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mercoledì, 23 dicembre 2009

RECENSIONI INCROCIATE n. 10: Alessandro Cascio, Sergio Sozi

recensioni-incrociate.jpgQuesta nuova puntata de Le recensioni incrociate di Letteratitudine, trae origine da quest’altra che vedeva come protagonisti dell’incrocio Enrico Gregori e Francesco (Didò) Di Domenico. In quell’occasione promisi a Sergio Sozi e ad Alessandro Cascio un incrocio letterario (che avrà modo di svilupparsi – appunto - in questo post).
Devo dire che sono particolarmente lieto di questa combinazione, perché credo che Sergio Sozi e Alessandro Cascio siano molto diversi come approccio alla scrittura e come modo di scrivere. Ma quando le differenze diventano occasione di sano confronto – così come sarà nell’ambito di questa discussione -non possono che contribuire a una crescita comune.
I libri oggetto dell’incrocio sono “Menu” di Sergio Sozi (edito da Castelvecchi) e “Touch and splat” di Alessandro Cascio (edito da Historica).
Nemmeno a farlo apposta sembra che un libro faccia “il verso” all’altro (e viceversa). Se dal libro di Sozi emerge una sorta di condanna contro l’imbastardimento anglofono della lingua italiana (“parliamo una neolingua conosciuta come angloitalo“), il libro di Cascio risponde con un titolo in inglese (“Touch and splat“).
Colgo subito l’occasione, dunque, per introdurre i temi di discussione che vi propongo parallelamente a quello sui due libri.
Ecco le domande del post…

La lingua italiana rischia davvero di essere imbastardita dall’inserimento di termini provenienti da altre lingue?

Fino a che punto questa sorta di commistione può essere considerata contaminazione in senso negativo?

Qual è il discrimine e – soprattutto – chi (e come) dovrebbe decidere il limite entro cui tale commistione è arricchimento e normale evoluzione (superato il quale diventa, invece, svilimento della lingua)?

Certo, vedere la propria lingua perdere identità potrebbe generare anche rabbia…

E a proposito di rabbia (riferendomi al libro di Cascio) passiamo all’altro tema del post. E domando…

La società in cui viviamo è particolarmente rabbiosa? Più rabbiosa di quelle del passato?

Quale potrebbe essere un “giusto” antidoto contro la rabbia dilagante?

Seguono le recensioni incrociate di Alessandro e Sergio… più ulteriori recensioni dei due libri firmate da Salvo Zappulla (sul libro di Sozi) e Sacha Naspini (sul libro di Cascio).
Massimo Maugeri


—————

Il Menu” (Castelvecchi) di Sergio Sozi

recensione di Alessandro Cascio

Nel 2002, il visionario e geniale Kurt Wimmer, grande sceneggiatore ma regista di nicchia, scrisse e diresse Equilibrium, che narra le sorti di un’umanità priva di pensiero ed emozione, d’arte e cultura, confinata nella nazione della Libria. Il film in Italia non ebbe molto successo, ma solo perché la massa è balorda: se così non fosse ci sarebbe più gente ai musei che a teatro e forse, dopo tempo, i cross di Del Piero si ammirerebbero come fossero “arabesque et battement” di danza classica e sulle tribune del Petruzzelli nascerebbero schiere di Ultras che patteggiano per protagonisti e antagonisti con tanto di striscioni che inneggiano Romeo a lasciare quella calamità di Giulietta per la bella Rosalina. Io con i balordi ci sto bene, vivo in Sicilia, uno dei paesi più mafiosi del pianeta, ma a giudicare dal suo Il Menu, edito da Castelvecchi, lo scrittore Sergio Sozi non si limita soltanto a odiarli, ma ne delinea ironicamente ogni tratto, immaginandone la decaduta, tramutandoli in deficienti con comportamenti da primati, privi di alcuna attività mentale creativa. Per chi come me ama più il cinema che la letteratura, il paragone con Kurt Wimmer sarà un onorevole riconoscimento, perché credo che Il Menu sia un Equilibrium nostrano, in cui il primo segno del decadimento è la scomparsa della Pizza, che cede il passo agli Hamburger nel lento processo di americanizzazione che accompagnerà la nostra Italia fino alla formazione della nazione del Buruguay, con capitale Washington, in cui la vecchia Roma prende il nome di New Miami, Torino prende il nome di Bulltown e Milano di Mayland. Nel Buruguay del 2050 è proibito lo studio della Storia di cui tra l’altro non si sa molto perché gli ultimi testi tramandati dall’antica civiltà italiana, sono diventati del tutto incomprensibili. Per farvi capire il cammino dell’incomprensibilità che Sozi vuole mostrarci, pensate al fatto che un tempo, l’amore ci veniva spiegato da Shakespeare e la sua prosa e adesso, invece da Moccia. Se avete abbastanza cultura antica e moderna da poter fare un confronto, potrete notare che il saggio-commedia Il Menu, non ha nulla di così catastrofista, ma si limita ad anticipare i tempi, palesemente: che è come prevedere che un uomo in volo, gettatosi dal decimo piano, prima o poi arriverà al marciapiede.
Proprio in quella futuristica nazione, l’io narrante Lukin Philippucci scopre il diario del poeta scomparso Cesare Menicucci, che con le sue strofe, narra le gesta di quel popolo estinto dopo la chiusura dell’ultima biblioteca nel 2003. Ho letto che qualcuno ha definito “Il Menu” fantascienza. Credo che Asimov si sia rivoltato nella tomba, a meno che non l’abbiano cremato (allora si sarà scombinato nell’ampolla). Le basi del romanzo fantascientifico hanno come regola principale non scritta “evitare l’ironia, il futuro è una cosa seria”. Una cosa seria non è assolutamente il romanzo di Sozi, che sì, affronta temi seri come il cammino dell’esistenza e della cultura, ma lo fa da commediografo napoletano, anche se è nato a Roma, è cresciuto in Umbria e vive in Slovenia. Basta sfogliare il romanzo e imbattersi nel linguaggio usato nel 2050, per capire di cosa sto parlando

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Touch and splat” (Historica) di Alessandro Cascio

E l’Anticristo verrà dagli Stati Uniti?

recensione di Sergio Sozi

Allora. A prender il toro per le corna, dirò subito che ”Touch and splat” è un romanzo breve col quale il sottoscritto ha poco da condividere: stilistica e ambientazione umana e territoriale (ossia gli americani e gli U.S.A.), senso di fondo e scelte lessicali e sintattiche non appartengono in alcun modo, infatti, ai miei gusti, sia attuali che precedenti. Per i motivi che tutti sapranno se appena informati delle mie pubblicazioni – poche ma ”chiare e tonde”.
Tuttavia un critico è un professionista, non un qualsiasi cittadino che legge e giustamente scarta o apprezza senza dover render conto ad altri che non siano lui stesso delle proprie selezioni. Il critico ha il dovere di capire, paragonare e soprattutto affrontare: affrontare il toro-libro per le corna, scegliendo, fra le diverse tattiche di presa a sua disposizione, quella che egli reputi la piú confacente alla bisogna, al caso in sé, ma anche la tattica che gli consenta di restare moralmente ineccepibile. Il critico secondo me, appunto, deve avere una sua morale, ma non deve permettere che essa lo soffochi e ne pregiudichi il lavorio di analisi e comprensione di un testo. Cosí anche onestà, competenza ed intelligenza, nonché amore per la cultura e per l’uomo che ne sta dietro, sono il paradigma fondante di ogni uomo vero da sempre e per sempre – all’epoca di Platone come in quella di Petronio e di Moravia. A maggior ragione questa sia allora la ”bibbia” di un critichetto qualsiasi come il sottoscritto: che un libro sia sempre guardato oggettivamente, pur senza lesinare osservazioni anche d’ordine etico-morale o d’altra natura. Libertà di opinione all’interno dell’obbligo al rispetto per l’opera umana.
Dunque, dopo questa indispensabile premessa, direi che questo libro di Alessandro Cascio sia ben inquadrabile nello specchio della litote che ne cadenza una buona parte del filmico scorrere, questa: ”Quella rabbia non vi porterà nulla di buono”.
La litote è una figura retorica che afferma qualcosa negando il suo contrario. Dire che una cosa non ti fa bene equivale a esprimere in forma attenuata l’avviso che esplicitamente direbbe invece: ”la rabbia ti fa male”.
E appunto sulla rabbia dell’uomo (moderno e americano) e sullo psicotico evolversi di questo stato emozionale alterato in furia omicida è incentrato il romanzo breve di Alessandro Cascio, il quale pone un gruppo di giovani (o forse di quarantenni?) statunitensi nella scenografia, ormai dismessa, di una locazione nella quale vennero anni prima girate grandi pellicole western – ai tempi d’oro di produzione statunitense e poi, nella decadenza, con capitali e registi italiani o spagnoli: insomma Spaghetti Western, come da denominazione ormai stranota. In tale stralunato, obliquo e mortifero panorama di cartapesta, dunque, questi giovinastri mezzo suonati si affrontano nel gioco del ”touch and splat” (letteralmente: ”Tocca e spappola”). Si tratta di una finzione-divertimento piuttosto idiota, anzi direi demenziale e sottosviluppata culturalmente: questa gente – un branco di cosiddetti conoscenti – affitta l’area dal suo proprietario e si munisce di fucili a salve per liberarsi dagli istinti omicidi repressi nel corso della vita quotidiana sparandosi addosso scariche di proiettili di gomma colorati (che addolorano ma non ammazzano).
La cronaca dell’incontro conviviale di quei grezzotti (che dovrebbe avvenire, mi sembra di capire, in tempi attuali), ovviamente contempla una ricostruzione degli antefatti – ossia i rapporti esistiti precedentemente fra i protagonisti – e include la presentazione di un progetto sperimentale di ”riabilitazione carceraria” che lo psicologo Rupert Kensington compí nei primi anni Sessanta negli U.S.A.: l’EIR (acronimo italianizzato di Experiment of Hydrophoby and Rage-regression; appunto Esperimento di Idrofobia e Regressione della rabbia).
Cos’era?
Era l’attuazione nelle carceri statunitensi della teoria che l’uomo moderno (soprattutto quello in stato di detenzione, ma anche, si lascia intendere, quello sottoposto agli obblighi della normale vita sociale) non può prescindere da un connaturato impulso all’omicidio e all’aggressione fisica, insomma da una rabbia repressa che, se non sfogata in qualche modo, può solo esplodere in reali assassini (ossia al ritorno a delinquere per gli ex galeotti).
Perciò l’EIR venne applicato – dice il romanzo nelle sue precise digressioni – offrendo ai carcerati americani l’unico sfogo di un incredibile gioco di ruolo: delle giornate nelle quali i galeotti piú miti prendevano i panni delle vittime e i galeotti piú feroci li potevano angariare senza troppi danni reali:

”L’esperimento (…), consisteva nel munire un gruppo di carcerati (soggetti attivi) di fucili in plastica a pallettoni colorati e di creare un’atmosfera del tutto simile a quella della società esterna. Per far questo si travestivano i galeotti considerati più pacati (soggetti passivi) in cassieri di supermarket, mogli, datori di lavoro, padri violenti e ogni sorta di personalità tipo che potesse scatenare impulsi idrofobi.
Attraverso una riproduzione dettagliata di ambienti e situazioni, si creava quindi la circostanza che aveva portato il soggetto attivo al compimento dell’azione criminale e gli si permetteva di tramutare la “rabbia statica” in “rabbia dinamica” (Dynamic Rage) e di far venire fuori, attraverso l’uso delle armi finte, i propri fantasmi interiori per poi liberarsene definitivamente.”
(”Touch and splat”, pp. 49 e 50).

