghi

recensione di Paolo Pegoraro (da Bombacarta)

Pare interminabile il piagnisteo circa l’incapacità del romanzo italiano di raccontare grandi storie, lasciandosi alle spalle la stagione dei referti sociologici, della risata funerea che tutto caricaturizza, dei giochi combinatori e delle dietrologie cosmiche. Curiosamente però, quando un romanzo osa per davvero il colpo d’ala, l’appoggio di un grande editore non lo si trova neppure a cercarlo con il lanternino. Neppure quando – come in questo caso – a sostenerlo ci sono firme come Tullio Avoledo, Giuseppe Genna, Alessandro Zaccuri o Giulio Mozzi. E così I custodi del Talismano di Valter Binaghi (ed. Sottovoce, pp. 237, € 13,50), dopo aver pellegrinato di redazione in redazione, esce come primo titolo di una nuova casa editrice, il marchio Sottovoce.
E dire che Binaghi non è certo scrittore di primo pelo: di romanzi ne ha già pubblicati otto, portandosi a casa anche belle soddisfazioni di lettori e di critica. Definire “stimolante” il suo percorso sarebbe riduttivo. Redattore della rivista di controcultura Re Nudo negli anni Settanta, aveva accantonato la scrittura per insegnare storia e filosofia nei licei. Per trent’anni. Senza però mai trascurare la passione per il blues: e ancora oggi – 53 anni, moglie e due figli – continua a imperversare con la sua band nella provincia di Milano. Nel frattempo ha ripreso in mano la penna. Anima un blog ipertrofico, zeppo di stimoli  valterbinaghi.wordpress.com). E tra le altre cose ha scritto, insieme al figlio Francesco, la prima biografia italiana del mitico Johnny Cash, riletta attraverso i testi delle sue canzoni (Johnny Cash. The man in black – Testi commentati, Arcana, pp. 267, € 18,50).
I custodi del Talismano è un romanzo difficile da costringere in una definizione. Possiede tutta la ponderata precisione di un romanzo storico e al tempo stesso un respiro molto più ampio. Nulla è lasciato al caso, ogni particolare ricostruito sullo studio delle fonti, eppure si osano nominare anche le parole tabù dell’antistoria: «destino», «necessità» e «disegno divino». Qualcosa d’indefinibile pare tracimare oltre l’orizzonte degli eventi.

Diviso in tre parti – la Gallia conquistata dai Romani, la Provenza invasa dagli Alemanni e l’Europa soggiogata dalla peste – affronta tre epoche e tre storie, le storie di tre custodi. Un druido alla ricerca di un segno divino in mondo senza più dèi; un condottiero romano che insegue il sogno dell’Impero mentre dilaga la corruzione cortigiana; un tormentato medico dei corpi alla ricerca della pace dell’anima. Due ferventi pagani e un cristiano rinnegato. Ognuno di loro ha ricevuto in sorte un oggetto enigmatico, un misterioso calice di metallo sigillato da un coperchio, un Talismano che dovrà essere aperto solo nel momento dell’estremo pericolo, quando le forze del male scateneranno l’ultimo assalto contro l’umanità. Se immaginate che il calice sia il Santo Graal, rifate meglio i vostri calcoli: quando lo vediamo comparire per la prima volta nelle mani del druido, infatti, siamo nell’anno 196 a.C. E se pensate che il romanzo sia il solito rompicapo esoterico, tutto leggende e cacce al tesoro, diciamo pure che del Talismano non scopriremo proprio un bel nulla. Appare improvvisamente, come l’emersione di un bianco cetaceo, e altrettanto improvvisamente scompare. Sapere cosa sia, forse non è neppure importante. A questo punto, tanto vale infliggervi pure l’ultima delusione: nessuno dei tre custodi aprirà il calice. Effetti speciali? Zero. Niente apocalittiche manifestazioni della collera divina stile Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta. È pure legittimo chiedersi se quel rozzo manufatto contiene effettivamente qualcosa…

Ma allora perché non limitarsi a confezionare un meglio commerciabile romanzo storico? Binaghi scrive con formidabile senso drammatico, prosa asciutta, ritmo lanciato al galoppo, introspezione sanguinante, e le avventure dei tre protagonisti si leggono tutte d’un fiato: che bisogno c’era di tirare in ballo un oggetto inspiegato e inspiegabile come il Talismano? Perché non raccontare semplicemente la storia di suoi tre personaggi?
Forse perché – come viene detto in un brano del romanzo – i talismani sono più efficaci «finché restano chiusi e indecifrati, perché preservano un resto di verità futura a chi dispera nel presente». Disperare nel presente: ecco cosa accomuna le vicende dei tre custodi. Vivono tutti in un’epoca di decadenza e ognuna appare più grave di quella dell’epoca precedente. Assistiamo impotenti alla fine dell’èra degli dèi, al tramonto dell’epoca degli eroi, al tempo degli uomini messi alla prova. Quasi che fosse in atto un depotenziamento inarrestabile, un rimpicciolimento spirituale che lambisce persino le figure più emblematiche di ogni eone: il sacerdote, il soldato e il medico. Tutti i custodi dovranno confrontarsi con una minaccia imminente e decidere se la fine del loro mondo rappresenta la fine del mondo intero, se salvare se stessi è più importante che non opporre una speranza ignota contro il buio che monta all’orizzonte. Tutti saranno costretti a domandarsi se esiste – e che cos’è – ciò che a ogni costo va salvato, preservato e trasmesso all’epoca successiva. Ecco chi sono i custodi: coloro che si sono misurati con la fine dei propri sogni – siano essi l’ordine cosmico, l’ordine mondiale o l’ordine familiare – e tuttavia persistono nell’avere a cuore la sorte dell’uomo, per quanto abissalmente corrotto, per quanto essi stessi toccati dalla corruzione.

E il Talismano? Sappiamo solo che continuerà ad essere passato di mano in mano, da una generazione a quella successiva. È il mistero che viene custodito e trasmesso. Anzi, forse è l’atto stesso del trasmettere: è la bussola dell’essenza umana, la sollecita preoccupazione di coloro che ci hanno accolti nel mondo e che noi stessi siamo chiamati ad avere per quanti verranno dopo di noi. È ciò che abbiamo ricevuto e che siamo tenuti a salvaguardare per tramandarlo. Forse è quel tesoro, ermeticamente sigillato eppure inesauribile, che da sempre chiamiamo “tradizione”.

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Aggiornamento del 9 marzo 2011
Aggiorno il post per evidenziare la partecipazione dal dibattito di un’altra autrice di romanzo storici: la scrittrice Patrizia Debicke van der Noot, che ha appena pubblicato per Corbaccio il romanzo “L’uomo dagli occhi glauchi
Massimo Maugeri

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L’UOMO DAGLI OCCHI GLAUCHI di Patrizia Debicke van der Noot
Corbaccio – pagg. 304 – € 18.60

L’uomo dagli occhi glauchi o Ritratto di giovane inglese è una splendida tela di Tiziano, dipinta intorno alla metà del Cinquecento. Ritrae un giovane biondo, bello, sicuro di sé, senz’altro aristocratico. Ma chi sia veramente, nessuno lo sa. Patrizia Debicke, abituale frequentatrice del nostro Rinascimento, ha costruito una storia appassionante attorno a questa figura misteriosa, che sembra identificare nel giovane Lord Templeton, figlioccio del potente duca di Norfolk. Inviato in Italia per conto di quest’ultimo, Templeton rimane folgorato dal pittore veneziano al punto di chiedere di fargli un ritratto. Ma il ritratto è anche un pretesto per coprire il vero scopo del suo viaggio, che è quello di proteggere un’eminente personalità inglese, protagonista di spicco del Concilio di Trento, la cui vita è messa in pericolo da una macchinazione ordita alla corte dell’anziano Enrico VIII nel momento di massima tensione fra cattolici e protestanti.
Fra duelli e veleni, in una Venezia insidiosa e mascherata e in una Roma corrotta e devastata dalla piena del Tevere, il giovane inglese cercherà di portare a termine la sua missione, senza tuttavia rinunciare ai piaceri dell’amore e dell’amicizia…

Patrizia Debicke van der Noot è nata a Firenze. Praticamente bilingue, ha terminato i suoi studi in Francia. Ha sempre viaggiato molto e vive tra l’Italia e il Lussemburgo col secondo marito Rodolfo Debicke van der Noot. Ha una figlia, Alessandra Ruspoli, nata dal primo matrimonio. Prima di approdare alla scrittura ha avuto esperienze lavorative in ambiti diversi. Appassionata di storia, ha al suo attivo romanzi storici e thriller: “Una foto dal passato”, “Ritratti di matrimonio”, “Il dipinto incompiuto”, “La tigre di Giada”, “Una seconda vita”, “Il gioco dei Menù”.


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Scritto venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:16 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

333 commenti a “DIBATTITO SUL ROMANZO STORICO (seconda parte)”

Cari amici,
sono ben lieto di avviare la seconda parte del “Dibattito sul romanzo storico” nato e sviluppatosi in questo spazio…
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/12/13/dibattito-sul-romanzo-storico/

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:17 da Massimo Maugeri


Qui avremo modo di discutere dei nuovi libri di Rita Charbonnier, Alfredo Colitto, Alessandro Defilippi, Andrea Frediani, Marco Salvador, Annalisa Stancanelli.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:18 da Massimo Maugeri


Avremo anche la possibilità di interagire con gli autori per conoscere meglio i rispettivi romanzi, ma non solo…

Alle domande proposte nel post originario (a cui rimando chi volesse cimentarsi con nuove risposte), aggiungo le tre seguenti (rivolte sia agli autori, sia ai lettori).

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:18 da Massimo Maugeri


1. Scrivere romanzi storici, può trasformarsi in una sorta di “gabbia” per lo scrittore (a seguito di possibili etichettature e/o per via delle aspettative dei lettori)?

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:19 da Massimo Maugeri


2. Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:20 da Massimo Maugeri


3. Esistono pregiudizi sul romanzo storico?

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:20 da Massimo Maugeri


Nel corso della discussione potranno emergere nuove domande.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:20 da Massimo Maugeri


Ne approfitto anche per ringraziare gli autori delle recensioni.
In particolare…

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:21 da Massimo Maugeri


Salvo Zappulla per la recensione de “LA SORELLA DI MOZART” (Piemme) di Rita Charbonnier.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:22 da Massimo Maugeri


Paolo “carrfinder” Umbriano per la recensione di “IL LIBRO DELL’ANGELO” (Piemme) di Alfredo Colitto

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:23 da Massimo Maugeri


Carlo Grande per la recensione di “DANUBIO ROSSO. L’ALBA DEI BARBARI” (Mondadori) di Alessandro Defilippi

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:24 da Massimo Maugeri


Giuseppe Di Stefano per la recensione di “DICTATOR – IL TRIONFO DI CESARE” (Newton Compton) di Andrea Frediani

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:25 da Massimo Maugeri


Renzo Montagnoli per la recensione de “L’EREDE DEGLI DEI” (Piemme) di Marco Salvador

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:25 da Massimo Maugeri


Gaetano Guzzardo per la recensione di “ARCHIMEDE E IL MISTERO DEL PLANETARIO” (Melino Nerella edizioni) di Annalisa Stancanelli

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:26 da Massimo Maugeri


Ringrazio gli autori delle recensioni (i quali sono invitati a partecipare alla discussione, se possono).
Non sono riuscito a contattarli tutti.
Spero che coloro che non sono riuscito ad avvisare non se la prendono se ho “utilizzato” le loro recensione senza – appunto – preavviso…

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:28 da Massimo Maugeri


Agli scrittori coinvolti nella discussione.
Ovvero: Rita Charbonnier, Alfredo Colitto, Alessandro Defilippi, Andrea Frediani, Marco Salvador, Annalisa Stancanelli.
-

Vi chiederei, come prima cosa, di raccontare come sono nati questi vostri romanzi.
Che cos’è che vi ha spinto a scriverli?
Quale “molla” è scattata?

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:30 da Massimo Maugeri


Poi (mi rivolgo ancora agli scrittori coinvolti), vi invito a rispondere alle domande del post (se ne avete voglia).
Sarebbe bello se poteste interagire tra voi…

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:32 da Massimo Maugeri


Inoltre vi chiedo di informarci sulle presentazioni dei vostri libri in corso, di modo che chi di noi si trovasse “in zona” abbia la possibilità di venirvi a salutare…

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:33 da Massimo Maugeri


[...] Fonte Articolo: DIBATTITO SUL ROMANZO STORICO (seconda parte) – Letteratitudine [...]

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:34 da DIBATTITO SUL ROMANZO STORICO (seconda parte) – Letteratitudine


Per quanto riguarda Rita Charbonnier (coinvolta in questo post con la ri-pubblicazione – nella collana bestseller Piemme – del suo primo romanzo) posso già anticiparvi che domani sabato 26 febbraio sarà ospite del programma “Mattina in famiglia” su Rai 1, dalle 9.10 alle 9.30, insieme alla scrittrice Daria Colombo, all’attore Remo Girone e al sociologo prof. De Nardis. Si parlerà dell’argomento “grande donna dietro un grande uomo” – che ovviamente riguarda molto il romanzo “La sorella di Mozart”.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:35 da Massimo Maugeri


Inoltre, sempre con riferimento a Rita Charbonnier, vi segnalo che domenica 27 febbraio alle 19.45 ci sarà la presentazione de “La sorella di Mozart” presso il Caffè Freud di Roma (iniziativa sostenuta da “Vivere con Lentezza”). I particolari qui: http://ritacharbonnier.blogspot.com/2011/02/aperitivo-mozartiano-al-caffe-freud-di.html

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:37 da Massimo Maugeri


Invito gli altri amici scrittori a fornire informazioni analoghe.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:38 da Massimo Maugeri


Il dibattito (come sempre avviene su Letteratitudine) si svilupperà nel corso di diversi giorni; dunque, leggete i contributi con calma.
Dal canto mio vi fornirò ulteriori informazioni sui libri qui presentati.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:39 da Massimo Maugeri


Per il momento chiudo qui augurando a tutti una buona serata.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:40 da Massimo Maugeri


[...] DIBATTITO SUL ROMANZO STORICO (seconda parte) [...]

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 16:44 da Kataweb.it - Blog - LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Blog Archive » DIBATTITO SUL ROMANZO STORICO


[...] This post was mentioned on Twitter by epelucheita, Venezia Eventi. Venezia Eventi said: Kataweb.it – Blog – LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Blog … http://bit.ly/gkQOFX #veneziaeventi [...]

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 17:44 da Tweets that mention Kataweb.it - Blog - LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Blog Archive » DIBATTITO SUL ROMANZO STORICO (seconda parte) -- Topsy.com


Caro Massi,
desidero fare i miei auguri più cari a tutti gli autori coinvolti nella discussione ma in particolar modo ad Annalisa Stancanelli, il libro della quale (Archimede e il mistero del planetario) ho avuto il piacere di leggere e presentare. Un romanzo che alla accurata ricerca storica aggiunge una fantasia frizzante, capace di portare il lettore nel cuore delle piramidi di Giza, o nell’antica biblioteca d’Alessandria con inversioni temporali mirabolanti.
Un esempio di narrativa coltissima, sagace, e al tempo stesso stuzzicante, davvero desiderosa di sedurre col mistero.
Intrigante come un giallo e commosso come un memoriale (Archimede trasuda un’umanità pietosa, arresa, quasi fragile pur nella genialità delle sue intuizioni), questo libro concilia gli elementi di almeno tre generi letterari e non è imbrigliabile in una sola definizione.
Direi solo che seduce, diverte e commuove come la letteratura dovrebbe sempre fare.
Per rispondere quindi a una delle tue domande, Massi, penso che parlare di personaggi storici nel romanzo offra al narratore un’opportunità: offrirgli nuovo fiato, vestire la storia della loro umanità, interpretarli. Rimediare, forse, alle intermittenze della storia.
Credo che l’operazione possa riuscire bene quando, nel far questo, lo scrittore mantiene un rispetto profondo e umilissimo verso il personaggio, e nel “vestirlo”non si sostituisce ma lui ma potenzia la propria capacità sensoriale per sondarlo e dare voce.
Ecco, in questo la scrittura può aprodare veri miracoli narrativi, come ha fatto la Yourcenar con Adriano, quando ci ha restituito l’imperatore, l’uomo, la storia nell’uomo e la commozione della storia.
Tutto insieme ma -anche – tutto senza violare la sua intimità, i suoi precipizi e le sue rinascite.
Scrivendone, credo, proprio come un frutto che – sbucciato – si snuda, ma offre anche l’anima.
Buona fortuna, Annalisa!

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 18:14 da simona lo iacono


Post molto interessante, soprattutto per un divoratore di romanzi storici come me. Leggero’ gli articoli con piacere. Interverrò stasera o domani. Ciao

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 18:36 da antonio mellia


Caro Massimo, questa sera non potrò partecipare alla discussione ma mi prenoto per domani e per i giorni successivi. Le tue domande, come sempre, sono importanti e significative, non solo per i lettori ma anche per gli scrittori. Il romanzo storico è una bestia strana, e considero Danubio Rosso il mio primo tentativo, anche se altri miei romanzi sono ambientati “storicamente”: nel primo ‘900 una parte di Locus animae e nell’Italia fascista Angeli e Le perdute tracce degli dei.
Una prima notazione: per quanto mi riguarda lo spostamento temporale (e anche quello geografico) mi permette una maggiore distanza dalla storia. E questo per uno scrittore, è un vantaggio importante.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 18:45 da alessandro defilippi


Caro Massimo, un saluto anche da parte mia. E’ da qualche tempo che non partecipo ai dibattiti, ragioni di salute mi hanno tenuto lontano dal computer. Sono contento di tornare a dare il mio contributo, Letteratitudine è una parte importante della mia storia. Mi pare ci sia molta carne al fuoco. Bene, bene. Ho letto alcuni romanzi qui presentati, quello della signora Charbonnier naturalmente, ma anche quello della Stancanelli (Dio mio, ma perchè hai invitato anche lei?). Si preannuncia un dibattito di altissima qualità.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 18:46 da Salvo Zappulla


Carissimo dottor Maugeri,
le sue domande stimolano la mia riflessione e mi inducono a tradurle un pensiero che ho sempre avuto sull’uso dei personaggi storici in letteratura.
Sarebbe bellissimo, infatti, che al personaggio già conosciuto si desse una diversa opportunità di vita, un’alternativa parallela e contraria, che ne so, un Cristoforo Colombo che non parte per le Americhe, un Napoleone che vince a Waterloo, un Cesare risparmiato dal figlio.
Un esperimento simile fa Borges in un racconto assai suggestivo, Il giardino dei sentieri che si biforcano, dove dice: “Credeva in infinite serie di tempo, in una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli. Questa trama di tempi che s’accostano, si biforcano, si tagliano o s’ignorano per secoli comprende tutte le possibilità. Nella maggior parte dei tempi noi non esistiamo; in alcuni esiste lei e io no; in altri io e non lei; in altri entrambi”.
Immaginare e ripercorrere ma cambiando bivio, prendendo a dritta invece che a manca. O salendo invece che scendere…
In fondo la letteratura è anche questo: un mondo di libertà. O, anche, un’imprevista, seconda, opportunità.
Un saluto affettuoso dal sempre suo
Professor Emilio

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 19:46 da Emilio


caro Massimo,
cara Simona, grazie per quest’occasione e, per te SIMO, per le tue parole. Archimede mi chiamava dall’oblio in cui era caduto, come ha scritto il professor Emilio nel mio romanzo ho voluto dargli una- vita-di lui conosciamo solo teorie e invenzioni ma l’uomo chi era?
Ho appena mandato in stampa la mia Tesi di Laurea e sono KO, leggerò le trame degli altri libri che ho l’onore di leggere insieme al mio, interverrò con più incisività domani. Rispondo a una delle tue belle domande, Massimo, nel mio libro “Archimede e il mistero del Planetario”,
cimentarsi con Archimede e i saggi della Biblioteca di Alessadria, Teofrasto, Dositeo, Eratostene realmente esistiti, con i mercenari di Marcello e l’assedio di Siracusa ha significato per me mesi di ricerche, è stato all’inizio più faticoso di un saggio; costituita la base storica ho poi lasciato briglie sciolte alla fantasia per gli altri protagonisti, intrighi e misteri.
Caro Salvo,
allora
com’è il mio romanzo?
ps presentazioni del mio libro sono previste ad aprile e maggio a Siracusa e Catania

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 20:17 da annalisastancanelli


Eh, ma c’è anche Renzo Montagnoli! pensavo si dibattesse di storia non di archeologia. Che bella rimpatriata.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 20:23 da Salvo Zappulla


@Annalisa carissima. E’ ottimo il tuo romanzo, lo tengo sul comodino in attesa che mi venga in mente di scriverci sopra qualcosa di interessante, come merita. Ti confesso che sono un po’ intimidito dal fascino dell’argomento.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 20:29 da Salvo Zappulla


Cara dott.ssa Lo Iacono,
in aggiunta alle sue riflessioni su “le memorie di Adriano”, romanzo da me amatissimo, aggiungo le righe lasciate dalla sua autrice in nota, in un famoso taccuino di appunti, dove parla della sua concezione del romanzo storico. Spero di avere fatto cosa gradita.
“C’è troppo l’abitudine di considerare da una parte il lavoro della creazione letteraria, con quel che sottintende d’ardore, di emozione, di slancio istintivo e dall’altra la fatica paziente dell’erudito sapientemente chiuso nello studio dei testi e nella loro esegesi.
Per me, durante i tre anni dell’ultima redazione di questo libro, questi due tipi di approccio con il passato si unificavano.
Il termine “romanzo storico” trae in inganno: non si trattava, nel mio caso, di prendere la vita di una grande uomo del passato come pretesto per un’ elaborazione letteraria, ma al contrario di imparare a servirmi con prudenza e cure infinite delle migliaia di documenti che vanno dai Papiri di Ossirinco al Talmud, dagli scritti di Galeno e Marco Aurelio ai cronisti del Basso Impero, per ricostruire questa grande figura nella sua interezza, nelle contraddizioni apparenti, nell’unità del suo spirito.
La tecnica qui adottata si avvicinava, molto più che non alla procedura romanzesca, a quella del saggio o della tragedia, a quella di Montaigne o di Shakespeare che, chiuse le pagine di un volume di Plutarco, sognavano la personalità unica di Cesare o di Marc’Antonio.

Del resto, proprio per utilizzare in pieno il modo della meditazione tragica, così ricca di reticenze e confessioni, ho scelto di mettere proprio in bocca ad Adriano il rendiconto della sua vita, di esprimere le sue azioni e le loro motivazione in termini che fossero i suoi.
Adriano poteva parlare della sua vita con più convinzione e più sottigliezza di me”. (Marguerite Yourcenar, taccuino)

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 20:41 da gioia


Carissima Annalisa,
parlaci di come questo Archimede distratto, perso nelle stelle, ma capace di ricostruire la commozione dell’universo su meccanismi e ombre di luna, si sia impossessato di te, della tua pietà, del tuo cuore di donna.
Un bacio!

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 20:48 da simona lo iacono


Caro Massimo, ti ringrazio per questo bellissimo post e anche per aver menzionato il mio impegno televisivo di domattina, che purtroppo mi impedirà di partecipare alla discussione fino a ore tarde, come avrei desiderato. Domani, difatti, mi tocca svegliarmi alle 6, per essere presto alla Rai, dove un mago o una maga del trucco trasformerà la mia faccia da quella di una carampana con le occhiaie in quella di una carampana senza occhiaie. Ringrazio anche Salvo Zappulla per l’incredibile recensione che mi ha dedicato e che mi ha anche regalato una risata: il gatto di peluche scagliato fuori dalla finestra è un capolavoro. Per il resto il ritratto di me scrivente sembra preso dal vero, con l’esclusione della nuvola di fumo perché ho smesso di fumare (e qualcosa mi dice che questa è la volta buona. Ma qui rischio di andare fuori tema).
Saluto caramente anche Alfredo Colitto e Marco Salvador, eccellenti romanzieri con i quali condivido l’editore; e Annalisa Stancanelli, il cui romanzo sembra molto interessante (belle le parole di Lo Iacono). Non l’ho ancora letto, ma lo farò presto.
Per concludere, prima di farmi una minestrina e mettermi le fette di cetriolo sugli occhi, vorrei quantomeno rispondere a una delle domande di Massimo e nella fattispecie:
-
2. Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?
-
Mi sembra che un rischio fondamentale sia quello di tradire le aspettative che il lettore inevitabilmente ha sulle figure storiche celebri che ritrova nei romanzi. Magari la scelta del romanziere cade su una figura non celebre, ma celeberrima (Mozart è un esempio eccellente) e magari molto amata (idem): se il romanziere si ritrova a tradire clamorosamente l’immagine consolidata che il lettore ha di quella figura, il lettore resterà deluso, si arrabbierà e probabilmente dirà che “è tutto finto”. Il che è molto comprensibile e andrebbe senz’altro evitato.
Vado ad affettare i cetrioli. Un abbraccio e buonanotte a tutti.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 20:48 da Rita Charbonnier


Il romanzo storico, poi, non è solo quello che riporta in vita gli esseri umani, ma anche gli oggetti, il segreto he racchiudono, le esigenze intime e spirituali che spinsero l’uomo a concepirli…Il planetario, ad esempio…
Le migliori informazioni su quest’oggetto sono fornite da Cicerone, il quale scrive che nell’anno 212 a.C., quando Siracusa fu saccheggiata dalle truppe romane, il console Marco Claudio Marcello portò a Roma un apparecchio costruito da Archimede che riproduceva la volta del cielo su una sfera e un altro che prediceva il moto apparente del sole, della luna e dei pianeti, equivalente quindi a un moderno planetario. Cicerone, riferendo le impressioni di Gaio Sulpicio Gallo che aveva potuto osservare lo straordinario oggetto, sottolinea come il genio di Archimede fosse riuscito a generare i moti dei pianeti, tra loro tanto diversi, a partire da un’unica rotazione.
—-
Cara Annalisa, vuoi dirci in che modo hai riportato in vita il planetario? Attraverso quali ricerche?
Altro bacio!

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 20:51 da simona lo iacono


Carissima Rita,
davvero commovente e forte questo suo sforzo di scendere nelle maglie strette della storia, questa necessità di resuscitare, di combattere il silenzio imposto.
Credo che ogni atto della scrittura sia grido di libertà, scarcerazione di fantasmi, delle loro voci. Un modo di dire che compie destini rimasti a metà, riconsegna alla storia ciò che sarebbe altrimenti oscuro e senza parole.
Credo che sia questo il campo più vero della letteratura, quello di ridare voce, di trasfigurare.
Leggerò con emozione di questa Maria Stella che a dispetto del nome viene smorzata e occultata, e che senza il suo libro sarebbe rimasta flebile, tremolante e incerta come la fiammella di una candela.
Grazie di cuore.
Simona

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 21:02 da simona lo iacono


Caro socio
buona notte. Noi ci vediamo domani, ad Avola, per la presentzione del nostro racconto…baci pesciolini.
Socia

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 21:03 da simona lo iacono


@Emilio
Ciò che lei richiede si chiama storia controfattuale. E’ materia molto seria cui si dedicano gli storici professionisti. Con il massimo rispetto per gli scrittori di romanzi storici -)))

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 21:14 da barbara


Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti comporta rischi ma significa anche riportarli in vita, consegnarli all’immortalità, rendere loro giustizia. Mi è capitato di trovare donne affascinanti nei romanzi di Rita che sembravano chiedere proprio questo alla loro autrice. E anche nei libri di Marinella Fiume, la Lo Iacono ed altri.

@Charbonnier. A proposito di cetrioli da tagliare a fette e mettere sugli occhi, c’è un carico pronto dalla Sicilia, un intero vagone per tutte le signore attempate che frequentano il blog, messo a disposizione gratuitamente da me e Massimo Maugeri. Coraggio, Simona, Annalisa, approfittatene…

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 21:17 da Salvo Zappulla


E quando si parla di cetrioli, caro Salvo… hai voce in capitolo. :)

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 22:00 da Massimo Maugeri


Il dibattito è partito. Molto bene.
Ci terrà compagnia per un po’ di giorni.
Per stasera mi limito a salutare e ringraziare gli amici che sono già intervenuti: Salvo Zappulla, Simona Lo Iacono, Rita Charbonnier, Annalisa Stancanelli, Alessandro Defilippi, il prof Emilio…

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 22:02 da Massimo Maugeri


Saluti e ringraziamenti anche a: Antonio Mellia, Gioia e Barbara.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 22:03 da Massimo Maugeri


@ Rita Charbonnier
In bocca al lupo per domani.
Ti vedremo con piacere a “Mattina in famiglia” su Rai 1, dalle 9.10 alle 9.30

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 22:04 da Massimo Maugeri


Ringrazio Massimo per aver iniziato questa nuova discussione sul romanzo storico, e tutti coloro che vi hanno partecipato finora, con post interessanti che ho letto uno per uno. Provo a dire la mia sulle tre domande proposte.

1. Scrivere romanzi storici, può trasformarsi in una sorta di “gabbia” per lo scrittore (a seguito di possibili etichettature e/o per via delle aspettative dei lettori)?

Sì, il rischio c’è, a mio parere. E’ come quando un attore di cinema che ha sempre interpretato un determinato ruolo, per esempio un ruolo comico, all’improvviso decide di cimentarsi con una parte drammatica. Anche se è bravo nel nuovo ruolo, la probabilità che il pubblico non lo accetti è alta.
Tuttavia credo che sia sempre lecito e anche sano rischiare, perché vivere in gabbia alla lunga stanca.

2. Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?

Il rischio principale, come dice giustamente Rita, è quello di tradire le aspettative dei lettori. Ma è anche vero, come nota Zappulla, che “inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti significa anche riportarli in vita, consegnarli all’immortalità, rendere loro giustizia”. A questi due commenti non credo di aver nulla da aggiungere, almeno per il momento. E piuttosto che ripetere gli stessi concetti con parole diverse, ho preferito citare.

3. Esistono pregiudizi sul romanzo storico?

Purtroppo sì, e anche radicati. Diversi commenti positivi ai miei romanzi, iniziano con frasi tipo: “Mi aspettavo qualcosa di molto diverso, invece ho trovato il suo libro avvincente”. Tradotto, vuol dire che molti lettori (per fortuna non tutti) tendono a pensare che un romanzo storico debba essere noioso. Quando ne leggono uno e scoprono che non lo è, si sentono in dovere di sottolinearlo, come se fosse un’eccezione. Per fortuna negli ultimi anni, grazie anche a scrittori come quelli presenti in questo blog, la tendenza sta cambiando.

Postato venerdì, 25 febbraio 2011 alle 23:39 da Alfredo Colitto


Mi fa molto piacere scoprire una nuova pagina di letteratitudine dedicata al romanzo storico.
Come prima cosa faccio tanti in bocca al lupo agli scrittori che stanno partecipando al dibattito ed ai loro libri.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 08:37 da Amelia Corsi


I libri sembrano tutti interessanti e avvincenti e mi piacerebbe avere la possibilità di leggerli uno per uno. Credo che comincerò con il libro di Rita Charbonnier, anche perché amo molto Mozart.
Poi c’è la recensione di Zappulla che è irresistibile.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 08:39 da Amelia Corsi


Anche gli altri libri, dicevo, sembrano interessanti, sia come luoghi di ambientazione, sia come periodo storico di riferimento.
La Charbonnier ci fa incontrare la sorella di Mozart, Frediani ci fa incontrare Giulio Cesare, la Stancanelli ci avvicina ad Archimede, Colitto ci presenta Mondino de’ Liuzzi, Defilippi ci fa conoscere l’imperatore Valente, e Salvador ci fa incontrare un cavaliere d’altri tempi come Corrado da Romano, pronipote di Ezzelino (i cavalieri di oggi ci piacciono meno).