Però il giochetto non funzionò e negli anni Settanta venne fermato dalle Autorità perché i detenuti-vittima, una volta scontata la pena, presero ad inseguire ed uccidere per le strade i delinquenti che si rendevano colpevoli di omicidi e violenze sessuali. Si erano immedesimati nella parte della vittima cosí tanto da assumere il ruolo di giustizieri.
Come, dunque, commentare nel 2009 questa colossale americanata psicotico-sperimentale? Cosí: credo che il risultato fosse ovvio (Cascio mi darà ragione, penso), poiché l’assunto del signor Kensington era del tutto erroneo, per non dir folle tout court: se si permette ai piú cattivi di esprimere la propria brutalità sui piú deboli, i deboli incattiviscono odiando i loro persecutori mentre i cattivi restano tali. La rabbia del violento, infatti, mica è come l’aria negli pneumatici, che se la lasci uscire affloscia il tubo di gomma: la violenza genera violenza. Chi semina vento raccoglie tempesta. E l’assunto di Kensington era del tutto erroneo.
Ma…
…ma questo lo consideriamo ovvio, poiché tutto ciò è stato inventato di sana pianta dal bravo Alessandro Cascio, effettivamente geniale nel creare l’intero alfabeto del suo racconto, oltre che nel tessere una storia che ha sicuramente il merito di metterci al riparo da chi voglia considerare l’uomo come uno pneumatico. Un libro, allora, ”Touch and splat”, che vorrei possedesse le valenze che meno gli si potrebbero addossare: quelle consistenti nell’avvisarci di certe teorie bislacche e postmoderneggianti. Un libro in fondo violentemente nonviolento. E mi si perdoni l’ossimoraccio.

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IL MENU di Sergio Sozi (Castelvecchi)
recensione di Salvo Zappulla

Sergio Sozi è letterato autentico, i classici sono la sua passione (Dante, Petrarca, Boccaccio i maestri a cui si ispira), l’integrità morale la sua ossessione. Integrità che a volte sconfina nella rigidità ma non vi è dubbio che il personaggio sia un puro, la stessa purezza che trasmette nelle sue opere di narrativa. E non è poco riuscire a mantenere un simile candore in un mondo in cui il successo è spesso frutto di compromessi. Questo romanzo pubblicato da Castelvecchi (Il menù, pagg. 106, €. 13,00) ci dà la conferma della sua vena istrionica, la facilità di scrittura, la fantasia scoppiettante che sconfina nel divertissement irriverente e beffardo. Sergio guarda con nostalgia al passato, pretende rispetto per la lingua italiana. Fustigherebbe volentieri quanti scrivono senza possedere gli strumenti del mestiere. I congiuntivi bisogna azzeccarli. Tutti. Le tradizioni e la storia vanno salvaguardate, nella loro interezza. Quasi un’operazione pedagogico-patriottica la sua, una chiamata alle armi in pieno spirito risorgimentale. In questo romanzo, utilizzando la brillante idea di un diario appartenente al vecchio poeta Cesare Menicucci, ci offre lo spaccato di un’Italia smarrita, senza identità, diventata satellite degli Stati Uniti, vittima di un lento ma inevitabile processo di americanizzazione. La pizza cede il passo agli hamburger. Gli eleganti abiti da sera si inchinano dinanzi a un paio di sdruciti, rozzi e scoloriti paio di jeans. La nostra amata lingua rischia di essere sostituita da quella inglese. Il progresso ha prodotto imbarbarimento. Dio ci liberi dagli avanguardisti, sperimentalisti occasionali, confusionisti e manipolatori arbitrari della nostra grammatica. Alcune riflessioni filosofiche di Sergio sono degne del miglior De Crescenzo. “Il menù” che ci offre è gustosissimo, ci invita a sorridere ma anche a riflettere con malinconia, appartiene al filone delle opere fantasatiriche e Sergio Sozi è un personaggio tutto da scoprire, per conoscerlo, amarlo o, se è il caso… evitarlo.
da ‘’La Sicilia’’ il 15 ottobre 2009

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TOUCH AND SPLAT di Alessandro Cascio (Historica)
recensione di Sacha Naspini

Solo un avvertimento: “Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono.” È così che Touch and Splat di Alessandro Cascio vi attacca. Di petto, come uno spintone che ti rimette a sedere sulla poltrona, dove pensavi di andare? Quel che succede da lì in poi, non è che te lo scordi così in fretta. Touch and Splat è un western moderno? È una beffa al genere? È un’evoluzione? È un tributo a certo cinema? È… Difficile dirlo. Forse tutto questo, forse no. Forse è altro ancora. Quel che è vero, è che Alessandro Cascio mangia cinema e lo rigetta sulla pagina formulando una storia che ti fa sbalzare di qua e di là come su una strada a sterro affrontata col pedale a palla. Salti temporali e pagine come fucilate che ti fanno fare capriole da ottovolante, arrivi alla fine del giro e ti ritrovi di fronte di nuovo a quel cartello di avvertimento: “Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono”. Il fatto è che se prima ce l’avevi sepolta, adesso la rabbia ti abbaia dentro come un animale. Touch and Splat è il nuovo lavoro di Alessandro Cascio. Quello che dovete fare è solo aprire questo volume, e ci lasciate le penne. Vi porta via, dalla prima pagina. Ve lo sparate in un paio d’ore e quando tornerete, per qualche minuto, non sarete più quelli di prima. Quello che vorrete, sarà ricevere una busta. Un invito che vi avverte che domenica, al vecchio West Golden Paradise, ci sarà un Touch and Splat. Unico suggerimento: “Non ammazzate nessuno, fino a quel giorno”.


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Scritto mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:22 nella categoria RECENSIONI INCROCIATE. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

390 commenti a “RECENSIONI INCROCIATE n. 10: Alessandro Cascio, Sergio Sozi”

Buondì a tutti.
Inizio la giornata con la pubblicazione di una nuova puntata delle”recensioni incrociate”.
Siamo alla puntata n. 10…

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:24 da Massimo Maugeri


Questa puntata trae origine da un’altra che vedeva come protagonisti dell’incrocio Enrico Gregori e Francesco (Didò) Di Domenico. In quell’occasione promisi a Sergio Sozi e ad Alessandro Cascio un incrocio letterario (che avrà modo di svilupparsi – appunto – in questo post).

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:24 da Massimo Maugeri


Come ho già scritto, sono particolarmente lieto di questa combinazione, perché credo che Sergio Sozi e Alessandro Cascio siano molto diversi come approccio alla scrittura, come modo di scrivere e come modo di vedere le cose.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:25 da Massimo Maugeri


Tuttavia, quando le differenze diventano occasione di sano confronto – così come sarà nell’ambito di questa discussione – non possono che contribuire a una crescita comune.
(Mi raccomando: calma e sangue freddo… anche perché siamo sotto Natale).
:)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:27 da Massimo Maugeri


I libri oggetto dell’incrocio sono “Menu” di Sergio Sozi (edito da Castelvecchi) e “Touch and splat” di Alessandro Cascio (edito da Historica).
Nemmeno a farlo apposta sembra che un libro faccia “il verso” all’altro (e viceversa). Se da il libro di Sozi emerge una sorta di condanna contro l’imbastardimento anglofono della lingua italiana (”parliamo una neolingua conosciuta come angloitalo“), il libro di Cascio risponde con un titolo inglese (”Touch and splat“).

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:28 da Massimo Maugeri


Colgo l’occasione, dunque, per introdurre il tema di discussione che vi propongo parallelamente a quello sui due libri.
Ecco le domande del post…

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:28 da Massimo Maugeri


La lingua italiana rischia davvero di essere “imbastardita” dall’inserimento di termini provenienti da altre lingue?

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:29 da Massimo Maugeri


Fino a che punto questa sorta di commistione può essere considerata contaminazione in senso negativo?

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:29 da Massimo Maugeri


Qual è il discrimine e – soprattutto – chi (e come) dovrebbe decidere il limite entro cui tale commistione è arricchimento e normale evoluzione (superato il quale diventa, invece, svilimento della lingua)?

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:29 da Massimo Maugeri


Certo, vedere la propria lingua perdere identità potrebbe generare anche rabbia…

E a proposito di rabbia (riferendomi al libro di Cascio) passiamo all’altro tema del post. E domando…
;)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:30 da Massimo Maugeri


La società in cui viviamo è particolarmente rabbiosa? Più rabbiosa di quelle del passato?

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:30 da Massimo Maugeri


Quale potrebbe essere un “giusto” antidoto contro la rabbia dilagante?

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:31 da Massimo Maugeri


Seguono le recensioni incrociate di Alessandro e Sergio… più ulteriori recensioni dei due libri firmate da Salvo Zappulla (sul libro di Sozi) e Sacha Naspini (sul libro di Cascio).

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:31 da Massimo Maugeri


Questo post (a parte quello natalizio di auguri che ho appena ripubblicato) sarà l’ultimo post dell’anno.
Aspetto gli interventi di Sergio Sozi e Alessandro Cascio.
E – naturalmente – i vostri.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 07:48 da Massimo Maugeri


Mentre ho letto e recensito il libro di Sozi, invece non mi ha interessato il libro di Cascio. E’ una questione di sensazioni, ma già il titolo non in italiano non mi attrae. Il problema della lingua è notevole e al riguardo Ferdinando Camon ha pubblicato un bell’articolo sui Quotidiani delle venezie, riportandolo poi anche sul suo sito
http://www.ferdinandocamon.it/articolo_2009_12_12_Lingua.htm.
Per brevità riporto pari pari il mio intervento:
.-.-.-.-.-
Caro professore,
questa volta ha affrontato uno dei temi che mi sono più cari: la lingua.
E’ vero, oggi non si parla più l’italiano, o meglio si parla e si scrive in una lingua che assomiglia all’italiano, ma che è frutto di studi compiuti male e della nostra innata perversione di ricorrere sempre più frequentemente a vocaboli inglesi, spesso italianizzati con risultati quasi esilaranti.
Concordo che la scomparsa del latino è stata una tragedia, quasi come se si abolisse nelle scuole la matematica. Il latino insegna a usare la lingua con la testa, a ragionare prima di scrivere o parlare, a comprendere l’esatto significato delle parole.
Purtroppo la situazione è quasi drammatica, perché a errori grammaticali si accompagnano altri di analisi logica e così capita di leggere periodi che non stanno in piedi, per non parlare dell’incapacità di usare in modo corretto il congiuntivo e il condizionale.
Sembra una rincorsa verso il basso, un trionfo dell’ignoranza in gente che spesso è convinta di sapere tutto.
Ci sono dei dati statistici, abbastanza recenti, che parlano di 5 milioni di analfabeti, ma quel che è peggio è che gli analfabetizzati, cioè quelli hanno disimparato a leggere e a scrivere, sarebbero addirittura una ventina di milioni.
Ne consegue che questi non sono in grado di comprendere anche ragionamenti non particolarmente complessi e che alla fine ascoltano e capiscono solo chi parla come loro e, soprattutto, promette chimere.
E dato che il mancato studio della lingua a scuola si accompagna anche a una certa indulgenza degli insegnanti per le altre materie, il risultato è che i laureati di oggi sono mediamente meno istruiti di quelli di vent’anni fa, con tutte le conseguenze che ne derivano.
La scuola deve promuovere solo chi merita, chi si applica, chi sgobba, perché altrimenti proprio questi studenti (e ce ne sono anche oggi) finiscono con l’essere soffocati dalla marea montante dell’ignoranza e del pressapochismo.
Renzo Montagnolii
.-.-.-.-.-
@Massimo: come certamente non ignorerai, quello della lingua è un problema che sento in modo particolare, perchè allo stato è l’unico elemento che accomuna gli italiani. Sono stufo di leggere articoli giornalistici o libri in cui vengono utilizzati vocaboli inglesi che hanno un corrispondente italiano ben preciso, come sono stanco di imbattermi in strafalcioni grammaticali commessi da laureati. L’Italia sta diventando un territorio non multiligue, ma, scusa il termine, dis-linguato, intendendo con questo termine, coniato solo per l’occasione, una lingua che ognuno scrive e parla come gli pare, al di fuori delle regole precise che sono alla base della lingua originaria.
Con l’occasione auguro a tutti Buon Natale e sereno anno nuovo.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 09:54 da Renzo Montagnoli


Dico solo che le lingue si evolgono. Quelle che non riescono ad evolversi, muoiono.
Io sono favorevole all’introduzione di termini angloamericani nella nostra lingua. Credo sia inevitabile e non ci vedo nulla di male.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 10:25 da Carmelo


Faccio tanti complimenti agli autori dei due libri che sembrano entrambi interessanti. Poi provo a rispondere alle domande.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 11:08 da Amelia Corsi


“La lingua italiana rischia davvero di essere imbastardita dall’inserimento di termini provenienti da altre lingue?”
Il rischio c’è, ma è un rischio che corrono tutte le lingue minori di fronte al colosso linguistico anglofono.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 11:10 da Amelia Corsi


“Fino a che punto questa sorta di commistione può essere considerata contaminazione in senso negativo?”
Diventa contaminazione in senso negativo quando la parola straniera tende a rimpiazzare quella della lingua madre, contribuendo a causare l’estinzione di certi termini.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 11:11 da Amelia Corsi


“Qual è il discrimine e – soprattutto – chi (e come) dovrebbe decidere il limite entro cui tale commistione è arricchimento e normale evoluzione (superato il quale diventa, invece, svilimento della lingua)?”
Ci sono volte in cui la parola straniera non trova un corrispondente perfetto nella lingua madre. In questo caso, cioè nel caso dell’introduzione di siffatta parola nella lingua, si può parlare di evoluzione e arricchimento.
-
Alla fine credo che nessuno abbia il potere vero di decidere. Ogni lingua segue il proprio percorso.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 11:37 da Amelia Corsi


Sulla rabbia.
“La società in cui viviamo è particolarmente rabbiosa? Più rabbiosa di quelle del passato?”
Se pensiamo alla storia dell’umanità, forse oggi viviamo in una specie di paradiso.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 11:38 da Amelia Corsi


“Quale potrebbe essere un “giusto” antidoto contro la rabbia dilagante?”
Collegarsi e scrivere su letteratitudine?
Buone feste a tutti.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 11:39 da Amelia Corsi


Buongiorno a tutti. Sono Francesco Giubilei, direttore editoriale di Historica edizioni. Innanzitutto ringrazio Massimo per lo spazio. E’ davvero un piacere leggere le recensioni incrociate di Alessandro Cascio e Sergio Sozi.
Entrambi gli autori sono legati ad Historica, Alessandro come autore di Touch and Splat (qui la scheda http://www.historicaweb.com/?catalogo/8.touch-and-splat ) e Sergio Sozi, oltre che come autore di Ginnastica d’epoca fredda (qui la scheda http://www.historicaweb.com/?catalogo/5.ginnastica-d-epoca-fredda ), anche come direttore della neo nata collana di saggistica.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 11:55 da francesco giubilei


Per rispondere alle domande di Massimo.
La lingua italiana rischia davvero di essere “imbastardita” dall’inserimento di termini provenienti da altre lingue?
*
Purtroppo sì, l’imbastardimento è già iniziato da tempo. Da questo punto di vista sono d’accordo con Sergio. Per quanto e il rapporto con altre lingue in certi casi possa giovare al nostro idioma, alla lunga c’è il rischio che l’italiano scompaia o si riduca ad un dialetto locale a discapito dell’inglese. Chiaramente il libro di Sergio, che ho letto e mi è piaciuto, è volutamente un’iperbole di quello che potrebbe succedere nei prossimi anni. L’escamotage letterario usato, ovvero quello di esagere e portare ai massimi livelli il rischio della contaminazione da parte dell’inglese fino a portare alla scomparsa della nostra lingua, è secondo me azzeccato. Solo così infatti si riesce a rendere il reale pericolo, perchè di pericolo si tratta, a cui va incontro l’italiano.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:05 da francesco giubilei


Fino a che punto questa sorta di commistione può essere considerata contaminazione in senso negativo?
*
E’ una contaminazione in senso negativo in linea generale. Certo non bisogna eccedere nella protezione della lingua e nell’italianizzazione dei termini come avveniva durante il fascismo perchè in quel caso si rischia solo il ridicolo. Vorrei portare però l’esempio della Spagna. Gli spagnoli nei confronti della lingua hanno un rapporto diamtralmente inverso di quello di noi italiani, loro tendono a spagnolizzare tutte le parole anche quelle provenienti dall’estero, un esempio su tutti computer in spagnolo si dice “ordenador”, chi in italiano usa il termine ordinatore per indicare il pc!?
Purtroppo gli italiani hanno questa tendenza esterofila che alla lunga ci porterà, ne sono certo, alla rovina. Preferiamo usare una parola in inglese invece che l’equivalente italiano “vado a giovare a basket” e non a “pallacanestro”.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:11 da francesco giubilei


Bravo, Francesco! Perchè se è vero che questa mania per l’inglese è frutto del predominio americano, non oso pensare a quando lo stato egemone diventerà la Cina. Immaginate tutta una corsa ai vocaboli cinesi. Il problema però è un altro. Quando i Romani dilagavano, il latino veniva appreso dagli altri popoli, la cui civiltà in genere era inferiore. La nostra non è al di sotto di quella americana, sono gli italiani che amano scimmiottare con il piacere della sudditanza.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:12 da Renzo Montagnoli


Qual è il discrimine e – soprattutto – chi (e come) dovrebbe decidere il limite entro cui tale commistione è arricchimento e normale evoluzione (superato il quale diventa, invece, svilimento della lingua)?
*
In teoria l’accademia della Crusca. Anche se la celebre accademia si è ormai ridotta ad un organo privo di importanza un tra i tagli ai finanziamenti e lo zelante ed eccessivo accademismo che l’ha portata a distaccarsi dal popolo (tanto che molti non ne conoscono neanche l’esistenza!)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:15 da francesco giubilei


Ho letto “Touch and Splat” di Cascio. Non ho letto “Il menu’” di Sozi. Sicuramente mi perdo qualcosa, a giudicare dalle recensioni positivissime (se non entusiastiche) che circolano in rete, ma il genere toccato da Sozi non mi intriga, non mi appassiona, non mi attira. Amo la fantascienza, quella che si prende sul serio. E delle problematiche legate alla mortifera evoluzione che, a quanto dite, ci aspetta inesorabile parlo tutti i santi giorni. Quindi quando leggo preferisco di gran lunga che mi si raccontino storie che non conosco, storie in grado di sorprendermi. E’ un mio limite, lo so. E’ il limite di chi ama i cantastorie piuttosto che i profeti. Una chiusura mentale. Per giustificarmi potrei dire che adoro, e rileggo, 1984 di George Orwell: fantascienza che si prende assolutamente sul serio, che ha precorso i tempi, che ha dettato uno stile. Adoro e rileggo “Dune” di Frank Herbert, altra fantascienza che si prende sul serio e che tocca temi fondamentali (l’ecologia, la salvaguardia degli ecosistemi) senza che questo significhi arringare al lettore. Herbert racconta una storia, piena di magia, di mistero, piena di previsioni la cui realizzazione noi oggi tocchiamo tutti con mano.
A ben guardare forse cio’ che non mi attira nel romanzo di Sozi e’ la sottolineatura che i recensori fanno del suo essere ironico, iconoclasta, satirico e sarcastico. Poi magari mi sbaglio.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:16 da Laura Costantini


Non mi pare che la Magna Grecia sia stata inferiore all’impero romano.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:17 da Carmelo


Ho letto invece, come dicevo, “Touch and splat” e dalle mie impressioni e’ sorta una discussione con Alessandro Cascio in un forum di http://www.anobii.com
La scrittura di Cascio e’ spiazzante, nel senso buono del termine. E’ asciutta, scattante, lui usa la penna come un regista fulminato userebbe la cinepresa. Lui scrive film e questi film vengono immediatamente visualizzati dal lettore. Come ho detto ad Alex nel corso di quella discussione, Quentin Tarantino mi fa sorridere, ma non mi appassiona. Motivo per il quale il suo libro non rientra tra i miei preferiti in assoluto. Ma la sua scrittura si’. Infatti sto aspettando di leggere altro di suo e di ritrovare quella ruvidezza che e’ un marchio di fabbrica.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:19 da Laura Costantini


La società in cui viviamo è particolarmente rabbiosa? Più rabbiosa di quelle del passato?
*
Domanda spinosa e difficile da rispondere. Io non credo che sia più rabbiosa rispetto al passato ma la nostra percezione è che lo sia. Mi spiego. Grazie ai mezzi di comunicazione di massa ogni omicidio, violenza, attentato… viene riportato dai media nazionali che ci permettono di sapere tutti gli atti criminali che avvengono in tutta Italia ed anche all’estero. In passato non era così, se a Bari c’era un omicidio una persona di Milano poteva anche non venirne a conoscenza.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:19 da francesco giubilei


La lingua italiana rischia davvero di essere “imbastardita” dall’inserimento di termini provenienti da altre lingue?

No, secondo me no. In un mondo che si rimpicciolisce man mano che cresce la globalizzazione, la commistione delle lingue e’ inevitabile. Le lingue sono organismi vivi, soggetti a contaminazioni, scambi, cambiamenti. L’italiano e’ una lingua bellissima, che io amo con tutta me stessa. Ma il progresso tecnologico, per fare un esempio, ci ha portati ad utilizzare quotidianamente degli strumenti il cui linguaggio e’ stato codificato in altre lingue: tutti sappiamo la differenza tra hard ware e soft ware. Ma non saprei tradurlo in italiano senza utilizzare giri di parole che appesantiscono il discorso. Non trovo niente di male nel dire “basket” piuttosto che “pallacanestro”. Non e’ questo il problema dell’italiano. Il problema e’ che le nuove generazioni non sanno coniugare i verbi (in nessuna lingua) e utilizzare una consecutio temporum accettabile. Quindi la contaminazione, a mio parere, e’ un arricchimento, ma solo se si innesta su una conoscenza ottimale della nostra lingua madre.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:25 da Laura Costantini


“Quando i Romani dilagavano, il latino veniva appreso dagli altri popoli, la cui civiltà in genere era inferiore. La nostra non è al di sotto di quella americana, sono gli italiani che amano scimmiottare con il piacere della sudditanza.”
*
Almeno dal punto di vista letterario e culturale la nostra civiltà non solo non è inferiore ma è di molto superiore! Parlando di letteratura, vogliamo confrontare la nostra tradizione letteraria con quella americana? Non credo ci siano paragoni. Senza nulla togliere ai vari Hemingway, Carver, Fante, Fitzgerald…

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:28 da francesco giubilei


Esco dall’argomento (che poi sarebbe un Off Topic, ma non voglio usare termini inglesi :-) ) per spendere due parole in onore di Francesco Giubilei cui noi autori di Historica (cominciamo ad essere molti e, per la maggior parte, autori i cui nomi sono gia’ noti nel mondo editoriale italiano) non saremo mai abbastanza grati per l’entusiasmo, l’apertura mentale, la grinta, il coraggio con il quale sta al timone di un’avventura che fino a poco tempo fa sembrava un’utopia.
GRAZIE FRANCESCO a nome di Lauraetlory (le prime a firmare un libro Historica)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:30 da Laura Costantini


“Il problema e’ che le nuove generazioni non sanno coniugare i verbi (in nessuna lingua) e utilizzare una consecutio temporum accettabile.”
*
Su questo Laura mi trovo d’accordissimo ma non generalizziamo ;)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:31 da francesco giubilei


Grazie a te Laura e grazie a tutti gli autori di Historica per la fiducia nel progetto!