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 08:44 da Amelia Corsi


Da semplice lettrice provo a rispondere alle tre domande.
1. Scrivere romanzi storici, può trasformarsi in una sorta di “gabbia” per lo scrittore (a seguito di possibili etichettature e/o per via delle aspettative dei lettori)?
-
Credo che il rischio ci sia. Ma è lo stesso rischio, rimanendo nella scrittura, che corrono coloro che scrivono gialli, noir, romanzi d’amore o d’avventura, storie con personaggi seriali.
Ma perché possa esserci la gabbia è necessario un elemento particolare: il successo.
E’ il successo che, secondo me, può rischiare di imbrigliare uno scrittore.
Ricordo il caso di Conan Doyle: la sua gabbia era il successo di Mr. Holmes.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 08:48 da Amelia Corsi


2. Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?
-
Secondo me uno dei rischi più grossi potrebbe essere quello di dover fare i conti con gli storici che, in genere, soprattutto quelli più rigidi, non ammettono variazioni rispetto a ciò che si sa del personaggio realmente esistito. Mentre uno dei compiti dello scrittore, secondo me, dovrebbe essere quello di andare oltre il già noto, di indagare sulle vite di questi personaggi basandosi sull’intuito e sull’immaginazione.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 08:50 da Amelia Corsi


3. Esistono pregiudizi sul romanzo storico?
Immagino di sì. Ma se fossi una scrittrice di romanzi storici non mi preoccuperei più di tanto.
Esistono pregiudizi su quasi tutto.
Ciao e buon fine settimana.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 08:52 da Amelia Corsi


Concordo con quanto scritto da Amelia Corsi: il rischio “etichettature” esiste per ogni genere letterario, se l’autore predilige un genere oppure si dedica unicamente a quello.
La gabbia-etichettatura ha comunque un aspetto positivo e uno negativo: il positivo è l’acquisizione di una tecnica narrativa e stilistica specifica e caratteristica del genere (storico, in questo caso); il negativo è la “monotematicità”, che può – alla lunga – annoiare anche il lettore più affezionato.
Come lettrice non apprezzo i cliché narrativi: per quanto un autore possa spaziare in contesti spazio-temporali, sociali e culturali diversi la struttura del romanzo rischia di restare pressoché invariata, a meno che chi scrive non accetti la sfida di rinnovarsi ogni volta pur restando nello stesso genere. Ma è una sfida che non sempre e non tutti gli autori amano intraprendere: giocare sul sicuro (soprattutto se una pubblicazione ha avuto successo) resta una garanzia o si presume che possa restare tale.
Come scrittrice sento il bisogno di variare, di attraversare – con le mie storie – tempi e luoghi diversi, di sperimentare registri linguistici nuovi a seconda delle diverse realtà (siano esse vissute o puramente immaginarie) in cui desidero calare i miei personaggi.
Ma, tornando alla “gabbia” del romanzo storico, essa esiste non tanto come etichettatura, secondo me, quanto come impegno, da parte di chi scrive, alla fedeltà, intesa come una ricostruzione documentata, circostanziata e attenta di fatti avvenuti: chi legge un romanzo storico cerca una narrazione quanto più fedele e vicina possibile alla realtà.
Chi si impegna a scrivere un romanzo storico non dovrebbe perdere di vista questa aspettativa del lettore. Chi legge, in questo caso specifico, nutre una doppia passione: quella per la lettura e quella per la Storia. Entrambe dovrebbero essere soddisfatte, dunque, per quanto si dica e si scriva che un autore non ha “obblighi” nei confronti dei lettori.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 09:31 da Ines Desideri


@Amelia. Mi farò promotore di una raccolta di firme per la tua beatificazione

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 09:51 da Salvo Zappulla


Io penso che etichettare uno scrittore come “scrittore di romanzi storici” non sia propriamente una cosa entusiasmante. Qualsiasi “gabbia” è sempre limitativa. Mi risulta che la stessa Rita Charbonnier si trovi un po’ strettina in questi panni (A proposito: l’ho vista poco fa in televisione. Uno schianto! Uno scontro devastante tra un Tir e un vagone merci. Misurata, professionale, competente. Bravissima. Donna di classe, la signora Charbonnier ), tanto è vero che ci tiene a puntualizzare che il suo romanzo di prossima uscita a maggio NON sarà un romanzo storico. La storia è cronaca, vita vissuta. La letteratura è invenzione, sogno, affabulazione. Un’opera letteraria deve essere soprattutto frutto dell’ingegno. Sta all’autore riuscire ad armonizzare entrambe le cose, ricavarne un prodotto fruibile per il lettore, che sia credibile e godibile allo stesso tempo. Renzo presentando il libro di Salvador ha citato Walter Scott, un maestro del genere, il quale non prescindeva mai da una rigorosa documentazione, anche quando nelle sue opere utilizzava fiabe, leggende popolari. Ma alla base del suo successo c’era sempre il talento di narratore.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 10:57 da Salvo Zappulla


credo che l’esigenza di etichettatura sia più di natura editoriale. è più facile vendere libri se si incasellano in scaffali appositi. ed è più facile per un lettore raccapezzarsi nel caos delle librerie.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 11:02 da antonio valastro


però come è già stato detto credo che il successo dipenda comunque dal talento, dalla capacità affabulatoria dello scrittore.
faccio tanti auguri agli scrittori qui presenti.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 11:03 da antonio valastro


Scrivere romanzi storici, può trasformarsi in una sorta di “gabbia” per lo scrittore (a seguito di possibili etichettature e/o per via delle aspettative dei lettori)?
sì, ma a volte le gabbie sono anche una specie di protezione. nel senso che potrebbe essere più semplice rimanere dentro il recinto, per non rischiare.
non so se siete d’accordo su questo aspetto della questione.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 11:05 da antonio valastro


Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?
i rischi sono quelli già evidenziati. ma esistono anche opportunità. la principale è quella di incuriosire il lettore, soprattutto quando il personaggio è molto noto. è un po’ come riportarlo in vita e farglielo incontrare.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 11:06 da antonio valastro


Esistono pregiudizi sul romanzo storico?
di questi tempi temo, purtroppo, che esistano pregiudizi sul romanzo in quanto tale. si legge poco, si disconosce il valore della lettura.
blog come questi sono un baluardo contro l’antilettura. dunque, vanno sostenuti.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 11:09 da antonio valastro


MACCHINA DI ANTIKITHERA O PLANETARIO?

IERONE DI SIRACUSA SI SENTIVA GIOVE QUANDO GUARDAVA IL PLANETARIO DI ARCHIMEDE, GLI SEMBRAVA DI POSSEDERE I MISTERI DE CIELO

LO STESSO SENTIMENTO DI ONNIPOTENZA PROVO’ MARCELLO CHE PRIMA DI SEPARARSI DA QUELLA MERAVIGLIA DORATA LA TENNE NELLA SUA DIMORA PRIMA DI REGALARLA A MALINCUORE AL TEMPIO DELLA VIRTUS…..

Sul planetario di Archimede ci sono citazioni in OVIDIO, CLAUDIANO, E LETTERATI LATINI POSTCLASSICI, io ho immaginato un vero planetario anche se per alcuni il planetario viene confuso con un meccanismo astronomico chiamato MACCHINA DI ANTIKITHERA ricostruito al MUSEO DELLE SCIENZE di LONDRA. Mario Farneti in IMPERIUM SOLIS attribuisce ad Archimede un congegno per la navigazione; nei tempi del genio le conoscenze erano più avanzate di quel che pensiamo non mi stupirei che il siracusano li avesse inventati entrambi,
pensate, e lo racconto nel mio libro,
aveva inventato un CONGEGNO PER RIMETTERE IN SEDE LE OSSA DELLA SPALLA! IL TRISPASTO,
e un organo idraulico,di cui spero parlerò nel prossimo libro, capace di meravigiose melodie….
per chi ha visto LA PAPESSA sa le meraviglie che può fare la forza dell’acqua, aprire porte etc,
per chi ha visto il film IPAZIA è FACILE COMPRENDERE il fascino degli studi sul sistema solare
ecco LA MAGIA DEL ROMANZA STORICI
Parliamo di storia, di scienza, di filosofia ellenistica suggestionati da un MIX di fatti veri e fantasia.
Un saluto a Rita, sto scrivendo per te..
un IN BOCCA AL LUPO A MARIA LUCIA RICCIOLI CHE PRESENTA IL SUO ROMANZO A SIRACUSA DOMANI POMERIGGIO!

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 12:15 da annalisastancanelli


Una delle cose che mi piace di più di queste vostre discussioni e’ il coinvolgimento di tanti libri e di tanti autori. Vi seguo e vi leggo con piacere, anche se non intervengo.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 13:08 da lino


“Manzoni,condannando se stesso nel suo discorso DEL ROMANZO STORICO si chiuse nel suo discorso come Cesare nel suo manto, e tacque. Il critico impose silenzio all’artista”(De Santis)
Perchè non parliamo del romanzo sperimentale? Il romanzo moderno è sperimentale? Esamina le nostre azioni per trarne leggi umane e sociali in
concomitanza con i cambiamenti storici?

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 15:50 da mela mondi


come lettrice,ammetto di non avere interesse per il romanzo storico.
Ciononostante,ho letto il libro di Defilippi,in quanto sua estimatrice.
Mi ha divertita, e mi è piaciuto ritrovare ‘il mondo ‘che è proprio dell’autore, vestito della veste del romanzo storico.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 16:10 da Laura A.


1. Scrivere romanzi storici, può trasformarsi in una sorta di “gabbia” per lo scrittore (a seguito di possibili etichettature e/o per via delle aspettative dei lettori)?
Certo che sì. Ed è lo stesso autore a infilarsi volontariamente nella gabbia, oppure vi è spinto dentro dall’editore. Nel primo caso perché si adegua ad architetture e personaggi per lo più banali, forzati quando non del tutto irreali, ma graditi al lettore di genere. Solitamente caricando la storia di eventi e caratteri da telenovela e riducendo la trama a continue riscritture de ‘Il conte di Montecristo’ e ‘Cenerentola’. Nel secondo caso, con opinabili scelte di marketing, è appunto l’editore a infilarcelo dentro nel tentativo di inseguire lo stesso lettore di genere marchiando il romanzo come “storico”. Io non mi considero un autore di romanzi storici ma di romanzi di ambientazione storica che cerca di proporre parallelismi tra situazioni passate e presenti, e se tale appaio è proprio “colpa” della marchiatura editoriale. Infine, e di prove purtroppo ne ho avute molte, se il “marchiato” esce dal genere si ritrova rifiutato sia dal lettore sia dall’editore. Salvo, come il sottoscritto, aggirare l’ostacolo pubblicando con almeno due editori o ricattando uno solo con un ‘se prendi questo poi ti darò’.
2. Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?
Certo che sì. Soprattutto quando l’autore è mosso dalla discutibile ambizione di volgarizzare la Storia riuscendo nella maggioranza dei casi solo a banalizzarla. Poi vi è chi ha la bravura di offrire al lettore lo spirito di un tempo o l’animus di un personaggio storico. Oppure chi s’impegna a rivisitarlo per mostrare come e con quali meccanismi il medesimo sia stato infilato dalla storiografia ufficiale indegnamente fra i buoni o ingiustamente fra i cattivi.
3. Esistono pregiudizi sul romanzo storico?
Certo che sì. Parlo soprattutto per me. Scrivo romanzi che, tendenzialmente acquistati (per colpa della marchiatura) dai lettori di genere, spesso li delude. Nessun cavaliere senza paura e senza macchia, nessuna principessa triste da salvare. Solo uomini e donne il più possibile immersi nel loro tempo, tormentati nell’animo, quasi sempre vittime del potere ed eroici solo quando al potere sanno rinunciare per valori e sentimenti che con lo stesso hanno poco o nulla da spartire. Infine la predetta marchiatura editoriale tiene lontani quei lettori che magari cercano autori come me ma temono di vedersi rifilare le sopradette banalità e non rischiano i 20 euro del prezzo di copertina. Per fortuna c’è il passaparola e, se non tradisci, piano piano si riesce a mettere assieme un proprio pubblico.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 17:46 da marco salvador


Per quanto riguarda, invece, i possibili rischi dell’inserire personaggi realmente esistiti in un romanzo storico ritengo che possano consistere nei due eccessi opposti: la banalizzazione del o dei personaggi oppure l’esaltazione dello stesso (o degli stessi).
Nel caratterizzare un personaggio della Storia realmente esistito hanno un ruolo determinante sia la capacità di interpretarlo da parte dell’autore, sia la fedeltà alle fonti storiografiche che possono contribuire a connotare il personaggio, oltre a un misurato distacco – da parte di chi scrive – perché il personaggio sia offerto al lettore in una prospettiva quanto più possibile vicina al reale.
I pregiudizi, infine: il romanzo storico non è soggetto – a mio avviso – a più pregiudizi di quanto lo siano altri generi, a meno che per “pregiudizio” non si intenda, appunto, la cautela (talvolta scettica) cui i lettori che privilegiano questo genere possono incorrere, soprattutto se quei lettori sono degli storici.
La Storia, per quanto possa essere interpretata in modo personale, resta tale almeno nei suoi tratti peculiari e lascia un margine minimo di inventiva all’autore. Se così non fosse non potremmo definire quel romanzo un romanzo storico.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 19:44 da Ines Desideri


Grazie a Simona delle belle parole, dell’apprezzamento e della fiducia. Grazie a Salvo dei complimenti sempre espressi con impareggiabile spirito. Per me è stata una giornata faticosa e non credo che riuscirò ancora a scrivere un intervento vero e proprio, ma volevo quantomeno salutare Alfredo e Marco e ringraziarli per i loro interventi e ringraziare anche Amelia Corsi: mi associo a Salvo, occorre progettarti un monumento. Sono anche totalmente d’accordo con la tua risposta alla domanda numero 2. E anche con la risposta alla domanda numero 3, quella relativa ai pregiudizi. Qualche tempo fa sul mio blog viene lasciato il seguente commento:
-
“Devo dire che ci ho messo molto a comprare il tuo romanzo perchè sono diffidente di natura verso gli scrittori italiani ma devo dire che hai sfatato molti miei pregiudizi!!!”
-
A quanto pare, quindi, basta essere italiani per essere snobbati a prescindere… ma questo è un altro discorso.
Sono d’accordo anche con Antonio Valastro: le gabbie limitano, ma possono anche essere utilizzate come binari. E fare a meno dei binari, e delle gabbie, può rappresentare un rischio.

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 21:15 da Rita Charbonnier


Ho letto ARCHIMEDE E IL MISTERO DEL PLANETARIO, di Annalisa Stancanelli. Lettura piacevole. Penso che sia lodevole riportare alla luce una tra le persone più illustri della mia amata Sicilia, specialmente se fatto in un modo così soave quale la stesura di un giallo storico che, proprio per la suspense dispensata tra le pagine, tiene attento il lettore e gli inietta utili lezioni di storia. Brava Annalisa!

Postato sabato, 26 febbraio 2011 alle 23:55 da Salvatore Paci


Cari amici, vi ringrazio tutti per i nuovi interventi.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 00:11 da Massimo Maugeri


Bentornati a Letteratitudine: Alfredo Colitto e Marco Salvador.
Grazie anche a voi per aver risposto alle domande.
Nei prossimi giorni cercheremo di approfondire la conoscenza dei vostri nuovi romanzi.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 00:13 da Massimo Maugeri


Grazie mille per gli interventi anche a: Amelia Corsi, Ines Desideri, Antonio Valastro, Lino, Mela Mondì, Laura A., Salvatore Paci, Salvo Zappulla.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 00:15 da Massimo Maugeri


Ovviamente ringrazio le care Annalisa Stancanelli e Rita Charbonnier per i nuovi commenti.
Naturalmente nei prossimi giorni ne approfitteremo per scoprire qualcosa in più dei vostri libri.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 00:16 da Massimo Maugeri


Ho aggiornato il post inserendo un nuovo romanzo storico e un altro scrittore.
Mi riferisco a Valter Binaghi (altro vecchio amico di Letteratitudine) e al suo “I custodi del talismano” (ed. Sottovoce).

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 00:18 da Massimo Maugeri


La recensione del libro di Valter Binaghi è stata scritta da Paolo Pegoraro e pubblicata originariamente su “Bombacarta”.
Grazie, Paolo! (Se mi leggi considerati automaticamente invitato a partecipare alla discussione)

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 00:19 da Massimo Maugeri


@ Valter Binaghi
Prima di dedicarci ad approfondire la conoscenza del tuo nuovo libro pongo anche a te le domande del post…
-
1. Scrivere romanzi storici, può trasformarsi in una sorta di “gabbia” per lo scrittore (a seguito di possibili etichettature e/o per via delle aspettative dei lettori)?
-
2. Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?
-
3. Esistono pregiudizi sul romanzo storico?

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 00:22 da Massimo Maugeri


Attendo gli interventi di Andrea Frediani…
Andrea? ;)

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 00:23 da Massimo Maugeri


Per stasera chiudo qui.
Come già anticipato, il dibattito si svilupperà (con calma) nel corso dei prossimi giorni.
Buona domenica a tutti.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 00:24 da Massimo Maugeri


[...] gli altri, si parla anche de: “I custodi del Talismano” Su Letteratitudine, il blog di Massimo Maugeri. Lascia un commento LikeBe the first to like this [...]

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 00:55 da UN DIBATTITO SUL ROMANZO STORICO « Doctor Blue and Sister Robinia


Ciao a tutti e grazie a Massimo per l’invito.
Vediamo di rispondere alle sue domande.
1) La “gabbia” per uno scrittore nasce dalle cosiddette “convenzioni di genere”, che secondo me stanno non solo nel rispetto dell’ambientazione temporale ma anche nelle psicologie dei personaggi: non solo non posso mettere un automobile nel XIII secolo, ma la mentalità di un cavaliere non è quella di un automobilista. Quest’ultima cosa spesso oggi non viene rispettata: il risultato è che spesso circolano romanzi storici che in realtà sono “romanzi d’avventura” (complotti, faide e un po’ di sesso) che appiccicano una scenografia storica a vicende e personaggi che potrebbero tranquillamente vivere ai giorni nostri. Questo determina anche aspettative di un certo genere nei lettori. Temo che oggi un romanzo come “Memorie di Adriano” della Yourcenar faticherebbe a trovare un editore in Italia.
2) L’unico rischio di inserire personaggi realmente esistiti sta nell’attribuirgli castronerie che non ha mai fatto. Nei “custodi del talismano” compare l’imperatore Giuliano l’Apostata. Prima di scrivere una riga su di lui mi sono studiato una sua biografia di quattrocento pagine. In generale è meglio che il personaggio storico non compaia in priomo piano ma sia raccontato da un contemporaneo più o meno anonimo (un amico, un servitore, un’amante, un antagonista): ne guadagna restando a rispettosa distanza, non si corre il rischio di banalizzarne l’aura storica.
3) Dipende da quello che passa attualmente il convento. Io sono nato come lettore di romanzi storici coi Promessi Sposi in una mano e la Yourcenar (Memorie di Adriano, l’Opera al nero) nell’altra, per cui per me il romanzo storico è un altro impegno intellettuale di ricerca, un modo di straniarsi dalla propria epoca per comprenderla meglio, un’immersione non solo nei fatti ma nelle mitologie dominanti del passato. Se però nel frattempo è passata l’idea che il romanzo storico sono i fumettoni di Christian Jacq o l’Aristotele detective o il Dante investigatore (cioè modi per dare ambientazioni desuete all’immarcescibile giallo-noir) allora è chiaro che le aspettative di questo genere condizionano il mercato e soprattutto le scelte degli editors.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 10:02 da valter binaghi


buon giorno a tutti. ho ricevuto una telefonata piuttosto irritata da un amico (e famoso) scrittore che ha letto il mio post. perciò vorrei aggiungere qualche precisazione, senza riprendere il dibattito di circa un anno fa e le conclusioni tratte allora su cosa sia il romanzo storico. metto qui solo una sintesi su un principio sul quale avevamo tutti concordato: merita di essere definito romanzo storico un testo rispettoso degli eventi, del modo di pensare e di vivere dell’epoca nella quale la storia è ambientata.
ebbene, il mio apparente prendere le distanze dal genere nasce sclusivamente dal fatto della mescolanza sotto il medesimo marchio di libri in linea con la detta definizione e altri rasentanti il fantasy (genere, per altro, ottimo quando rispetta le “sue” regole) o figli e figliastri del famigerato (ma ben scritto) Codice da Vinci. insomma, per chi si fa un mazzo tanto in ricerca e, nella scrittura, si obbliga persino alla limitazione del solo uso di lemmi compatibili con il tempo del quale scrive), è arduo sentirsi membri di una tribù dove imperano improbabili templari e affini o si inventano codici segreti tanto strepitosi quanto irrazionali. naturalmente con tutto il rispetto per chi ha come principale missione quella di intrattenere il lettore. lo dico da gran lettore (ora un po’ meno per motivi di tempo) di gialli, horror e fantascienza. non si può leggere sempre L’Ulisse o Horcynus orca, il Mahabharata o Il romanzo dei guitti. e certamente hanno aiutalo l’alfaberizzazione degli italiani più liala e pitigrilli di papini o svevo. io, fra quelli che hanno scritto qui, ho letto solo rita e alfredo (provvederò per gli altri), e se i miei “comarchiati” fossero tutti come loro non avrei nessuna difficoltà a sottoscrivermi come autore di romanzi storici. in quanto a te, amico della telefonata, non posso che insistere: continua a fare del fantasy; dopo un glorioso passato, quello ora fai e sei indiscutibilmente bravo. e ti rende pure alla grande.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 10:43 da marco salvador


@valter biinaghi. condivido dalla prima all’ultima riga.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 10:45 da marco salvador


@Walter Binaghi@ Marco salvador.

Mettiamo che io improvvisamente diventassi un genio, decidessi di scrivere un romanzo storico, e volessi approfittarne usando i miei personaggi a mio uso e consumo, per far passare miei messaggi e mie riflessioni. Per esempio: Attila (il famoso flagello di Dio) con tratti molto umani, addirittura un bonaccione. Garibaldi secessionista, Berlusconi votato alla castità(un francescano addirittura). Pur mantenendomi fedele al contesto storico in ogni dettaglio, mi proporrei di dare una mia interpretazione personalissima degli uomini che hanno fatto la storia. Cosa succederebbe? Avrei realizzato una patacca? Sarei uscito fuori dal genere? Verrei preso a pesci in faccia?

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 11:16 da Salvo Zappulla


Avresti realizzato una patacca.
Ma c’è un sacco di gente a cui le patacche piacciono.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 11:26 da valter binaghi


@Walter. Forse non avrei realizzato una patacca ma semplicemente un romanzo che va collocato in altro contesto. Quando Stern ha scritto “Se questo è un uomo” (che appartiene al genere storico) lo ha fatto dal suo punto di vista, cioè da prigioniero sottoposto ad angherie. Probabilmente lo stesso romanzo scritto da un nazista avrebbe avuto una visione diversa della storia. E lo stesso potrebbe valere per “Il giardino del Finzi Contini” di Bassani e altri ancora. Ora mi chiedo e ti chiedo, fino a che punto si può lasciare libera interpretazione all’autore di raccontare, senza uscire dal genere?

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 11:41 da Salvo Zappulla


@salvo. un passo alla volta. attila. su di lui vi è una grande revisione, semplicemente leggendolo non solo più dal punto di vista romano ma anche da quello mongolo. comunque resterà sempre un conquistatore, all pari di cesare o alessandro, carlo magno o napoleone, e di conseguenza con le mani invetabilmente lordate di sangue e rapina. garibaldi secessionista? sarebbe un interessante operazione ucronica, tanto per diverstirsi. berlusconi. si potrebbe (anzi si dovrebbe) analizzare seriamente il suo priapismo fisico e mentale. è un uomo di grandi capacità operadive (i risultati aziendali sono soto gli occhi di tutti) e di mediocre intelligenza. di conseguenza è un uomo molto solo e dagli interessi limitati che vede la vita sfuggirgli di mano e si aggrappa unicamente a ciò che può ottenere con l’unica cosa della quale abbonda: il denaro. vedi che le cose si complicano? io, ne ‘la palude degli eroi’, ho rivistitato Ezzelino da Romano colpito da una guelfa damnatio memoriae al punto di attrinurgli nascite demoniache e massacri mai avvenuti. in realtà era un propugnatore della laicità dello stato e perciò vittima di una delle più sanguinose crociate messe in piedi contro un cristiano. il papa non ha preteso solo la sua distruzione politica e la sua morte, ma financo lo sterminio di tutta la sua famiglia. donne e bambini compresi. però la mia asserzione finale è stata semplicemente questa: ezzelino non era nè un demone nè un santo, era un uomo di potere nè peggiore nè migliore di tutti gli altri consimili del suo tempo. pensi che per questo meriterei pesci in faccia? che ho realizzato una patacca? l’importante, amico mio, e studiare e analizzare bene le fonti e così nessuno chiuderebbe più attila in uno slogan come hai fatto tu. (flagello di dio)

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 11:49 da marco salvador


@Marco. Mi è piaciuta molto la tua risposta, soprattutto l’analisi su Berlusconi (che non c’entra un fico secco con questo post ma di cui io ho una specie di venerazione, per cui lo tiro in ballo ad ogni occasione). “L’importante è studiare” concordo ancora. Studiare in modo di avere basi solide su cui costruire. Ma la conclusione qual è? Non c’è una sola Storia che vada bene per tutti. Il passato si manipola, si aggiusta, spesso secondo gli orientamenti politici di chi lo scrive. Io non sono uno storico, leggo qua e là quello che mi capita sotto mano. Su Attila e su altri personaggi ne so più o meno quanto un comune lettore.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:23 da Salvo Zappulla


@salvo. a proposito, proprio ezzelino, fino a ieri era definito un flagello di dio, un esteta della crudeltà in confronto del quale de sade era principiante. con i cronisti contemporanei e postumi ad asserire che era peggio di attila, caino, giuda, nerone e metti tu chi altro vuoi. insomma, se ho capito bene il senso della tua domanda, esci di rotta solo se ricalchi o imponi ideologie e preconcetti. in questo caso non è più un romanzo storico, salvo. è solo propaganda, e della più becera. in quanto allo slogan (flagello di dio) ovviamente non mi rivolgevo direttamente a te (che lo hai usato come esempio) ma a chi, ti assicuro ancor oggi, anche nelle scuole liquida il personaggio proprio con questa frase.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:23 da marco salvador


@salvo
“Non c’è una sola Storia che vada bene per tutti. Il passato si manipola, si aggiusta, spesso secondo gli orientamenti politici di chi lo scrive.” Parole sante. Ecco, hai centrato il problema. Poi, tanto per scherzare in quanto non c’entra nulla, ho conosciuto francescani che scopavano come ricci. :-D

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:26 da marco salvador


Buongiorno a tutti. Seguo questo blo da tempo, ma è la prima volta che intervengo.
Mi ha colpita una cosa che ha scritto Valter Binaghi: “Temo che oggi un romanzo come “Memorie di Adriano” della Yourcenar faticherebbe a trovare un editore in Italia”.
Premesso che adoro le Memorie di Adriano della Yourcenar, volevo chiedere se gli altri partecipanti al forum sono d’accordo.
E’ proprio così?
Se questa cosa fosse vera, sarebbe gravissimo.
E se fosse vera, perché si è arrivati a questo punto?
Di chi è la colpa?

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:27 da Maria Gelsomino


Una cosa è cambiare il punto di vista della narrazione (ma all’interno del medesimo orizzonte storico). Un’altra è rovesciare su un ambiente storico un punto di vista che gli è estraneo. Il passaggio del Rubicon può essere raccontato da Cesare che ne esalta il significato, da un Senatore che lo interpreta come un’offesa o da una lavandaia che aspetta sull’altra sponda il fidanzato legionario e di Cesare se ne frega. Tutti e tre sono legittimi dal punto di vista storico, e personalmente troverei il terzo poeticamente più promettente.
Altro è attribuire a Cesare la mentalità di un leader politico moderno, che per esempio senta il bisogno di blandire legionari e lavandaie con la promessa di una crescita del PIL e diritti democratici. Qui avremmo la patacca, scritta in modo grossolano per palati grossolani.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:27 da valter binaghi


blo sta per blog

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:28 da Maria Gelsomino


@Maria
Dell’aver fatto il palato alle patacche
Soprattutto delle case editrici che sognano incassi garantiti solo da fumettoni ed esoterismo in pillole, e sono disposti ad investire seriamente solo in questi casi.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:30 da valter binaghi


@maria. purtroppo è vero. neppure joyce e kafka troverebbero un editore disposto a pubblicarli. soldi, amica mia, soldi. se non vendi, nelle case editrici ti tolgono il saluto. anche se ti chiami dante e fai parte della famiglia degli alighieri. invece il buon pietro (aretino) se lo giocherebbero a suon di milioni.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:35 da marco salvador


@sempre maria. di chi è la colpa? sempre dei lettori che leggono melissa p. o va dove ti porta il cuore.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:36 da marco salvador


@Marco. Perdonami, ma ci credi che non so chi minchia sia questo ezzelino? Giuro che vado a comprare di corsa qualche tuo romanzo e mi chiudo in casa fino a quando non saprò vita morte e miracoli di Ezzelino. Lo giuro di fronte alla statua della Charbonnier che hanno appena collocato nel centro di roma.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:36 da Salvo Zappulla


Ma gli editori non dovrebbero tener conto della eterogeneità del pubblico dei lettori? Pur ammettendo l’esistenza di una larga fetta che predilige le “patacche” (che imperversano anche nel cinema, in Tv e in varie altre forme artistico/comunicative), cosa impedirebbe ad un editore di soddisfare il palato di editori più esigenti?

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:36 da Maria Gelsomino


Mi piace pensare che Kafka, Joyce e la Yourcenar troverebbero spazio anche oggi. Altrimenti sarebbe troppo triste.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:38 da Maria Gelsomino


Però, Marco Salvador, lei pubblica con Piemme. Non è un grande editore?

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:39 da Maria Gelsomino


@salvo. eh la rita, per i monumenti, l’aiuta quel fisicaccio che ha.
@maria. da un mio ormanzo sulla condizione degli anziani nelle case di riposo hanno “liberamente” tratto un serial rai con lino bandi e toffolo. una roba che mi ha fatto dire: “ma perchè ca.o scirvo se poi trasformano tutto in una melassa indegna?”. posizione che mi è costata la perdita di parecchi euro.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:43 da marco salvador


per maria gelsomino.
gentile signora, putroppo mi preme ricordare che kafka ebbe difficoltà a farsi pubblicare anche ai suoi tempi. divenne noto postumo ed egli stesso non potè godere del successo che le sue opere riscossero dopo la sua morte.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:44 da giulio


@maria. grazie a dio, nonostante tutto, vendo quello che basta. tutto qua. però il tappeto rosso preparatomi dopo l’uscita de ‘il longobardo’ lo hanno riavvolto e sotiruito con uno di canapa. cru.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:45 da marco salvador


alla domanda
scrivere romanzi storici può diventare una gabbia?
rispondo
forse sì, dal punto di vista dei lettori,
ma l’autore se ama la storia scrive con passione, non solo
l’autore scrive di ciò che lo emoziona o lo coinvoge fortemente, quindi anche il presente
io, per esempio, mi sto documentando su Cicerone a Siracusa ma sto anche scrivendo nella mente un romanzo ambientato nel presente,
pensando a TU NON DICI PAROLE di Simona ancora oggi sono attratta dalla Storia dell’inquisizione di Sicilia
vedremo,,,,per il prossimo prossimo libro.
annalisa

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 12:51 da annalisastancanelli


Salve a tutti,

ringrazio per l’invito a partecipare alla discussione. Per quanto mi riguarda, non sono un lettore abituale del genere storico, ma ne apprezzo la capacità di offrirci quello che nei manuali scolastici non può comparire: la ricostruzione di una mentalità, la possibilità d’immergermi in un mondo interiore così incredibilmente diverso dal nostro. Viaggiare nella cronologia non è meno affascinante che viaggiare nella geografia, se si è fedeli a questo sforzo di comprensione dall’interno, e infrangere i pregiudizi del tempo (il passato visto sempre come meno “progredito” del presente) è più difficile che infrangere qualsivoglia pregiudizio presente.

Per me il perno – quello che mi spinge o meno a leggerli – sta tutto qui, e di conseguenza giudico insignificante anche se famoso uno (“L’ottava vibrazione” di Lucarelli) e magnifico anche se dimenticato un altro (“I fuochi dei kelt” di Giovanni D’Alessandro). La letteratura usa i generi da sempre: se è davvero grande, se fa lo sforzo di gettarsi oltre le contingenze, i pregiudizi presto o tardi cedono.

Paolo

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 15:03 da Paolo Pegoraro


Scrivere romanzi storici, può trasformarsi in una sorta di “gabbia” per lo scrittore (a seguito di possibili etichettature e/o per via delle aspettative dei lettori)?
Ma il tutto sta nel significato da attribuire a quello “storico”. La suddivisione in generi a volte può apparire una limitazione, come se si dovesse trattare di un’opera di serie B. Per me il fatto che un romanzo venga definito storico implica solo che si parli di fatti che sono accaduti e di personaggi che sono realmente esistiti. Non è però che con questo la fantasia creativa debba venir meno, perché allo scrittore, narrando di un condottiero, per esempio, pur non potendo prescindere da quanto di lui di certo si sa, può fornire tutta una serie di intercalati, di interpretazioni che rendono il suo lavoro non una biografia, ma un romanzo. E non dimentichiamo che esistono romanzi storici che sono dei capolavori assoluti, come Memorie di Adriano. Peraltro, e mi scuso con gli altri autori presenti di cui non conosco la produzione, Salvador, che seguo da diverso tempo, confeziona delle opere che sono pregevolissime, che coinvolgono e che lasciano il segno dentro il lettore. Per esempio, per La palude degli eroi ho scritto: “ Avete presente quegli affreschi che nelle chiese si trovano nell’abside, che partono a sinistra dell’altare e in una serie di quadri successivi gli girano dietro per concludersi alla sua destra? Ecco, La palude degli eroi è strutturato così, come se Salvador fosse il pittore chiamato a celebrare la vita di un santo. E’ quindi tutta una serie di quadri, legati l’uno all’altro e che danno vita a un affresco di grande bellezza.” Una simile impostazione non è da tutti e, oltre a essere di non facile realizzazione, ha il pregio indiscutibile di attrarre subito il lettore, immergendolo in un’atmosfera che è quella dell’epoca della vicenda.

Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?

Certamente che ci sono i rischi, rischi che vengono limitati nelle opere di ambientazione storica, laddove l’epoca è una e ben determinata, ma i protagonisti sono del tutto di fantasia.
Quindi l’autore deve corredarsi della più ampia documentazione possibile, sia riguardo ai personaggi realmente esistiti, sia al loro contesto.
Se non dovesse operare così, non incorrerebbe in spiacevoli conseguenze solo nel caso di un lettore di scarsa istruzione, insomma uno di quelli che bada più alla trama che all’insieme.

Esistono pregiudizi sul romanzo storico?

Certamente. Esistono per colpa di autori che scrivono romanzi spacciati per storici, ma non lo sono, anzi finiscono con l’essere prodotti di largo consumo, ma di modesta qualità.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 18:11 da Renzo Montagnoli


Se avessi gli strumenti culturali sufficienti mi piacerebbe scrivere un romanzo storico impostato dentro una rivoluzione e descrivere il dramma che un cittadino qualunque, inserito in un contesto rivoluzionario, vive nel passaggio tra un vecchio sistema ed uno nuovo che la rivoluzione propone.
Per chi optare? cosa è meglio?
Descrivere cioè quello che fu il dramma di Tocqeville il quale comprese più tardi dove stava la libertà e dove l’oppressione. Scrivo questo perchè il romanzo storico, di solito, è statico nei suoi paradigmi e sembra che storia, ambiente, narrazione siano elaborati a strati sovrapposti e manchi la fiamma ossidante della corporeità narrativa, il centro su cui far convergere linguaggio, storia,e vicenda umana.
Il romanzo storico secondo me non suscita il busillis se il personaggio è veramente esistito oppure no perchè se il personaggio è veramente esistito
stiamo facendo ricerca biografica; se invece il personaggio non è esistito e ce lo siamo inventato contestualmente, siamo nel romanzo.
Forse questo è un mio pregiudizio ma sono convinta che è difficile ambientare anche un racconto nella realtà che ti scorre tra le mani immaginiamo , ad esempio, nel Medioevo, anche se. lasciatemelo dire, non c è poi molta differenza.
Uno dei romanzi storici che mi ha colpito è “Il nome della rosa” di Umberto Eco che definirei un giallo storico coerente.

Postato domenica, 27 febbraio 2011 alle 18:36 da mela mondi


Grazie di cuore per i nuovi interventi.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 01:14 da Massimo Maugeri


Saluti e ringraziamenti a Valter Binaghi, Marco Salvador, Maria Gelsomino, Salvo Zappulla, Salvo Zappulla, Giulio, Paolo Pegoraro (grazie per essere intervenuto), Annalisa Stancanelli, Renzo Montagnoli, Mela Mondì.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 01:17 da Massimo Maugeri


Ricordo che questo post è strettamente connesso a quest’altro post http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/12/13/dibattito-sul-romanzo-storico/
(Anzi, ne è la prosecuzione).

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 01:18 da Massimo Maugeri


Ne approfitto altresì per ricordare le domande proposte in questo post (nel caso in cui qualcuno avesse voglia di esprimere il proprio parere in merito):
-
1. Scrivere romanzi storici, può trasformarsi in una sorta di “gabbia” per lo scrittore (a seguito di possibili etichettature e/o per via delle aspettative dei lettori)?
-
2. Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?
-
3. Esistono pregiudizi sul romanzo storico?

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 01:19 da Massimo Maugeri


Inoltre vorrei cominciare ad approfondire la conoscenza dei libri degli amici scrittori che ho coinvolto in questo post.
Nel rispetto dell’ordine alfabetico direi di cominciare con i libri di Valter Binaghi e Rita Charbonnier.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 01:21 da Massimo Maugeri


@ Valter Binaghi
Domanda classica, ma che si presta sempre bene per far conoscere un libro…
Come nasce “I custodi del talismano”?
Quale, la fonte di ispirazione (se c’è stata)?
Cosa ti ha spinto a scriverlo?

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 01:23 da Massimo Maugeri


@ Rita Charbonnier
Cara Rita, ti rivolgo le stesse domande poste a Valter
Come nasce “La sorella di Mozart”?
Quale, la fonte di ispirazione (se c’è stata)?
Cosa ti ha spinto a scriverlo?

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 01:24 da Massimo Maugeri


Buonanotte e buon inizio settimana a tutti.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 01:25 da Massimo Maugeri


Permettetemi di ribadire come tanti romanzi storici siano perlopiù il frutto della fantasia dell’autore, quando il lettore pretende – come nel mio caso – che l’autore, oltre a possedere un notevole bagaglio culturale riguardo alla storia dei vari personaggi, fatti, ambienti, tradizioni e via dicendo che formeranno la trama del proprio racconto, abbia anche una profonda conoscenza degli animi dei personaggi, ossia della loro psiche, delle loro inclinazioni, pena lo svilimento – e la delusione – del lettore.
Non è solo capitato a me d’essere appunto deluso da un autore che, prendendo a prestito degli spicchi di storia, si è poi sbizzarrito nel descrivere azioni e pensieri palesemente inverosimili.
Gli storici descrivono gli accadimenti di un’epoca o di un dato periodo di tempo, cioè la storia, facendo emergere le azioni compiute dai protagonisti di quegli accadimenti, mentre il narratore dovrebbe – attraverso la narrazione – “rendere” specialmente la personalità, gli ideali, le passioni, in breve la vita dei protagonisti, nonché i contesti sociali da loro affrontati o combattuti.
Compito arduo, a volte assai più arduo di quello degli storici, che devono ricercare comunque la verità, mai anche i complessi risvolti emotivi, sentimentali, in una parola “umani”.
Ma – e mi rivolgo a Massimo – gli autori invitati a partecipare a questo post non mancano certo né di dettagliate conoscenze storiche né di acume psicologico.
Un saluto cordiale.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 04:02 da Ausilio Bertoli


Caro Massimo,
ti ringrazio per l’invito a questo dibattito e mi scuso per intervenire così in ritardo, ma ho avuto problemi di connessione.
Pur non essendo, come ho detto nel mio primo e finora unico commmento, uno specialista del romanzo storico, ho scritto altri libri ambientati in epoche diverse dall’attuale, e segnatamente durante il fascismo. Me ne sono domandata la ragione. Credo che per uno scrittore lo spostamento temporale (come anche quello geografico) sia utile, dandogli la possibilità di una maggiore distanza dalla storia e quindi un maggior controllo su di essa. Viene a mancare, tra l’altro, la possibilità di un autobiografismo a parer mio sempre o quasi dannoso.
Cercherò anche di rispondere alle tue domande. Cominciamo dalla prima.
Il concetto di “gabbia” ha due aspetti. Da un lato potrebbe, apparentemente, limitare la libertà dello scrittore, costringendolo a confrontarsi con confini stretti e precisi. Un romanzo storico non deve mai essere impreciso. Tutto va controllato, se possibile sulle fonti, e successivamente affidato a un editor di fiducia esperto nella materia. D’altro canto, la “gabbia” -una qualsiasi gabbia- è uno stimolo straordinario che costringe ad affinare il più possibile i propri strumenti per riuscire a esprimere ciò che si sente senza sforare. Come ogni costrizione (tempi di consegna, eventuali commissioni, temi già definiti) e quindi come ogni genere, la “gabbia” storica impone una maggior severità con se stessi e costituisce uno stimolo (si pensi ai romanzi di Dickens, usciti a puntate sulle riviste e obbligati quindi alla scadenza periodica).
Da questa provvisoria conclusione potrebbe derivare un’ulteriore domanda sui generi letterari. Esiste un mainstream contrapposto al genere? O tutta la narrativa è di genere? O ancora: mainstream e genere sono sullo stesso piano, e il punto è unicamente l’originalità e la sincerita delle storie (anche nel rispetto della Storia) e la qualità della scrittura?

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 08:49 da alessandro defilippi


Grazie a Rita ed a Salvo.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 09:54 da Amelia Corsi


Ho letto il post e tutti i commenti. Come sempre, molto interessante.
Faccio i complimenti agli autori intervenuti. I loro libri hanno suscitato il mio interesse. E visto che dovevo passare in libreria per prendere qualcosa, ci andrò con la lista della spesa.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 10:02 da Marco Vinci


Provo a rispondere alle domande, da semplice lettore.
* Scrivere romanzi storici, può trasformarsi in una sorta di “gabbia” per lo scrittore (a seguito di possibili etichettature e/o per via delle aspettative dei lettori)?
.
Mi verrebbe di rispondere con un ‘altra domanda. Se per scrivere romanzi bisogna comunque seguire delle regole dettate, per esempio, dalla costruzione della trama e dallo sviluppo dei peronaggi, già la stessa attività dello scrivere non è di per sè una “gabbia”?

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 10:06 da Marco Vinci


* Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?
Secondo me i rischi sono legati al fatto che è necessario rendere il personaggio realmente esistito molto verosimile senza discostarsi dagli aspetti biografici.
Un altro rischio potrebbe sorgere quanto il personaggio realmente esistito è stato in qualche modo stereotipato e nell’immaginario collettivo è visto in un certo modo, magari difforme dal vero. In tal caso lo scrittore potrebbe assecondare lo stereotipo, oppure tentare di discostarsene.
Entrambe le operazioni sono comunque rischiose.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 10:10 da Marco Vinci


* Esistono pregiudizi sul romanzo storico?
Probabilmente esistono pregiudizi sui generi letterari. I pregiudizi sono figli delle etichette.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 10:11 da Marco Vinci


Mi sembarno particolarmente calzanti le domande dell’ultimo post di Alessandro Defilippi.
Esiste un mainstream contrapposto al genere? O tutta la narrativa è di genere? O ancora: mainstream e genere sono sullo stesso piano, e il punto è unicamente l’originalità e la sincerita delle storie (anche nel rispetto della Storia) e la qualità della scrittura?
Non è semplice rispondere, ma sono curioso di conoscere le opinioni degli altri scrittori.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 10:12 da Marco Vinci


Rispondo alle domande di Massimo sulla genesi de “I custodi del Talismano”. Il romanzo consiste in tre storie di tre personaggi vissuti in tre epoche diverse, ma accomunati dal fatto di essere, ognuno per la sua generazione, i custodi di un talismano che si tramanda accompagnato da una leggenda: la sua apertura salverà il mondo nel momento del massimo pericolo. Ovviamente nessuno dei tre apre il talismano e la tradizione si perpetua.
Il motivo ispiratore è duplice: da un lato la meditazione su ciò che, al di là dei mutamenti storici e culturali, non cambia nell’avventura umana.
Dall’altro la voglia di scrivere tre vite che a mio parere esprimono le possibilità fondamentali dell’esistenza; la ricerca della sapienza (un druido celta del II secolo a. C.), l’idealismo politico (un ufficiale romano del tardo impero), la semplice umanità preoccupata della propria sopravvivenza individuale (un cerusico di epoca carolingia)
Secondo una visione della storia che ho mutuato da Giambattista Vico, queste tre tipologie identificano il senso del divenire culturale (che si dipana in tre età: “degli dei, degli eroi e degli uomini”). Diciamo che qui il narratore e il filosofo (di professione sono insegnante di storia e filosofia) si sono incontrati e hanno fatto comunella.
E’ sicuramente il mio romanzo più ambizioso e curato.
La sua stesura, in effetti, ha richiesto un lungo lavoro preparatorio.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 10:25 da valter binaghi


Quando decido di comprare un libro, non mi pongo il problema del genere. Mi domando solo : questo libro potrà piacermi? E’ nelle mie corde? E’ in grado di darmi qualcosa?

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 12:47 da giovanna


Dunque non credo debbano esserci pregiudizi di sorta. Un buon libro e’ un buon libro. Un buon romanzo storico e’ un buon libro.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 12:51 da giovanna


Mi piace molto l’idea del talismano di Valter Binaghi, come occasione di verificare i punti di vista di tre uomini diversi che vivono in epoche diverse

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 12:53 da giovanna


Mi sono collegato al link della prima parte del dibattito, dove sono state dette tante cose.
Non vorrei aggiungere banalità, ma credo che la tradizione del romanzo storico si incroci con quella del romanzo tout court.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 17:59 da Lorenzo Marini


Per rispondere alla prima domanda, non credo che ci siano “gabbie” particolari nello scrivere un romanzo storico. Basta documentarsi ed evitare di scrivere cose errate.
Del resto se uno scrittore decide di ambientare un romanzo nell’anno 2011 dovrà tener conto di quello che accade oggi. Per esempio è improbabile che un personaggio scriva una lettera e la spedisca. Sarà più credibile l’invio di una email.
Non è anche questa una “gabbia”?

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 18:02 da Lorenzo Marini


Scrivere di un personaggio realmente esistito è rischioso, certo. Su questo sono d’accordo. Il rischio è quello di dare un giudizio sul personaggio realmente esisitito, attraverso la narrazione.
Ma non è un rischio che ha corso anche Dante nella Commedia?

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 18:04 da Lorenzo Marini


Non credo esistano pregiudizi sul romanzo storico in particolare. Personalmente, non ho questa impressione.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 18:05 da Lorenzo Marini


Infine : tanti auguri agli autori ospiti ed ai loro libri.
P.s. spero di non aver scritto corbellerie.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 18:06 da Lorenzo Marini


cari Amici
intanto vi informo che il mio romanzo da domani sarà prenotabile in Feltrinelli in tutta Italia e che sarà presentato Siracusa a fine marzo.
mi chiedo
perchè devono esserci pregiudizi sul romanzo storico? è’ la prima forma di romanzo italiano, dopo quello epistolare di FOSCOLO a sfondo storico-amoroso-politico, e soprattutto avvicina i giovani alla storia
fra i miei studenti liceali alcuni periodi della storia romana e medievale sono conosciuti grazie agli sfondi storici dei romanzi, sapete che ormai i tagli ai programmi hanno raggiunto risultati terribili in termini di conoscenze globali; la narrazione storica su base curata e approfondita li avvicina a periodi e personaggi che si studiano poi a loro piacere
nel mio Archimede ho contaminato il genere storico con il noir perchè il genio archimedeo si prestava a risolvere enigmi e a scoprire l’assassino dei suoi amici scienziati di Alessandria per il rigore logico delle argomentazioni
ne è nata una storia che ha condotto molti a ri-studiare Archimede e le sue molteplici invenzioni e a riscoprire un periodo storico poco frequentato quello delle prime guerre romane di espansione e della scienza ellenistica.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 19:48 da annalisastancanelli


Perbacco! Ho tardato qualche giorno a intervenire e già mi ritrovo a scorrere un numero incredibile di post! Ringrazio Massimo per avermi coinvolto e saluto tutti gli autori e i lettori. Provo anch’io a rispondere alle fatidiche tre domande.
1) Direi che, quanto più un autore ha successo, tanto più rimane prigioniero, “ingabbiato”, da quello che il pubblico si aspetta da lui. Ma accade in quasi tutte le forme d’arte o di intrattenimento, naturalmente. E’ pur vero, tuttavia, che in un contesto che gli è familiare, l’autore si muove più a proprio agio, con la possibilità di sopperire col mestiere a eventuali carenze d’ispirazione. Quindi, non è facile uscirne, anche perché si corre il rischio di “disorientare” il lettore. Se poi parliamo, in termini più specifici, del romanzo storico, un autore abituato a scriverne finisce per avere più familiarità con il modo di vivere degli nostri antenati, con le vele e i cavalli piuttosto che con i motori, con i papiri e le pergamente piuttosto che con i computer, con carretti piuttosto che macchine, con le difficoltà di comunicazione piuttosto che con internet, e forse finisce per non sapere neanche come organizzare una trama e le scene di un romanzo ambientato ai giorni nostri. Diciamo che, se scrivere romanzi allontana un po’ dalla realtà, scrivere romanzi storici allontana ancor più dalla realtà…
Inserire personaggi realmente esistiti in una trama è una sfida ben più complessa che limitarsi a riproporre un’ambientazione e collocarvi personaggi fittizi. Anche perché si dovrebbe scriverne in un modo inedito, non affrontato in precedenza. Con Cesare, ovviamente, questo problema me lo sono dovuto porre, e ho scelto di affrontarlo dal punto di vista del suo rapporto con il suo migliore amico/peggiore nemico, Tito Labieno, che non era mai stato affrontato prima. Ma Cesare era un genio, e questa è un’altra sfida, perché non è mai facile scrivere di un genio. Nel complesso, quanto più un personaggio ha significato nell’evoluzione storica, tanto più ci si espone a critiche da parte di chi pensa di conoscerlo già a menadito, o anche di chi lo conosce solo secondo la vulgata. La documentazione su di lui, ovviamente, è più ampia, e bisogna studiare molto di più. I suoi spostamenti si conoscono meglio, e non possiamo sottrarci ai numerosi vincoli già stabiliti dalle fonti, con il rischio di non poter sviluppare le vicende come vorremmo. Altro rischio è quello di scriverne una biografia, alla fin fine. Con Cesare, per esempio, ho voluto dimostrare cher la sua vita è stata talmente densa e interessante che non c’è bisogno di riproporre sempre gli stessi temi, ovvero, Alesia e Vercingetorige, Cleopatra, le Idi di Marzo, per scrivere un romanzo interessante su di lui. C’è tanto altro di straordinario, nella sua esistenza, e ho scelto di omettere proprio i tre temi più noti.
Di pregiudizi sul romanzo storico ve ne sono a iosa. Io ho dovuto attendere il terzo romanzo perché i critici più in vista si disturbassero a prendere in considerazione il mio lavoro e lo recensissero. In genere, viene equiparato al romanzo d’avventura, e ignorato. I lettori comuni, d’altro canto, ricordano la storia com’era insegnata a scuola, e danno per scontato che siano noiosi. Racconto un aneddoto. Una mia cara amica, con la quale ho fatto tutte le scuole, ha sempre odiato la storia e non aveva mai neanche provato a leggere i miei romanzi. Poi, durante le vacanze, un paio d’anni fa, è rimasta senza niente da leggere e ha sottratto al figliastro il mio “Un eroe per l’impero romano”. Se l’è divorato in due giorni, commentando: “Ma scrivi come un giornalista!” Ecco, la gente è prigioniera del luogo comune che i romanzi storici non siano veri e propri romanzi, che non possano essere dei thriller, per esempio, e non ci si accosta neanche. Il problema è che ancora circolano romanzi storici che somigliano piuttosto a saggi, e non rendono un grande servizio alla diffusione su scala più ampia della storia (che, lo ricordo, è fatta, prima ancora che di date e dati, di passioni e ambizioni)…

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 20:34 da Andrea Frediani


Buonasera a tutti e grazie per i nuovi interventi!

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:03 da Massimo Maugeri


Saluti e ringraziamenti a: Ausilio Bertoli, Marco Vinci, Giovanna, Lorenzo Marini.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:04 da Massimo Maugeri


Un saluto di bentornato a Andrea Frediani (grazie per aver risposto alle domande, caro Andrea).

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:04 da Massimo Maugeri


Ringrazio Valter per averci fornito informazioni circa la genesi del suo romanzo.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:05 da Massimo Maugeri


@ Valter Binaghi
Hai pubblicato con diversi editori. Come ti stai trovando con “Sottovoce”?

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:06 da Massimo Maugeri


@ Valter Binaghi
Inoltre, caro Valter, ti chiedo – se ti è possibile – di inserire un estratto a tua scelta de “I custodi del talismno” (giusto per farcelo assaggiare).

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:08 da Massimo Maugeri


A proposito di “Sottovoce”…
ho invitato Francesco Forlani a partecipare alla discussione.
Francesco è il direttore della collana “Voices” (che include anche questo romanzo di Valter Binaghi).

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:11 da Massimo Maugeri


@ Francesco Forlani
Il marchio “Sottovoce” fa parte di un progetto editoriale più ampio: quello di “Editoria Indipendente”
http://www.editoriaindipendente.net/
Vorresti spiegarci di cosa si tratta?

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:12 da Massimo Maugeri


Inoltre, Francesco… quali sono gli obiettivi della collana “Voices”, da te diretta?

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:12 da Massimo Maugeri


@ Rita Charbonnier
Cara Rita,
chiedo anche a te (dopo che ci avrai raccontato come nasce “La sorella di Mozart”) di farci assaggiare il tuo romanzo offrendoci – se possibile – un estratto a tua scelta.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:14 da Massimo Maugeri


Reputo molto interessanti le domande poste da Alessandro Defilippi (sui generi letterari) nel suo commento del 28 febbraio 2011 alle 8:49 am.
Le riposto di seguito (e le inserisco sul post come aggiornamento).
-
Esiste un mainstream contrapposto al genere? O tutta la narrativa è di genere? O ancora: mainstream e genere sono sullo stesso piano, e il punto è unicamente l’originalità e la sincerita delle storie (anche nel rispetto della Storia) e la qualità della scrittura?

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:16 da Massimo Maugeri


Ne approfitto per ringraziare anche Annalisa Stancanelli.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:17 da Massimo Maugeri


Nei prossimi giorni approfondiremo la conoscenza degli altri libri.
Per il momento chiudo qui, augurando a voi tutti una serena notte.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:18 da Massimo Maugeri


Vorrei provare adesso a rispondere ala seconda domanda. Inserire personaggi realmente esistiti in un romanzo storico è di grande utiiità. Dà alla narrazione una nuova costrizione e, come ho già detto, questo mi pare un vantaggio per la creatività. E’ peraltro sicuramente un problema, una difficoltà in più. Bisogna essere attenti a non sbagliare, a non dire sciocchezze, ma al tempo stesso, nella vita di qualsiasi personaggio storico è possibile trovare momenti, periodi in cui inserire qualcosa di inventato dallo scrittore, anche un’intera avventura.

Postato lunedì, 28 febbraio 2011 alle 22:19 da Alessandro Defilippi


“Sottovoce” è un progetto nuovissimo, un cantiere aperto a cui io per primo cerco di dare il massimo contributo come autore accanto a due valorosi come Paolo Pedrazzi e Francesco Forlani, potremo fare un bilancio in autunno. Da parte mia finora posso dire che gli ho dato il mio libro più ambizioso e l’editore ha corrisposto inserendolo in una linea editoriale di grande bellezza.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 00:40 da valter binaghi


Ecco un brano dal libro. E’ l’incipit della terza delle vicende che lo compongono, intitolata “Pharmakon” (la storia di un cerusico del IX secolo).

Ti sento volteggiare qui intorno, cattivo spirito, come l’avvoltoio sopra il moribondo, ma non è ancora tempo. Vattene Azazel: la braciola è ancora cruda.
Posso ancora vedere e ricordare, conservo la briglia in mano ben salda: ho ancora un giorno, forse due prima di sapere se questa volta la rapina della morte mi vorrà nel suo bottino o se invece, com’è sempre stato, sarò io a comporre le salme sconvolte, a coprire la deformità delle carni consunte dal Morbo.
Ho già chiuso le palpebre di molti in questo villaggio, ricevendo l’ultimo barlume dall’occhio disperato, come uno sputo sull’anima di chi sopravvive. Queste femmine guardinghe e i loro uomini spezzati, i bambini ignari e macilenti cadranno uno a uno mentre io resterò qui, a guardia di un cimitero? Non me lo auguro.
Non più tardi di ieri, il popolo ha compiuto l’estremo tentativo di sfuggire alla condanna. Ammucchiati come ossessi, sciamarono dalla chiesa ferendosi il petto con pietre aguzze.
Invocavano a gran voce Cristo e i Santi, e Carlomagno, e la Vipera, e tutto quanto suonasse grande e potente a quelle menti annebbiate da una fede bestiale. Poi, mutata la pietà in furore, si diedero a bruciare le case delle famiglie più colpite, incuranti degli strilli dei bambini e dei guaiti dei cani rinchiusi. Si affollavano, fino a ieri, anche alla mia porta, sbraitando e implorando, e se ne andavano senza avermi ascoltato, più furibondi di prima, ormai in preda ad un’angoscia folle e incontrollabile. Ancora stanotte ho udito grida e risate in tutto il paese: caduto ogni freno alla libidine, qualcuno voleva morire soddisfatto, stuprando la figlia del vicino o sgozzando l’odiato parente. Ma stamani nessuno è venuto: forse questa notte si è portata via anche quei disgraziati, e la morte aspetta solo me per chiudere il coperchio della bara.
Il bubbone è sempre lì, passo la mano ormai senza ribrezzo, non è più grosso di stamani. Sono in forze. La coperta è bisunta, strappata in più punti, ma la morte miserabile è più di tutto un lezzo di carne frollita, un sudiciume senza più pudore, e il pensiero è un chiodo confitto nell’insonnia, che giunge a implorare il nulla. Invece io posso ancora lottare con l’Angelo.
Assisto alla mia rovina ad occhi bene aperti, curioso.
Sono vent’anni che vado frugando le pieghe della carne altrui, fino ai recessi più profondi del dolore, dove si disfa l’ultima dignità. Ho spiato su volti infranti dal sorriso ebete della sconfitta la sequenza della morte che si svela, ogni volta trattenuto sulla soglia da una mano invisibile: ora forse è il mio turno di apprendere la sola verità di questo mondo.
Ma bisognerà essere desti. Osservare ogni cosa e prevedere perfino, come faccio adesso con lo scarafaggio sul muro: ho seguito il suo viaggio circospetto fin dalla fessura dove si è affacciato – ora costeggia la crepa come un fossato, e mi pare di sapere dove andrà.
Al mio fianco ho il Libro dei Morti di Al Farid, ultimo dono di quell’uomo dolce e sapiente. Ho promesso a lui e a me stesso che percorrerò fino in fondo il sentiero delle visioni, prima di lasciarmi inghiottire dall’oblio. Sta scritto che il morente incontrerà quattro porte e quattro Guardiani: ognuno con una tentazione estrema per lo spirito. Il premio per chi porta a termine il viaggio senza che il lume interiore si spenga, è la conoscenza dell’ultima verità.
Non sarà facile. So come ingannare per un po’ il male, concentrando la degenerazione nelle membra inferiori e risparmiando il capo. Poi qualcosa si allenterà e la figura della mente sarà sconvolta dalle vendette del passato: allora io giacerò perduto, per lunghi istanti.
Potrò ritornare, forse. Ho visto il delirio in tutte le sue forme: blande e intermittenti oppure acutissime, definitive. Vi si assiste rassegnati, limitandosi a curare che l’invasato non si ferisca agitandosi troppo. Può essere il caso di legarlo al letto. Per il resto si recinge appena il fuoco che consuma sul suo volto la sembianza umana, e in voi l’ultimo resto di pietà.
Il solo modo per conservare la padronanza della mente è di legarla al giogo dell’unica storia che conosco bene: la mia. Procederò ricordando e narrando a me stesso, dipanando il filo per non smarrirmi nel labirinto: non prima di incontrarmi faccia a faccia con l’oscuro abitante che finalmente mi avrà. Avrebbe potuto fare ben altro Abba Silvano, lui che diceva di conoscere il Pharmakon.

Non ho mai capito come facesse a muoversi così silenzioso con quel gran corpo ursino che si ritrovava: all’ultimo momento mi accorgevo della mano che si posava sulla mia spalla, non più pesante di un’ala d’uccello.
«Sempre qui a guardare i gabbiani, figliolo?».
Non guardavo i gabbiani. Allora come ora, avevo impressa nell’anima un’immagine così remota che mi pare di essere nato con quella negli occhi.

Una capanna che odora di caglio e sterco di capra, un moccolo lampeggia in fondo. La mano brusca mi spinge avanti, verso il pagliericcio: «Bacia tua madre, per l’ultima volta!».
Mi chino su una sagoma giallastra e sconosciuta, come scolpita da una mano arcigna che avesse in odio il genere umano: dove sono le sue gote rosse di sforzo o d’allegria, il fiato caldo curvo su di me a mormorare la preghiera della sera, e gli occhi ridenti nel versare la porzione di minestra più abbondante? Tocco con le labbra quella fronte gelida, e dal seno odoroso di un tempo si leva un lezzo di carne guasta. Mi volto: «Non è lei», dico. La mano brutale di prima mi strappa al giaciglio e mi getta di fuori, nella notte fangosa.

Così ricordando me ne stavo nascosto, arrampicato sull’ultimo lembo del promontorio, nel nido di pietra che sembrava fatto apposta per contenere il corpo di un bambino. Sedevo abbracciando le ginocchia e guardavo le onde infrante sulle rocce là di sotto, i massi percossi ma invulnerabili, e il mistero dell’unica carne del mondo che non cede al tempo.
Ma Abba Silvano aveva un’altra idea dell’immortalità.
«Ti restano ancora due ore di esercizio nel copiare. Presto sarai pronto per raggiungere gli altri monaci in biblioteca, e dedicarti alla missione che il beato Cassiodoro ci ha lasciato. I tesori della sapienza degli antichi non imputridiscano nella muffa, né siano divorati dal morso sacrilego dei topi, ma giungano intatti ai posteri, come il seme dei viventi nell’arca di Noè!».
M’infilava la mano sotto l’ascella e mi sollevava senza nemmeno curvarsi.

I miei genitori erano morti che io avevo cinque anni – ricordo appena due facce di contadini cotte dal sole, e le labbra di lui senza sorriso – e insieme a loro l’epidemia si era presa mia sorella più grande, già ragazza. Al fratello di mia madre non era rimasto che offrirmi al monastero – oblato: che gran regalo, malaticcio e ignorante com’ero – e prendersi la capanna, gli attrezzi e le sementi insieme al cavallo più morto che vivo.
Non un abbraccio, né una lacrima: i parenti si sbarazzarono di me in una settimana. In seguito, al monastero e fuori, ebbi occasione di ascoltare alcune chiacchiere sulla mia famiglia. Pare che mia madre mi avesse concepito nella vergogna, prima che mio padre la sposasse, e io fossi frutto non dei lombi del contadino ma di uno straniero di passaggio, un fante o addirittura un cavaliere armato, che l’aveva violata tra i cespugli. Ciò non mi turbò affatto, anzi mi diede il modo di evadere dalla meschinità del chiostro, che nei primi tempi mi risultava insopportabile. Fantasticavo a vele spiegate delle mie nobili origini, e di come un giorno il mio vero padre sarebbe venuto a portarmi via con sé, per restituirmi al mio luminoso destino…
Da allora ero affidato ad Abba Silvano, che postillava instancabilmente i miei giorni con le innumerevoli sentenze della sua dottrina, non senza una certa ruvida tenerezza. In quei primi anni mi aveva insegnato più di terra, sementi e piante officinali che non di lettere e copiature: il suo fare bonario era il più consono alle mie abitudini, e mi parve niente più che un contadino come quelli che avevano accompagnato i miei primi passi al villaggio. Ma quando insieme a lui feci il primo ingresso nella biblioteca di Vivarium, mi accorsi che lì Abba Silvano era ben altro uomo: il silenzio che si faceva al suo passaggio, gli sguardi dimessi dei monaci più giovani e i cenni rispettosi dei più anziani mi convinsero della sua riconosciuta autorità.
L’omone volteggiava tra gli scaffali, le maniche larghe della veste fruscianti, e ne tornava carico di rotoli e pergamene che distribuiva a destra e a manca ai monaci già accomodati presso gli scrittoi, affidando all’uno e all’altro l’opera destinata. Agiva – lo imparai ben presto – secondo un disegno noto a lui solo, che aveva studiato le fisionomie, le curiosità e le esitazioni di tutti per lungo tempo, prima di progettare per ciascuno un sentiero peculiare, fatto di letture e di colloqui privati, d’indirizzi e reprimende, senza trascurare lunghi discorsi ad alta voce per l’utilità comune. Quante volte, dopo le lodi del mattino, fermava la fila davanti al busto scolpito del padre fondatore che troneggiava all’ingresso della biblioteca, per propinarci la sua storia edificante!
«Il beato Cassiodoro proveniva da nobile famiglia e divenne già in gioventù un letterato sopraffino: così i re barbari, per quanto rozzi nei modi e nella mente, ammirati dalla sua romanità, lo vollero come loro ministro. Per lungo tempo si prodigò nell’opera ingrata di mitigare i costumi dei Goti e poi, svanita la sua speranza, vista l’Italia intera riaccendersi dei fuochi della guerra e la corte dilaniata dal sospetto e dal sangue delle esecuzioni sommarie, ritornò qui nella sua Calabria, e trasformò la sontuosa dimora degli avi in un monastero. Guardatevi intorno! In questa pace protetta dai confini imperiali, lontana dalla crudeltà dei Goti, qui visse insieme ai suoi primi, pochi compagni!».
Parlava senza nascondere la sua commozione, additando minaccioso il mondo là fuori, per incuterci spavento e persuaderci della nostra fortuna di reclusi.
«Qui vissero, e cominciarono quella che resta la nostra duplice missione: pregare per la salvezza del mondo, e insieme custodire ciò che agli uomini del futuro servirà per ricostruire la romanità devastata. Quando il castigo di Dio si ritirerà come le acque del diluvio, sorgeranno da qui antiche scritture e uomini sapienti in grado di spiegarle al volgo imbestialito, che vagherà per le campagne e le città in rovina, incapace ormai di provvedere perfino a se stesso. Copiate, imparate, custodite! Ognuno di voi sia come la sporta del seme, nascosto nel granaio e pronto a fecondare la zolla in primavera!».
Forse perché aveva notato le mie premure nella cura dell’orto, o per elevarmi gradualmente dalla modestia delle mie origini, Abba Silvano scelse per i miei primi studi i libri più vicini al lavoro dei campi. Il primo anno copiai in greco Le Opere e i Giorni di Esiodo, in latino Le Georgiche del mite Virgilio. Passava spesso al mio scrittoio, controllando con un sorriso il lavoro ben fatto, e più di tutto mi piaceva l’aria sorniona con cui mi strizzava l’occhio, come si fa tra complici di una grande impresa.
Un giorno, avevo tredici anni, mi venne a pescare al solito posto, più che altro per indagare sui miei progressi e i miei stati d’animo. Fu allora che gli svelai quella che lui poi chiamò la meditazione della roccia: la mia ossessione per una materia che si sottrae alla corruzione del tempo e all’ingiuria degli elementi.