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:37 da francesco giubilei


Oh beh, nelle nuove generazioni non sono compresi gli editori diciottenni, e’ ovvio ;-P

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:40 da Laura Costantini


Salve. Il discorso della lingua che cambia, verso dove come e perché. Il discorso che i romani qui e i latini là. A me non me ne frega niente. Nel senso: è così, è sempre stato così, è nell’ordine delle cose e stare qui a dire che “si stava meglio quando si stava peggio” mi sembra un po’ uno scherzetto. La gente muore, una lingua muore. I popoli si spostano, cambiano, le lingue lo stesso. Renzo (a proposito, come stai? Intanto un abbraccio, è un pezzo che non ti vedo), se arrivano i cinesi cominceremo a dire “Buongiolno”, e che t’importa – il senso resta quello, no? La mescolanza è cosa buona. Significa sviluppo, e sviluppo significa inevitabilmente cambiamento. Anch’io sobbalzo quando vedo nei titoli dei telegiornali E’ oppure QUAL’E', perché è sintomo di pressapochismo e ignoranza “ai piani alti”, con tutto

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:41 da Anonimo


(mi è partito il commento, termino)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:41 da Sacha Naspini


francamente non riesco a considerare imbastardimento un libro italiano che abbia come titolo (per esempio) “Goodbye”. Cosa si dovrebbe, allora, dire sulle opere di un autore di un certo Paese ambientate in un altro? Francamente della “location” me ne sono sempre abbastanza fregato. Altrimenti avrei dovuto ritenere Shakespeare o Hemingway esempi di imbastardimento letterario.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:43 da enrico gregori


Per chi volesse, riporto lo scambio tra me e Alex Cascio su anobii:

ALEX: Laura, mi fai una recensione negativa sì, ma più nello specifico? “‘Non male ma troppo confusionario’ non dice nulla. E’ come dire “Bah, fa cagare”. Capisci? Negativa ma che abbia delle motivazioni, credo si debba allo scrittore in genere, almeno a quello editato non a pagamento e che ha lavorato duro. ;)

LAURA: tutti gli scrittori, quelli veri, lavorano duro e di sicuro di lavoro, dietro al tuo romanzo, ce n’è e si vede. Ma io non amo molto i film di Quentin Tarantino (pur riconoscendogli un evidente e innegabile talento) e l’atmosfera di Touch and splat (resa molto bene) mi ha portata proprio da quelle parti. Riguardo al discorso confusione… succede (non solo a te) quando si hanno molti personaggi interconnessi tra loro. Tu hai creato un gruppo di ex compagni di scuola, legati dalle piccole (ma grandi) tragedie tipiche dell’adolescenza e dai conseguenti rancori e io ogni tanto dovevo tornare indietro per capire chi era e con chi ce l’aveva izio piuttosto che caio. Tu mi dirai: hai letto con poca attenzione. Ed è vero, ma è vero perché la lettura non mi ha catturata. Quindi il mio giudizio non è negativo (così così vuol dire che ci sono cose buone e cose meno buone) ma sospeso. Vorrei leggere altro di tuo perché hai uno stile particolare e non esagera il tuo prefatore (scusa, non ricordo il nome) quando dice che sei uno sceneggiatore di quelli bravi. Mi piace la scrittura che crea un film nella mente del lettore. Solo che il tuo tipo di film non è esattamente del genere per cui mi precipito in una sala di prima visione. Lo splatter, per esempio, mi fa ridere (ho riso come una pazza anche durante L’Esorcista ed ero un’adolescente). L’uso e l’abuso di sangue e budella non mi colpisce, non mi emoziona.
Spero di essere stata più chiara ed esauriente e spero, soprattutto, che la prossima vittima di un tuo racconto non si chiami… Laura ;-)

ALEX: Guarda, le critiche negative, se scritte sinceramente, possono valere anche più di una critica positiva e ne sono certo. Molte critiche positive, specie quelle leccate, appaiono come dei “favoritismi” che enssuno legge anche perchè spesso non hanno spina dorsale. “Sarà un amico o un parente” pensano. Criticano negativamente anche gli scrittori più immensi e alcuni vengono anche pagati, specie nel cinema. Il problema di certe critiche negative è che sono prive di motivazioni e rendono l’impatto “demotivante” per il potenziale acquirente sin da subito. Le critiche alla FilmUp per esempio, sono da non seguire, specie per chi ama il cinema. Trovi persone scazzate che scrivono: “Bah, che diavolo di film è?” oppure, nel caso di “The butterfly effect” o “Tendencies”: “Non si capisce nulla”.
E sono dei capolavori del cinema.
Io ho detto a un tizio in un’intervista che spero esca presto che i miei libri sono interattivi, ovvero “io li scrivo e il lettore cerca di capirli dopo averli letti”. Se, ad esempio, tu scrivi la tua verità coem hai fatto a me, ovvero che non ti piace Tarantino, che il sangue ti fa ridere e odi gli splatter in genere o che comunque hai dovuto capire chi fa cosa e perchè, dicendo che lo trovi confusionario, hai automaticamente aperto un dibattito pur non avendo dato la consueta “leccata” ed essendo stata sincera. Gli estimatori di Tarantino o del Pulp (non mi rifaccio a Tarantino, bensì a Guy Ritchie, Danny Boyle e sopratutto il cinema di Peter Berg) lo compreranno o vorranno constatare proprio perchè conoscono il genere, come Piccoli omicidi tra amici o Cose molto cattive e lo stesso Pulp Fiction, in cui bisognava sempre tornare indietro o riflettere un attimo su chi avesse fatto cose e perchè, prima di capire bene il meccanismo. E non ti dico Revolver (che qui non è uscito e visto in Inglese è peggio) o Rockn’rolla, The Snatch o Lock and Stock. Allora ecco che una critica negativa diventa positiva o comunque, non distrugge. Se poi una persona critica per distruggere, può usarne di metodi, ma non era il tuo caso, lo sapevo e per questo ti ho detto di argomentarla. Nel caso mio, ho la critica positiva in Prefazione di uno che ha fatto la storia del cinema, scritto Film Premi Oscar e che ha inventato molto di quello che noi oggi consideriamo Cinema Italiano, quindi per Touch and Splat mi si può scrivere anche “fa cagare”, non mi tocca, ma … la gente, è quello il vero problema. Credimi, non chiederei mai una recensione positiva a chi non pensa positivamente.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:50 da Laura Costantini


Sergio Sozi alla viglia di Natale. Santo cielo! Quest’anno mi andrà il panettone di traverso.

Interessante il dibattito che si sta sviluppando. A più tardi.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:51 da Salvo Zappulla


La Grecia non era inferiore, tanto che i Romani studiavano il greco e stimavano quella civiltà. La Magna Grecia invece, se pur di origine greca, aveva assunto caratteristiche autonome e anche il suo sviluppo era proseguito per strade diverse. Quindi, fatta eccezione per la Grecia, della cui cultura i Romani erano tributari, tutti gli altri popoli, domati o anche solo entrati in contatto per alleanze, avevano una cultura inferiore e opportunamente colsero i vantaggi del latino e le abitudini dei Romani.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:51 da Renzo Montagnoli


*Almeno dal punto di vista letterario e culturale la nostra civiltà non solo non è inferiore ma è di molto superiore! Parlando di letteratura, vogliamo confrontare la nostra tradizione letteraria con quella americana? Non credo ci siano paragoni. Senza nulla togliere ai vari Hemingway, Carver, Fante, Fitzgerald…*

Francesco, meriti un applauso.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:53 da Renzo Montagnoli


dicevo – con tutto quello che ne consegue. Ma cerco sempre ti spostarmi un attimino sopra la questione. Voglio dire: indipendentemente dalla correttezza e la contaminazione linguistica di un termine, se ne conserva il senso? A me interessa questo. La frase che si sente in giro spesso, tipo “L’italiano oggi è una lingua contaminata” mi sembra una chiacchiera da bar: l’italiano è sempre stata una lingua contaminata, come tutte le altre. Solo che noi le fotografiamo in un preciso momento, la nostra vita. E guarda caso c’è a chi non piace il fatto che se a cinque anni si parlava in modo, già a settanta il mondo intorno parla in un altro. Colpa dei giovani. Ah, è sempre colpa dei giovani che storpiano, distruggono, sfracellano una lingua. Cattivi che sono, questi giovani che mescolano l’inglese e l’italiano, il francese al giapponese e scrivono TVB invece di “mia leggiadra creatura mi avete squarciato il cuore”. Be’, cambia il cortile sotto casa mia; quando torno al paesello manco riconosco la piazza dove giocavo io da ragazzino; vuoi che non cambi una lingua? Conta il senso, sempre. Può darsi che un giorno, “se io vedrei” diventerà italiano corretto, e allora? Mi dicono che “A me mi” sia entrato ufficialmente nel vocabolario, e da piccolo mia madre mi dava dei colpetti – leggerissimi – sulla bocca. Mi sembra tutto normale, no? Insomma, voglio dire: si muore, facciamocene una ragione.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:53 da Sacha Naspini


io, invece, la nostra tradizione letteraria (senza alcuna forma di sudditanza) con quella americana e di altri Pesi la confronterei volentieri.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 12:57 da enrico gregori


Certo Enrico, e perché no? A mio avviso l’italiano neanche dà quell’immediatezza – che non è superficialità ma “senso del sottotesto”, che non è poco – di altri idiomi, vedi appunto l’inglese.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:00 da Sacha Naspini


Assolutamente sì Enrico (a proposito Enrico Gregori pubblicherà per Historica! Uscita prevista del suo nuovo libro a marzo in occasione della Fiera di Modena) il confronto non solo è necessario ma è FONDAMENTALE. Senza confronto restiamo chiusi in noi stessi in una sorta di autarchia letteraria che non porta a nulla di buono.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:01 da francesco giubilei


il discorso è complesso. confrontare cosa? la letteratura contemporanea? solo quella americana? anche quella di altri paesi? dipende. se, per esempio, diamo uno sguardo verso Est nell’800, Dostoevskij e Tolstoj (più il primo, secondo me) hanno davvero cambiato il corso della letteratura mondiale

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:08 da enrico gregori


Raggruppo qui il mio intervento spezzato:

Salve. Il discorso della lingua che cambia, verso dove come e perché. Il discorso che i romani qui e i latini là. A me non me ne frega niente. Nel senso: è così, è sempre stato così, è nell’ordine delle cose e stare qui a dire che “si stava meglio quando si stava peggio” mi sembra un po’ uno scherzetto. La gente muore, una lingua muore. I popoli si spostano, cambiano, le lingue lo stesso. Renzo (a proposito, come stai? Intanto un abbraccio, è un pezzo che non ti vedo), se arrivano i cinesi cominceremo a dire “Buongiolno”, e che t’importa – il senso resta quello, no? La mescolanza è cosa buona. Significa sviluppo, e sviluppo significa inevitabilmente cambiamento. Anch’io sobbalzo quando vedo nei titoli dei telegiornali E’ oppure QUAL’E’, perché è sintomo di pressapochismo e ignoranza “ai piani alti”, con tutto quello che ne consegue. Ma cerco sempre ti spostarmi un attimino sopra la questione. Voglio dire: indipendentemente dalla correttezza e la contaminazione linguistica di un termine, se ne conserva il senso? A me interessa questo. La frase che si sente in giro spesso, tipo “L’italiano oggi è una lingua contaminata” mi sembra una chiacchiera da bar: l’italiano è sempre stata una lingua contaminata, come tutte le altre. Solo che noi le fotografiamo in un preciso momento, la nostra vita. E guarda caso c’è a chi non piace il fatto che se a cinque anni si parlava in modo, già a settanta il mondo intorno parla in un altro. Colpa dei giovani. Ah, è sempre colpa dei giovani che storpiano, distruggono, sfracellano una lingua. Cattivi che sono, questi giovani che mescolano l’inglese e l’italiano, il francese al giapponese e scrivono TVB invece di “mia leggiadra creatura mi avete squarciato il cuore”. Be’, cambia il cortile sotto casa mia; quando torno al paesello manco riconosco la piazza dove giocavo io da ragazzino; vuoi che non cambi una lingua? Conta il senso, sempre. Può darsi che un giorno, “se io vedrei” diventerà italiano corretto, e allora? Mi dicono che “A me mi” sia entrato ufficialmente nel vocabolario, e da piccolo mia madre mi dava dei colpetti – leggerissimi – sulla bocca. Mi sembra tutto normale, no? Insomma, voglio dire: si muore, facciamocene una ragione.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:09 da Sacha Naspini


Sono totalmente in disaccordo su quasi tutto il tuo discorso Sacha :)
Vero che le lingue si evolvono e cambiano con il passare del tempo, questo è fisiologico però la prima parte del tuo discorso mi sembra assurda.
Noi siamo italiani in quanto ci riconosciamo in una comunanza di valori sociali, territoriali e soprattutto culturali. Francesco De Sanctis (il padre della nostra critica letteraria) diceva che l’unità dell’Italia sta nella sua letteratura. Quando questi valori verranno meno a quel punto non esisterà nemmeno più il popolo italiano e la lingua ha una funzione primaria nella costituzione di un popolo e in alcuni casi di una nazione.
La mescolanza è sì cosa buona ma l’annessione e la sottomissione culturale è una tragedia vera e propria. Purtroppo nella nostra società le parole progresso e sviluppo hanno assunto un’accezione positiva ma non sempre è così.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:11 da francesco giubilei