Abba Silvano tacque a lungo, pensieroso. Poi disse improvvisamente:
«Tu non sei un agricoltore, ma un fabbro!».
Quelle parole mi suonavano oscure: non avevo mai visitato una fucina in vita mia, e glielo dissi. Sorrise.
«Vedi, figliolo, in un certo senso le opere umane si possono ridurre a tre, da cui tutte le altre sono generate. In ognuno di noi vive un sogno ch’è insieme un talento, antico come l’uomo: esso guiderà i nostri passi al lavoro che ci è destinato in questo mondo. Le arti sembrano molte e diverse sotto il sole, ma in verità ti dico che ognuno di noi è pastore, agricoltore o fabbro».
«E quali sono le loro opere?».
«L’opera del pastore è radunare, condurre, proteggere, cercare pascoli sempre migliori, perché nessuna terra è perfetta in questo mondo. L’opera del contadino è seminare e custodire una sola terra per trarvi ogni possibile frutto, perché nessuna sposa diviene madre senza amore. L’opera del fabbro è togliere col fuoco ogni impurità dalla terra e trarne il tesoro più prezioso: il metallo, perché esso è puro e verace, e sta alla carne del mondo come lo spirito al corpo. Col metallo tutto può essere fatto: aprire ciò che è chiuso, troncare ciò che è putrido, sostenere ciò che è debole e, secondo alcuni – qui tacque un attimo guardandomi negli occhi – secondo alcuni guarire ogni male».
«E quale metallo possiede questo immenso potere?».
Abba Silvano mi tese la mano. Mi rialzai dal nido di roccia, divenuto ogni giorno più stretto, e per la prima volta il promontorio, i marosi là sotto e il mio lungo appostamento, tutto quanto mi parve tenero e puerile come un gioco di bambino. Lo guardai in volto, aspettando una risposta, ma lui m’indicò il sentiero e pronunciò una sola parola, a mezza voce: «Pharmakon».

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 00:45 da valter binaghi


molto bello il brano di Valter Binaghi. Grazie per averlo messo a disposizione.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 09:24 da giovanna


la mia impressione è che le case editrici puntino molto sul romanzo storico, soprattutto oggi. così come hanno puntato in passato su gialli, noir e thriller.
c’è mercato ed interesse da parte dei lettori e non ci trovo nulla di male nel seguire l’onda.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 10:24 da aurelio


però una cosa va detta. il romanzo storico, come qualcuno ha già scritto, vanta una tradizione molto antica. in Italia basti pensare a “Promessi sposi” di Manzoni.
alla fine – per rispondere a Defilippi – credo che la differenza la facciano l’originalità e la sincerita delle storie (anche nel rispetto della Storia) e la qualità della scrittura.
se poi così non sempre è, il problema non è del romanzo storico ma del sistema editoriale nel suo complesso.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 10:27 da aurelio


le tre domande.
1- la gabbia
secondo me il genere letterario prescelto non contiene una gabbia. è molto più “ingabbiante” scrivere storie legate a personaggi seriali.
se fossi uno scrittore, mi annoierei a morte di scrivere sempre degli stessi personaggi

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 10:29 da aurelio


2 – personaggi esistiti
includerli nei romanzi comporta rischi? secondo me, sì.
personalmente preferisco leggere romanzi popolati da personaggi inventati, anche se ambientati in contesti storici distanti dal nostro.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 10:31 da aurelio


3 – pregiudizi
non saprei. credo che alla fine se un romanzo è davvero buono in modo o nell’altro riuscirà a farsi valere, al di là di qualunque possibile pregiudizio.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 10:32 da aurelio


@ndrea frediani
ciao, grande andrea.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 11:05 da marco salvador


Scusandomi per la latitanza degli ultimi due giorni (che bello trovare tutti questi nuovi commenti!), mi accingo a rispondere alle domande di Massimo:

Come nasce “La sorella di Mozart”?
Quale, la fonte di ispirazione (se c’è stata)?
Cosa ti ha spinta a scriverlo?

Diversi anni fa venni a sapere che Wolfgang Amadeus Mozart aveva una sorella che era a sua volta un genio musicale, e rimasi molto colpita. Ad affascinarmi, e insieme a farmi soffrire, fu l’idea che in una famiglia potessero essere nati due bambini, un maschio e una femmina, entrambi molto dotati per la musica, e che solo il maschio fosse riuscito a esprimere il proprio talento: la femmina non ne ebbe la possibilità. In tempi più recenti mi sono ritrovata a occuparmi della “sorella di Shakespeare” di Virginia Woolf, per via di un articolo che stavo preparando per una rivista di teatro, ed ebbi una specie di illuminazione. Ripresi il saggio “Una stanza tutta per sé”, nel quale Woolf traccia la biografia di un’immaginaria sorella poetessa di William Shakespeare (alla quale dà il nome di Judith), per dimostrare che se Shakespeare fosse nato donna non solo non avrebbe conosciuto il successo, ma avrebbe anche fatto una brutta fine. E allora d’improvviso mi balenò davanti agli occhi la figura di Nannerl: la sorella di Shakespeare non è mai esistita, ma la sorella di Mozart sì! E pensai che dovevo assolutamente raccontare questa storia.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 12:39 da Rita Charbonnier


Veniamo all’estratto, adesso. Incollo qui sotto una porzione del romanzo corrispondente a circa 5 pagine, le prime del secondo capitolo, “Il Regno di Dietro”. Chi desiderasse leggere un estratto più ampio, le prime 20 pagine del romanzo, può scaricarle sul suo computer in Pdf da questa pagina del mio sito: http://www.ritacharbonnier.com/it/sorella-mozart-estratto
Grazie a Massimo per l’ospitalità, e a tutti i lettori e commentatori del blog per l’attenzione.

I.
«Ti prego, mio bene, andiamo a casa. Chiama una carrozza, presto» mormorò la donna accasciata sulla poltroncina, circondandosi il grosso ventre con le braccia. Il marito non rispose: attendeva che la pessima clavicembalista terminasse la ridicola esibizione. Nell’accarezzare i tasti, colei muoveva morbidamente le spalle, sorrideva, chiudeva le labbra e le riapriva, come scoccando baci. Ogni nobiluomo nella sala aveva la certezza di potersi godere quelle labbra: bastava chiedere.
«Mio tesoro, dico sul serio. È meglio andare.»
«Tra un attimo» ribatté, mentre scattava un flebile applauso. Poi si volse e sobbalzò. «Dov’è andata?»
«Lì, guarda. Ma fa’ in modo che duri poco, per favore.»
In un balzo raggiunse la bimbetta che, accucciata in un angolo, apriva e chiudeva ripetutamente un ventaglio. Glielo strappò di mano, la fece alzare e le assestò il vestitino. «Sii brava, Nannerl; brava come sei sempre, angelo mio» pregò con un tremito d’ansia, mentre lei sgranava gli occhi azzurrissimi ed emetteva bizzarri monosillabi. Quella bambina era strana. Pareva un po’ tonta.
«Sei pronta?»
Lei fece cenno di sì, sempre parlottando tra sé.
«Allora vai. Adesso!»
Il sussurro si perse nel venticello di chiacchiere che iniziava a soffiare nel salone. La bimba trotterellò fino allo sgabello del cembalo e vi si arrampicò.
«Scusate! Illustrissime signore, rispettabili signori, un attimo di attenzione.»
Il cicaleccio s’interruppe e tutti gli sguardi si volsero allo sconosciuto. Non era un aristocratico; doveva essersi infiltrato attraverso chissà quale raccomandazione. Poteva essere addirittura un musicante di professione. Tra i patrizi di Salisburgo iniziò a serpeggiare un certo fastidio. Un’altra esibizione proprio adesso che si stava tornando al pettegolezzo, al corteggiamento, all’ostentazione di sé? E che musica avrebbe mai potuto produrre quella nanerottola bionda dalle manine paffute, che arrivavano appena all’estensione di una quinta?
«Sono onorato d’introdurre alla vostra attenzione questa spettacolare bambina prodigio, ovvero Maria Anna Walburga Ignatia Mozart. È una delle migliori cembaliste che abbiano mai toccato uno strumento e, incredibile a dirsi, ha solo cinque anni. Io, Leopold Mozart, suo padre, ho potuto avvedermi del suo immenso talento grazie alla mia propria attività di musicista, in servizio presso la Corte di Sua Eccellenza il Principe Arcivescovo. Sarebbe stato un oltraggio a Dio stesso se tale dono fosse rimasto ignoto e non coltivato…»
Il fastidio divenne palpabile. Che il concertino iniziasse presto e finisse ancor prima e che quel saltimbanco la smettesse di farsi bello! Herr Mozart se ne accorse e rapido tornò accanto alla moglie.
D’impeto la bambina attaccò a suonare e fu come se un fulmine avesse squarciato il soffitto affrescato, e incenerito i tendaggi e gli arazzi. Quando faceva musica, la piccola Nannerl non aveva nulla di umano; sembrava ci fosse in lei una divinità primitiva, che aspettava di accostarsi a uno strumento per debordare e lasciare stupefatti. Le sue manine srotolavano suoni limpidi e velocissimi, obbedivano a un istinto armonico ineguagliabile e il risultato era insieme sicuro e disordinato. La contraddizione tra la sua maestria adulta e il suo corpo immaturo era sconcertante. Le sue note erano parole di un linguaggio ancora ignoto, che affascinava e disorientava. Dov’è il trucco? No, non c’è trucco. Eppure deve esserci! I blasonati si accostavano, controllavano, ammutolivano, e intanto la bimba estraeva dalla mente melodie ispirate dalla forma degli oggetti, dal crepitio del fuoco nei camini, dall’infrangersi a terra di un bicchiere caduto dalle mani di una dama.
Poi d’improvviso smise di suonare, senza nemmeno concludere il brano. Saltò giù dallo sgabello, corse dal padre, riprese il ventaglio e ricominciò ad aprirlo e chiuderlo, dondolandosi da un piede all’altro, bisbigliando strambi vocaboli.
L’ovazione deflagrò improvvisa e fece vacillare i vetri e le pareti. Quanto diverso dal precedente applauso alla voluttuosa dilettante! Era lo schianto di un tronco secolare, il fragore di una cascata. Le dame si fecero attorno a Leopold Mozart, che prese la figlia in braccio e la esibì a mo’ di trofeo, stringendo mani ingioiellate, porgendola a bocche imbellettate. Nannerl, tuttavia, non mostrava interesse per quell’apprezzamento: il ventaglio assorbiva tutta la sua attenzione. Nessuno poté udire i rauchi appelli della donna sulla poltroncina, la cui espressione s’era fatta attenta a uno straordinario rivolgimento interno; alzò la voce, ma tutti continuavano a ignorarla, finché dovette esplodere in un urlo stridulo: «Leopold! Merda secca!».
Chi la udì non parve travolto dallo scandalo; la guardò piuttosto come un esemplare di una specie aliena.
Con grande sforzo lei prese fiato e parlò ancora, reggendosi la pancia: «Leopold, ci siamo, lo vuoi capire o no?».

II.
Dalla porta della stanza da letto provenivano suoni mai uditi. Erano grida e lamenti, quelli della mamma; lei era in pena e a Nannerl non era chiaro se suo padre e la grassona del piano di sotto la stessero aiutando o le stessero infliggendo una tortura. Perché il papà le aveva proibito di entrare? Bisognava intervenire. La bimba osservava la maniglia in madreperla sulla porta, troppo alta perché potesse raggiungerla, e desiderava essere già grande. D’un tratto trapelò un urlo acutissimo che la riempì di terrore e la fece indietreggiare in un balzo; si udì anche la voce del padre, concitata, e quella isterica della grassona. Nannerl si rifugiò sotto il cembalo e ficcò i mignoli nelle orecchie, più a fondo che poté; ecco, non udiva più quel grido. Ma poi riemerse dalla sua memoria nella forma di un ritornello amplificato, distorto, disumano. Lei spalancò la bocca e le sue palpebre spremettero una colata di lacrime.
Giunse suo padre, ma lei non se ne accorse: piangeva troppo forte, e troppo forte risuonava la sinfonia nella sua mente. Leopold dovette attirarla a sé, abbracciarla, stringerla, mentre lei si dibatteva nel suo incubo; a lungo rimasero sul pavimento accanto al cembalo, aggrappati l’uno all’altra. Quando lei si fu calmata, lui sedette sullo sgabello e le puntò un dito sul nasino: «Figliola, promettimi che non piangerai più. Mai più, in tutta la vita. Ricorda: le lacrime sono inutili».
Lei annuì, asciugandosi il viso con la manica.
«Ora ascoltami. La mamma sta bene, e tu hai un fratellino.»
La bimba rimase immobile e stupita.
«Sì, proprio così: un bel maschietto, tutto rosa e tutto pelato. Si chiama Wolfgang. Vuoi vederlo?»
Certo! Varcò la soglia come una freccia, ma l’immagine di sua madre la sconvolse. Era nel letto, prostrata, e anche se le sorrideva c’era qualcosa di anormale in lei; tutto era anormale nella stanza; e in terra, ai suoi piedi, c’erano stracci intrisi di sangue e la grassona ce ne gettò sopra un altro, con il quale s’era appena pulita le mani. Poi però Nannerl vide la culla e il senso di orrore svanì d’incanto; provò un intenso desiderio di scoprire quale creatura fosse racchiusa in quella cassetta. Cautamente vi si accostò e spinse lo sguardo all’interno, godendo ogni frazione di quell’istante memorabile.
Wolfgang era tutto rosa, sì, tutto pelato, sì, e non aveva coscienza. Vagiva dalla bocca piccola e vuota di denti e aveva la testa allungata come un fagiolo. I suoi occhi sembravano non cogliere lo spazio, i suoi gesti erano privi di significato. Ma nello stesso istante in cui lo vide, Nannerl capì che lo amava con tutta se stessa, e che come amava lui non avrebbe amato nessun altro al mondo.

Copyright Rita Charbonnier ed Edizioni Piemme, 2011.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 12:46 da Rita Charbonnier


Avevo detto che sarei intervenuto, poi non l’ho più fatto. Ma non avrei avuto grnaché da dire rispetto alle cose già scritte. Dunque vi ho risparmiato un po’ di banalità.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 13:52 da antonio mellia


Ho letto con piacere, invece, le belle pagine di Valter Binaghi e Rita Charbonnier. Pagine diverse, ma entrambe molto piacevoli. Complimenti a tutti e due.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 13:55 da antonio mellia


Anch’io sono rimasto molto colpito dall’estratto pubblicato da Walter. Una scrittura molto accattivante, che fa subito presa. Di Rita mi sono piaciute le motivazioni che l’hanno indotta a scrivere il romanzo.
“E pensai che dovevo ASSOLUTAMENTE raccontare questa storia” Un avverbio che vale quanto una manifestazione di donne scese in piazza per rivendicare i propri diritti. Quasi quasi mi sarebbe piaciuto nascere donna, sorella di un personaggio famoso, per avere l’onore di essere immortalato in un suo romanzo. La sorella di Maugeri, sarebbe stato il massimo.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 14:11 da Salvo Zappulla


Non è che la sorella di Maugeri si chiama Paola?

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 15:17 da antonio mellia


Scusate la battuta.
Per tornare in tema, non sono d’accordo con quanto scrive Lorenzo Marini che dice: ‘Scrivere di un personaggio realmente esistito è rischioso, certo. Su questo sono d’accordo. Il rischio è quello di dare un giudizio sul personaggio realmente esisitito, attraverso la narrazione.
Ma non è un rischio che ha corso anche Dante nella Commedia?’
Secondo me il paragone non regge. Dante fa delle scelte mettendo i suoi personaggi all’inferno piuttosto che in paradiso. Emette un giudizio in maniera palese e lo fa con intenzione. Nessun rischio, quindi.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 15:21 da antonio mellia


Sono del tutto d’accordo con l’ultima affermazione di Antonio Mellia. Lo scrittore ha il diritto di dare un giudizio nei suoi libri (e dare un giudizio per me è diverso dal giudicare). Forse ne ha anche il dovere.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 17:03 da alessandro defilippi


salve a tutti e mi scuso per il ritardo con cui intervengo rispetto all’appello alle armi di massimo. Volevo ringraziare Valter per le splendide parole riservate al progetto Voices e sottovoce in generale e soprattutto Massimo per avermi dato la possibilità di raccontare seppure concitatamente ( e me ne scuso ma corro di barricata in barricata in questi giorni) di cosa si tratta. Del passaggio di testimone avvenuto in autunno da Eumeswil a Sottovoce ve ne parlerà l’editore Paolo Pedrazzi che mi ha assicurato di intervenire per quanto riguarda Voices ci proverò io
Innanzitutto vediamoli. Qui a questo link li potrete vedere tutti e cinque
http://www.editoriaindipendente.net/category.php?id_category=29
vi invito a vederli perché grazie alla collaborazione del mio amico fotografo Philippe Schlienger che ci ha messo a disposizione, gratuitamente il proprio archivio, abbiamo immaginato con Paolo Pedrazzi dei libri che fossero belli, da vedere, toccare, sfogliare. Sarà il fotografo francese a illustrare ogni volta ogni nuovo romanzo della collana e devo dire che quando li abbiamo visti in vetrina tutti e cinque alla libreria Trebisonda di Torino ci ha fatto un certo effetto.
Se è vero infatti che l’oggetto deve essere all’altezza del contenuto di questi cinque titoli a cui si aggiungono a breve Regis Jauffret, margherita Remotti e Leonardo Palmisani, per quanto sia coinvolto direttamente nella cosa, vi posso assicurare che le scritture sono forti, narrativamente convincenti e soprattutto molto diverse fra loro. Tra il polittico del bellissimo autismi di Giacomo Sartori e il romanzo “storico ” ma aggiungerei non solo, di Binaghi, come tra quello che abbiamo definito come una ballata a più voci , Midland Metro di Paolo mastroianni e il manganelliano LEGGI, MANGIA, SPUTA NON CI PENSARE di Anna maria Papi o tutto quel vuoto di Mario Capello, c’è come una energia che da pagina a pagina, da libro a libro, sembra comunicare, vuole comunicare qualcosa che sta accadendo, o magari è già accaduto, e non ce n’eravamo accorti? nei tempi che viviamo. Dal principio, e questa è la novità, ma anche un po’ la tradizione, ci è piaciuto raccontarci non come un’impresa, economica in grado semplicemente di fornire servizi e professionalità ma come un gruppo di lavoro in cui, ed è stato il caso, alcuni autori, penso a Mario Capello hanno prestato al progetto anche la propria competenza come editor. Le difficoltà sono quelle che chiunque abbia avuto un rapporto con il sistema editoriale ben conosce. Sicuramente più gravose per una etichetta indi come la nostra e senza la forza economica di un grande gruppo. Stiamo affrontando proprio in queste settimane, dopo aver risoto la fabbricazione eproduzione delle opere tutte le problematiche relative alla distribuzione, promozione, comunicazione e la battaglia è lontana dall’essere vinta. Sicuramente si tratta di libri per noi importanti che ci piacerebbe lo fossero anche per i lettori. Prima di lasciarvi e correre via a un incontro di una rivista a cui collaboro, senza rileggermi e chiedendo venia degli errori credo possa sevire leggere il piccolo profilo che ho redatto in occasione della presentazione della collana.

Ci sono rumori di fondo a rendere difficile l’ascolto, per un lettore, delle voci che hanno un senso, un respiro. Voci capaci di inventare visioni, lingue e raccogliere tutte le energie necessarie alla costruzione di una storia, di un mondo. Voci di molti mondi, tradizioni, che traducono storie di paese in paese, tra l’Europa e l’oltre, in grado di offrire al lettore una dimensione critica, politica dell’epoca in cui vive. L’industria culturale sembra cedere al gu-
sto del lettore proponendo una letteratura del consenso, dotata di ogni confort e travestita di ordinaria semplicità. Voices è le voci di ordinaria follia che nessun romanzo può permettersi di
non ascoltare.

mi riprometto di intervenire nuovamente in questi giorni e ancora grazie a tutti
effeffe

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 17:44 da effeffe


CARO MASSIMO
questo post sta assumendo un livello altissimo di discussione, parliamo di romanzi storici, di storia, di scelte editoriali, di tendenze del gusto, di stile
complimenti a te e a tutti gli intervenuti
sollecito i post anche di chi ” si sente” in imbarazzo forse per non essere uno scrittore, da loro vengono le idee più interessanti
ero sicura che il romanzo storico potesse nuovamente accendere la discussione e gli estratti dei due romanzi messi a disposizione dai due scrittori confermano l’alto livello delle opere
riprendo Dante e la Commedia per una nota
Dante, in un altro tempo, secondo me, sarebbe stato un grande narratore, per ogni personaggio DI RILIEVO da lui inserito nella Commedia, anche nell’Inferno, in poche battute disegna un Romanzo, pensate a Francesca, a Farinata, al Conte Ugolino; ne sintetizza le conoscenze storiche ma entra nella loro mentalità e nella loro psicologia, li condanna, per obbligo, ma li innalza all’eternità della letteratura, un GRANDE.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 18:38 da annalisastancanelli


Un salutone a Marco Salvador!
Reputo interessante l’interrogativo riproposto da Massimo su mainstream e narrativa di genere. Come affermavo nel mio intervento, un romanzo storico in grado di catturare l’attenzione di un pubblico più vasto degli stretti appassionati dovrebbe possedere anche le caratteristiche da “mainstream”. Ovviamente i più rigorosi storceranno il naso, ma secondo me c’è (quasi) perfettamente riuscito Ken Follett con i suoi due romanzi medievali, sebbene con un significativo sbilanciamento verso il mainstream. Per me esiste senz’altro una distinzione tra narrativa di genere e mainstream, ed esiste anche la possibilità di fonderle. Io ci sto provando, cercando di dare ai miei romanzi di ambientazione storica il ritmo di un thriller e una forma narrativa “cinematografica”, con scene, più che capitoli, e l’assenza di una voce narrante. Inoltre, il mainstream prevede una scrittura semplice, lineare, frasi concise e dialoghi serrati, contrapposti alla forma letteraria e articolata perseguita in certi generi (un tempo anche da quello storico). Vogliamo ipotizzare che il mainstream riecheggi un po’ il cinema, nel tentativo di tenerne il passo e di catturarne il pubblico, e la narrativa di genere sia più settoriale e, quindi, meno attenta alle esigenze commerciali (che non sono necessariamente un anatema: voler portare la storia, per esempio, a un numero più esteso di persone, potrebbe anche essere un’opera lodevole…)?

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 21:21 da Andrea Frediani


Cari amici, vi ringrazio anche oggi per i nuovi interventi pervenuti…

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 21:45 da Massimo Maugeri


Ringrazio soprattutto Valter Binaghi e Rita Charbonnier per averci fatto assaggiare un po’ delle loro opere.
Grazie davvero!

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 21:46 da Massimo Maugeri


@ Valter Binaghi e Rita Charbonnier
Non andate via, però. Continuate a seguire e a partecipare alla discussione, se potete. ;-)

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 21:47 da Massimo Maugeri


Vi invito a vedere il booktrailer de “La sorella di Mozart”
http://www.youtube.com/watch?v=uUyA8kCCYQs

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 21:48 da Massimo Maugeri


Poi c’è quest’altro (sempre con riferimento a “La sorella di Mozart”:
http://www.youtube.com/watch?v=C8×1kcbJw1s
(E’ la tua voce, Rita… giusto?)

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 21:50 da Massimo Maugeri


E qui c’è Rita Charbonnier a RaiNews24
http://www.youtube.com/watch?v=z-V6wxVcRXA&feature=related

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 21:51 da Massimo Maugeri


Però voglio farvi sentire e vedere anche Valter Binaghi…
Eccolo qui, mentre presenta un libro di Antonio Paolacci:
http://www.youtube.com/watch?v=hCwR-VlGOtA&feature=related

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 21:54 da Massimo Maugeri


Ringrazio Francesco Forlani per averci spiegato il progetto della collana “Voices”… e attendiamo Paolo Pedrazzi perché ci illustri il progetto editoriale di “Sottovoce”…

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 21:57 da Massimo Maugeri


Francesco ha pure segnalato “Autismi” di Giacomo Sartori. Per chi volesse saperne di più segnalo questo link (recensione di Michele Lupo) su “La poesia e lo spirito”:
http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2010/12/23/giacomo-sartori-autismi-2/

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 22:03 da Massimo Maugeri


Ringrazio Giovanna, Aurelio, Salvo Zappulla, Antonio Mellia per i loro commenti.
Ne approfitto per precisare che la mia concittadina Paola Maugeri (che stimo… e che saluto qualora passasse da queste parti) non è mia sorella. ;)

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 22:06 da Massimo Maugeri


Ringrazio anche Alessandro Defilippi e Annalisa Stancanelli per i nuovi interventi (sì, Annalisa… sono molto contento di questa discussione).

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 22:08 da Massimo Maugeri


Metto in evidenza questa opinione espressa da Alessandro Defilippi (sui personaggi realmente esistiti inseriti nei romanzi):
Lo scrittore ha il diritto di dare un giudizio nei suoi libri (e dare un giudizio per me è diverso dal giudicare). Forse ne ha anche il dovere.
-
Cosa ne pensano gli altri amici? Siete d’accordo?

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 22:10 da Massimo Maugeri


Interessante anche l’intervento di Andrea Frediani delle 9:21 pm (mainstream e narrativa di genere).
Dice Andrea: “un romanzo storico in grado di catturare l’attenzione di un pubblico più vasto degli stretti appassionati dovrebbe possedere anche le caratteristiche da “mainstream”. Ovviamente i più rigorosi storceranno il naso, ma secondo me c’è (quasi) perfettamente riuscito Ken Follett con i suoi due romanzi medievali, sebbene con un significativo sbilanciamento verso il mainstream. Per me esiste senz’altro una distinzione tra narrativa di genere e mainstream, ed esiste anche la possibilità di fonderle”.
-
Cosa ne pensano gli altri autori?

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 22:15 da Massimo Maugeri


Ne approfitto per ringraziarvi per la compostezza della discussione.
Grazie davvero!!!

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 22:17 da Massimo Maugeri


Seguendo l’ordine alfabetico, mi rivolgo a Alfredo Colitto e Alessandro Defilippi…

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 22:18 da Massimo Maugeri


@ Alfredo Colitto
Caro Alfredo, vorresti spiegarci in maniera un po’ più approfondita come nasce questa tua nuova storia “Il libro dell’angelo”?

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 22:20 da Massimo Maugeri


Inoltre, Alfredo, chiedo anche a te di farci assaggiare il tuo libro inserendo (se possibile) un brano a tua scelta…

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 22:21 da Massimo Maugeri


@ Alessandro Defilippi
Come nasce “Danubio Rosso”? Cosa ti ha spinto a scrivere questo romanzo e ad abbracciare proprio quel periodo storico?
-
Mi pare di capire, inoltre, che la scrittura di questo libro è precedente alla pubblicazione di “Manca sempre una piccola cosa” (edito dalla Einaudi l’anno scorso).
È così?

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 22:23 da Massimo Maugeri


E ovviamente chiedo anche ad Alessandro Defilippi di farci leggere (se possibile) un brano a sua scelta estrapolato dal libro.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 22:24 da Massimo Maugeri


A tutti voi, una serena notte.

Postato martedì, 1 marzo 2011 alle 22:24 da Massimo Maugeri


Provo ad inserirmi in quest parte più “tecnica” della discussione.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 10:14 da Amelia Corsi


Alessandro Defilippi scrive : “Lo scrittore ha il diritto di dare un giudizio nei suoi libri (e dare un giudizio per me è diverso dal giudicare). Forse ne ha anche il dovere.”
Non capisco bene la differenza tra “dare un giudizio” e “giudicare”.
In ogni caso penso questo : se parliamo di personaggi realmente esistiti è inevitabile che ciascuno di noi si faccia una “idea” di quel personaggio. Sarebbe impossibile il contrario. In tal senso sarebbe impossibile esimersi dal “dare un giudizio”.
Credo che persino un biografo (figuriamoci un romanziere) non potrebbe non dare, implicitamente, un giudizio.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 10:18 da Amelia Corsi


@ Andrea Frediani
Adoro il Ken Follet de ‘I pilastri della terra’. Credo che questo sia il suo capolavoro insuperato. Altri suoi libri mi hanno convinta molto meno.
Sono d’accordo sull’importanza di riuscire a coinvolgere il lettore e sulla necessità di non infliggergli patacche e mattoni, a condizione però che non si arrivi a una semplificazione eccessiva del linguaggio. Secondo me il rischio è questo: l’eccessiva semplificazione nel tentativo di agganciare i lettori più pigri.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 10:22 da Amelia Corsi


Una domanda.
Cosa significa mainstream?
E qual è la distinzione tra narrativa di genere e mainstream?
Scusate l’ignoranza.
Buona giornata.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 10:24 da Amelia Corsi


@Amelia Corsi
Gentile Amelia, lei ha perfettamente ragione. La differenza tra giudicare e dare un giudizio è apprentemente inesistente. Ho precisato che esiste per me.. Dare un giudizio è inevitabile, perchè è legato ai nostri sentimenti, cioè a quello che Jung definisce in un certo senso l’organo dei valori. Questo va bene, questo no. Per me. forse qui è il punto. Dare un giudizio è del tutto personale, mentre giudicarfe mi fa troppo pensare a ergersi a giudice e questo non mi piace, anche se mi rendo conto che talora diviene necessario. Ricordo qualcosa che diceva Marcello Bernardi, riguardo al relativismo culturale: va bene che le cose devono essere considerate nell’ambito della cultura che le produce, ma esistono cose che sono sbagliate e basta.
Riguardo al mainstream, mi scuso per l’uso di un termine “tecnico”. Indica la letteratura non di genere, quella che siamo abituati a considerare “alta”.
Rispetto invece alla differenza tra mainstream e genere, qui mi paicerebbe sapere che cosa ne pensate voi.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 12:08 da alessandro defilippi


Rispondo a Massimo, riguardo Danubio Rosso.
Il libro è nato “su commissione”. Nel senso che mi è stato proposto di scrivere un romanzo che si inserisse nella serie “Il romanzo di Roma” che Mondadori sta terminando di pubblicare. Io venivo da un libro, Manca sempre una piccola cosa, di genere “letterario”, e la cosa mi ha incuriosito molto, anche perché alcuni dei miei precedenti romanzi sono ambientati in epoca fascista. Come dicevo più sopra, la dislocazione temporale mi aiuta a prendere una giusta distanza dalla storia. Quindi, non è stata una scelta, anche se da tempo desideravo scrivere qualcosa di francamente epico e spero di esserci riuscito. Crfedo anche che mi piacerebbe ripetere l’esperienza in futuro.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 12:14 da alessandro defilippi


Aggiungo qui l’incipit di Danubio rosso:

Preludio nel futuro: La Cerca

…gli dirò che sono la vendetta

W. Shakespeare

1. Foce del Danubio, Provincia della Mesia Inferiore. Anno MCXXXI dalla fondazione di Roma, VIII giorni alle Calende di novembre; Iovis dies (25 ottobre 378 d. C.).

L’uomo dai capelli bianchi cavalca lentamente lungo il sentiero a malapena visibile nell’erba umida. É il primo giorno di freddo, qui, presso la foce del grande fiume, e l’uomo si è avvolto nel suo mantello. Nero il mantello, nero lo scudo che oscilla agganciato all’arcione. L’uomo ha spostato il balteo sulla spalla sinistra, in modo che la lunga spada gli ricada sulla schiena, con l’elsa a portata di mano. L’arco e una faretra colma di frecce oscillano, appesi all’altra spalla.

Ha il volto segnato da rughe profonde, a stento nascoste dalla barba corta e dai baffi che gli circondano le labbra. Le sue armi sono lucide per l’uso e per la manutenzione. Armi di un soldato. Ha i capelli bianchi e corti, come gli aculei di un riccio, ma dimostra un’età tra i quaranta e i cinquant’anni. Al collo porta un laccio di cuoio, da cui pendono due oggetti: un sacchetto di pelle consunta e una ciocca di capelli biondi.