Enrico. Per come la vedo io, il confronto diventa interessante quando ci si approccia sull’ora, non sul ‘600 fiorentino. Quando qualcuno cambia il corso della letteratura mondiale – tu dici i russi, giustamente – il processo viene solitamente assorbito a posteriori. Secondo me, stare a confrontare i processi linguistici e letterari del passato è bello, ma non proficuo all’arte di ora. Gli schemi narrativi sono completamente diversi, le voci che si usano, i registri, i dialoghi di adesso quasi non hanno più niente a che fare con quelli degli ‘80, per dire. Ci sono acclamati critici ottantenni che siccome non vanno in pensione, continuano a bocciare opere cinematografiche bellissime – mi viene l’effetto di Fight club che ha fatto su certe testoline che non si sono volute scardinare dal cinema muto – perché se gli piazzi un film dal fondo e lo scombini un po’ in un gioco di flashback, svengono. Io sono per il confronto dell’ora, quello del processo in corso. Americani, inglesi, francesi.Tutti, certo.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:19 da Sacha Naspini


Non conosco il genere e la scrittura di Alessandro Cascio, sarebbe quindi azzardato trinciare qualsiasi giudizio sulla sua opera. Mi limiterò a fargli i complimenti per il suo libro.
@ Sergio caro, la questione della purezza linguistica mi sembra un argomento molto importante. Il problema è stato a lungo dibattuto anche dall’Accademia Fiorentina della Crusca.
A suo tempo, dall’America, mi arrivò persino un sollecito, dell’Istiuto di Cultura ” Dante Alighieri”, per raccogliere delle firme da inviare alla Signora Cuomo, poiché avevano azzerato i contributi finanziari per i corsi di lingua Italiana. Ritengo che il potenziamento della nostra lingua, debba premere a molti.
Specialmente a coloro che nella scrittura, sono soliti usare un ampio ventaglio di vocaboli, con i quali riescono ad esprimere con termini appropriati e compiutamente, ogni aspetto del progetto e della struttura
lessicale del testo. L’avvizire progressivo della nostra splendido linguaggio, si deve al continuo impoverimento delle frasi usate da noi tutti. E’ più comodo e svelto, usare frasi ovvie e sintetiche….
E’ quindi da noi tutti, che dobbiamo ripartire, per ridare smalto e miriadi di sfumature al nostro incantevole gioiello linguistico.
Grazie Sergio, per il tuo romanzo che ci sveglia dal nostro comodo torpore.
@ Anche però, la Dr.ssa Amelia Corsi, esprime delle buone ragioni di cui dobbiamo tenere conto. La ringrazio e saluto cordialmente.
@ Salvo, sei sempre straordinariamente presente con le tue sapide ed attente recensioni (et Cicero pro domo suo…), non vedo l’ ora di leggere ciò che scriverai per me. Già ti ringrazio e rinnovo gli auguri
@ Renzo, condivido moltissimo le idee che esponi e ne approfitto per risalutarti.
@ A Francesco Giubilei voglio dire, che l’ammiro molto per l’ardito coraggio e per l’impegno che mette nelle sue lodevoli iniziative.
Gli auguro unluminoso avvenire editoriale.
@ Per Massimo, un saluto affettuoso e un augurio riconoscente e particolare.
A Voi tutti auspico un caldo Natale e Nuovo Anno, riscaldato dal cuore dei Vostri amati cari
Tessy

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:20 da M.Teresa Santalucia Scibona


@Sacha. Il latino è morto quando è cessata l’influenza dell’impero romano, ma ora come ora l’Italia esiste e parlare la nostra lingua, pur accettando di ricorrere a termini esteri quando nel nostro vocabolario non esistono, non vuol dire abdicare, ma cementare una nazione. Perchè mai dovrei scrivere OK quando in italiano c’è già “va bene,” per non parlare poi di certi invenzioni come operatore ecologico, che nasconde l’attività del netturbino. E’ forse un lavoro diverso? No, e allora sostituiamo una parola chiara con altre due che non chiariscono nulla. Anche questo sistema uccide la lingua.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:22 da Renzo Montagnoli


Anche una lingua come la nostra può arricchirsi di termini stranieri quando il significato risulta più immediato.
Ad esempio la terminologia tecnica che sveltisce tante operazioni al p.c. (appunto, o dovremmo chiamarlo elaboratore personale, così come in Francia si ostinano a chiamarlo personal ordinateur) mi pare che sia la più appropriata, almeno finora.
Ugualmente non me la sentirei di bandire tante altre locuzioni idiomatiche straniere, a favore dell’immediatezza.
Perché non accogliere, sempre con la dovuta misura, forme linguistiche vedendole come arricchimento della nostra lingua, e non come contaminazione?
Ribadisco, però, che per me il problema risiede soltanto nel mancato discernimento e nella misura.
Personalmente amo dare sempre la preferenza e la rilevanza alla bellezza e complessità del nostro idioma.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:24 da cristina bove


Faccio gli auguri di buone feste
a Massimo e a tutti i suoi ospiti

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:26 da cristina bove


Francesco. Oddio. Il più giovane editore d’Italia fuori; il più vecchio dentro ;)
A parte gli scherzi. Mi tocca glissare sul tuo punto di vista patriottico perché sennò scateno un casino infernale, qui dentro. Dico solo che non ho mai parlato di “sottomissione”, che c’entra? L’identità di un popolo è la propria lingua, certo, De Sanctis ha detto una cosa evidente e scontata, che però a suo tempo ha fatto presa. Ma è anche vero che le identità cambiano nel “naturale processo di eliminazione” dato dagli anni. Tra un paio di secoli o tre credi che parleremo ancora così? Dài, hai capito cosa voglio dire.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:28 da Sacha Naspini


Renzo. Dire OK o VA BENE è la stessa cosa, ma che ti arrovelli a fare… :)
Il vero problema – che a mio avviso qui dà un po’ il sintomo – è che sopra dici: “invece non mi ha interessato il libro di Cascio. E’ una questione di sensazioni, ma già il titolo non in italiano non mi attrae”. E’ chiaro, uno legge quello che gli pare, ci mancherebbe. Ma il fatto di essere già spallato via da un testo a causa di un titolo che non è nella propria lingua – ma che però è scritto nella tale – mi sa un po’ di Bossi, capisci cosa voglio dire. Ehi, si fa per chiacchierare qui da Massimo, lo sai che TVB, ve? :)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:34 da Sacha Naspini


@Maria Teresa grazie!
@Auguri anche a te Cristina.
@Sacha eheheh :) sicuramente cambieremo il nostro modo di parlare, il più è se parleremo (o meglio se gli italiani del futuro parleranno) ancora in italiano…

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:39 da francesco giubilei


Una curiosità sul titolo in inglese del libro di Alessandro. Alle fiere a cui partecipiamo molti lettori sono allontanati dal titolo inglese, quasi per una sorta di sudditanza psicologica o paura di qualcosa che non conoscono bene e che pensano di non potere comprendere, questa cosa l’ho notata molte volte…

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:41 da francesco giubilei


@Tessy dolcissima.
Scriverò per te un necrologio che ti consegnerà alla Storia.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:44 da Salvo Zappulla


Il solito problemino degli italiani, di starsene lì barricati con le persiane tappate, a sbirciare dalle fessure e poi pst pst pst… Peccato, comunque. Il libro di Cascio merita di essere letto. In giro non ci sono testi di quel tipo a poco più di 5 euro.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:49 da Sacha Naspini


Ciao e Buon Natale a tutti!
Scusatemi ma adesso ho degli impegni familiari: interverro’ stasera, rispondendo personalmente a tutti quando servira’ e collettivamente in caso contrario. Tuttavia mi sembra che il dialogo sia bello, interessante, rispettoso, utile e soprattutto condotto in… italiano – eh eh eh!
A piu’ tardi, cari. Un grazie di cuore a Massimo Maugeri.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 13:58 da Sergio Sozi


Sacha, non entrando nel merito. Libri che meriterebbero di essere letti e invece sono trascurati. Libri che hanno successo e invece sono carta straccia. Questioni oggettive o legate ai gusti di chi legge, o che leggere dovrebbe. Questo è il “gioco”, e chi vuole giocare ne accettasse le regole. Giocare con la pretesa di vincere è da vanagloriosi. Ribadisco, nulla a che vedere con Cascio. Parlo in generale

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 14:00 da enrico gregori


…ma prima c’è quello di Renzo, glielo promesso in anticipo.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 14:03 da Salvo Zappulla


Giusto Enrico, d’accordissimo. Faccio una segnalazione, per esempio:
http://www.anobii.com/books/Knockemstiff/9788861920538/014266e2c6427e7909/ Knockemstiff, di Donald Ray Pollock. Ne ho già parlato da altre parti, secondo me è una raccolta/romanzo strepitoso. Ottima traduzione, anche, che ti permette di assaggiare qualche spunto del movimento linguistico americano contemporaneo.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 14:05 da Sacha Naspini


Gliel’ho promesso. Pardon. Vado di corsa.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 14:12 da Salvo Zappulla


Ne ho sentito parlare benissimo di Knockemstiff tanto da acquistarlo alla fiera di Roma. Lo leggerò presto.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 14:20 da francesco giubilei


I lettori sfuggono dai titoli in inglese? Beh, nel nostro caso Viole(n)t Red non ha sofferto del titolo anglosassone e dall’evidente doppio senso. Forse la nostra copertina gialla, un po’ da prontuario asl, spaventava meno del bel fumetto very aggressive del romanzo di Cascio.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 14:33 da Laura Costantini


Mai sentito Knockemstiff, mi informero’.

p.s. prima che qualcuno lo noti, scrivo gli accenti con l’apostrofo perche’ ho una tastiera americana, tanto per rimanere in tema di globalizzazione.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 14:34 da Laura Costantini


@renzo
ahi, ahi, caro renzo… la definizione di “civiltà inferiore” in genere la danno i vincitori… tranne nel caso della Grecia, appunto, verso cui i romani ebbero sempre un profondo complesso d’inferiorità. diciamo che per il resto l’unica superiorità romana effettiva era quella militare… e la pax romana somigliava molto alla pace americana in Iraq e in altri bellissimi posti del mondo…
il concetto di inferiore e superiore, applicato ai popoli e alle civiltà, è antropologicamente scorretto. oltre ad essere molto, molto pericoloso.
superiori sono quelli che vincono, punto. e nel nostro caso, è evidente che noi abbiamo perso.
ma la storia è come una partita a poker, una mano va bene, una mano va male… magari la prossima mano andrà meglio.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 14:36 da giorgia


A proposito da quanto asserito da Giorgia sugli antichi romani, mi è venuta in mente questa bella canzone di Edoardo Bennato http://www.youtube.com/watch?v=4VnCN0iGlUQ

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 14:42 da Carmelo


Eccomi di passaggio in fretta – tornero’ stasera con piu’ calma. Intanto pero’ volevo solo porre una breve domanda retorica su una cosa d’ordine generale:
ma avete fatto caso che l’unica lingua dalla quale l’italiano attinge oggi e’ l’inglese? SOLO ed UNICAMENTE l’inglese. Il resto e’ come se non ci fosse. Se non erro nel mondo esistono centinaia di lingue e migliaia di dialetti…

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 14:45 da Sergio Sozi


Andiamo a mangiare in un “fast food”?
Andiamo a mangiare in un “cibo veloce”?
Suona strano…
Le contaminazioni sono inevitabili ma questo fa parte dell’evoluzione.
Il problema di noi esseri umani è quello di adattarci automaticamente a delle esigenze che spesso sentiamo forti, è probabie che la lingua italiana venga sminuita da questa contaminazione ma non possiamo farci niente, è così e basta, in un certo senso non è colpa nostra.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:06 da Alessandro Buffa


@Sozi: la lingua dei computer e’ l’inglese, la lingua degli scambi commerciali e’ l’inglese, la lingua del rock mondiale e’ l’inglese… potrei continuare. Faccio comunque notare che negli Stati Uniti la popolazione si avvia ad un bilinguismo a tutto vantaggio dello spagnolo. Solo che l’italiano ha poco di diverso dallo spagnolo e quindi non possiamo contaminarci proficuamente con la lingua di Cervantes, ti pare?

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:07 da Laura Costantini


@sergio
caro sergio (ciao, il tuo libro mi incuriosisce molto) se è l’inglese ci sarà pure una ragione, no? forse perchè siamo una “colonia” degli usa?
il problema non è circoscritto alla lingua, ma è molto più vasto. è una situazione storica di cui bisogna prendere atto. non è che sia giusto o sbagliato: è la direzione in cui va la storia, che non obbedisce agli uomini, ma a se stessa.
@ sacha
sono assolutamente d’accordo con te!
@renzo
il latino non è morto con la fine dell’impero romano. è morto quando un tipo che si chiamava dante alighieri ha deciso che per scrivere un’opera letteraria il latino non andava più bene. meglio usare una lingua bastarda, che la gente parlava ormai da anni, e però ancora nessun letterato aveva avuto il coraggio di usare.
————
e comunque, in generale, non mi pare che la nostra tanto acclamata tradizione letteraria sia così rilevante dal punto di vista internazionale.
ma vogliamo mettere la poesia francese dell’800 e ‘900 con quella italiana? il teatro inglese con quello italiano? il romanticismo tedesco?
la cultura americana contemporanea è quella dominante, ed è anche quella che ha assorbito, sintentizzato e rielaborato le radici europee.
quindi, come dice sacha, facciamocene una ragione.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:10 da giorgia


@carmelo
:-) :-)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:12 da giorgia


@Sergio caro non è proprio vero che assumiamo parole e termini solo dall’inglese:
Pret-a porter
Depliant
garage
bijoux
patè
crepes
croissant
deja vu
parquet
decoltè
silhouette
pout pourri
bon ton
moquette
toilette
papillon
buffè
dessert
sofà
abat jour
voilà
Dal francese e di uso comune!
p.s.é un piacere “rincontrarti” qui!

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:17 da francesca giulia


No rega no
Numme ce provo nemmeno.
Il tentativo di transitare Sozi al di la del 1915 anche come prospettiva intellettuale e critica l’ho fatto svariate volte fallendo rovinosamente. Egli è giocondamente incartato ner Tassoni. Noi siamo democratici, poi sappiamo che anche i reazionari radicali sanno scrivere belle cose e questo ci fa ben sperare nel libro. Auguri sinceri per il tuo libro Sergio!

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:28 da zauberei


provo a fare un discorso, ma non so se mi riesce tanto, perchè sto un po’ fusa dalla nevrosi prenatalizia.
quello che sta avvenendo adesso (diciamo più o meno dalla seconda metà del ‘900) ha molte analogie con quello che è accaduto tra gli ultimi due secoli avanti cristo e i primi due-tre dopo cristo.
una cultura dominante (quella ellenistica allora, quella europea adesso) si sta ripiegando su se stessa, lentamente, soprattutto dal punto di vista politico ed economico. Il ripiegamento poi si riflette anche sotto il profilo culturale, letterario, artistico, anche se in tali campi è molto più lento.
la cultura emergente (quella romana allora, quella americana adesso) forte del suo vantaggio economico, militare e politico, sta prima piano piano sanando l’inferiorità culturale, assorbendo e assimilando la vecchia cultura dominante; in seguito (e questo seguito è già in atto) si sta imponendo, con nuovi parametri, nuovi modelli. E una nuova lingua, che ovviamente è la “sua” lingua. Considerata la notevole velocizzazione dei processi storici in età contemporanea, quello che allora durò qualche secolo, forse adesso si esaurirà in un centinaio di anni.
Non credo che di ciò ci sia poi tanto di che rammaricarsi. Invece, dovremmo rallegrarci del fatto che ora, come allora, i semi più fecondi della nostra cultura – il pensiero, l’arte, la civiltà in generale – continuano a vivere, a portare progresso, seppure mediati attraverso altri linguaggi.
Accadde anche alla cultura greca, che se non avesse avuto quella romana ad accoglierla e a farla propria (anche se in un’altra lingua), forse non sarebbe sopravvissuta.
Il linguaggio, in fondo, non è che un mezzo: è la sostanza quello che conta.
anche se continua a irradiarsi nel mondo. diciamo che è ancora vitale, ma la sua vitalità si esprime attraverso canali che non le appartengono, almeno dal punto di vista politico e

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:30 da giorgia


oddio, mi sono dimenticata di cancellare le ultime due righe… va bè, lo avevo detto che sto fusa… :-)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:31 da giorgia


@ehi, zaub, come sta la tua amigdala? dài, scherzo, potrai perdonarmi, è natale…. :-)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:33 da giorgia


“Il linguaggio, in fondo, non è che un mezzo: è la sostanza quello che conta.”
EXACTLY ;)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:40 da Sacha Naspini


Posso dirmi d’accordo con Giorgia e Sacha Naspini? Si’ che posso :-)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:46 da Laura Costantini


vabbè… fondiamo un club… e cominciamo a imparare il cinese, mi sa che conviene…. :-)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:48 da giorgia


possiamo fregarcene? sì che possiamo :-)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:49 da enrico gregori


@enrico
de che? dei cinesi? o di francesco de sanctis? di tutti e due, va’…

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 15:59 da giorgia


giorgia sta na favola – me ne so fatta una di scorta cesellata ner marmo :)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 16:05 da zauberei


Ooooooooooooooooooohhhhhhh!!! Mi state distruggendo Sergio. E dove la mettiamo la purezza della razza? L’incanto delle tradizioni che si tramandano? Io non andrei mai con una cinese, per paura della contaminazione. E se poi mi nasce un figlio che parla un cinese sicilianizzato? Dove lo trova un interlocutore valido?

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 16:08 da Salvo Zappulla


@salvo
appunto. impariamo il cinese. così poi tuo figlio lo adotto io. poverino, piuttosto che farlo crescere con un padre così…

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 16:12 da giorgia


@sergio
allora, siccome salvo è preoccupato per te, per fare un po’ la cerchiobottista ti dico che io predico in un senso e razzolo in un altro. quando i miei studenti di archeologia dicono “overlay” io gli faccio puntuale un cazziatone… si dice “pianta di strato”, overlay facciamolo dire agli americani. e via su questa falsa riga…
:-)

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 16:15 da giorgia


Io il romanzo di Sergio l’ho letto con interesse e divertimento. E pure recensito. L’ho trovato molto originale, lontano da certa letteratura stereotipata ad uso e consumo di una editoria commerciale e poco impegnata. Sotto la patina dell’ironia nel “Menù” ho riscontrato un malessere di fondo, una certa riluttanza ad accettare taluni costumi e modi di fare di questa società. Il volume presenta svariati “ingredienti” tanto per restare in tema con il titolo: sarcasmo, una certa delicatezza di fondo, quasi un appello rivolto alla nostra Italia in decadenza. Sergio è pienamente padrone della materia che tratta, è un uomo che ha studiato molto, può fare dei raffronti, può scegliere gli autori a cui ispirarsi e da cui attingere. Non è poco visto l’analfabetismo dilagante di certi autori giovani contemporanei che si ritrovano in testa alle classifiche di vendita senza manco sapere da dove è calata tanta manna dal cielo. Il risultato è questo bel libro che, a mio immodesto parere, vale la pena assolutamente di leggere. Quello di Alessandro non l’ho letto e non sono in grado di esprimere un giudizio. Mi dispiace.

Anzi, visto che è Natale, vi faccio un regalo: vi posto un’intervista che ho fatto a Sergio, così potete leggere come la pensa, in attesa che intervenga nel blog. E’ ancora inedita in quanto mi ero riservata di presentarla come curriculum per farlo entrare (insieme a me) all’ospizio Sacro Cuore di Siracusa.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 16:30 da Salvo Zappulla


@Giorgina. In quell’ospizio c’è posto pure per te. Credo sarebbe una liberazione per tutti.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 16:32 da Salvo Zappulla


Intervista a Sergio Sozi.

Sergio, questo tuo romanzo edito da Castelvecchi l’ho trovato molto originale, lontano da certa letteratura stereotipata ad uso e consumo di una editoria commerciale e poco impegnata. Sotto la patina dell’ironia nel “Menù” ho riscontrato un malessere di fondo. E’ il tuo malessere? Un modo per esternarlo e raccontarlo?

Anche il mio malessere, certo: l’epoca attuale, per chi come me respiri aria antica e pagàna, non è il massimo della respirabilità. Però fra gli ingredienti presenti nel pentolone del ‘’Menú’’ io distinguerei la sapidità del sarcasmo, la dolcezza dell’elegia rivolta alla nostra decadenza, l’amarezza della poesia e l’aroma speziato del divertimento. Con un pizzico di peperoncino rivolto a noi scrittori, anzi a chi fra noi si senta un novello Dante o solo un secondo Italo Calvino. Il romanzo è inoltre dominato da una diffusa consapevolezza: quella del nostro epigonismo nei confronti della Vera Letteratura – che secondo me è quella che va dalle origini greco-romane a una quarantina d’anni fa. E mi riferisco all’Italia, naturalmente.
-
I grandi classici, le tradizioni, la Storia: quanto è importante conoscerli? E quanto è importante conservarli nella memoria?

Nei classici è già stato ideato, scoperto, illustrato e spiegato, tutto quel che diciamo noi e meglio di come possiamo dirlo oggi. Vuoi della buona fantascienza? Leggi i racconti di Luciano di Samosata o ‘’Le metamorfosi’’ di Ovidio; cerchi il romanzo d’avventura? Prendi il ‘’Satyricon’’ di Petronio; vuoi la poesia esistenziale? Eccoti Catullo; desideri il giallo socio-antopologico e storico ad intreccio (con molto d’altro insieme)? Sta tutto nei divertentissimi ed edificanti ‘’Promessi sposi’’.
La nostra è un’èra inutile, sotto il profilo artistico-letterario. Dunque se non conosciamo i classici, rifiutiamo di conoscere la Letteratura vera, la sola che abbia un senso eterno – perciò anche attuale.
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La lingua italiana si evolve, si evolvono i costumi, le regole, la vita stessa. Non pensi di essere considerato un conservatore? Magari un po’ bigotto?

Sí, lo dichiaro apertamente e senza ironia: sono proprio un conservatore ed anche un bigotto; cioè sono un italiano fiero della propria fede catto-pagana. Siamo in democrazia e posso permettermelo, visto che le mie pagine non distruggono, non feriscono, non intristiscono, ma creano e propongono fantasia, originalità, storie, personaggi e sogni… anche divertendo la gente, spesso – intendiamoci: la gente preparata in Letteratura, non tutti, certo. Scrivo storie per rallegrare e per far pensare e sentire. Questo secondo me è divertimento, non andare in birreria.
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Cosa c’è in Italia da salvare? E cosa da cambiare?

In Italia noi dobbiamo solo fare, bene e a fondo, due operazioni.
Prima operazione: uscire dall’analfabetismo strisciante e metterci tutti a leggere ogni giorno dei piacevoli capolavori come quelli di Seneca, Cicerone, Socrate, Dante, Petrarca, Leopardi, Manzoni, eccetera (piú gli stranieri validi come per esempio la Yourcenar, Aldous Huxley, Dostoevskij, Drago Jancar o Bulgakov).
Seconda operazione: diventare un Paese orgoglioso della propria identità, ossia conoscerla per poterla amare veramente. Insomma dobbiamo scavalcare la nostra attuale ignoranza di noi stessi (in quanto italiani) e la nostra ignoranza dell’Europa contemporanea – dunque si tratta di una sola grande ignoranza double face che ci rende inferiori alle altre Nazioni europee.
Per ottenere questi risultati basterebbe vedere le cose che fanno vivere meglio fra loro i cittadini delle altre Nazioni ed introdurle, a modo nostro, in Italia; parallelamente, dovremmo recuperare i lati positivi puramente italiani che ci siamo lasciati alle spalle per il brutto vizio di scopiazzare i difetti altrui ed aggiungerli ai nostri difetti autoctoni – che già bastano e avanzano.
Queste due operazioni, gli altri popoli europei le hanno fatte già almeno cent’anni or sono. Sarebbe ora che ci svegliassimo anche qui.
Una volta compiuto questo, tutto il resto verrebbe di conseguenza: una tivú decente, della Letteratura buona, una moralità condivisa nel vivere e nel votare, un’infanzia non piú abbandonata a se stessa, meno violenza per le strade e nelle famiglie, dei politici che non siano gli attuali pollivendoli, eccetera. Insomma piú civiltà in tutto.
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E nel mondo dell’editoria?