L’uomo attraversa la foresta senza timore. Tra i rami degli alberi s’impigliano ciuffi di nebbia, e nell’aria si avverte un tenue odore di bruciato. Un gruppo di viandanti, qualche miglio più indietro, gli ha detto che più in là -non sa quanto- iniziano le paludi. A oriente, un villaggio, e forse una barca per attraversare il delta del fiume.

Quando li ha incontrati, lo hanno guardato con paura, cercando rifugio dietro i tronchi dei salici. Uomini e donne con gli abiti laceri, i volti smunti, il terrore negli occhi. Un carretto trainato a mano, con poche, povere cose, tra cui troneggiava una capra bianca con le mammelle gonfie e un’espressione risentita sul muso.

È smontato da cavallo e ha parlato con una vecchia che, unica, è rimasta diritta al centro del sentiero. La vecchia gli ha indicato la strada e, prima che lui si allontanasse, gli ha sfiorato la fronte con le dita. Non ha voluto parlare, nel suo dialetto stretto, appena comprensibile, di che cosa li ha spinti a fuggire.

L’odore di bruciato si fa più intenso. Gli alberi hanno rami spezzati e profondi tagli nella corteccia. Poco dopo l’incontro con i fuggiaschi, l’uomo ha visto il cadavere di un uccello notturno: il gufo era inchiodato per le ali sul tronco di una quercia. In croce. Lo fissava con gli occhi morti e indifferenti.

Quando raggiunge il villaggio, il sole sta calando. Da lì iniziano le paludi del delta. Grandi stagni arrossati dal tramonto e distese di canne che si perdono verso l’orizzonte. L’erba è affogata nelle marcite e il cavallo esita. La nebbia si è sollevata e la temperatura è più calda. L’uomo smonta, conducendo il cavallo alla mano.

L’odore viene dal villaggio, dove le capanne sono ridotte a scheletri fumanti. Le reti dei pescatori, stese ad asciugare su alti essiccatoi, sono state adoperate per legare gli abitanti. Conta una trentina di cadaveri: uomini, donne, vecchi, bambini.

Si china accanto al corpo di una giovane donna. Il taglio che le recide la gola è ancora fresco e i polsi portano lacerazioni ed escoriazioni. Controlla gli altri corpi. Tutti evidentemente sono stati uccisi dopo essere stati legati.

Al centro del villaggio, dove le capanne lasciano uno spazio vuoto, sorge un oggetto che finora l’uomo ha evitato di guardare. Ora si avvicina e rimane a lungo a osservarlo. Una croce, rozzamente fabbricata con due tronchi di pioppo legati con rami di rampicante. I tronchi sono semicarbonizzati ma hanno retto. Sul braccio superiore, il teschio di un asino o di un cavallo. Bianco, calcinato dalle fiamme.

Con un calcio l’uomo abbatte la croce. Si volta e si avvicina all’acqua, in cerca di qualcosa. Una barca, un tronco scavato.

Qualcosa.

2.

Ha remato nel buio che scende, orientandosi con Vespero, la stella della sera. Ora però la notte è fonda e deve trovare un approdo. Poco fa, al chiarore della luna piena, ha intravisto il tetto di una capanna sbucare dal folto della riva destra. Forse la casa di un pescatore, forse un deposito per le reti.

Approda in un’ansa nascosta dai canneti, a circa uno stadio dalla capanna, facendo scivolare silenziosamente la barca tra le ninfee e le pannocchie brune delle tife. Scarica la sella e la bisaccia e le nasconde, con l’arco, in un cespuglio sulla terra asciutta. Prima o poi dovrà cercarsi un altro cavallo. Ma ora deve attraversare le paludi del delta.

Si muove con cautela, anche se tutto intorno pare tranquillo. Ha sentito uno stridio di gabbiani, confuso e acuto, provenire dalla capanna, poi un ticchettio, come d’un beccare ripetuto. Il ticchettio tace, riprende, continua, più intenso. L’uomo si arresta bruscamente, estraendo la spada. La spalla, ferita mesi prima, gli duole ancora, ma ora riesce a sollevare il braccio oltre la testa. S’incammina tra i canneti, nell’acqua che gli arriva alle caviglie, attento a evitare ogni rumore.

Dall’esterno la capanna sembra deserta. Nessun suono. Nessun movimento. Ma un piccolo fuoco arde in un focolare di pietra a qualche passo dall’ingresso. Sulla porta, una forma scura, avvolta da un turbinio di penne. Uno stormo di gabbiani, che becca, litiga, stride. L’uomo si avvicina e con la spada scaccia gli uccelli. Sa già cosa vedrà.

Il pescatore è stato crocifisso con spesse corde legate ai polsi e alle caviglie e assicurate alle travi della capanna. Ha nel petto una ferita che sanguina ancora. Il corpo e il volto, dove la carne è stata strappata dal becco dei gabbiani, sono coperti di minuscole lacerazioni. L’uomo gli appoggia una mano sul collo e avverte ancora una lieve pulsazione. Con delicatezza lo slega, adagiandolo sul suo mantello. Il pescatore non ha alcuna possibilità di sopravvivere. È solo questione di tempo.

I gabbiani sono ritornati. Si sono posati a poca distanza, gialle e irrequiete le zampe nell’oscurità. Si avvicinano, si allontanano. Ogni volta si fanno più presso.

Il pescatore ha dischiuso a fatica gli occhi e bisbiglia qualcosa. L’uomo si china sulla sua bocca: è un sussurro, poco più di un respiro.

Un nome.

Gogmagog.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 12:16 da alessandro defilippi


Caro Alfredo, vorresti spiegarci in maniera un po’ più approfondita come nasce questa tua nuova storia “Il libro dell’angelo”?

Caro Massimo, grazie per la domanda. “Il libro dell’angelo” nasce dall’esigenza di offrire ai lettori un’altra avventura con Mondino de’ Liuzzi, il personaggio storico protagonista della trilogia, ma al contempo di variare qualcosa, per assecondare la mia natura un po’ inquieta, che ama esplorare strade nuove. Così ho cambiato ambientazione e tipo di storia.

l’ambientazione: La Bologna medievale dopo due romanzi mi andava stretta, l’aggancio con Venezia c’era già in Cuore di Ferro, il primo libro della trilogia, Venezia è una città bellissima e famosa in tutto il mondo. Ci sono tanti scrittori stranieri che ambientano i loro libri a Venezia, a maggior ragione può farlo un italiano…

la storia: Stavolta non volevo persone uccise in modi strani e misteriosi, ma volevo comunque un mistero. Ho pensato di sfruttare il Sefer-ha-Razim, un testo realmente esistente (riscoperto nel XX secolo) ma il cui originale si dice sia stato dettato dall’angelo Raziel a Noè, il quale lo trascrisse su una tavoletta di zaffiro. Così ho mandato Mondino de’ Liuzzi a Venezia, a fare i conti con le proprie origini, con questo mistero e con i propri sentimenti verso la donna che ha promesso di sposare e un’altra che torna dal passato.

In quanto al brano di “assaggio”, vi propongo l’incontro di Mondino con il mendicante che ha scoperto i cadaveri, in Piazza San Marco. Qui Mondino ha anche il primo incontro con la cucina veneziana…

* * *

Il mendicante era un ometto sui trent’anni, vestito di stracci, ma in un modo che gli conferiva una specie di bizzarra dignità. Era coperto da una tunica al ginocchio e da qualcosa di simile a un mantello sporchissimo, stretto in vita da una cintura di stoffa. Un pezzo di tessuto arancione, arrotolato in testa alla foggia orientale, gli dava un’aria più da saraceno che da cristiano.
«Agostino di San Marco?» chiese Mondino, avvicinandosi.
L’uomo si voltò. Era ossuto e più basso di lui di tutta la testa, turbante compreso. «Per servirvi, messere» disse, inchinandosi con un gesto fiorito della mano. «Volete sapere anche voi del ritrovamento miracoloso di quei poveri bambini?»
«Miracoloso? Perché?»
Agostino sorrise con la bocca sdentata e con gli occhi. «Il miracolo è che sono sopravvissuto a quella vista, messere» disse. Mondino fece un passo indietro a causa della puzza che emanava dai suoi vestiti, e il mendicante continuò:«Vi racconto tutto per bene, se volete. Ma non a pancia vuota».
Capita l’antifona, Mondino lo invitò dallo stesso venditore di pesce a cui aveva chiesto indicazioni. Anche lui aveva fame, e prese una porzione della stessa cosa che ordinò Agostino. Il venditore mise loro in mano due spicchi di una specie di torta di pesce, e quattro o cinque gallette ciascuno. Poi si spostarono verso una mescita all’aperto a pochi passi di distanza. Chiesero due boccali di bianco e cominciarono a mangiare in piedi. Mondino ebbe l’accortezza di mettersi sopravvento rispetto al mendicante, prima di assaggiare il cibo, con un po’ di diffidenza. Il sapore salato del pesce era addolcito da cipolle, uva passa e pinoli, con un effetto niente affatto spiacevole.
«Sarde in saor» disse Agostino, a bocca piena. «È un piatto che abbiamo importato da Costantinopoli, adattandolo al nostro gusto e migliorandolo.»
«È ottimo» disse Mondino, non appena ebbe inghiottito il primo boccone.
«E questi si chiamano bussolai» disse il mendicante, sollevando uno dei biscotti secchi. «È un cibo da mar, che occupa poco spazio e dura molti giorni.»
«Parli in modo molto corretto per… uno della tua condizione» disse Mondino.
L’altro annuì più volte, continuando a masticare. «Ho studiato» spiegò. «Dovevo farmi frate mendicante, poi sono diventato solo mendicante. Troppa fatica essere frate. Allora, volete che vi racconti la storia del ritrovamento?»
«Certo, comincia pure e non saltare nulla.»
Agostino si lanciò in una rievocazione colorita, piena di momenti di tensione e pause drammatiche create ad arte, in cui beveva un sorso di vino.
Arrivato al momento in cui si era reso conto che stava guardando i corpi di tre bambini crocifissi, e non un mucchio di rottami portati a riva dall’acqua alta, concluse: «San Marco in persona deve essere intervenuto per fare in modo che capissi poco a poco. Altrimenti forse sarei impazzito dall’orrore.»
Mondino bevve a sua volta un lungo sorso di vino. Quel piatto salato metteva una discreta sete. «Sei certo di avermi detto tutto?» chiese poi.
«Sono certo di non avervi ancora rivelato la cosa più importante» rispose Agostino, con un sorriso furbo. «Per quella non basta il vino, ci vuole una moneta.»
Mondino se lo aspettava. Tirò fuori due delle monete più piccole che gli aveva dato il cambiatore e gliele mise in mano. «Spero proprio che ne valga la pena» disse.
«Non ve ne pentirete» rispose il mendicante. «E poiché mi siete simpatico vi accompagno di persona, invece di mandarvi da solo.»
«Accompagnarmi dove?»
Agostino vuotò il boccale di legno, lo posò sul banco di mescita e rispose con una strizzata d’occhio, indicando davanti a sé: «In chiesa».
Per entrare nella basilica era necessario attraversare la parte della piazza in cui c’era il rischio di essere visti da Gradenigo. Mondino tuttavia non desiderava spiegare al mendicante i suoi problemi, per cui si incamminò deciso, fidando nella sorte ed evitando di voltarsi dalla parte del nobile. Sapeva per esperienza che fissare qualcuno alle spalle era il modo più sicuro per farlo voltare.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 12:34 da Alfredo Colitto


Molte grazie a Massimo per aver messo i link ai miei video; sì, il secondo che hai postato http://www.youtube.com/watch?v=C8×1kcbJw1s è il trailer di questa nuova edizione de “La sorella di Mozart” e la voce che si sente è la mia; quella maschile è di Graziano Piazza, che colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta. A questo punto “m’allargo” e metto il link fresco fresco a “Mattina in famiglia” dove sono stata ospite, come avevi così gentilmente annunciato: http://www.youtube.com/watch?v=pSx-NEfgrpI
Segue commento sulla questione del “giudizio”.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 15:12 da Rita Charbonnier


Il mio commento precedente è in moderazione per via dei link, uffa! ;-)

Il giudizio dell’autore sui suoi personaggi, dunque. Neanch’io, come Amelia Corsi, ho del tutto chiara la differenza sostanziale tra “giudicare” e “dare un giudizio”. In ogni modo credo che, non solo nella scrittura, ma anche nella vita l’atteggiamento giudicante andrebbe il più possibile evitato. Almeno nel senso che io attribuisco a questa parola. Se lo scrittore giudica i suoi personaggi e non empatizza con loro, anche quando sono dei “cattivi”, anche quando commettono azioni orribili, rischia di costruire dei personaggi negativi tutti d’un pezzo, di fronte ai quali il lettore, a sua volta, non riuscirà a provare grandi emozioni. A me sembra che il giudizio escluda l’empatia, e che i grandi “cattivi” siano affascinanti perché i loro creatori non li hanno giudicati, ma hanno avuto il coraggio di rappresentare in essi la propria personale parte distruttiva.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 15:27 da Rita Charbonnier


ho saltato a piè pari tutti i commenti (e me ne scuso).
in compenso però mi sono letto e ho apprezzato i brani postati da Valter Binaghi, Rita Charbonnier, Alfredo Colitto, Alessandro Defilippi.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 17:05 da giacomo tessani


sulle domande, sorvolo. non credo di avere nulla di intelligente da dire in proposito.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 17:08 da giacomo tessani


non c’entra nulla, ma volevo segnalarlo alle persone serie che qui dibattono. e alcuni di loro non trovano editori importanti che li pubblichino.

però, ecco una nuova GRANDE SCRITTRICE lanciata dalla RIzzoli. (e poi si lamentano, alla rizzoli, che a libri vanno male, che le loro vendite calano.)

http://www.liberolibro.it/martina-colombari-diventa-scrittrice/

mi dimetto dalla categoria e se qualcuno mi chiama ancora scrittore, io gli sparo in mezzo agli occhi.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 17:11 da marco salvador


sicome dal link segnalato non si capisce, sono andato a informarmi in rete.
http://www.ibs.it/code/9788817043137/colombari-martina-serafini-luca/vita-egrave-una.html
-
Due anni fa Martina Colombari è stata ad Haiti, ha visto con i suoi occhi la miseria quotidiana di un’isola dove l’80 per cento della popolazione vive con meno di due dollari al giorno, l’aspettativa di vita è 50 anni, un bambino su tre non raggiunge i 5 anni. Da quel momento Martina ha deciso di aiutare la Fondazione Rava che si occupa degli orfani di Port-au-Prince ed è tornata periodicamente per verificare gli interventi di cui è stata testimonial. Dopo il devastante terremoto del 12 gennaio, ha intensificato il suo impegno per raccogliere fondi, lanciare appelli e sensibilizzare la gente. In questo libro racconta il percorso che l’ha condotta dal titolo di Miss Italia ai volontariato, e soprattutto spiega perché l’ex ragazzina di provincia, che a 16 anni si è ritrovata sulle copertine di tutti i giornali, ha scelto la solidarietà, e come la sua attività l’abbia aiutata a conciliare il mondo dello spettacolo e il desiderio di autenticità.
-
-
non si tratta di un romanzo, ma del racconto di una esperienza personale che mi pare benemerita.
scusate se è poco.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 17:30 da giacomo tessani


Alla domanda sul “mainstream” rispondo se qualcuno me ne dà una definizione precisa (oltretutto detesto l’esterofilia del linguaggio soprattutto in sede letteraria)
Quanto al giudizio dell’autore sui suoi personaggi, direi che vale quello di qualsiasi lettore. Ciò che conta, in un buon romanzo, è il giudizio della voce narrante sui personaggi (es. paterno nel Manzoni, impassibile nel Verga ecc). La voce narrante non è l’autore: è il personaggio che contiene tutti gli altri. Il suo giudizio conferisce il tono fondamentale, dà il LA a tutta la sinfonia.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 17:32 da valter binaghi


Ringrazio Alessandro Defilippi per la precisazione e mi complimento anche io con lui e con Alfredo Colitto per gli “assaggi”.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 17:33 da Amelia Corsi


@ Marco Salvador e Giacomo Tessani
Non è meglio rimanere in argomento?

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 17:36 da Amelia Corsi


non so se può essere utile, in ogni caso…
http://it.wikipedia.org/wiki/Mainstream

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 17:37 da giacomo tessani


@ amelia corsi
beh, sì. meglio rimanere in argomento.
mi vado a leggere tutti commenti dall’inizio, così magari mi viene qualcosa di sensato da riferire.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 17:39 da giacomo tessani


Mi pare interessante la coda di dibattito sul “giudizio sui personaggi” (anche leggendo le risposte di Rita Charbonnier e Valter Binaghi). In effetti credo sia importante capire come si orienta in tal senso uno scrittore, soprattutto quando nei suoi romanzi fa muovere personaggi realmente esistiti.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 17:44 da Amelia Corsi


@amelia. va bene, ma permettimi uno sfogo.
@giacomo. in quanto ad haiti e la colombaru, io del libro so qualcosa di più del “noto”. e, anche facendo dle bene, evangelicamente sarebbe bene che una mano non sapesse quella che fa l’altra. ma va bene così, lasciamo perdere.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 18:29 da marco salvador


Prendo al volo questo sfogo di Marco per aprire una piccola parentesi in materia di editoria, qualcosa me ne intendo avendone diretta una in Sicilia per quasi dieci anni. (Poi ha chiuso, e l’editore mi sta ancora cercando per spararmi). Si pubblica troppo e troppe cose di bassa qualità che servono a far quadrare i bilanci. Nelle vetrine delle librerie si preferisce metter le star televisive che ci spiegano come cucinare, ci raccontano i loro amori, gli amanti perduti, quelli ritrovati. A discapito di tanta letteratura di qualità. In più ci sono le grosse catene librarie che praticano concorrenza sleale nei confronti dei piccoli editori indipendenti, vendendo le novità con lo sconto del 20%. E nessuno si preoccupa di regolamentare il tutto con una legge. A Catania le piccole librerie sono in ginocchio. Chiudo la parentesi.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 18:54 da Salvo Zappulla


Intendevo i piccoli librai indipendenti

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 19:00 da Salvo Zappulla


VI SEGNALO LA NUOVA PRESENTAZIONE DEL MIO ROMANZO Archimede e il mistero del planetario di cui prossimamente inserirò alcuni estratti

PER CHI SI TROVA A SIRACUSA E DINTORNI
SABATO 12 MARZO, ORE 18.30
LIBRERIA FELTRINELLI CENTRO COMMERCIALE AUCHAN
INTERVIENE SIMONA LO IACONO, scrittrice e magistrato
INTRODUCE SILVIO APARO, EDITORE MELINO NERELLA
PARLERO’ DELLA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA, DEI LIBRI PERDUTI, DELLE SCOPERTE MENO NOTE DI ARCHIMEDE
ti aspetto Salvo?
Maria Lucia?
Massimo????

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:33 da annalisastancanelli


Caro Salvo,
confermo che la situazione dei piccoli librai indipendenti, a Catania (ma temo un po’ ovunque), è piuttosto difficile.
Più di un libraio è stato costretto a chiudere.
Il problema si riflette inevitabilmente a danno della piccola editoria che, in genere, ha difficoltà a entrare nelle grandi catene.
Da questo punto di vista sarebbe interessante approfondire il caso di “Sottovoce” e “Editoria indipendente”.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:37 da Massimo Maugeri


Ciò premesso, ringrazio tutti per i nuovi interventi.
(In bocca al lupo ad Annalisa per la presentazione di sabato).

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:38 da Massimo Maugeri


Ringrazio in particolare Alessandro Defilippi e Alfredo Colitto per averci offerto un “assaggio” delle loro opere.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:39 da Massimo Maugeri


@ Rita Charbonnier
Il tuo commento delle h. 3:12 pm è sbloccato. ;)

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:40 da Massimo Maugeri


Ringrazio anche Amelia Corsi, Valter Binaghi, Giacomo Tessani, Marco Salvador…

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:42 da Massimo Maugeri


Rispondo sulla questione del giudizio, che è interessante.
Io non giudico i miei personaggi. Anche quando si tratta di individui realmente esistiti, cerco di immaginare ciò che pensano, come giustificano a se stessi le proprie azioni, e li presento in quel modo, lasciando che sia poi il lettore, se vuole, a emettere un giudizio. Trovo illeggibili quei romanzi dove lo scrittore pretende di insegnarti cosa devi pensare, di indicarti querllo che è bene e quello che è male, perciò mi sforzo di non scriverli. Scrivere queste cose va benissimo, ma secondo me bisogna farlo nella forma del saggio, che è la scrittura delle idee, non in quella del romanzo, che invece è la scrittura delle emozioni. Se io indico al mio lettore quali emozioni deve provare, lo derubo del piacere della lettura. In un bel romanzo, i buoni e i cattivi, le azioni eroiche e quelle spregevoli, emergono dalla storia con una forza propria, che consente al lettore di formarsi le proprie opinioni, senza che il narratore lo prenda per mano, spiegandogli cosa deve pensare.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:46 da Alfredo Colitto


Carissimo Dottor Binaghi,
concordo con la sua antipatia per definizioni esterofile…
Mainstream di recente è venuto ad indicare, in letteratura, la narrativa non di genere, termine che vuol dire tutto e niente, perchè ci sono – grazie a Dio – migliaia di opere non ingabbiabili in alcuna definizione, solitarie come stelle e tuttavia meravigliose, uniche e forse non etichettabili proprio perchè cocepibili per mera e solitaria fortuna.
Penso, soprattutto, all’indimenticabile Bufalino e alla sua “diceria dell’untore” a quel tono che è già, di per sè, un personaggio, un giante che soffia sulla storia e la allunga su un corpo immenso, sterminato.
Ecco. Al di là dei generi sarebbe bello se i romanzi non fossero riconoscibili che dalla “voce”.
Come questa:” La morte naturale non esiste: ogni morte è un assassinio. E se non si urla, vuol dire che si acconsente” (Bufalino, Diceria dell’untore).
Un affettuso e sipatizzante saluto dal suo
Professor Emilio

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:51 da Emilio


Segnalo anche il booktrailer del romanzo di Alfredo Colitto “Il libro dell’angelo” http://www.youtube.com/watch?v=sPX3yAV2kJU

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:54 da Massimo Maugeri


Qui, l’intervento di Alfredo Colitto a RaiNews24
http://www.youtube.com/watch?v=WHeWzNNr4u4

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:55 da Massimo Maugeri


Cara dott.ssa Stancanelli,
felice di partecipare se vivessi nella sua bellissima Siracusa. Rivedrei volentieri anche la dott.ssa Lo Iacono conosciuta lo scorso anno da Tertulia. Ma temo che sarà difficile. Non ho auto, prendo il treno o i mezzi con qualche difficoltà. Ma chissà che le stelle del suo Archimede non ci siano propizie.
Mi parli piuttosto del personaggio.
Ho come il sentore che ne abbia fatto un sognatore, più che uno scienziato…
E’ vero?

un saluto dal suo
professor Emilio

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:55 da Emilio


Ne approfitto per salutare Alfredo Colitto (che è intervenuto pochi minuti fa) e il prof. Emilio (per i suoi preziosi interventi).

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:57 da Massimo Maugeri


Caro Dottor Maugeri, mi capita tra un commento e l’altro.

Colgo l’occasione per salutarla e ringraziarla dei bellissimi temi e contributi. E sì, tristi tempi per le piccole librerie in cui un tempo mi piaceva intrufolarmi, e odorare l’aria di carta…peccato, sa? Per noi “passeggiatori professionisti di via Etnea” era un godimento del cuore.
Una serata felice, mio caro
il suo
Professor Emilio

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 20:57 da Emilio


Ancora grazie a lei, caro prof. Emilio. Spero di poterla incontrare di nuovo, magari all’interno di qualche libreria superstite.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 21:00 da Massimo Maugeri


@ Alessandro Defilippi
Caro Alessandro, purtroppo non ho trovato in rete booktrailer su “Danubio rosso”. Sai dirmi se è stato realizzato?

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 21:02 da Massimo Maugeri


@Professor Emilio
La ringrazio. Temo che, se ulteriormente approfondita, questa definizione ci porterebbe al cuore vero del problema, che è la distinzione platonica tra arte mimetica (imitativa) e non.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 21:02 da valter binaghi


Bravo Alfredo Colitto.
Il personaggio non si giudica. Si racconta. Nè si giudica l’uomo, solo il fatto.
Credo che il romanziere semini domande, non risposte..
Che ne pensa? E non crede che il personaggio, in fondo, non sia che un pretesto, per raccontare sempre e solo l’altro da sè?
Proprio come dice Paul Celan:“Il poema tende a un Altro, esso ne ha bisogno, esso ha bisogno di un interlocutore: lo va cercando, vi si dedica. Ogni oggetto, ogni essere umano, per il poema che è proteso verso l’altro, è figura di questo Altro”
Un abbraccio affettuoso
Professor Emilio

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 21:02 da Emilio


Un saluto anche a Valter (che è on line).

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 21:11 da Massimo Maugeri


Adesso passerei (sempre seguendo l’ordine alfabetico degli amici autori protagonisti di questa discussione) ad approfondire la conoscenza dei libri di Andrea Frediani e Marco Salvador.
(Seguono, dunque, le solite domande)

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 21:12 da Massimo Maugeri


@ Andrea Frediani
Come nasce “Dictator – Il trionfo di Cesare”? In cosa si differenzia dagli altri due libri della trilogia?
-
Chiedo anche a te, ovviamente, di inserire un brano tratto dal libro…

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 21:16 da Massimo Maugeri


@ Marco Salvador
Come nasce “L’Erede degli Dei”? Che connessione ha con gli altri tuoi libri?
-
Vale anche per te la richiesta di farci “assaggiare” – se possibile – un brano tratto dal libro.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 21:18 da Massimo Maugeri


Per oggi chiudo qui.
Una serena notte a tutti.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 21:20 da Massimo Maugeri


Rileggendo i post di oggi mi hanno attirato le considerazioni scandalizzate sulla scarsa qualità di certi autori e di certi libri. Ebbene, vorrei condividere con voi quella che ritengo essere la sola, vera certezza che ho acquisito in un quindicennio da scrittore di saggi e di romanzi storici, da editor di pubblicazioni storiche e da consulente scientifico di riviste storiche. In Italia esistono due livelli di editoria, assolutamente distinti: l’editoria che ruota intorno ai personaggi pubblici, siano essi televisivi, politici, sportivi ecc, e quella che ruota intorno agli scrittori. Se un personaggio che appare spesso in TV fa un libro qualsiasi, quando gli va male fa 50.000 copie. Se a uno scrittore “puro” va benissimo, ne fa 15.000. Ecco perché nessun editore può permettersi di rinunciare ai personaggi noti che con il mondo dell’editoria non hanno nulla a che fare. Soprattutto in questo momento di crollo dei fatturati. State pur certi, cari amici, che se Totti, o Bersani, o il principe Emanuele Filiberto scrivessero un romanzo storico, venderebbero il doppio della somma totale delle copie vendute dagli autori partecipanti a questo dibattito con i libri recensiti all’inizio…
E questo non depone certo a favore della consapevolezza del pubblico… Quindi continuo a ritenere che la semplificazione del linguaggio e una struttura “cinematografica” siano il solo modo per “tenere il passo”.
E scusate la digressione non tecnica…

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 21:34 da Andrea Frediani


Caro Emilio,
sono d’accordo con lei sul fatto che il romanziere semini domande, non risposte. Concordo anche con la seconda affermazione, ma con un caveat: l’Altro noi non lo conosciamo davvero, ne abbiamo solo un’idea che è sempre filtrata attraverso la nostra percezione. Quindi sì, i personaggi sono un pretesto per raccontare l’Altro, ma più di tutto sono il pretesto per raccontare se stessi, a volte anche in modo inconsapevole.
Grazie del suo apprezzamento e degli stimoli
Alfredo

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 21:42 da Alfredo Colitto


Purtroppo la gente compra i libri propinati e imposti dai grandi mezzi di comunicazione, come tutti gli altri prodotti di consumo, i biscotti o i detersivi. Si costruiscono successi artificiali e tutti corrono nelle librerie a chiedere i libri pubblicizzati in televisione. Qualsiasi personaggio noto si sente autorizzato a pubblicare: politici, soubrette, fotomodelle. La grafomania impera. Facce da video esposte nelle vetrine delle librerie invitano ad entrare. Cosa sono diventate le librerie, un’appendice del varietà? Il trionfo dell’immagine? L’apoteosi del silicone? E nonostante la crisi, funzionano a pieno regime gli ingranaggi della grande industria cartacea. Qualsiasi titolo che serva a fare cassetta è ben accetto: raccolta di barzellette, aforismi, memorie a luci rosse di pornodive, romanzi da spiaggia, da fiume, da lago e da montagna.
Concludiamo con una buona notizia: quest’anno, in Sicilia, le piccole librerie si sono salvate grazie a “La coda di pesce che inseguiva l’amore”, romanzo a quattro mani e otto piedi di Simona Lo Iacono e Massimo Maugeri, che ha fatto il pieno di incassi.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 21:57 da Salvo Zappulla


@Massimo. Mi ha censurato un commento. Andiamo bene. Cos’è, la legge sul legittimo impedimento?

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 22:03 da Salvo Zappulla


@ Salvo
Il tuo commento era finito in moderazione… immagino per l’uso del termine “otto piedi” (che forse non piace a wordpress). ;)
Ora è sbloccato.
-
P.s. grazie per la pubblicità, ma temo che se librerie indipendenti dovessero sopravvivere grazie alla “coda di pesce” non ci sarebbe granché da sperare

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 22:13 da Massimo Maugeri


Vi ri-auguro buonanotte.
-
Segnalazione di servizio.
Se qualche altro commento dovesse finire in moderazione o nell’antispam (come è capitato a Rita e a Salvo), abbiate pazienza: lo sbloccherò appena possibile.
Purtroppo non dipende da me, ma dal sistema di protezione del sito che ogni tanto va in tilt (ma che comunque impedisce l’ingresso di, in media, 300/400 messaggi pubblicitari ogni ora… vi assicuro).
Una serena notte.

Postato mercoledì, 2 marzo 2011 alle 22:17 da Massimo Maugeri


mi sembra molto interessante la questione lanciata sul “giudizio sui personaggi”. personalmente credo che tutti noi, consapevolmente o non consapevolmente, emmettiamo giudizi sugli altri e su noi stessi.
mi viene difficile immaginare che uno scrittore che inserisca un personaggio realmente esistito in un suo romanzo non lo “giudichi” (non importa se bene o male).
ci tengo a precisare che la mia non è una critica, ma una semplice constatazione. del resto non ci trovo nulla di male nel “dare giudizi”.

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 08:57 da vanessa


Bravissimo Alfredo Colitto! E sì, parlando dell’Altro, pensavo proprio a quello che abbiamo dentro, quelo che dobbiamo ancora conoscere e scoprire, quello, anche, che ci fa dualità quando prendiamo in mano la penna e ci impone, sempre, di avere un interlocutore misterioso, immanente, inciso in uno strano destino di appartenenza e – al tempo stesso – di differenza.
Mi fa piacere confrontarmi con lei, davvero.
Bellissima e alta discussione.
Professor Emilio

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 09:15 da Emilio


Carissimo Signor Frediani,
conocordo sulla necessità di tenere il passo, purchè non si snaturi la propria voce personalissima, purchè la tecnica offra supporto e sostegno alla vocazione….anche per donare all’attenzione e al cuore del lettore una lingua, non solo una storia, che nasca da una vera necessità creativa.
Le chiedo, dunque, carissimo amico, secondo lei, non potremmo sperare anche in una inversione di tendenza? Non potremmo augurarci che il pubblico, pian piano, sia educato alla bellezza, sia rapito dalle parole, dal significato, da un’esperienza di assoluta e abbagliante fame di sogni?
E’ forse vero che alcuni libri sono acquistati per il personaggio, ma non credo che il numero di vendite coincida con il numero dei lettori.
E allora forse la speranza è che la qualità, nel tempo, educhi solo a scelte di qualità. Intendendo per tale quella che allarga l’anima, che ti fa sentire il libro interlocutore pietoso e indispensabile, che fa delle pagine un companatico, e una resurrezione, un inno alla bellezza.
Ne abbiamo tanto bisogno, penso.
Lei che opinione ha al riguardo?
Suo affezionato
Professor Emilio

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 09:25 da Emilio


Carissimo Signor Salvo Zappulla,
nel caso del dottor Maugeri e della dott.ssa Lo Iacono, mi pregio precisare che le gambe sono nove: otto umane più una coda.
Simpaticamente suo (e chiudo qui…)
Professor Emilio

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 09:27 da Emilio


Carissimo Professor Emilio, mi permetta di dirLe che i suoi interventi conferiscono al dibattito un tocco di poesia, quasi un sapore antico di cose perdute, come il pane fatto in casa, la marmellata d’arance dei nostri nonni. Mi commuove in certi momenti, ci dimostra che si può affrontare qualsiasi dibattito con competenza ed eleganza, senza mai alzare la voce. Con argomentazioni solide ma esposte con umiltà e garbo. Mi piacerebbe incontrarLa di persona a Catania per stringerLe la mano..