Nel mondo dell’editoria ogni casa editrice ha qualche titolo che si salva e un novanta per cento di titoli da buttare nell’immondezzaio. Questo novanta per cento di rifiuti però viene ben promosso dagli uffici stampa e finisce sui grandi giornali che gli fanno da cassa di risonanza; i titoli di qualità invece si devono arrangiare da soli, cioè vengono lasciati, dai loro stessi editori, ai voleri del Fato. Conclusioni: la paccottiglia vende trentamila copie a titolo e i libri di difficile lettura ma di qualità vendono trecento copie e di conseguenza i loro autori rimangono disoccupati – disoccupati e scacciati come appestati grazie alla incomprensibile negligenza loro stessi editori, ripeto e sottolineo.
Possibile soluzione al problema: se la gente studiasse meglio la Storia della Letteratura Italiana, saprebbe come indirizzare, coi propri acquisti in libreria, la politica editoriale italiana. Gli editori fanno quel che la gente indica coi propri acquisti. Se restiamo succubi del libro brutto ma ben venduto (cioè se lo compriamo noi), incrementiamo il mercatino della Letteratura facilotta, di consumo, di profondità zero o zero virgola uno e dunque avremo sempre piú titoli similari ad inquinare le librerie. Attenti dunque ai best seller: uno su cento è di qualità, uno su cento resterà nel vostro cuore e nella vostra memoria. Guardate meglio gli scaffali delle librerie e spulciate i cataloghi, informatevi solo leggendo recensioni lunghe, obiettive, analitiche ed approfondite, non le segnalazioni di quattro righe che non dicono niente, quando volete acquistare dei libri. Un cattivo libro vi fa perdere tempo e fiducia nella Letteratura e nella lettura: non lasciate che esso entri nella vostra sensibilità e se ne vada, duecento pagine dopo, lasciandovi come eravate prima.

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La scrittura salverà il mondo dagli orrori del progresso indiscriminato e massificante?

Il mondo non so: io mi occupo d’Italia perché la conosco bene, è il mio Paese.
Se i critici letterari italiani – oggi latitanti in massa – ricominceranno a parlare onestamente alla gente, avremo qualche speranza di resurrezione artistico-letteraria: ciò sta a dire che torneremo a valorizzare i romanzi, i racconti e la poesia, scritti da letterati professionisti, cioè da ‘’artigiani’’ veri e non da pinco e pallino che una bella mattina si son svegliati dicendo ‘’Quasi quasi pubblico un libro’’. Bisogna insomma uscire dall’aberrazione dei criteri di marketing applicati all’editoria che concedono fama e ricchezze a ‘’scrittori per un giorno’’ che hanno il semplice merito di lanciare al pubblico delle ‘’trovate’’ buone per la moda corrente. E potremo uscire da questo incubo del marketing editoriale che produce libri come se fossero prodotti in serie, automobili o mortadelle, solo se sapremo riconoscere ed acquistare in libreria le opere scritte ‘’artigianalmente’’ da professionisti seri, da studiosi di Letteratura (pertanto evitando i ‘’dilettanti furbi’’ che l’editoria di oggi compiace per poter vendere libri anche e soprattutto agli analfabeti, per poter inseguire la sciocca follia della televisione).
Altrimenti… la Letteratura diverrà l’ultimo degli interessi degli italiani – dopo la lattina della cocacola.
-
Dammi il tuo concetto di Arte.

Le altre arti non so, non ne sono competente. Però in Letteratura, l’Arte secondo me è quel libro scritto da una persona che abbia il ‘’Dono della Parola’’ sin da quando è nata e che, poi, da quando ha imparato a leggere e scrivere, abbia sempre pensato e fatto tutto quel che serve per divenire un vero artista-scrittore: studiare la grammatica, la sintassi e la grafia della sua lingua, studiare le opere letterarie e la Storia della Letteratura del suo Paese, studiare la metrica, la retorica e la stilistica, ampliare il lessico e selezionarne solo i lemmi che gli sembrano utili, confrontarsi con i Classici latini, greci e italiani, ma anche con le opere straniere. Piccola condizione che però deve esserci addizionalmente a quanto detto: una sensibilità assieme letteraria ed umana, uno spirito che condivida ed ami l’umanità e scelga naturalmente, senza autoforzature, la parola come metodo per esprimere i contenuti morali ed esistenziali dell’uomo e della Natura nella quale l’uomo è inserito parimenti alle pietre, ai fiumi e agli alberi.
-
A quando il prossimo romanzo?

Ho appena sottoposto ad un editore un saggio narrativo su Italo Calvino e la sua Trilogia ‘’I nostri antenati’’. Sto dunque aspettando da costui una risposta, ergo, sempre che gli piaccia, spero di poterlo pubblicare nel corso del 2010 – sarebbe il mio quinto libro in Italia, mentre a fine dicembre 2009 in Slovenia esce la mia intervista al filosofo Umberto Galimberti come appendice alla seconda edizione della traduzione slovena del suo ‘’L’ospite inquietante – il nichilismo e i giovani’’, campione di vendite sia in Italia che in Slovenia, dove la prima edizione è andata esaurita in due mesi scarsi. Intanto un altro editore dovrebbe star leggendo il mio romanzo lungo inedito ‘’Adesso a Roma piove’’, che ho finito di scrivere un anno fa circa e nel quale racconto le incredibili e agrodolci peripezie di una coppia di croati in Italia fra il 1998 e il 2008. Come sempre realtà e magia, avventure e fantasia in rapporto osmotico dentro storie fatte per porre me stesso in osmosi con una realtà che non amo nella sua sciatta crudezza tecno-illogica.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 16:37 da Salvo Zappulla


Alcune precisazioni:
Titoli in inglese: non è che mi spaventi il titolo in un’altra lingua, tanto più che ho studiato inglese; quello che mi spaventa è che un italiano intitoli un suo romanzo in un’altra lingua. Spaventa è un verbo non idoneo, diciamo meglio: mi dissuade. Poi, il libro di Cascio può essere bellissimo, non metto in dubbio, ma quel titolo in inglese, o fosse anche in spagnolo, disorienta.
._._._._
Ricorso a termini in lingua straniera: purchè indispensabile, non ci vedo nulla di male, ma succede un fenomeno strano: che più si ricorre a parole straniere nel proprio linguaggio, più si disimpara l’italiano. Non ci credete? Ci sono tanti laureati che non sanno scrivere in modo grammaticamente corretto, ma che si esprimono ricorrendo agli anglicismi.
.-.-.-.-.-
@Giorgia: è indubitabile la capacità militare dei Romani, ma non possiamo dimenticare quanti benefici ne abbiano ritratto i popoli da loro conquistati. Basta pensare che i Germani, mai colonizzati, ma a contatto con l’impero hanno (ora si chiamano tedeschi) alla base della loro lingua una costruzione pari pari al latino. E il diritto, il diritto romano? Tutte le leggi dei paesi attualmente più progrediti si basano sul diritto romano. Perfino i sistemi di coltivazione influenzarono nei secoli successivi gli agricoltori; i metodi di costruzione, ancor oggi basilari, la grande letteratura romana (non mi dirai che Virgilio era un poeta da strapazzo), perfino le strutture statali e amministrative si rifanno a quelle romane. Sì, il latino non è morto con la caduta dell’impero, ma è rimasto come lingua senza forza, senza prospettive, perchè mancava chi la poteva usare comandando. Le divisioni dei popoli assoggettati a Roma ne ha spento l’eco e non è solo perchè Dante ha scritto la Divina Commedia il motivo per cui il latino ha cessato di esistere; il motivo è che era la lingua di uno stato e di un popolo finiti, scomparsi. Quanto a civiltà inferiore, possiamo meglio parlare di popoli più o meno evoluti, e su questo non ci piove. Io non ho concetti razzisti, ma fra un cannibale del borneo e un vaccaro maremmano devo per forza dire che il secondo fa parte di un popolo più evoluto.
.§.§.§.
@ Sergio: giusta osservazione. Si usano solo vocaboli inglesi, anzi americani, perchè c’è parecchia gente che crede così di essere parte dello stato egemone. Ricordo un bellissimo film anni ‘50 con Sordi, che si atteggiava a giovane americano, biascicando frasi già fatte di cui nemmeno conosceva il significato.
._._.-.

La supremazia della letteratura americana: hanno degli ottimi autori, soprattutto hanno avuto, ma noi italiani non è che sfiguriamo, perchè in campo poetico nomi come Ungaretti, Montale, Pascoli, Luzi ci vengono invidiati. Anche a livello teatrale Goldoni, Pirandello e Fo spopolano.
Non saremo i migliori, ma abbiamo contribuito in modo non trascurabile alla crescita della letteratura mondiale. Prendete Calvino, un autore di un fantastico unico, oppure Bonaviri, pure lui autore di un fantastico del tutto particolare; sono mica delle mezze calzette, ma stelle di prima grandezza.
Gli americani non credo che saranno egemoni ancora per molto e direi che forse è il caso di cominciare a studiare un po’ di indiano e un po’ di cinese…

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 17:11 da Renzo Montagnoli


@Salvo: all’ospizio del Sacro Cuore non ti vogliono, perchè con le tue batture ringiovaniresti i vecchi e allora addio al premio di mortalità indetto dall’INPS…

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 17:13 da Renzo Montagnoli


Grazie a tutti per la virilita’ del dibattito: e’ quello che mi aspettavo, poiche’ ormai parlare di conoscenza approfondita della nostra lingua – e sperando che tutti gli altri popoli facciano lo stesso – e’ diventata una provocazione – eh eh eh…
Ciao, Zaub: il veterano della Prima Guerra Mondiale Sergio Francesco Maria Quirino Sozi te salutat! Con la solita bonaria spiritosita’. Grazie per gli auguri. Il menu’ e’ finora piaciuto ai critici de: Il Giornale, Il Secolo d’Italia, Il Piccolo e La Sicilia. Solo una stroncatura e’ apparsa sul Internet, ma e’ l’unica. Sta’ a vedere che son diventato Dante (Arfelli), ah ah ah!
E grazie a Salvo per l’intervista.
A piu’ tardi per le cose serie.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 17:16 da Sergio Sozi


Inutile dirvi che sono sulla linea di Renzo Montagnoli.
.
Sulle parole francesi che qualcuno ha elencato – mi pare Francesca Giulia che saluto affettuosamente come sempre: sono parole entrate nell’italiano trent’anni fa o piu’. Io dicevo oggi. Oggi c’e’ solo l’inglese, e’ innegabile, purtroppo. Ed e’ cosa monomaniacale… la tipica monomaniacale ottusita’ degli analfabeti della propria lingua che molti di noi italiani sono tutt’ora. Molti, non tutti. dico. Ma molti si’.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 17:21 da Sergio Sozi


@Sergio. Se il titolare di tutti quei nomi sei tu, piuttosto che stare due ore per registrarti, facevano prima a buttarti nel water.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 17:38 da Salvo Zappulla


@Sergio: le parole francesi erano, quando introdotte, un vezzo, un modo per convincersi, in chi le usava, di essere diversi e magari tutto il discorso era finalizzato a ricamare quella parolina che veniva come fatta cadere dall’altro. Poi, per l’effetto pappagallo, sono entrate nell’uso corrente. Nel caso dei termini inglesi la cosa è un po’ diversa e occorre fare una distinzione:
i termini connessi all’informatica hanno una loro ragione e mi possono anche andar bene;
tutte le altre parole inglesi che sostituiscono le nostre, esprimendo lo stesso concetto, non mi va che vengano usate da un italiano scrivendo o parlando con un altro italiano; è un vezzo anche questo, ma con una differenza sostanziale, nel senso che chi vi ricorre aspira inconsciamente a essere al di sopra dell’italiano non come lingua, ma come popolo.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 17:42 da Renzo Montagnoli