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 10:23 da Salvo Zappulla


MAINSTREAM? GIUDIZIO SUI PERSONAGGI?

Caro prof. Emilio, come il mio amico Salvo anche io ho notato la sua sensibilità e competenza (DANTE è IL MIO MAESTRO);quasi quasi al termine del dibattito proporrei un incontro a Catania per tutti!
Molto interessante il confronto sul mainstream che, senza vocabolario, tradurrei con Tendenza/ frequenza principale che io immagino come la mia scaletta da seguire e la dirittura d’arrivo. Alcuni hanno detto del mio romanzo che si poteva “fare un libro alla Eco” altri hanno pensato che dovevo approfondire di piùl a psicologia dei personaggi, riferendosi AI romanzi dell’OTTOCENTO, io ho scelto il ritmo.
Uno scrittore quando progetta un’opera deve compiere delle scelte, anche se dolorose.
Sono affascinata dalla storia della Biblioteca perduta di Alessandria, che sto ancora studiando, sono intimidita da Archimede, più ricerco più mi sconvolge per la sua modernità, POTEVO fermarmi pagine su pagine su entrambi i temi ma per i lettori ho scelto una narrazione veloce e serrata. Ne volevo coinvolgere il più possibile di tutte le età perchè il mio obiettivo era far parlare di Archimede A SIRACUSA E IN ITALIA,
(NEL MONDO E’ SEMPRE FAMOSISSIMO)
riflettere su di lui, NON DIMENTICARLO PIU’- un po’ come RITA PER NANNERL MOZART-; nel prossimo LIBRO ci sarà spazio per approfondimento e riflessione. Anche da questo blog stanno venendo fuori nuovi stimoli.
GIUDIZIO SUI PERSONAGGI?
Io l’ho dato, appositamente.
Tutte le fonti romane narrano di un’uccisione casuale di Archimede
non è vero, fu voluta..
era odiato per aver impedito la conquista totale di Siracusa per tanti mesi.
Dirò di più quando approfondiremo il mio libro.
Salvo, aspetto con ansia qualche tua riga .

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 13:11 da annalisastancanelli


Annalisa, gioia. io comincio ad avere i miei anni sul groppone, ho appena fatto richiesta per la pensione di accompagnamento, soffro di incontinenza, vuoti di memoria, artrite reumatica. Ma il tuo libro mi è piaciuto molto, questo Archimede pacifista, che utilizzava le sue invenzioni unicamente per difesa, l’ho apprezzato davvero tanto. Il tuo romanzoè una via di mezzo tra il giallo e il romanzo storico, con molte trovate originali, scorre via che è una meraviglia. Raccontaci qualcosa in più sul carattere di Archimede.
Purtroppo non ho letto i romanzi degli altri autori presenti al dibattito e me ne rammarico, non avendo la possibilità di approfondire. I brevi brani postati sono interessantissimi ma non mi meraviglio dato che sono stati scritti da fior di professionisti. Conosco “La sorella di Mozart” e ne approfitto per tirare in ballo ancora Rita. Un aspetto che ho trascurato nella mia recensione è la verve ironica che pervade l’intero romanzo, davvero un valore aggiunto che lo rendono ancora più gustoso
@Charbonnier. Ma le poesie a rima baciata(a volte strofinata) che il nobiluomo snocciola, sono tue o le hai prese da qualche parte?

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 14:06 da Salvo Zappulla


Devo una risposta al gentile professor Emilio, che ha esposto il pio sogno di ogni autore.
Quel che Lei saggiamente afferma, era proprio quel che pensavo quando ho iniziato ad avere la possibilità di tradurre in atto le mie aspirazioni (stavo per dire: quando ho iniziato a fare questo mestiere, ma… non è un mestiere, per fortuna!). E’ vero, è dovere degli scrittori “indirizzare” il pubblico verso stadi maggiori di consapevolezza, visto che non lo fanno i politici. Ma è proprio questo il problema: finché le Istituzioni remano contro, finché tollerano, perfino incentivano, da una parte, la logica del profitto puro, dall’altra la massificazione e l’omologazione, allo scrittore non rimane che agire subdolamente: ovvero, proporre una cornice “standard”, ma inserire i contenuti e i messaggi che intende davvero far arrivare al lettore. Quindi: forma e struttura accattivanti e fruibili, ma contenuti di spessore, da scodellare in faccia al lettore quando meno se l’aspetta. Si aspetta un’avventura, un grande amore, una devastante e avvincente campagna militare? Si aspetta una scrittura lineare ed essenziale, giornalistica? Bene, è ciò che offro, ma insieme a quel che penso della natura degenerativa del potere, della massificazione, dei rapporti umani, dei processi storici e, indirettamente, della nostra società…
E’ un modo di agire “dall’interno”, per quel ribaltamento che Lei richiede. Se rinunciassi alla cornice, dubito che raggiungerei un numero di persone e di generazioni tale da suscitare una riflessione corale, la sola che possa portare, un domani, almeno a un tentativo di ribaltamento. Adesso, almeno so che duecentomila persone che hanno letto i miei romanzi in questi quattro anni qualche problema se lo sono posto, a giudicare da quello che mi scrivono. Magari i più giovani, certamente più attirati da una cornice “ammiccante”, assorbono i concetti che mi premono e crescono con qualche consapevolezza in più rispetto al messaggio trasmessogli dalla tv di stato. Ma forse non ottengo nulla neanche così. Uno scrittore può solo gettare dei semi e sperare che germoglino… e togliersi la soddisfazione di scrivere quello che pensa, in un modo o nell’altro. Almeno per ora…

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 15:26 da andrea frediani


@Andrea Frediani. Lo scrittore può diventare una sorta di “cane da guardia” dal potere? Sciascia ha fatto conoscere il problema mafia in tutto il mondo, ma i suoi libri non hanno fatto mai arrestare un mafioso. Quanto può incidere, secondo lei, un’ opera letteraria per il miglioramento della nostra società?

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 16:16 da Salvo Zappulla


@ Salvo Zappulla
Be’, direi che Saviano qualcosa ha smosso. E forse anche solo una decina di persone, tra quanti hanno letto Sciascia da ragazzi, si sono sentite sufficientemente indignate da intraprendere, in seguito, una carriera in polizia, o in magistratura, e magari, con il loro operato, qualche mafioso lo hanno fatto arrestare. Dubito che il lavoro di uno scrittore possa risultare tangibile e riscontrabile quanto quello di un politico, e, semmai, lo si misura sul lungo periodo. E’ più sottile, senza dubbio, e può operare sulla coscienza di una piccola parte della più malleabile generazione che lo legge, quella dei giovani, i quali, a loro volta, da grandi potranno trasmettere determinati valori ai loro figli. Io non sarei la stessa persona, senza i libri che hanno determinato la mia formazione da ragazzo; chissà, forse non avrei neppure desiderato scrivere…
Il potere ha un’infinità di armi in più per incidere sulle coscienze. Affrontarlo frontalmente non serve se non a finire stritolati in quella sterile polemica giornaliera in cui vince chi strilla di più, regalandosi una briciola di notorietà oggi ma condannandosi all’oblio domani. Invece, è proprio sul domani che deve lavorare uno scrittore, e non solo per una mera questione di vanità (che appartiene a ogni scrittore), bensì per dare un senso al proprio ruolo e andare al di là del puro intrattenimento.
E, mi creda, tutto questo discorso vale ancor più per chi scrive di storia. Il romanzo storico arriva anche a chi non leggerebbe mai un saggio, e lo spinge a riflettere sui processi storici e sui meccanismi che ci hanno regalato l’edificante società nella quale viviamo…

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 17:21 da andrea frediani


posso tornare sul “giudizio sui personaggi”?
ci ho riflettuto un po’. E’ un tema che mi interessa, per vari motivi.
secondo me quando uno scrittore inserisce nelle sue pagine un personaggio *realmente esistito*, va persino oltre al giudizio. in realtà sostituisce il suo pensiero a quello del personaggio. è come se diventasse un demone (lo scrittore) che si impossessa del personaggio che riporta in vita nella sua storia.
questo pensiero mi affascina molto, perché finora avevo pensato l’esatto contrario. e cioè che è il personaggio che, in un modo o nell’altro, si impossessa dello scrittore piegandolo ai suoi voleri.
cosa ne pensate?

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 18:03 da vanessa


Cara Vanessa,
ciò che scrivi mi tocca profondamente perché è quello che è successo a me.
Scrivendo di un personaggio realmente esistito ho cercato di rispettarlo ma il fenomeno di doppia compenetrazione esiste: il personaggio si impossessa di te e tu trasfondi nel personaggio il tuo essere. Non potrebbe accadere altrimenti… ne riparleremo!

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 18:17 da Maria Lucia Riccioli


CARO SALVO
grazie per le tue paro,le
Caro Andrea Frediani, non ti conosco ma sto apprezzando tantissimo i tuoi commenti, domani corro a cercare i tuoi libri, sarò la tua 200-oo1 esima lettrice!
IMMEDESIMARSI NEL PERSONAGGIO DOPO TANTE RICERCHE E’ UNA BELLISSIMA ESPERIENZA comprender la può sol chi la prova direbbe l’Alighieri
Cara Vanessa con Archimede è successo così, d’un tratto io sono diventata Archimede, ho vissuto i suoi momenti di esaltazione quando faceva girare per aria le navi di Marcello come uno YO-YO, quelli di gioia, quando i romani cadevano dalle scale che appoggiavano sulle mura grazie a dei “forconi” immensi che faceva passare dalle feritoie; ho pianto con lui quando per denaro due abitanti di Siracusa l’hanno venduta , i Romani sono entrati nella città e hanno portato via tutto…
a quei tempi, sai, Roma non era ancora l’URBE meravigliosa delle ricostruzioni in 3D
Siracusa era nettamente più bella e ricca di opere d’arte, perse tutto in una notte, statue, tesori dei Templi, uomini d’ingegno
e Archimede pianse
contemporaneamente Lui
è diventato l’Annalisa creativa ma disordinatissima
amante della scienza e dell’astronomia, degli enigmi e dei libri
Archimede è diventato anche un po’ donna quando la giovane Fileide, a cui assassini misteriosi hanno ucciso il padre, piange a Siracusa nelle Latomie fra le sue braccia, il Genio ieratico delle raffigurazioni tradizionali perde la sua rigidità e diventa accogliente e affettuoso…come una donna..

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 21:19 da annalisastancanelli


Buona serata a tutti.
Grazie per i nuovi interventi e per i nuovi spunti che sono stati lanciati e raccolti.

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 22:18 da Massimo Maugeri


Benvenute nella discussione a Vanessa e a Maria Lucia Riccioli.

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 22:18 da Massimo Maugeri


Anche Maria Lucia è autrice di un romanzo storico…
http://perronelab.it/node/678
… ne parleremo in dettaglio prossimamente, su questo sito.

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 22:20 da Massimo Maugeri


@ Marco Salvador e Andrea Frediani
Vi rinnovo l’invito a raccontarci qualcosa in più sui vostri romanzi e a inserire (ma solo se possibile e ne avete voglia) un brano a vostra scelta per farceli “assaggiare”.

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 22:22 da Massimo Maugeri


Intanto vi invito a dare un’occhiata al booktrailer di “Dictator. Il trionfo di Cesare” di Andrea Frediani
http://www.youtube.com/watch?v=CCqygvkNRj8

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 22:25 da Massimo Maugeri


@ Marco Salvador
Non sono riuscito a trovare video, su youtube, che ti riguardano…
Come mai?
Timidezza?
;)

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 22:27 da Massimo Maugeri


@ Annalisa Stancanelli
Cara Annalisa, rivolgo anche a te l’invito a fornirci ulteriori informazioni sul tuo romanzo… e a inserire un brano a tua scelta.

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 22:30 da Massimo Maugeri


Invito inoltre l’editore Melino Nerella (che ha pubblicato il libro di Annalisa), o un suo rappresentante, a illustrarci il suo progetto editoriale.

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 22:32 da Massimo Maugeri


Prima di augurarvi la buonanotte, ne approfitto per dirvi che domani – in radio, nella nuova puntata di “Letteratitudine Fm”, su Radio Hinterland – avrò come ospite Dacia Maraini e Stefano Petrocchi (segretario della Fondazione Bellonci):
http://www.radiohinterland.com/?q=node/6954
Ma questa, per rimanere nel tema del post, è un’altra storia… ;)

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 22:42 da Massimo Maugeri


Una serena notte a tutti.

Postato giovedì, 3 marzo 2011 alle 22:42 da Massimo Maugeri


grazie per i riscontri. è un piacere dialogare con voi.

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 10:39 da vanessa


care Maria Lucia e Annalisa, grazie per i vostri messaggi. se non si era capito pure io sono alle prese con un personaggio. ma di più non posso dire.

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 10:40 da vanessa


http://www.youtube.com/watch?v=ssxVVZJkoxU
QUI TROVATE I BOOKTRAILER
DI ARCHIMEDE E IL MISTERO DEL PLANETARIO

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 12:04 da annalisastancanelli


Le prime 40 pagine del romanzo “Dictator. Il trionfo di Cesar” di Andrea Frediani
http://www.newtoncompton.com/newton/upload/File/estratti/dictator3trionfodicesareestratto.pdf

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 12:27 da uff. stampa newton compton


http://www.youtube.com/watch?v=ssxVVZJkoxU

per il booktrailer

***

Archimede e il mistero del planetario nasce dal desiderio di tornare a parlare di Archimede, farlo conoscere ai giovani, ristudiarlo e ricordarlo. Dal 2006 per il quotidiano LA SICILIA con il quale collaboro ho recensito libri e curato vari speciali sul genio siracusano, proprio nel dicembre 2010 ho anche scritto un percorso archimedeo per il mensile Sicilia in Viaggio basato sull’opera di Livio e le “Antichità” di Vincenzo Mirabella (1613); ultime ispirazioni in ordine di tempo il saggio di Geymonat IL GRANDE ARCHIMEDE e la richiesta di Silvio Aparo che, alla proposta di un saggio su Vittorini e l’immagine, che sto progettando, mi ha chiesto…un Romanzo siracusano..
e giallo siracusano, il primo,è proprio il mio libro secondo Mario Geyomat del genere dei gialli pompeiani. Doveva intitolarsi Archimede e il planetario fatale ma ricordava troppo la Doody così abbiamo preferito esaltare il mistero che costituisce il cuore della storia; una vicenda difficile da presentare senza rovinare la suspence.
E’ ambientata tra Siracusa, Alessandria d’Egitto e Roma dal 213 al 212 a.C ma vi sono flash back legati ad Archimede, alla sua vita ed alle sue scoperte e anche flash forward che parlano dei ritrovamenti dei luoghi archimedei e della sua misteriosa tomba.
Il protagonista è un planetario che custodisce una mappa che da Alessandria d’Egitto giungerà a Siracusa, poi a Roma, per essere interpretata nella Piana di Giza dove la Sfinge e le Piramidi nascondono una stanza del tesoro molto particolare e molto “protetta”.
Archimede dovrà risolvere il mistero della mappa che lo porterà anche a conoscere l’identità di un crudele assassino che ha ucciso i suoi amici scienziati della Biblioteca per carpire il segreto della Camera di Thot, così è chiamato il luogo del tesoro: lo aiuteranno nelle sue avventure la figlia dell’amico Teofrasto, Capo dell’Ordine dei Custodi della Camera, unica sopravvissuta agli omicidi avvenuti ad Alessandria e i suoi due schiavi.
***

per presentare il mio romanzo, una commistione tra un noir e un thriller avventuroso, citerò parte della bellissima prefazione del Professor Mario Geymonat, studioso di Archimede, autore di “IL GRANDE ARCHIMEDE” SANDRO TETI EDITORE, uno dei testi che ha contribuito alle mie ricerche.
Scrive Geymonat:
“Annalisa Stancanelli conosce i numerosi testi di e su Archimede
che ci sono stati tramandati ma mostra pure una
controllata e fascinosa fantasia quando sviluppa con vera
originalità l’azione del suo breve romanzo fra Alessandria
d’Egitto, Siracusa e Roma (manca solo Cartagine!): le capi-
tali militari, politiche e culturali del III secolo a.C.. Il suo
racconto è corredato, peraltro, da una serie di flash forward,
quali aperture, brecce nel racconto che si concretizzano in
articoli veri e immaginari di giornali locali e internazionali
stando a sottolineare l’interesse verso questo incredibile personaggio
nel nostro e nei tempi futuri. Essi esaltano nel contempo
alcune mirabolanti e auspicate novità archeologiche,
la scoperta di ingranaggi misteriosi tratti forse da uno dei
Planetari archimedei e di una lastra della sua tomba, irrimediabilmente
perduta dopo la scoperta che ne fece Cicerone,
e si concludono nell’ampio e misterioso sotterraneo sotto la
Sfinge di Giza.
Proprio qui la verve quasi da noir della Stancanelli,
pone intatto un grande Planetario ispirato ad Archimede
insieme con una serie di papiri, che danno nuova
luce alle nostre conoscenze di scienza antica e importanti
stimoli per la scienza del futuro e svolge il grandioso e sorprendente
finale, uno splendido pezzo di bravura (altro che
lo studio troppo lento del palinsesto apparso e riapparso nel
secolo XX, ora conservato a Baltimora!).

In questo complesso paesaggio, veritiero e nel contempo
moderno, si muovono le passioni di schiavi affezionati e fedeli
ma pure a volte traditori, rapaci e violenti, qui si sviluppa
l’equivoca azione del truce generale intellettuale
Marcello, qui ritroviamo personaggi ben noti, come Conone
e il matematico Dositeo, e pure l’innovativo ingegnere alessandrino
Doriteo e il saggio Teofrasto con la sua bella figlia
Fileide, “unica donna ammessa nelle Segrete della Biblioteca
e in grado di leggere e scrivere in tutte le lingue conosciute”,
guardata con speciale tenerezza da Archimede e che lo accompagnerà
nella sua ultima grandiosa avventura a Roma
e in Egitto.
Il racconto appassiona per il ritmo concitato ed
inventivo, i viaggi avventurosi, gli scambi e i riconoscimenti
di singole persone, gli assassini veri e falsi, le inaspettate
improvvise coincidenze.

Su tutto e su tutti domina la personalità equilibrata e rassicurante
del vecchio grande Archimede, che “era contrario
alla violenza, mirava alla difesa e non alla crudeltà, anche
quando aveva progettato le sue macchine”. Egli appare nel
suo allegro interesse per la vita (“pensare ad Archimede era
come pensare al Vulcano”!), nel carattere che assume da
vecchio, simbolo di eroismo intellettuale e scientifico della
parte migliore della Sicilia antica. Davanti agli occhi degli
amici alessandrini scorrono i ricordi degli incontri e della
collaborazione, “le immagini delle giornate lunghe e ricche
di soddisfazioni trascorse a studiare le reazioni degli elementi,
le proprietà delle piante e gli umori degli animali, i
pericoli dei veleni. E poi le serate si chiudevano gustando la
selvaggina del deserto e bevendo della buona birra attorno a
un tavolo discutendo di meccanica e astronomia, di numerologia
e composti magici…
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Ora un estratto dal romanzo
una “fotografia” della Siracusa del 213 a.C.
l’arrivo dello scienziato alessandrino Doriteo, compagno di studi di Archimede , a Siracusa
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RIvEDERE ARCHIMEDE
siracusa, 213 a.c.
Porto Grande
Le acque cristalline brillano al sole di Siracusa, la
bella città di Artemide amata da dei e sapienti.
Lo scudo d’oro del Tempio di Athena da lontano
sembra un miraggio per i naviganti che si beano dei
riflessi cangianti del prezioso dono fatto alla Dea protettrice
della città.
Nei pressi delle banchine del porto marinai mezzi
nudi con i muscoli levigati luccicanti nel sole scaricano
merci da innumerevoli navi, provenienti da tutti i
paesi del Mediterraneo. I mercanti ricontrollano i carichi
in partenza e vigilano su quelli in arrivo, meretrici
e donne di malaffare avvicinano coloro che
sbarcano dalle imbarcazioni più lussuose.
Da una snella quadriremi scende tremolante un vecchio
vestito di bianco, con le mani bendate e un gigantesco
copricapo. La barba bianca gli scende morbida
sul petto.

Un giovane, di carnagione olivastra, con i capelli
scuri, asciutto come un’acciuga, e un gigantesco
schiavo nero, altissimo, con la testa rasata che luccica
al sole, gli si avvicinano.
«Il mio Maestro ti saluta, saggio Doriteo, e ti attende
nella sua umile dimora. Non è venuto di persona perché
stava terminando un complicato calcolo. Il mio
nome è Daniele – disse inchinandosi il giovane brunolui
è Megarèo. Non abbiamo carro, mi dispiace, ma la
dimora del Maestro non è lontana».
Doriteo guarda verso l’alto; lo schiavo nero è così
imponente che gli oscura il Sole, peccato, aveva tanta
voglia di rivedere l’amico Archimede…
Davanti agli occhi gli scorrono le immagini delle
giornate lunghe e ricche di soddisfazioni trascorse a
studiare le reazioni degli elementi, le proprietà delle
piante e degli umori degli animali, i pericoli dei veleni.
E poi le serate che si chiudevano gustando la selvaggina
del deserto e bevendo della buona birra attorno
a un tavolo discutendo di meccanica e astronomia, di
numerologia e composti magici; non era semplice allontanare
l’amico siracusano da Conone e Dositeo con
i quali trascorreva tutte le mattine ma Archimede era
curioso di natura, tutto l’Universo lo affascinava … e
in Doriteo trovava un geniale inventore, un appassionato
di medicina….
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ora un brano che vi racconta il Mio ARCHIMEDE
al genio siracusano Gerone II regala due schiavi, Megarèo, nubiano, muto, un gigante fortissimo
Daniele, scriba della Biblioteca di Alessandria, coltissimo e puntiglioso che diverrà la sua ombra e i l suo segretario
per Archimede, la vita cambia
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DAL CAPITOLO DORITEO A SIRACUSA

Doriteo arrivava in prossimità della festa di Artemis,
così avrebbe visto Siracusa nel suo maggior splendore.
Daniele e Megarèo erano ormai andati via già da
qualche ora; il planetario di casa, il secondo ad essere
costruito, dove si vedevano due ingegnose rotazioni,
dei pianeti attorno al Sole e della luna attorno alla
Terra, girava silenziosamente catturando con la cupola
di vetro i raggi del sole all’interno della casa. Il
primo modello, ad una sola rotazione, giaceva smontato
in una cassa di legno sotto il tavolo da lavoro.
«Queste navi, sempre in ritardo!» borbottò Archimede,
poi, guardandosi attorno e vedendo tutti i pa-
piri ben ordinati nella cassa e i modellini meccanici in
fila sul tavolo iniziò a borbottare contro Daniele.
Come poteva concentrarsi di fronte a quell’ordine
così severo e rigido? A volte rimpiangeva il caos del
passato.
Era grato a Daniele, certo, per il gravoso compito
che si era assunto di scrivere le sue epistole ai tanti
amici scienziati con i quali intratteneva fitti rapporti
intellettuali ( le dita delle mani spesso gli dolevano per
la scrittura convulsa e la costruzione di modellini meccanici).
Beh, insomma, meno fatica ma in cambio
aveva dovuto acconsentire a un bagno settimanale che
spesso (sempre!) capitava nel bel mezzo delle sue elucubrazioni.
Ma la manìa di Daniele per l’ordine e la pulizia era
una disperazione per il vecchio Archimede! Niente rotoli
di papiro in giro, i kalamos tutti in fila sul tavolo,
nessuna possibilità di scrivere più sul pavimento polveroso
della dimora; ecco perché ogni tanto quando lo
ungevano con gli oli si divertiva a scrivere formule e
a disegnare figure geometriche sul suo corpo. Andava
matto per le facce indignate dei servi!
La notte, poi, rimaneva a guardare gli astri pensando
alle lezioni del suo amato maestro Conone, riflettendo
sulle teorie di Aristarco di Samo che poneva
il Sole al centro del Sistema dei pianeti e ribattendo
mentalmente alle rimostranze opposte dagli amici
scienziati a questa teoria.
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ARCHIMEDE INGEGNERE
L’ASSEDIO ROMANO E LE MACCHINE

dal capitolo ARCHIMEDE, DORITEO E LE MACCHINE
I romani attaccavano da terra, nei pressi del mastodontico
tempio di Giove Olimpio, e a nord lungo la PORTA dell’Esapilo e dal mare, proprio lì vicino, lungo
la costa dell’Achradina ma non riuscivano a scalare le
mura o a fare breccia.
Neanche le sambuche erano riuscite a scalfire la difesa
dei siracusani. Gerone II nella sua tomba lassù,
sopra il Teatro Greco, dispiaciuto inizialmente della
lotta con i suoi storici amici, forse stava sorridendo orgoglioso
di fronte alla genialità di Archimede ed alla
superiorità dei siracusani sfregandosi le mani.
Era merito suo se il matematico si era dedicato all’applicazione
tecnica di molte sue teorie e invenzioni.
Dal primo sistema meccanico per spostare le navi Archimede
si era poi rivolto alla progettazione e costruzione
della meraviglia del mare, la nave Syrakosia,
gigantesca e lussuosa, inviata in dono carica di grano
all’Egitto in difficoltà, a sistemi di estrazione dell’acqua
e poi alle macchine da guerra che stavano distruggendo
da mesi le forze e gli animi dei romani.
Sulle navi nemiche che si appressavano alle mura
dell’Achradina, infatti, cadevano proiettili di ogni genere,
grandi massi di pietra o dardi giganteschi; ai soldati
romani che tentavano di scalare i muraglioni,
anche se protetti dai graticci, non era dato difendersi
perché Archimede li faceva attaccare dalla feritoie
delle mura con lunghi pali o gli faceva rovesciare addosso
olio bollente.
Ma i miracoli dell’apparato bellico dei siracusani
non erano dovuti solo ad Archimede; pochissimi, solo
gli artigiani e i fabbri nascosti nelle Latomie che for-
giavano i pezzi delle macchine che venivano poi montate
direttamente nei luoghi di posizionamento, sapevano
delle modifiche tecniche applicate ai congegni da
Doriteo che con la sua conoscenza delle caratteristiche
dei metalli e l’ esperienza meccanica aveva sensibilmente
migliorato l’efficienza e la pericolosità delle catapulte,
delle baliste giganti e, ultima ma prima per
potenza distruttiva, della Manus Ferrea. Da settimane
lunghe braccia sporgevano dalle mura e con mani di
ferro spezzavano in due le navi o le sollevavano dalla
prua e le facevano affondare. Altre braccia lunghissime
di ferro tramite dei cavi azionati dall’interno agganciavano
le quinqueremi che venivano fatte girare
e dopo venivano scagliate contro le rocce uccidendo
decine di marinai.
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infine un po’ di azione
il planetario rubato è condotto a Roma, due mercenari se ne impadroniscono e trovano la mappa, stanno per partire per l’egitto quando…..
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Porto di Anzio,notte, 212 a.c.
vicino ad una grande nave oneraria era attraccata
una piccola imbarcazione commerciale, nei pressi
c’erano due uomini che confabulavano nel buio guardando
dentro un carretto alla luce di una torcia.
Nascosto dietro una lunga fila di anfore e merci, Daniele,
spiava la scena; dietro di lui Megarèo. Più lontano,
vicino ad un magazzino, Fileide e Archimede
attendevano. Il genio e la ragazza avevano raccontato
a Daniele la storia del planetario; a lui e a Megarèo era
affidato il compito di recuperare la macchina e, se era
stata già trovata, una mappa nascosta in un pianeta da
Doriteo.
Era stato Apollonide con i suoi informatori a scoprire
che il fabbro, che ormai a Roma era stato notato
per l’arroganza e i modi incivili, aveva affittato un’imbarcazione
ad Anzio; il mercante siracusano aveva
anche fatto trasportare il gruppetto al porto mettendo
a loro disposizione, in caso di necessità immediata,
una nave con un comandante ed un abbondante
somma di denaro per un’eventuale partenza.
La discussione fra i due mercenari intanto si stava
facendo bollente, Daniele riuscì a sentire qualche frase.
«Un tesoro? Ma ne sei sicuro?» chiese Merico sporgendosi
per distinguere meglio il disegno del papiro
che stavano consultando.
«Amico, secondo te il vecchio si sarebbe fatto ammazzare
solo per questa macchina? Conosci il greco?
vedi? Ci sono delle scritte sotto la Sfinge e degli strani
disegni» rispose il siracusano segnando un punto sulla
mappa.
«So solo qualche parola di greco- disse l’Ispanico
scuotendo il capo- comunque ad Alessandria ho ancora
qualche amico».
«Bene, imbarchiamoci sulla nave e quando arriviamo
a Siracusa proseguiamo».
«Non è così semplice- spiegò il mercenario- sul Mediterraneo
ancora incrociano navi cartaginesi, ci vorranno
tempo e soldi».
«Senti, amico, se la cosa non ti interessa, finiamola
qui, a Siracusa ci separiamo»- Soside contrariato sottrasse
la mappa dalle mani dell’amico ma Merico tentò
di fermarlo bloccandogli il polso.
In quel momento un gigante si abbattè su di loro
mentre un’altra ombra emersa dall’oscurità prese il
sacco di corda dove era custodito il planetario che Soside
aveva smontato alla ricerca di altri indizi. Nella
foga del momento Daniele non si accorse che il sacco
non era ben chiuso; alcune rotelle dell’ingranaggio ed
uno dei bracci piccoli della macchina caddero e roto-
larono per celarsi sotto alcune anfore di vino poggiate
per terra e pronte per essere imbarcate.
Daniele corse a consegnare il fardello a Fileide, nascosta
dietro un magazzino, e tornò a dare man forte
a Megarèo che si era già liberato di uno dei due mercenari.
Tutto si era svolto con una celerità incredibile. Merico
era stato spinto in acqua mentre Soside si era attaccato
al braccio del gigante che teneva in una mano
la mappa tentando di strappargliela. Una bastonata
pose fine al suo tentativo; mentre Merico gridava
nell’oscurità cercando aiuto, Soside perse conoscenza.
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VORREI RACCONTARVI DELLA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA, COM’ERA, DEL RITROVAMENTO ALLA “MONTALBANO” DELLA TOMBA DI ARCHIMEDE, DELLA SEGRETA CAMERA DI THOT ma il lbro è pur sempre un giallo e
non si può, spero, comunque, di aver dato un’idea efficace del romanzo

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 12:39 da annalisastancanelli


Grazie a te, Vanessa.
Scrittura è comunicazione e per chi scrive parlare dei propri libri è una gioia.
Massimo, a te grazie sempre di tutto, sei un grande blogger e un vero amico.
:-)

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 15:17 da Maria Lucia Riccioli


Se il conduttore di Letteratitudine Massimo Maugeri me lo permette, vorrei fare una traslazione dell’argomento, ovvero trasferire personaggi del romanzo d’ autore, interpretazioni, opere teatrali, films, registi, soggetti di grandi tele, pittori, sul comune piano dei linguaggi dell’arte che si chiama estetica, evitando accuratamente di addentrarmi nei meandri della materia che, per ovvie ragioni, non può essere approfondita in questo salotto.
La logica del mio discorso prende semplici riferimenti molto conosciuti (sono solo esempi ) come I Promessi Sposi di Manzoni, L’ Ultima Cena di Leonardo, l’Enrico IV di Pirandello, Il Gattopardo di Luchino Visconti,
nell’inscindibile rapporto fra il contesto storico delle opere ed i loro protagonisti … sarebbe oltremodo liberamente folle voler collocare fra gli apostoli di Leonardo il principe Fabrizio Salina ed Enrico IV dall’altra parte del tavolo, far sposare Renzo con la marchesa Matilde Spina, immaginate i Santi Apostoli al palazzo di Donnafugata, di chi sono i calzari?, le parrucche d’epoca, i baffi, , le barbe, li panni , i gesti, le parole di ciascuno … dove voglio arrivare? I personaggi sono “aspetti psicologici” legati ai tempi storici e come tali vanno gestiti, descritti, dipinti, all’interno di scene, manoscritti, tele, ma soprattutto all’interno della mente individuale…
(Bella è l’immagine di Athena che partorì dalla mente i suoi figli).
Quindi i personaggi – compresi quelli “negativi” che, nei loro ruoli, servono da contrappunto ai “positivi” – esistono sulla scena ma in r e a l t à non esistono: rientrano nella memoria individuale e collettiva esclusivamente per il valore morale di cui si fanno mediatori e grazie al quale oltrepassano le coordinate spazio-tempo.
Gli apostoli sono il prototipo di un cristianesimo che prescinde dalla Storia universale, Enrico IV è la verità dietro la follia oggi come allora, I Promessi Sposi, grazie alla trama complessa, non sposano certamente il tempo , Il Gattopardo si gusta ancora come un capolavoro che ha filmato la Storia profetizzandola.
Opere dove “l’armonia delle parti” raggiunge un risultato di bellezza estetica oggettiva. Non è facile.
Vanessa e Maria Lucia siete d’accordo con me?

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 17:35 da Rossella


@ Annalisa Stancanelli. Grazie Annalisa, anche il tuo romanzo è decisamente intringante!
Oltretutto, abbiamo decisamente qualcosa in comune: abbiamo scritto entrambi su un genio. E ho già accennato a quanto sia difficile. Sul tema dell’immedesimazione con il personaggio sono pertanto tenuto a dire anch’io qualcosa. Devo confessare che raramente resisto alla tentazione di inserire qualcosa di me nei miei protagonisti inventati o poco noti(perlomeno quelli positivi o non del tutto negativi…). Naturalmente, con Cesare non ho osato! Ne consegue che io, i personaggi noti, li affronto, o tento di affrontarli, con un certo distacco, cercando di individuarne prima i tratti salienti e più caratteristici e poi cercando di mantenermi coerente con l’immagine che me ne sono fatto. La mia formazione di storico, in questo, probabilmente mi aiuta. Il mio Cesare è, nel primo libro della trilogia (L’ombra di Cesare), un individuo privo di scrupoli, ma sinceramente convinto di essere il solo uomo in grado di risolvere tutti i mali di Roma, e un genio capace di pianificare le sue mosse e le relative conseguenze di lì a dieci anni, nonché di gestire più situazioni contemporaneamente. Nel secondo (Il nemico di Cesare) mantiene ancora queste caratteristiche, e inizia a raccoglierne i frutti, mentre nel terzo (Il trionfo di Cesare), deve fare i conti con il proprio declino psicofisico e con gli spettri che lo perseguitano, arranca, si confonde, e non è più in grado di uscire dalle situazioni più spinose se non con l’aiuto altrui (quest’ultimo elemento costituisce il vero colpo di scena della trilogia e una nuova teoria storiografica, con basi documentarie che ritengo solide). E’ il paradigma della parabola del potere, un tema che mi interessa molto e che affronterò ancora nei miei prossimi romanzi.
Molti ritengono che i veri protagonisti della trilogia siano in realtà i due Labieno, padre e figlio, dapprima con lui e poi contro di lui; di sicuro, hanno quasi altrettanto spazio, anche se Cesare è sempre presente perfino quando non è in scena, dividendo costantermente gli animi tra chi lo ama senza riserve e chi lo odia visceralmente.

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 19:34 da andrea frediani


@Andrea Frediani
Leggerò al più presto i tuoi libri, mi affascina da sempre il personaggio di Cesare e sto per dedicarmi a Cicerone di conseguenza il contesto di cui ti occupi sarà anche il mio; nel caso di Archimede era facile immedesimarsi perchè su di lui non si sa nulla di preciso, come ha rimarcato lo storico siracusano Nello Amato l’unica fonte scritta riporta
ARCHIMEDE, FIGLIO DI FIDIA, L’ASTRONOMO
e proprio Fidia sarà la chiave di volta del mistero finale del mio libro
gli ho dato un carattere e dei comportamenti che si distaccano a volte dallaneddotica per poi scoprire a posteriori che erano veramente i suoi dagli studi di Amato sulle lettere dedicatarie dei trattati agli amici; forse a secoli e secoli di distanza Archimede mi chiamava..

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 20:52 da annalisastancanelli


Ti chiamava? Si starà rivoltando nella tomba per quello che gli hai combinato.

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 21:08 da Salvo Zappulla


Cari amici, ancora grazie per i vostri nuovi commenti.

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 22:10 da Massimo Maugeri


Ieri mi ero dimenticato di dare il benvenuto a Viviana, approdata da poco in questo porto.
Cara Viviana, rimani qui e non salpare…

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 22:12 da Massimo Maugeri


Ringrazio Annalisa per i brani offertici. E ne approfitto per risalutare Maria Lucia e Salvo.

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 22:12 da Massimo Maugeri


Cara Rossella,
sai bene che non hai bisogno di alcun permesso da parte mia. ;)
Per me sei la voce critica delle “arti figurative” di questo blog, e in quanto tale sei particolarmente preziosa.
Le cose che hai scritto sono molto interessanti.

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 22:14 da Massimo Maugeri


@ Andrea Frediani
Credo che “il paradigma della parabola del potere” che affronti nei tuoi romanzi sia quanto mai attuale, n’est-ce-pas?
;)

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 22:16 da Massimo Maugeri


A tutti voi, una serena notte.
(Domani ripartirà il “carnevale letteratitudiniano”).

Postato venerdì, 4 marzo 2011 alle 22:16 da Massimo Maugeri


Bello cominciare la giornata mettendo un commento su Letteratitudine!
@Salvo Zappulla. Ne “La sorella di Mozart” i versi in rime baciate-strofinate del barone, volutamente ridondanti e orribili, sono miei. Ora ti prego non dirmi che ti son piaciuti! ;-)
Per il resto, tra tutti gli argomenti di carattere generale che sono stati trattati finora, quello che mi ha maggiormente colpita è il “giudizio” dell’autore sui personaggi e/o sui loro comportamenti. Argomento che, naturalmente, prescinde dall’ambientazione storica nonché dal fatto che quei personaggi siano realmente esistiti e quelle azioni siano state effettivamente compiute (quindi se vogliamo va al di là del genere oggetto del dibattito). Sottoscrivo la precisazione di Alfredo Colitto e anche quanto affermato dal prof. Emilio. Avere un punto di vista è indispensabile (e non solo per scrivere: per vivere) così come un sistema di valori (idem), mentre stabilire a tutto tondo cosa sia giusto e cosa sbagliato, e raccontare questo proprio giudizio anziché i fatti e le emozioni che li determinano, mi sembra un obiettivo obliquo.
Buon fine settimana e grazie a tutti.
PS. Se qualcuno in questi giorni si sveglia alle 6 del mattino, come accade a me, la mattina di domani, domenica, quel qualcuno potrebbe ascoltare Radio 3. A “Qui comincia” Anna Menichetti, storica della musica, parlerà del mio romanzo. Dopodiché il programma andrà sul podcast (http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-d136572a-1d22-4a3a-b84a-a7e70e0fb42a.html)
Ari-buon fine settimana a tutti e a presto comunque.

Postato sabato, 5 marzo 2011 alle 08:12 da Rita Charbonnier


grazie per l’accoglienza.

Postato sabato, 5 marzo 2011 alle 08:57 da vanessa


Rossella, sì, sono d’accordo con quello che dici. ciao.

Postato sabato, 5 marzo 2011 alle 08:57 da vanessa


Ho seguito il dibattito senza intervenire, da semplice spettatore.
E da semplice spettatore ( e lettore ) desideravo ringraziarvi, perché mi avete tenuto compagnia discutendo di argomenti che mi interessano. Grazie.

Postato sabato, 5 marzo 2011 alle 10:39 da Riccardo Vanelli


E’ bellissima la discussione che si è sviluppata sul “giudizio” dato ai personaggi.
Credo che del giudizio, in lettertura, dìa una meravigliosa spiegazione Salvatore Satta, ne “il giorno del giudizio”, Adelphi.
Questo autore sardo, tra i più grandi commentatori del codice di procedura civile, notaio e fine giurista, è stato forse il più acuto interprete dell’arte del “giudicare”.
Esperto in leggi, abituato alle aule di giustizia , alla carta bollata, ai grovigli di commi e codicilli, aveva infine compreso che il giudizio – che tanto affanna gli uomini nel loro cuore e i tribunali – non è che il supremo atto di consapevolezza di chi lascia la vita e la racconta.
Il giudizio finale è allora, soltanto, una grandiosa evocazione dei morti, delle loro storie, del commiato e dell’eredità che segnano sui calendari, del risultato finale delle loro esistenze raccolte da un pietosissimo becchino che ne registra vuoti e pieni, lacrime, errori, speranze.
«Bisogna svolgere la propria vita sino al momento in cui si cala nella fossa. E anche allora bisogna che ci sia uno che ti raccolga, ti resusciti, ti racconti a te stesso e agli altri come in un giudizio finale», dice Satta.
Il giudizio dei vivi sui morti, allora. Ma con la consapevolezza che quei morti farai presto a raggiungerli, che nella loro conclusione ti somigliano e ti interpretano, in un rimando che non è più solo di chi scrive, ma soprattutto di chi – raccontando – viene raccontato.
Questo dovrebbe essere il giudizio dello scrittore sui personaggi. Una distanza ormai solcata dalla soglia e quindi tremante di compassione. Un’evocazione che supera il tempo e lo restituisce osteggiando la fine con la parola. Uno sguardo ormai trasognato sulle illusioni del mondo, stanco della vanità, levigato dal dolore, arreso alla fragilità della vita e – tuttavia – mai veramente convinto di dover cedere il passo alla morte.
Dice ancora Satta:

«Poiché non ho saputo accettare la prima condizione per una buona morte, cioè l’oblio».

Postato sabato, 5 marzo 2011 alle 11:13 da simona lo iacono


@SALVO ZAPPULLA
Archimede si rivolta nella tomba ogni volta che qualcuno racconta come è morto per sbaglio!
E se con un romanzo riuscissimo a dare una scossa alle ricerche sulla vera tomba di Archimede?
chissà

Postato sabato, 5 marzo 2011 alle 12:09 da annalisastancanelli


@massimo.
scusa la latitanza ma ero in giro a parlare di medioevo. presto metto qui quanto mi hai chiesto. su youtube non mi trovi perché io non mi ci metto e se qualcun altro lo fa chiedo di rimuovere il video.

Postato sabato, 5 marzo 2011 alle 16:13 da marco salvador


@ Simona Lo Iacono
Ho dovuto leggerti e rileggerti per ben due volte, soffermarmi sulle tue frasi e su Salvatore Satta: però alla fine ho capito l’occhio con il quale inviti a giudicare l’umanità, forse, giustamente, un pò “truccato” , ma tuttavia schietto e diretto alla compassione. Alla fine chi conosce e non si arrende all’oblìo, soffre terribilmente per costruire la propria immortalità.
Saluti
Rossella

Grazie Massimo

Postato sabato, 5 marzo 2011 alle 18:17 da Rossella


@simona.
complimenri per l’ultimo post.

Postato sabato, 5 marzo 2011 alle 18:58 da marco salvador


Mentre alcuni passi del mio ultimo romanzo aspettano il placet di Massimo, due riflessioni sulla finalità dello scrivere e, soprattutto, sull’ambientare le storie in un passato più o meno lontano. Io sono amico di Cecilia Scerbanendo, la figlia di Giorgio padre spirituale dei moderni giallisti italiani. Da lei, in riferimento al padre, ho scoperto che si può scrivere quotidianamente pure con l’unico scopo di intrattenere. Soprattutto quando si ha una famiglia sulle spalle. Ma analizzando le novelle cosiddette “commerciali” di Giorgio, in esse si coglie una nascosta “poetica” comune ai suoi testi di maggior impegno. Perciò io dubito che, nonostante l’impegno in negativo, uno possa totalmente celare quanto di profondo lo spinge alla scrittura. Se essa è necessità dell’animo, a prescindere dallo scopo cui è indirizzata, inevitabilmente lo stesso emerge. Io, ad esempio, ho due “scimmie” sulla schiena e, non importa cosa scriva, esse mi obbligano sempre a indagare l’una su perché il potere quasi sempre corrompa e l’altra su quale sia il limite raggiungibile della felicità umana nonché la sua palingenesi. Per evitare dunque fumose e noiose (almeno per il lettore) elucubrazioni sul mio minuscolo potere e sulla mia più consistente felicità, e per raggiungere una maggiore oggettivazione, preferisco analizzare l’uno e l’altra nei morti che la storia o i documenti (fossero questi anche semplici lastre sepolcrali) mantengono in “vita”. In sintesi, “volgi all’indietro, dove la morte non camminerà mai più perché regna l’immutabilità del già accaduto”. Poi, in quale lealtà e con quale pietas uno tratti le vite degli altri, seppur concluse, dipende di quali e quante sovrastrutture ideologiche è schiavo. Insomma ci può essere la faziosità dantesca della Commedia o la poetica innocenza di Edgard Lee Masters con il grande affresco storico de ‘L’antologia di Spoon River’.

Postato sabato, 5 marzo 2011 alle 19:43 da marco salvador


come tutti i mie romanzi, anche ‘l’erede degli dei’ è il riflesso di una realta in quello specchio lontano che è la storia. sempre indagando da un lato il potere e i suoi meccanaismi e dall’altro l’essere umano nella sua ricerca della felicità.

(INCIPIT)
L’appuntamento era nei pressi delle sorgenti del fiume Tartaro, dove la strada lascia i pascoli assolati per ridursi a sentiero e la vegetazione infittisce fino a diventare un bosco paludoso e oscuro. Dove un antico olmo, tempio d’un dio dimenticato, affonda le radici nell’acqua sorgiva e incombe su un’edicola dedicata a San Cristoforo.
Il baio di fra Tebaldo brucava libero lungo il ciglio di un ruscello, la bianca croce dei Cavalieri Ospitalieri dipinta sulla groppiera scarlatta. Legai il mio palafreno a un acero e cercai con lo sguardo il precettore di Valeggio. Vidi i suoi piedi sporgere dall’edicola e mi avvicinai cauto, pronto a mettere mano alla spada temendo fosse stato vittima di un qualche tradimento. Invece stava pregando, in ginocchio, e dovetti attendere il tempo di una Salve Regina prima che si alzasse. Uscì ripulendosi le brache dalla polvere e subito chiese: “Come sta Cangrande, messer Corrado?”.
Sono abituato ai modi bruschi di fra Tebaldo e alla sua apparente rozzezza, e anch’io omisi i convenevoli: “La salute è ottima, monsignore. Però, fra le tante preoccupazioni, ora ha pure il motivo di questa vostra urgente e segreta convocazione.”
Era circa il mezzodì. Una lama di sole s’incuneava tra le fronde più alte dell’olmo colpendo fra Tebaldo in viso e obbligandolo a strizzare gli occhi. M’indicò un tronco abbandonato all’ombra di un alto sambuco: “Andiamo là e capirete sia l’urgenza sia la segretezza”. Una volta seduti l’uno accanto all’altro sulla corteccia umida e muscosa, aggiunse: “Quali sono le ultime informazioni giuntevi da Mantova?”.
(…)
Si stavano dirigendo verso palazzo Bonacolsi come se avessero intenzione di allertare Passerino. Finalmente alcune finestre del palazzo si aprirono, i servi cominciarono a sporgersi per guardare giù parlando e gesticolando animatamente fra loro. Si aprì anche l’ingresso principale e uscirono degli armigeri. Si guardarono attorno e rientrarono rapidi. Mio Dio, pensai, la città non risponde. Nello stesso momento la campana del comune iniziò a suonare a martello e da tutte le vie sbucò gente.
“Viva Mantova! Abbasso Passerino e le sue gabelle! Viva i Gonzaga!” urlavano.
Non erano moltissimi, ma facevano un tal baccano da innervosire perfino i nostri cavalli. Intanto Luigi e i suoi arretravano ponendosi davanti al palazzo del Capitano, e suoi sostenitori aumentavano di attimo in attimo. Fecero la loro comparsa anche i primi fedeli di Passerino e iniziarono ad aggredire e spintonare. In breve la zuffa s’infiammò, si udirono i primi cozzare di lame, le prime grida di dolore. Poi le porte di palazzo Bonacolsi si spalancarono e Passerino uscì in groppa a un palafreno roano. Era da solo e in quel momento ne ebbi la certezza: lui, una rivolta, non l’aveva neppure immaginata.
Dovevano averlo appena svegliato. Era vestito sommariamente con brache e camicia, senza spada al fianco. Cominciai ad avanzare lentamente. Ero troppo lontano per cogliere la sua espressione, ma udii la sua voce, tanto forte da sovrastare il chiasso:
“Cosa diavolo sta accadendo? Dov’è il pericolo?”
Era arrivato nel mezzo della piazza e continuava a guardarsi in giro come se non sapesse da quale parte dirigersi. La gente vicina a lui, anche la più scalmanata, zittiva e si immobilizzava, gli faceva largo impaurita. Dalla parte del palazzo comunale arrivò di corsa un plotone di fanti, le lance puntate ad altezza di cuore. Passerino vide Luigi e i suoi, scorse me e finalmente iniziò a capire ciò che stava accadendo. Lanciò un ruggito portandosi la destra al fianco, si accorse di essere disarmato e volse il cavallo in direzione del duomo. Avanzò solo di pochi passi. Da quella parte si erano posizionati gli uomini delle corporazioni, armati di picche. Allora drizzò il busto e puntò dritto su Luigi. La piazza zittì del tutto e lui, senza timore e ignorando chi sfiorava, sul volto la durezza e l’impenetrabilità di chi si accinge a giustiziare un criminale, giunto a neppure tre passi dai Gonzaga scandì:
“Come osate sollevare il popolo contro di me?”
“Voi non siete più il signore che abbiamo amato, siete diventato un tiranno” rispose Luigi con voce non proprio ferma.
“E voi un traditore, un cane rabbioso che cerca di mordere la mano che l’ha nutrito.”
“Vi prego, evitate spargimenti di sangue e arrendetevi” implorò Luigi con voce ancora più malferma. “Nessuno vi toccherà e sarete trattato con il dovuto rispetto. Ve lo giuro sul mio onore.”
“Quale onore? Voi non siete un uomo d’onore. Voi siete un uomo morto!”
E dicendo questo Passerino girò il cavallo fino a metterlo di fianco a quello dell’avversario. Avanzai ancora insieme ai miei uomini, le spade sguainate, e ci fermammo a non più di dieci passi da Passerino. Lui alzò lentamente la mano destra, afferrò al collo Luigi e iniziò a stringere. Ero ammirato dal coraggio del vecchio condottiero e nello stesso tempo allarmato dal comportamento di chi pretendeva di diventare il nuovo signore di Mantova. Passerino stringeva e Luigi, paonazzo e paralizzato dalla paura, continuava a non mettere mano alla spada.
Marzio si piego verso me, preoccupato: “Dobbiamo intervenire?”.
Scossi la testa, senza staccare gli occhi dai due nemici. Era una scena assurda. Ancora qualche attimo e Passerino avrebbe strozzato Luigi con una mano sola, senza che neppure i figli intervenissero. Se questo fosse avvenuto, chi avrebbe avuto più l’ardire di ribellarsi?
Nelle ore successive ho udito molti chiedersi quale fosse stato il motivo di un tale comportamento, e i più lo attribuivano a vigliaccheria. Non è così. I Gonzaga avevano sinceramente amato Passerino per un’intera vita, l’avevano ammirato, rispettato e temuto. Non è facile spogliare qualcuno della sacralità della quale noi stessi lo abbiamo rivestito. Certo, Passerino era pur sempre solo un uomo; ma anche il crocefisso è solo un pezzo di legno, eppure chi oserebbe piantare il suo pugnale fra le costole scolpite?
A provocare la svolta negli eventi fu Alberto da Saviola. Udendo Luigi emettere un gemito roco, smontò da cavallo con la spada in pugno, si avvicinò di corsa a Passerino e lo colpii al fianco destro. Non emise un gemito, ebbe solo una smorfia e per un attimo si piegò in avanti serrando gli occhi. Quindi guardò prima Alberto e poi la camicia che andava inzuppandosi di sangue. La mano lasciò il collo di Luigi, scivolando lenta sul petto del Gonzaga come accarezzandolo, e ricadde aperta e priva di forze. Afferrò le briglie con la sinistra e terreo in volto girò il cavallo. Lo spronò al galoppo verso il suo palazzo, travolgendo chiunque non riusciva a scostarsi in tempo. Nessun ebbe l’ardire di alzare la mano su di lui per tirarlo giù né tantomeno per colpirlo. Ma traballava sempre di più e a un certo punto sembrò cadere. Riuscì a reggersi mollando le briglie e afferrandosi con entrambe le mani all’arcione. Giunto quasi all’ingresso del palazzo, iniziò a vacillare di nuovo. Il cavallo proseguiva la sua corsa e, proprio nel momento in cui stava per varcare la soglia, Passerino sbandò e picchiò violentemente la testa contro lo stipite di pietra. Venne sbalzato all’indietro e un attimo dopo ruzzolò a terra. I militi e i servi di guardia all’ingresso fuggirono, senza neppure tentare di trascinarlo dentro l’androne.
Luigi e Feltrino non si mossero. Furono Guido e Filippino a balzare da cavallo e correre verso Passerino tallonati da Alberto. Feci un cenno a Marzio e, ancor prima che si formasse ressa attorno al ferito, ci disponemmo in modo da poter bloccare l’ingresso a palazzo Bonacolsi. Poi smontai anch’io e mi inginocchiai accanto a Passerino, spintonando via Alberto di Saviola. Giaceva prono, il viso di profilo, la fronte spaccata. Dalla bocca gli usciva una schiuma rossastra, gli occhi erano vitrei, la pelle giallognola e la pozzanghera di sangue sotto di lui si stava rapidamente allargando. Misi due dita sulla giugulare: Passerino era morto. Morto stupidamente e disarmato per mano di chi neppure considerava degno di essere salutato per primo quando lo incrociava. Uno degli dei, uno degli uomini più potenti d’Italia, giaceva fra il lerciume della strada.
(….)
Come doveva essere il mondo prima che l’uomo lo lordasse, così si può definire l’Istria. Un compendio della terra che dalle scogliere d’occidente a quelle d’oriente, fra colli, monti e dirupi, nel fitto dei boschi e nelle oscurità delle grotte, racchiude molti segreti. Conoscerla è come spiare nell’officina di Dio, uno sfiorare i misteri della vita e della morte, un tremare davanti a sublimi bellezze e indicibili orrori. Anche se ci arrivai d’inverno, anche se ero solo un ragazzo, l’amai subito. Forse per questo, giunto in vista di Pisino, temetti di essermi imbattuto in un’ingiuria del maligno.
Mi accompagnavano due soldati e un messaggero con lettere e ordinanze, e mi stupii nel vederli rasserenarsi guardando le lunghe mura merlate che racchiudono in un’elisse il castello e i borghi, con cinque torri, allineate al poderoso mastio, piantato sul ciglio di un precipizio. Il tutto nudo, privo di qualsiasi linea che non fosse orizzontale e verticale ad ammorbidirlo, non una bandiera o una finestra dai vetri colorati a rompere l’uniformità grigia della pietra. La mia mente andò subito ai racconti di Mainardo su Giovanni, il capitano del castello, e mi venne la pelle d’oca. Come se stessi per entrare nell’inferno e incontrare Satana.
(…)
Anche se l’ordine proveniva da tali potenti, farlo eseguire non fu facile. Il pievano e i suoi cappellani asserivano di aver bisogno del permesso almeno del vicario vescovile e di dover prima indagare se la tomba avesse proprietari ancora in vita. Allora Galeazzo mandò uno dei sacrestani a chiamare il podestà nel vicino palazzo del Comune. Nel frattempo lasciammo la casa presbiterale e andammo nella chiesa di Santa Maria, molto grande, e antica e con tre navate. Era deserta, appena rischiarata dal lume davanti al ciborio e dalle tre lucerne appese all’arco trionfale. Il piccolo corteo, aperto da Galeazzo e chiuso da un diacono piccolo e segaligno, pareva una processione. Nere figure avvolte in pesanti mantelli, facevano risuonare sulle pietre del pavimento il passo pesante del potere mentre altre scivolavano quasi volessero mostrare un silenzioso disappunto. Mi guardai in giro e nonostante l’oscurità, senza chiedere nulla ai preti, individuai la tomba a pochi passi dalla nicchia dove si apriva una porta dai grossi catenacci. Mi fermai a un passo dalla lastra marmorea e la indicai:
“Se non ricordo male, se mio nonno non si è confuso, dovrebbe essere questa”.
Rimanemmo silenziosi in attesa del podestà, in una penombra tanto cupa da non poter distinguere i lineamenti del vicino. Giunse trafelato, seguito da un cancelliere e due consiglieri. Il sacrestano doveva avergli anticipato il motivo della chiamata perché, dopo aver ripetuto ‘se si può vi si verrà incontro’, chiese una fiaccola per controllare l’iscrizione sulla pietra tombale. Era certo, diceva, che si trattava di una tomba inutilizzata da almeno cinquant’anni avendone lui sessanta e non ricordando sepolture. Il cancelliere e i consiglieri annuivano e confermavano. Gli portarono una fiaccola ed egli illuminò l’iscrizione: sospirando, soffiando, facendo pause e borbottando, passò l’indice sulle lettere consumate da migliaia di passi e quindi si rivolse al cancelliere:
“Controllate anche voi, ser Battista. Credo ci siano scritte le parole odoricus cremensis. Mai sentito nominare. Il secondo numero della data mi pare un due”.
Il cancelliere ci mise più tempo e attenzione, quindi sentenziò:
“Odoricus Cremonensis et, con la data 1231. Il resto non si legge”.
“Reverendissimo, per me si può aprire” decise il podestà.
Il pievano capitolò:
“Non sarò io a oppormi se a voi va bene e se è per rendere onore a un amico del signore di Milano. Domani chiamerò…”
“Non domani. Deve essere fatto subito” lo interruppe Galeazzo.
Ci fu un’ulteriore discussione, ma alla fine un cappellano andò a chiamare i becchini e un altro i vicari imperiali. Arrivarono quasi contemporaneamente, e mentre i primi toglievano con lo scalpello la sporcizia accumulata fra la lastra e il pavimento e negli anelli in cui passare le corde, i secondi si disposero attorno alla tomba. Pregavo con la mente, agitato per il macabro spettacolo che avrei avuto presto davanti e per paura di apparire bugiardo. Mi stava nascendo dentro una frenesia, il desiderio di poter anche solo toccare un osso di chi, fino a quel momento, era stato nella mia casa e nella mia vita una presenza costante seppur invisibile. Il poter essere il primo, dopo mio nonno, a toccare Ezzelino stava diventando un’impellenza.
Finalmente i quattro becchini passarono le corde negli anelli, le legarono a due grosse pertiche e cominciarono a issare, due per parte. La lastra resistette, poi si mosse stridendo. Si alzò da un lato e dall’altro dondolando. I becchini piegarono le ginocchia, si misero le pertiche in spalla e sollevarono la lastra di due palmi. All’ordine di uno, fecero un passo in avanti e i preti si scostarono. Due passi, tre, e con un colpo sordo, quasi un boato, poggiarono la lapide sul pavimento. Per alcuni attimi si udì solo l’ansimare dei becchini. Gli sguardi di tutti erano piantati nel rettangolo nero del sepolcro aperto. Avanzai e guardai dentro. Non si vedeva nulla. Matteo Visconti strappò la fiaccola di mano al podestà, si inginocchiò sul bordo della tomba, allungò il braccio dentro e guardò.
“Mio Dio onnipotente e misericordioso!” esclamò.
Non mi mossi. Gli altri mi passarono davanti e ci furono esclamazioni di sorpresa, di timore. Il pievano si fece il segno della croce e si ritirò con un balzo. Uno dei cappellani si mise entrambe le mani aperte davanti alla bocca. Passerino disse:
“Non può essere. Quest’uomo non può essere stato sepolto sessant’anni fa”.
Cominciavo ad aver paura, ero frastornato e non avevo il coraggio di farmi avanti. Sentii una mano afferrarmi per un braccio e tirarmi. Era Matteo Visconti, e mentre lo faceva sussurrò:
“Figliolo, guarda”.
I bagliori della fiaccola facevano sembrare il sepolcro un forno fiammeggiante. In fondo, su un letto di ossa scomposte, giaceva un uomo come se dormisse. Il volto, circondato da una fitta barba rossastra, era legnoso, color del cuoio vecchio, con i lineamenti ben scolpiti. E così le mani incrociate sull’elsa della spada. Di una gamba, dove la tunica era marcita, si vedeva la rotula; l’altra pareva non esserci. Sul petto luccicava un collare con il medaglione d’oro e sul capo calvo c’era un cerchio anch’esso d’oro. Mi parve di avere davanti la mummia di mio zio Rosso, la stessa forma del volto, lo stesso naso. Dentro di me gioia, commozione e timore; tutti assieme mi davano dolore. Non riuscii a trattenere un singhiozzo e caddi in ginocchio. E s’inginocchiarono pure Cangrande e Passerino. Matteo quasi gridava:
“Ecco, ecco la prova delle menzogne! Il suo corpo incorrotto ne è la prova. Non un tiranno, ma un santo. Sì, Ezzelino era un santo. Altrimenti l’Onnipotente non avrebbe preservato il suo corpo dalla dissoluzione e dai vermi!”.
A udire il nome di Ezzelino, i preti si ritirassero in gruppo nella navata centrale, e quando ebbi ripreso il controllo di me vidi Matteo raggiungerli e parlare animatamente con loro. A un tratto ci girammo tutti, perché lo sentimmo urlare:
“Come osate chiamarlo tiranno e scomunicato?”.
Lo raggiunsi rapido, senza che nessuno me lo chiedesse, e guardando negli occhi il pievano dissi:
“Reverendo padre, mio nonno era qui e ripeto le sue parole. Sulla mia anima. Prima di morire Ezzelino si è confessato ed è stato assolto. Da un frate di Padova, da un custode della tomba del santo Antonio”.
Il pievano agito le mani davanti al viso, come a scacciare una bestemmia.
“Non basta la vostra parola, signore. Non basta!” ripeté.
Intanto anche Cangrande si era avvicinato e, dopo aver ascoltato, mise una mano sotto il mantello, ne estrasse una borsa piena di monete, l’agitò per far udire il tintinnare dell’oro e la tese al pievano dicendo con voce melliflua:
“Per i poveri, pievano”.
Arrivò pure Passerino e anche lui tese una borsa:
“Per tutti i lumi, i ceri e le candele che riuscirete a portare qui. Subito”.
Il pievano si fece altero, si rizzò sulle spalle e disse:
“Però a porte chiuse. Credo a questo giovane cavaliere, ma a un parte del popolo di Soncino potrebbe sembrare un sacrilegio”.
“Il sacrilegio lo fate voi… e se non ubbidite potrei farlo io” gli gridò Matteo Visconti mettendo il suo viso a un palmo da quello del povero pievano, il quale impallidì a tal punto che temetti di vederlo stramazzare a terra.
In breve attorno alla tomba ci fu ogni tipo di luminaria e la chiesa risplendeva tutta. Il pievano e i suoi cappellani, indossati i paramenti sacri, recitarono preghiere sul corpo di mio bisnonno, seguite da una messa solenne. Si era fatta notte alta e prima di richiudere il sepolcro ci misero una scaletta e uno alla volta scendemmo per recitare una preghiera toccandolo una preghiera. Scesi per ultimo e rimasi a lungo. Volli imprimermi nella mente il volto di Ezzelino che ancora oggi è scolpito in me come nella pietra. Appena risalito, Matteo mi sussurrò:
“Volete la spada del vostro avo? Vi spetterebbe di diritto”.
Il desiderio di averla era forte. Ma ciò che è dei morti deve restare ai morti, così mi avevano insegnato, e con grande delusione del signore di Milano, pronto a prendersi anche lui una reliquia, dissi di no. Da quel momento tutti i presenti al placito mi trattarono da amicopari. Non importava se loro erano signori di città e castelli e io un giovane cavaliere nato in uno sperduto luogo del Friuli; ero carne e sangue di Ezzelino, l’erede di uno dei loro dei. La giovane età e l’incoscienza che sempre l’accompagna resero facile adeguarmi e non provai disagio per tanto onore.
(…)
Sottoscritti i patti, subito Cangrande inviò messi ad annunciare a tutte le città a lui soggette e a quelle alleate la presa della Marca, e gli amici iniziarono a chiamarlo sire e i nemici a tremare. Come aveva profetizzato alla sua nascita l’astrologo Scotto, era l’erede di Ezzelino. Per questo mi volle al suo fianco quando entrò trionfalmente a Treviso: io legavo in lui il passato al presente, ero la testimonianza visibile che quanto era stato proditoriamente frantumato finalmente e giustamente si era riunito. Ma il Signore altissimo umilia i potenti e innalza gli umili, e scelse Cangrande per mostrare all’intero mondo questa verità.
Era una giornata afosa e quando giungemmo alla porta dei Santi Quaranta, per fare l’ingresso trionfale rivestiti delle armature lucenti, le spade nei foderi e gli elmi poggiati sull’arcione, Cangrande compì un’azione innocente. Mi tese l’elmo, balzò giù da cavallo e affondo il viso in una fresca fontana detta di Sant’Agata. Bevve a lungo, assetato, schioccando soddisfatto le labbra. Quindi rimontò a cavallo, riprese l’elmo e si godette l’omaggio della città e dei suoi rappresentanti.
Avevano preparato per lui, i suoi capitani e me delle belle stanze nel palazzo vescovile. Là ci spogliammo delle armi, e i valletti ci preparano un bagno e le vesti per il banchetto organizzato dal vescovo Ubaldo. Quando fu l’ora, tutti scendemmo nel salone dove attendevano anche il prelato, il podestà Pietro dal Verme e i rappresentanti dei consigli della città. Eravamo allegri, affamati e scherzavamo sul ritardo di Cangrande. Poi venne il suo valletto e mi disse di seguirlo. Ricordo che Marsilio mi gridò dietro: “Digli di scendere anche in brache e camicia, purché si mangi!”.
Sedeva semivestito sul letto e con lui c’era Canzio, il medico. Era un po’ pallido, ma per nulla sofferente. Anzi, solo rabbioso. Il motivo lo compresi subito perché, neppure il tempo di chiedere cosa avesse, dovette correre alla comoda per scaricare il ventre. E dal puzzo della stanza non si trattava certo della prima volta. Mi scappò di sorridere e lui mi guardò torvo, mentre Canzio diceva: “Accaldato com’era non era proprio il caso di bere tutta quell’acqua fredda”.
Insomma, Cangrande non poté festeggiare a causa della dissenteria. Non riusciva proprio a lasciare la camera. A tutti parve solo una beffa e il banchetto si fece egualmente, con solo la delusione di alcune dame desiderose di conoscere il grande conquistatore. Né ci si preoccupò, vista la forza dell’uomo e la sua giovane età. Infatti, l’indomani mi occupai unicamente di far sì che Ugo e agli altri goriziani potessero partire con i loro averi senza nessuno a porgli intralci, e solo al calar della sera tornai da Cangrande. Era febbricitante, ma pure lui scherzò con me dicendo di voler far scrivere un poema sulla merda, più forte ed eroica di qualsiasi esercito da lui affrontato. Dormii placidamente fino a due ore prima del sorgere del sole, quando Canzio venne a svegliarmi con sul viso una grande preoccupazione. Non voglio farla lunga perché ancora duole. Il malefico flusso del ventre, iniziato il diciotto di agosto, nonostante le pozioni di digitale somministrate da Canzio, il ventiduesimo giorno di agosto del 1329 gli fermò il cuore ed egli giacque morto. Così seccò anche il mio ultimo perindeo, e da quel giorno non ebbi più ombra dove trovare protezione.

Postato sabato, 5 marzo 2011 alle 19:44 da marco salvador


In linea di massima concordo con il Prof. Emilio (del quale sono un grande “fan”), e quindi con Colitto: il romanzo deve fornire al lettore domande più che non risposte (compito, per quanto possibile, della storiografia), e deve (ma anche qui in linea di massima, e per quanto possibile) astenersi dal giudizio del personaggio storico (anch’esso compito della storiografia).
Sottolineo quel “per quanto possibile”, perchè (ancora una volta) se è compito della storiografia il renderci un personaggio storico all’interno della scena storico-politica, spiegarcene i suoi comportamenti, e quindi in qualche modo tentare di stabilire “il giudizio della storia”, mi pare compito del romanziere quello di rendercelo “uomo in carne ed ossa”, con i suoi pensieri, le sue emozioni, le sue pulsioni, le sue passioni.
Si può fare questo senza giudicarlo in qualche modo ?
Credo ci si possa (anzi, si debba) provare, ma non sempre ci si riesca.
In questo Vanessa ha probabilmente ragione. Nel “riesumarlo” l’autore credo debba decidere se accettare di farne qualcuno/qualcosa “che cresce dentro di sè” (come descrive benissimo annalisa stancanelli) o tenerlo “lontano da sè”.
E questo probabilmente influenzerà i lettori a trovarlo positivo o negativo, simpatico o antipatico, a schierarsi prontamente dalla sua parte o meno.
Ma credo anche che quella “compassione” (come interpreta credo anch’io correttamente Rossella) di cui parla Simona rifacendosi a Salvatore Satta, possa essere effettivamente quella capacità del vero scrittore a renderci “umano” e quindi “vero personaggio di un vero romanzo” qualsiasi figura storica, anche negativa. Mentre il “tenerla lontana” ce la renderà sempre stereotipata, legnosa, monolitica, priva di quelle sfaccettature che un buon lettore dovrebbe sempre cercare in un buon libro.
Solo l’umano è in grado di compenetrare l’umano. E a farlo suo. E così a resuscitarlo nella magica finzione del romanzo.

Postato sabato, 5 marzo 2011 alle 19:47 da Carlo S.


nel mio testo ci sono dei refusi. chiedo scusa, ma ho usato senza rileggere la versione pre-bozze.

Postato domenica, 6 marzo 2011 alle 17:08 da marco salvador


Cari amici, ancora grazie per i nuovi contributi.

Postato domenica, 6 marzo 2011 alle 23:22 da Massimo Maugeri


Grazie mille a Rita Charbonnier, Vanessa, Riccardo Vanelli…

Postato domenica, 6 marzo 2011 alle 23:22 da Massimo Maugeri


Quando si parla di “giudizio”, la parola passa di diritto alla nostra splendida Simona (che non per nulla è titolare della rubrica di questo blog: “letteratura è diritto, letteratura è vita”).
Grazie per il bel commento, Simo!

Postato domenica, 6 marzo 2011 alle 23:24 da Massimo Maugeri


Ancora Grazie ad Annalisa e a Rossella…

Postato domenica, 6 marzo 2011 alle 23:25 da Massimo Maugeri


@ Marco Salvador
Caro Marco, come hai visto ho recuperato i brani che avevi inserito.
Grazie per averceli offerti!

Postato domenica, 6 marzo 2011 alle 23:26 da Massimo Maugeri


(Ancora per Marco Salvador)
Scrivi: ” su youtube non mi trovi perché io non mi ci metto e se qualcun altro lo fa chiedo di rimuovere il video”.
-
Confermato: sei un timido!
;)

Postato domenica, 6 marzo 2011 alle 23:27 da Massimo Maugeri


@ Carlo S.
Carlo carissimo, il tuo commento del 5 marzo 2011 h. 7:47 pm suona come una sintesi perfetta.
Bravo! E grazie per il contributo!

Postato domenica, 6 marzo 2011 alle 23:28 da Massimo Maugeri


Beh intanto scusate arrivò con una ritardo quasi fuori limite
Dicono che anch’io faccia parte di quelli che scrivono romanzi storici.
E nel mio ultimo, L’uomo dagli occhi glauchi Corbaccio, il carnevale sia di Venezia che di Roma nel 1500 fanno da cornice e da comprimari
Abitualmente scrivo romanzi storici nei quali mischio personaggi reali e quelli di fantasia.
I reali a mio vedere devono sempre seguire un percorso plausibile secondo la loro storia, quelli di fantasia spesso utile escamotage per portare avanti un intrigo, il romanzo vero e proprio.

Postato lunedì, 7 marzo 2011 alle 08:38 da patrizia vdebicke


@massimo.
no, mi ostino a credere che uno scrittore debba farsi conoscere con la parola e non creandosi un personaggio ad uso dei media. per questo, ci fosse un youradio, mi ci troveresti in abbondanza. ma queste son fisime mie e ognuno ha il ditto di agire come crede. omnia munda mundis.

Postato lunedì, 7 marzo 2011 alle 12:29 da marco salvador


sono d’accordo sul fatto che lo scrittore debba farsi conoscere con la parola. ma cosa c’è di male se la parola, nel presentare un libro, viene accompagnata dall’immagine?
se ci fosse qualcosa di male bisognerebbe pure evitare che gli scrittori vadano in giro a presentare i libri. oppure dovrebbero farlo da dentro un burqua? :)

Postato lunedì, 7 marzo 2011 alle 12:45 da antonio valastro


@antonio valastro.
calma, amico. nulla di male.
come ho scritto, è solo una mia fisima.

Postato lunedì, 7 marzo 2011 alle 15:55 da marco salvador


@ marco salvador
la mia era solo una battuta, giusto per sorridere. ma credo che, al di là dello scherzo, la sua posizione sia più che legittima.
oggettivamente viviamo in un contesto che tende a “mediatizzare” tutto. ben vengano scrittori come lei.

Postato lunedì, 7 marzo 2011 alle 16:45 da antonio valastro


Gentilissimo Massimo, lettori, scrittori ed opinionisti tutti, grazie per la sensibilità e la possibilità di ospitarci tra le parole dei vostri competenti post.
La Melino Nerella Edizioni è il marchio letterario della più scintifica MEDICALINK PUBLISHERS SRL che nasce nel 2004.
La Melino Nerella Edizioni da quando nel 2009 ha visto la luce ha cercato da subito di scrollarsi l’etichetta di editrice loco-regionale, in tal senso ha preso parte alla fiera del libro di Torino nel maggio del 2009 anche con due soli titoli in catalogo, Fiera di Chiari 2009 (sei titoli), Torino ancora nel 2010 (otto titoli) e Francoforte sempre nel 2010 (attuali 12 titoli).
Da gennaio del 2011 le cose sono notevolmente cambiate, si spera in meglio. Abbiamo chiuso la programmazione editoriale per l’intero anno con nuovi otto titoli, a partire dallo straordinario “ARCHIMEDE E IL MISTERO DEL PLANETARIO” che ben avete scandagliato della talentuosa Annalisa e, soprattutto, abbiamo stipulato un contratto con una agenzia stampa e di comunicazione Bolognese che ci accompagnerà nella produzione di una nuova e professionale Corporate identity che possa darci visibilità sulla stampa e sui media nazionali. Un bell’impegno economico ti assicuro, ma con delle idee molto chiare in merito!
Da gennaio è arrivata anche la distribuzione nazionale sia in libreria che con un progetto da edicola con start-up da giugno.
La nostra linea editoriale privilegia i generi Fiction, Giallo, Noir, Thriller Storico e Psicologico.
Tra le proposte del 2011 anche la formazione del catalogo estero con tre lanci; un’Agenda Lunare (che va dall’equinozio di primavera 2011 a quello del 2012) di sciamanesimo al femminile a cura dell’associazione nazionale DONNECONLEGONNE impegnata “per la consapevolezza corporea femminile e della sorellanza alla MadreTerra” (già stampata ma non ancora in commercio) tradotta dallo spagnolo della Psicanalista e sciamana ecuadoregna ANDREA HERRERA; poi un romanzo della rivelazioone catalana Joan Llluis Lluis, vincitore di diversi e prestigiosi premi tra la Spagna e lo stato di Andorra: e per finire una chicca per gli appassionati di letteratura russa. Per la fine dell’anno, infatti, è prevista la ri-apparizione (è proprio il caso di dire) nei cataloghi italiani, dopo un’inspiegabile assenza durata oltre 30 anni, di uno degli scrittori russi di fantascinza meno commerciali ma più amati dalla critica: Ivan Antonovic Efremov.
Pensa che fu pubblicato per la prima volta da Feltrinelli, credo nel 1963, e alcuni anni più tardi da Editori Riuniti. Poi… l’oblio… almeno fino ad oggi… quando siamo riusciti a ripescarlo con l’unica opera che non vide mai la luce della pubblicazione poichè a distanza di qualche mese dalla sua ultimazione, avvennuta nel 1972, l’autore scomparve improvvisamente.
Tra i romanzi italiani da sottolineare il ritorno del New-Burlesque in letteratura con “L’eredità del suonatore di campane” dello psicoterapeuta Giuseppe Lissandrello; il noir “Malanima mia” della due volte finalista tra la rosa degli autori italiani selezionati al Nobel, la “pasionaria” sarda Giovanna Mulas… e per finire un bellissimo thriller psicologico di un autore che tutti noi conosciamo bene, amico, vicinissimo, di cui non posso al momento svelare ancora il nome, ma che susciterà la solita simpatia e vicinanza che sempre riscuote tra diversi di voi.
Carissimo Massimo, ti ringrazio ancora per l’invito e sperando di non essere stato tedioso ma di aver fatto cosa gradita ai lettori, mi auguro di poterti incontrare presto per esprimere personalmente tutta la mia stima e simpatia.
Infine, e non certo per ordine di importanza, saluto la carissima e brillante Simona Lo Iacono, ringraziandola per quanto sta facendo per noi, contribuendo “con parole ed opere” al successo di ARCHIMEDE.
ULTIMO, invito tutti alla presentazione del medesimo testo che si terrà Sabato prossimo, 12 marzo, alle ore18.30, presso lo spazio antistante la Feltrinelli dell’AUCHAN di Melilli dove presenzierà, oltre l’Autrice, proprio la dr.ssa Lo Iacono; il tutto condito con sprazzi di lettura pubblica e buon jazz dal vivo. A presto
Silvio Aparo (Editore)
…semper ad majora

Postato lunedì, 7 marzo 2011 alle 16:49 da Silvio Aparo


NARRAZIONE, SCIENZA E FANTASIA
SPECCHI USTORI, MITO O REALTA’
Quando ho scritto il mio romanzo ho dovuto decidere se inserire gli specchi ustori che per gli storici sono leggenda, io, invece, ho pensato; se Archimede era in grado di progettare e costruire un organo ad acqua, una nave corazzata come la Syrakosia con due piscine, una per gli uomini, e una di abbellimento, se aveva le cognizioni per costruire la Manus Ferrea, baliste e catapulte giganti, e da anni studiava la luce perchè non era in grado di “pensare” ad un’arma che usava il calore?
ecco la storia

Nell’immaginario collettivo gli specchi ustori sono indissolubilmente legati all’assedio di Siracusa, durante il quale Archimede li avrebbe usati per bruciare le navi romane. L’episodio non è ricordato da Polibio (che è la fonte più attendibile sui congegni bellici ideati da Archimede durante l’assedio), né da Livio né da Plutarco, ma è riferito da varie fonti tarde. Ne parla per primo Galeno e poi Cassio Dione e vari altri autori, tra i quali i bizantini Giovanni Zonara e Giovanni Tzetzes, ma anche il barone von Riedesel che tentò un esperimento. Essi aggiungono particolari ai racconti più antichi, descrivendo gli specchi ustori come composti da una serie di specchi piani opportunamente orientati. I raggi del Sole concentrati dagli specchi in un unico punto sarebbero stati in grado di bruciare il legno delle navi romane. La struttura è costituita da almeno 24 grandi specchi piani, disposti in una figura esagonale su un graticcio ruotante su un palo fissato al terreno: lo specchio centrale serviva a dirigere il raggio solare riflesso sull’obiettivo, mentre gli specchi laterali venivano fatti convergere con un sistema di cinghie.

La struttura descritta da Zonara e Tzetzes viene rappresentata in una scena del film storico Cabiria, e attraverso questo film ha contribuito alla credenza nell’immaginario collettivo. Altre fonti, non accreditate, riportano la descrizione di specchi in bronzo da toilette in uso all’epoca: un migliaio di donne sugli spalti del porto ciascuna manovrando un singolo specchio con la mano, potevano dirigere il riflesso del sole sulle vele delle navi nemiche di passaggio nello stretto a sud di Siracusa, concentrando in un punto il riflesso di mille specchi dei raggi del sole.

L’antico uso bellico degli specchi ustori è poco credibile per vari motivi. In primo luogo il fatto che ne parlino solo autori tardi rende l’episodio molto sospetto. Alcuni hanno poi ritenuto impossibile ottenere con specchi temperature sufficientemente elevate (il legno ha una temperatura di autoignizione superiore ai 300 °C). Altri hanno sottolineato la difficoltà di costruire uno specchio parabolico con un fuoco così distante come dovevano essere le navi dalle mura di Siracusa. Poiché Archimede riuscì realmente a bruciare navi romane perfezionando armi da getto in grado di lanciare sostanze incendiarie, si è sostenuto che alla base della leggenda vi sia un’errata traduzione di una voce greca, che si sarebbe riferita a “sostanze incendiarie” e sarebbe stata interpretata erroneamente come “specchi ustori”. L’esistenza, tuttavia, di antichi trattati sugli specchi ustori e le testimonianze riportate sopra su Dositeo e Archimede suggeriscono la possibilità che la leggenda sia nata sovrapponendo il ricordo delle navi romane incendiate alla reale progettazione di specchi ustori destinati ad usi più pacifici

Non specchi ustori, dunque, secondo alcuni storici ma proiettili incendiari:
o addirittura qualcosa di diverso a cui pensò il secondo Archimede, secono me, italiano
LEONARDO
Recentemente in America hanno associato gli specchi ustori di Archimede ai cannoni a vapore di LEONARDO DA VINCI.

CHIEDO pertanto agli amici scrittori, vi è capitato nelle vostre storie di andare “contro” agli storici?

Postato martedì, 8 marzo 2011 alle 14:59 da annalisastancanelli


@Annalisa dolcissima. Non so se la domanda valga anche per me. Rispondo lo stesso: Io ho riscritto l’inferno di Dante, perché così com’era mi sembrava un po’ antiquato. (C’entra poco con la storia ma ho voluto dirlo lo stesso per farmi pubblicità)

Postato martedì, 8 marzo 2011 alle 22:54 da Salvo Zappulla


@salvo
Dante ti adorerebbe per quell’avventura

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 15:23 da annalisastancanelli


Carissima Annalisa,
bellissimo il tuo interrogativo! Credo che si basi sull’eterno alternarsi di verità e finzione.

Gli storici, scriveva Aristotele, parlano di quello che è stato (del vero), i poeti di quello che avrebbe potuto essere (del possibile). Ma il vero è il punto d’ arrivo, non un punto di partenza. Gli storici (e, in modo diverso, i poeti) fanno per mestiere qualcosa che è parte della vita di tutti: districare l’ intreccio di vero, finto e falso che è la trama del nostro stare al mondo. Realtà, immaginazione, falsificazione si contrappongono, s’ intrecciano, si alimentano a vicenda. Frammenti del nostro mondo gettano luce su frammenti di mondi lontani. Quindi…credo che anche nell’invenzione letteraria si lancino ipotesi, possibilità, agganci per una lettura del tempo. Molti libri di Verne hanno anticipato il futuro. Perchè dunque i romanzi storici non potrebbero svelare il passato, attraverso un’invenzione letteraria?
Ti bacio, mia cara, e aspetto di abbracciarti sabato, alla Feltrinelli, dove avrò il piacere di presentare il tuo libro.
Un affettuosissimo saluto anche al carissimo Silvio Aparo, che ringrazio per le parole di stima (che ricambio di cuore) e che con immensa gioia rivedrò tra qualche giorno.
A tutti una serata bella!
Simo

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 18:38 da simona lo iacono


Cari amici, vi ringrazio per i nuovi interventi e mi scuso per l’assenza… ma ho avuto qualche problema di connessione.

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 19:15 da Massimo Maugeri


Intanto dò il benvenuto a Patrizia Debicke van der Noot, anche lei autrice di romanzi storici.
Grazie per essere intervenuta, Patrizia.

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 19:23 da Massimo Maugeri


@ Marco Salvador
Mi pare una bella idea, quella di Youradio. ;)

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 19:24 da Massimo Maugeri


@ Silvio Aparo
Grazie per essere intervenuto!
Faccio tanti in bocca al lupo per il futuro delle edizioni “Melino Nerella”… nonché per la presentazione di sabato alla Feltrinelli di Siracusa.

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 19:25 da Massimo Maugeri


@ Annalisa Stancanelli
Grazie per il tuo nuovo intervento e per i tuoi approfondimenti.

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 19:26 da Massimo Maugeri


E grazie anche a Simona, a Salvo e a Antonio (per i loro interventi).

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 19:26 da Massimo Maugeri


Ho aggiornato il post (andate a vedere su), inserendo tra i libri protagonisti del dibattito il nuovo romanzo della già citata Patrizia Debicke.
Su Letteratitudine aleggia lo spirito di aggiungi un posto a tavola;-)
http://www.youtube.com/watch?v=DuK23O38REE&feature=related

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 19:30 da Massimo Maugeri


Il nuovo libro di Patrizia Debicke si intitola “L’uomo dagli occhi glauchi” ed è appena stato pubblicato da Corbaccio
-
Ecco una sintesi del libro…
-
Epilogo: Dicembre 1576. Il messaggero inviato dal Gran cardinale veniva da lontano e aveva viaggiato per mare. Il suo cammino era stato rallentato dalla stagione inclemente, dall’inverno che bussava alle porte…

Ancora un thriller storico per Patrizia Debicke, abituale frequentatrice del rinascimento con una calibrata ricostruzione ambientale a fare da scenario
Ma stavolta abbandona i Medici e fa scendere il suo protagonista da una splendida tela di Tiziano per attribuirgli un nome e una storia.
Dicembre 1545. In un’Europa lacerata dai conflitti religiosi tra cattolici e protestanti si apre il Concilio di Trento.
Il cardinale legato del papa, è un rivale pericoloso agli occhi di Enrico VIII.
Invidie, timori, giochi di potere, coinvolgono i potenti, pronti ad armare mani assassine…
L’ombra della follia e della crudeltà senile del monarca inglese, che libera i veleni e gli intrighi della sua corte, accompagnerà il viaggio in Italia di Lord Templeton, figlioccio e inviato del potente duca di Norfolk. La prima tappa sarà Venezia.
Lord Templeton vuole farsi ritrarre da Tiziano. Ma il suo ritratto nasconde un pretesto.
Nella fastosa cornice del primo ricevimento di Carnevale al Palazzo dei Dogi, Lord Templeton sventerà un complotto che vede coinvolta Angela Gradi, una bellissima cortigiana e salverà la vita al nipote del papa, il cardinale Alessandro Farnese.
Poi seguirà il Farnese a Roma, riuscirà a conquistarne la stima e l’amicizia ma cedendo alle lusinghe di una bella duchessa romana, presterà il fianco.
Qual è il suo segreto e il vero scopo del suo viaggio?
Messo alle strette, con un paggetto per guida nella tragica cornice dell’alluvione del Tevere che dilaga per le strade della città eterna, scoprirà finalmente le sue carte e cercherà di portare a termine la sua missione,
Ma il tempo vola e un piano infernale sta per scattare…
Romanzo coinvolgente, veloce in un susseguirsi di passioni, avventure, misteri e sorprese che vi stupiranno fino all’ultima pagina.
Spesso Templeton, il protagonista, cede il passo al suo coprotagonista, il Farnese. I personaggi principali e secondari sono veri, efficaci. Fa premio il senso del dovere e dell’amicizia. Il conflitto di religione e di idee annuncia il devastante avvicinarsi della controriforma.

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 19:36 da Massimo Maugeri


Patrizia Debicke van der Noot è nata a Firenze. Praticamente bilingue, ha terminato i suoi studi in Francia. Ha sempre viaggiato molto e vive tra l’Italia e il Lussemburgo col secondo marito Rodolfo Debicke van der Noot. Ha una figlia, Alessandra Ruspoli, nata dal primo matrimonio. Prima di approdare alla scrittura ha avuto esperienze lavorative in ambiti diversi. Appassionata di storia, ha al suo attivo romanzi storici e thriller: “Una foto dal passato”, “Ritratti di matrimonio”, “Il dipinto incompiuto”, “La tigre di Giada”, “Una seconda volta”, “Il gioco dei Menù”.

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 19:37 da Massimo Maugeri


Questo è il booktrailer de “L’uomo dagli occhi glauchi”…
http://www.youtube.com/watch?v=vxkrMw3BG0I&feature=player_embedded

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 19:38 da Massimo Maugeri


@ Patrizia Debicke
Pongo anche a te le domande del post (in parte hai risposto nel tuo precedente intervento)
-
1. Scrivere romanzi storici, può trasformarsi in una sorta di “gabbia” per lo scrittore (a seguito di possibili etichettature e/o per via delle aspettative dei lettori)?
-
2. Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?
-
3. Esistono pregiudizi sul romanzo storico?

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 19:39 da Massimo Maugeri


@ Patrizia Debicke
Come nasce “L’uomo dagli occhi glauchi”?
(Raccontaci qualcosa della sua genesi)

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 19:41 da Massimo Maugeri


mi piace lo spirito alla “aggiungi un posto a tavola”. e mi piacciono pure il pezzo e la commedia.
una commedia che ha fatto storia.

Postato mercoledì, 9 marzo 2011 alle 22:51 da laura


Sul discorso gabbia un pò sì forse. Si pensa di te come a uno scrittore storico e…
Ho scritto un pò di tutto anche romanzi quasi rosa… ma i miei libri che hanno avuto maggior successo sonbo stati storici. Oro dei Medici, Gemma del cardinale e, l’ultimo per ora, l’Uomo dagli occhi glauchi.
E poi finora ho parlato solo del 1500. Ma prevedo un’incursione del XIX e un’altra nel XV. Mah?
Già mi chiedo cosa accadrà quando cambierò secolo? Ma a parte gli scherzi. Viviamo in un mondo in cui l’etichettatura ti serve e ti nuoce. Vediamo di guardare i lati positivi, se ti fa leggere e non soffrire troppo quando la tua agente di dice da te ci si aspetta… e provo lo stesso a scrivere qualcosa di buono.
Poi mi consento delle piccolo diversioni nei racconti: fantascienza, thriller ecc, ecc.

Il rischio dei personaggi realmente esistiti è che imprigionano la fantasia in binari più stretti. Ma la storia è fatta da uomini che la vedono filtrata attraverso i pripri occhi e il proprio sentire. Quello che conta è che i personaggi veri agiscano in modo plausibile secondo quanto si conosce di loro. Non bisogna farne dei mostri o delle macchiette. il difficile se non l’impossibile per portare avanti la trama, l’affido a comprimari o a spalle ad hoc.

Pregiudizi sul romanzo storico? Forse sì, forse non s’immagina quanto un romanzo storico possa raccontare la vita (dare insegnamenti non credo. Gli errori altrui non hanno mai insegnato nulla) e porre davanti all’attualità. Tutto in una modo o nell’altro è gia accaduto.

L’uomo dagli occhi glauchi nasce da un bellissimo ritratto di Tiziano della Galleria Platina a Firenze che si chiama Ritratto di giovane inglese o l’Uomo dagli occhi glauchi. Ma in tanti secoli la sua identità è sempre rimasta sconosciuta.
Avevo due indizi. L’abito nero, nel XVI secolo il nero era un colore difficile da realizzare e quindi appannaggio di classi superiori e la lunga catena d’oro che poteva essere solo un dono di un regnante. Ho trovato una spiccata somiglianza tra il giovane di Tiziano in una grande personalità inglese dell’epoca che andava da Enrico VIII a Elisabetta.
La storia della sua vita era adattabile a un intrigo romanzesco. Ho approfittato di un vuoto temporale per inventargli un viaggio in Italia, anche per farsi fare il ritratto… l’ho messo testimone e interprete di due carnevali: il veneziano e il romano, l’ho trasformato in una specie di 007 ante litteram e gli ho regalato dovere, amore, odio, amicizia, onore.

E… grazie a tutti per avermi accolto a tavola!

Postato giovedì, 10 marzo 2011 alle 13:39 da patrizia vdebicke


Grazie a te, cara Patrizia.
Chiedo anche a te (se puoi) di farci leggere un brano tratto da questo tuo nuovo libro…

Postato giovedì, 10 marzo 2011 alle 21:13 da Massimo Maugeri


Molto interessante anche il romanzo di Patrizia VDebicke. In bocca al lupo anche a lei.

Postato venerdì, 11 marzo 2011 alle 09:38 da Amelia Corsi


Ecco il brano è un breve capitolo che s’intitola La Mascherina
La Mascherina

Uscirono a piedi, per il portoncino che si apriva sulla calle, accompagnati da una scorta appropriata al rango del principe della Chiesa, e tallonati dai giganti del lord inglese.
Appena fuori dal palazzo, la città cominciò a svelare i primi segreti della sua magia carnevalesca. Suonatori di trombe, di pifferi, figuranti vestiti da saracini, numi dell’Olimpo in abiti dorati, ninfe, fauni…
Alessandro Farnese vestiva abiti civili, come Francis Templeton. Protetti e spalleggiati dai loro uomini si addentrarono, avanzando a fatica, tra la folla disordinata che li pressava.
La maggior parte delle persone che incrociavano, aveva il volto coperto.
“La Repubblica cerca di combattere l’uso smodato della maschera che si fa a Venezia. Promulga editti, limitazioni. Invano, è una tradizione irrinunciabile, pare. E a carnevale tutti la portano, persino il Doge credo” spiegò il cardinale all’ospite.
“Perdonate l’ardire, eminenza, ma è un’usanza che può diventare pericolosa” intervenne con acume il capitano Vasco Doni, grande e grosso quasi come gli inglesi, a capo della guardia del porporato.
“Ben detto Doni, molto” confermò il suo signore. “Se non lo ravvisi, non ti puoi guardare da un nemico.”
Lord Templeton taceva, fissando sbalordito la processione di gondole che sfilavano sul canale. A bordo solo uomini e donne mascherati, irriconoscibili.
La folla si accalcava. Maschere sconosciute correvano vociando, facendo lazzi e scherzi malandrini. Le loro guardie si strinsero ancor più attorno a loro, offrendo scudo.
Seguendo la corrente, sboccarono nella calle dei Frati…
Una figurina di donna veniva verso di loro a volto coperto, fendendo la ressa danzando, preceduta da due servitori intabarrati. La donna era ingioiellata e vestita lussuosamente. Gli anellini d’oro alle orecchie sostenevano grosse perle scaramazze che sembravano danzare con lei. Una cappa di broccato verde e oro le celava il corpo. Esile? Giovane? Giovanissima? Una dama? Una cortigiana di lusso? Scivolò tra i sorveglianti, sfidandoli, una carezza veloce al Farnese, a Templeton, poi si alzò aggraziata sulle punte, sfiorandolo con un bacio. Lui rise, fermando la mano dei suoi uomini e disse: “Grazie bella signora” tentando di afferrarla. Impossibile. In un attimo era fuggita, dileguandosi flessuosa e rapida come una gazzella.

Postato venerdì, 11 marzo 2011 alle 09:52 da patrizia debicke


Crepi il lupo… ad Amalia Corsi.

Eccomi di nuovo!
Il mio romanzo, L’uomo dagli occhi glauchi, che per correttezza devo dirvi è del 2010, ha stranamente lo stesso un andamento da libro nuovo, perchè continuo a portarlo in giro.
Andrà al Booktrainer di Gian Paolo Serino e Camilla Baresani il 22 marzo e domenica 15 maggio sarà presentato alla Fiera del libro di Torino alle 16 in una sala offerta dalla Regione al Ministero degli Affari Esteri/Attività Commerciali del Lussemburgo, (io sono lussemburghese.)
Introdurrà Luca Crovi.
Con me presenterà un suo libro appena tradotto dal francese in italiano Jean Portante, che è forse lo scrittore lussemburghese più famoso.

Postato venerdì, 11 marzo 2011 alle 10:00 da patrizia debicke


L’interesse cresce dopo la lettura del brano. Grazie.

Postato venerdì, 11 marzo 2011 alle 13:49 da Amelia Corsi


Carissimi,
ringrazio di vero cuore tutti i componenti della casa editrice Melino Nerella per la serata di ieri alla Feltrinelli di Siracusa, dove note di jazz hanno intervallato la rievocazione del planetario di Archimede, le mirabolose inversioni tra cielo e terra, l’alba che nasce sugli astri e sui cuori di chi ama raccontare.
Stringo tutti a me con molto affetto, per la condivisione, per la bellissima cena, per le chiacchiere appassionate su libri e sogni che mi hanno accompagnata fino a sera tarda.
Infine, un bacio speciale alla piccola Sofia (due anni), attentissima interprete di ogni parola, e ai suoi gatti: Melino e Nerella, capostipiti di una lunga discendenza….(ecco svelato il perchè del nome di questa gattosa casa editrice!)
Un forte abbraccio a tutti!

Postato domenica, 13 marzo 2011 alle 11:21 da simona lo iacono


Signora Debicke, divorerò ogni sua parola… Sono da sempre innamorata dell’Uomo dagli occhi glauchi e a suo tempo gli dedicai un racconto. Se magari vorrà leggerlo, sarò lieta di inviarglielo.

Postato domenica, 13 marzo 2011 alle 14:51 da Maria Lucia Riccioli


Ancora grazie a Patrizia Debicke.

Postato domenica, 13 marzo 2011 alle 17:36 da Massimo Maugeri


Un saluto ad Amelia e a Maria Lucia.

Postato domenica, 13 marzo 2011 alle 17:36 da Massimo Maugeri


Cara Simo, sono felice che la presentazione del libro di Annalisa sia andata bene.
Ancora tanti auguri al futuro editoriale di “Melino Nerella” (bello l’aneddoto sul nome).

Postato domenica, 13 marzo 2011 alle 17:37 da Massimo Maugeri


Ne approfitto per segnalare questo bel servizio su Valter Binaghi e il suo romanzo realizzato dalla “Compagnia del libro”:
http://www.lacompagniadellibro.tv2000.it/la_compagnia_del_libro/sezioni/00002772_Binaghi__il_segno_del_talismano.html
Servizio che include recensione e videointervista.

Postato domenica, 13 marzo 2011 alle 17:38 da Massimo Maugeri


X Lucia Riccioli grazie delle parole lusinghiere e aspetto il racconto.

Per la presentazione del mio L’uomo dagli occhi glauchi di domenica 15 maggio alla Fiera del libro di Torino DEVO DARE UN CAMBIAMENTO DI ORARIO: Invece che allle 16,
sarà dalle 10,30 alle 12,30 nella Sala LINGUA MADRE offerta dalla Regione
al Ministero degli Affari Esteri/Attività Commerciali del Lussemburgo,
(io sono lussemburghese.)
Introdurrà Luca Crovi.
Con me presenterà un suo libro appena tradotto dal francese in italiano Jean Portante, lussemburghese, scrittore e giornalista che vive a Parigi.

Postato martedì, 15 marzo 2011 alle 12:57 da patrizia debicke



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