Scusate il ritardo, torno ieri da New York e non dormivo da 54 ore, mi sono svegliato pensando che dovevo fare qualcosa “ma cosa, ma cosa”. Maugeri, lo aspettavo da tempo. Grazie Massimo per l’occasione.
@Letteratitudine (rispondo alle domande del Maugi)
-La lingua italiana si imbastardirà?
L’imbastardimento crea nuove specie, quindi solleva il mondo dalla sua naturale monotonia. Se gli spagnoli non si fossero accoppiati con le indiane Arawak, non esisterebbero i portoricani e non so voi, ma io non so immaginare un mondo senza le portoricane che muovono il sedere al tempo di un Salsa. L’imbastardimento della lingua è frutto della fantasia dell’uomo, incontenibile, impossible da racchiudere a lungo in schemi espressivi prestabiliti. Per questo: si’ la lingua italiana si imbastardirà, cosi’ come l’inglese in america e il tedesco a Potsdamer negli anni ‘70.
- Fino a che punto è contaminazione?
Fino al punto in cui lo è. Se un italiano usa la parola Finger Food per indicare un pasto mangiato con le mani, è stato contaminato, ma se usa quelle due parole inglesi per indicare un pasto tipicamente da aperitivo del fine settimana, ha si’ acquisito un termine di un altro continente, ma lo ha adattato alla propria cultura. Ecco che l’italiano fa suo un elemento culturale esterno.
- Il limite.
Chi puo’ decidere il limite entro cui un uomo debba pensare, per non essere considerato filosofo? Chi, il limite entro cui debba sognare per non essere considerato disincantato? I limiti sono tracciati da chi ha poca conoscenza del futuro, o da chi da un’esperienza sbagliata ne ha fatto motivo per non provare piu’ ad osare. Del resto, la stessa lingua italiana è frutto di un’imbastardimento.
- La società di oggi è piu’ rabbiosa?
Ovviamente lo è, per il semplice motivo che piu’ una società si organizza piu’ deve sottoporsi a schemi, più crei schemi, piu’ si realizza la convinzione che tutto cio’ che va fuori da quel contesto sia errato, piu’ sono i contesti di cui fai parte, piu’ hai la possibilità di uscirne fuori per via di un normale errore, più sbagli, piu’ ti alieni, piu’ sei alienato, piu’ covi rabbia.
- Un antidoto?
Il mio libro parla di questo. In questa società non c’è altro antidoto che sfogare la propria rabbia quando si viene a contatto con essa. Ci si dovrebbe soffermare su se stessi, lavorare sulla propria mente, sulla propria anima, sulla capacità di tensione dei propri muscoli, dei propri nervi, un lavoro costante, il primo lavoro della nostra vita. Il problema è che la sveglia suona, il telefono squilla, la TV trasmette ad orari prestabiliti, il micronde fa din, il citofono assorda il corridoio, il capo chiama. Non c’è tempo di creare una nuova opposizione, tirate un Duomo in faccia a Berlusconi.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 18:04 da Alessandro Cascio


@Montagnoli: “Già il titolo non in italiano non mi attrae”. Credo che molti abbiano fatto come te e abbiano giudicato il libro dalla copertina. Credo che sia una questione di cultura musicale che io ho dato per scontato. Il Touch and go è usata in musica classica per indicare la Toccata e fuga, dovendo parlare una lingua universale e dovendo affontare il tema della rabbia nella società più frenetica al mondo (quella americana), dovendo usare il tema Western e Spaghetti Western che dall’America arriva e che in Italia viene tramutato e immaginando ogni scena accompagnata da violini ho pensato fosse giusto usare il titolo Touch and Splat, che stesse a riprendere la musicalità delle sparatorie, ma anche lo splatter e l’onomatopea finale di un pallino colorato (munizione del gioco di ruolo che si svolge nel mio romanzo) su un costume. Ma ovviamente, come mi ha detto il mio agente: “Ale, dobbiamo fare delle copertine piu’ chiare e mettere dei nomi italiani, altrimenti la gente non compra, diffida. Dobbiamo usare una testa commerciale e allontanarci dal pensiero artistico solo per un po’, prima della stampa, per cercare di attirare il lettore”. Ma credo che, visto che sei stufo della modernizzazione della lingua, tu abbia fatto bene a non interessartene perchè l’avresti odiato e io non voglio essere odiato dai conservatori, nè dai progressisti.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 18:04 da Alessandro Cascio


@Francesco feat. Montagnoli: quando dialagherà la Cina, useremo parole cinesi, cosi’ come già usiamo “siamo come lo yin e lo yang” (tratto dal taoismo) per definire un rapporto (umano e non) che si completa. Francesco, dici che non bisogna eccedere, ma l’eccesso viene subito riconosciuto dal buon gusto, quindi eliminato a priori. Non credo che ci sia alcuna sudditanza del popolo italiano, ma è piuttosto una tendenza ad aprirsi al mondo e alle novità, amo il popolo americano (che è messicano, italiano, spagnolo, cinese, inglese, africano) e credo che loro siano il più grande esempio di coesione tra popoli diversi, integrazione, “imbastardimento di razza”: del resto come scrivevo a un amico “credo che quando un cinese si accoppi con un africano, nasca un Hawaiiano e … che magico popolo, io l’ho conosciuto”. New York stessa ha in sè Little Italy (Italia), Little Korea (Korea), Greenwich (Inghilterra), Litte Brazilian (Brasile), Little Pakistan (andate ad intuito), Jamaica e molto altro. Non guardare al passato, è il tempo andato, guarda al futuro pensando che la storia, se si ripete, è solo per l’inflessibilità di alcuni uomini, non per la ciclicità della natura. Non chiuderti nella monotonia del linguaggio del passato, non fidarti degli anziani che si lamentano che non esistono piu’ le mezze stagioni (e ne hai tanti attorno) ma fidati solo di chi vede nel futuro una grande prospettiva, che sia anche la fine del mondo: “Ma che gran finale” ti diranno, “che gran finale”. So che con te non potrò mai editare alcuni romanzi, perchè sei vecchio dentro, ma sono felice che tu sia un caro amico, perchè sei il giusto equilibrio tra me, Sacha e la Corazzata Potemkin.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 18:05 da Alessandro Cascio


@Carmelo: Dio benedica l’invenzione e il cambiamento, caro Carmelo, altrimenti sai che monotonia.

@Amelia Corsi: credo che Amelia sia stata davvero eloquente e che da sola, in poche parole ma precise, potrebbe chiudere tutte le discussioni di Maugeri portando il suo Blog a fallimento. :)

@Laura: consideri un limite avere voglia di sorprenderti, un limite non soffermarti a pensare su quel che già conosci? :) E’ un grande pregio, il mio piu’ grande, per esempio.

@Sacha: io credo che bisognerebbe contrapporre a ogni libro, un bollino di diverso colore, non so, Fucsia e Badge per determinare quale libro guardi alla lingua come a una possibilità d’invenzione perchè se è vero che ci sono persone come noi (scribacchini, operatori del restyling linguistico) è vero che ci sono persone come Sozi e Montagnoli che vogliono mantenere un rapporto con il primordiale, anche per non aiutare noi eccitati da droghe e cinema americano, a non eccedere. Io personalmente non leggerei mai Platone in originale, ma se hanno la versione “for Dummies”, ne comprenderei volentieri il pensiero in lingua moderna. Io come te credo che sia importante che la comunicazione avvenga e non me ne sto lì a crogiolarmi sulle parole masturbandomici sopra e tu come me sai benissimo che essendo la scrittura arte delle parole, non ci si può distaccare troppo da alcuni schemi. So che siamo d’accordo su questo, per questo ti scrivo senza dover aspettare necessariamente una risposta. Il bello di un libro, per me, è se ne puoi sentire le parole anche quando stai tra la gente. La vecchia lingua muore nel momento in cui si smette di parlarla, per semplice disinteresse, quando qualcuno decide che per dire una stessa cosa ad una conversazione a cena, sarebbe piu’ brillante usare un diverso termine.

@ M.Teresa Santalucia Scibona: l’ho scritto per intero perchè il tuo nome è galante come il tuo complimento.

@ Cristina Bove: come dicevo a Giubilei “è il buon gusto ad accorgersi quando qualcosa diventa eccessivo”. D’accordo con te per la misura.

@Enrico Gregori e sul finale TUTTI gli altri: un caro saluto Enrico, nulla piu’. ;) La penso come te, sul “giocare”. Penso anche che chi ha paura della novità, in un libro non cerca cultura, ma conferme e a volte solo conforto.

@ Giorgia, ciao. Io aggiungerei anche un’altra cosa, per tutti, non per te soltanto. Chi conosce l’america non tramite tv, sa che non esiste una vera cultura americana se non nei libri di storia o in pochi angoli nascosti, ma esiste una continua macina di fatti, detti e scritti, data dalla coesione tra culture a volte opposte tra loro, ma che collaborano. Sapete, per esempio, che tutti i souvenirs americani, sono fatti a Chinatown o nella stessa Cina? Alza una statuetta della libertà a Ellis e nota. Che poi la stessa Statua della Libertà sia Made in France è un’altra storia.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 18:06 da Alessandro Cascio


@Alessandro: non odio mai nessuno, nemmeno un libro, anche perchè so che dietro un’opera ci sono tanta fatica e anche delle speranze. Un libro mi può piacere o non mi può piacere, ma non lo odierò mai.
Quello del titolo non in italiano che non attiri è un dato di fatto, anche perchè la prima cosa che si vede di un libro è la copertina.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 18:17 da Renzo Montagnoli


Sto leggendo il libro di Sergio Sozi con interesse, però non mi sento di schierarmi contro la contaminazione in generale. Chi mi legge sa che amo scrivere in italiano e di certo gli estremismi mi infastidiscono, ma immagino (inglesismo?) faccia parte della scelta consapevole (batterei su questo, ecco) di ognuno il linguaggio da adottare in base al ‘perché a chi quando’. Il vero pericolo però, credo, non è l’americano o il cinese ma l’ignoranza dell’italiano (e anche degli italiani). E adesso non tirate in ballo la scuola, eh! Se nessuno conosce più l’italiano è colpa, in ordine, di: tv, giornali, editori (no, Francesco, tu no), scrittori e giochi e aggeggi elettronici che, oltre a favorire l’inglese, mancano ormai quasi del tutto del linguaggio preferendo l’immagine. Detto ciò spero di leggere presto anche l’altro libri di Historica e vi mando gli auguri per un Buon Natale e un happy new year!

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 19:31 da cinzia pierangelini


@Giorgia quindi, se non ho capito male il tuo discorso, tu paragoni la nostra società a quella greca nel periodo che va dal II secolo a.C. al II secolo d.C. e quella americana/cinese alla società romana?
La cultura greca venne si assorbita da quella romana ma, nel giro di 2-3 secoli divenne non più una cultura primaria bensì la cultura di un grande popolo ormai sottomesso e la lingua greca diventò appannaggio di poche persone colte che la studiavano più per cultura personale che per reale utilità.
Inoltre paragonare i romani agli americani mi sembra molto sbagliato. C’è una differenza enorme tra l’impero romano e quello (perchè di impero trattasi) americano. I romani quando invadevano un territorio al suo interno non si comportavano da vincitori ma assorbivano gli usi e costumi dei popoli sottomessi per migliorare la loro società e questa fu la grandezza dei romani che gli permise di governare il mondo per secoli e secoli.
Gli americani invece quando attaccano o invadono una nazione sia militarmente che culturalmente (come purtroppo sta avvenendo in Italia) tendono ad imporre il loro modello perchè credono sia il migliore in assoluto.
Secondo me invece c’è tanto da rammaricarsi e bisogna cercare di restare autonomi il più possibile, prendendo sì spunto da altre culture ma salvaguardando la nostra identità in primis con la nostra lingua e cultura.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 20:03 da francesco giubilei


Ale scrivi:
“amo il popolo americano (che è messicano, italiano, spagnolo, cinese, inglese, africano) e credo che loro siano il più grande esempio di coesione tra popoli diversi, integrazione, “imbastardimento di razza”.”
c’è una differenza enorme tra il popolo italiano e quello americano. Il popolo americano è nato non più di 4 secoli fa, è quindi un popolo nuovo nato da un crogiolo di culture e razze diverse appunto da un “cultural melting pot” come dicono gli americani. Gli americani sono nati dalla contaminazione tra i coloni europei spagnoli, inglesi, francesi, olandesi con i nativi. Successivamente si sono verificate ondate migratorie (italiani, irlandesi, messicani, spagnoli…) che hanno contribuito a creare il popolo americana.
Per gli italiani è molto diverso, noi siamo un popolo antichissimo e sì può parlare di una vera e propria razza (in accezione positiva della parola) italiana o latina. Nel corso della storia, è inutile negarlo, il nostro territorio non è stato mai caratterizzato da migrazioni rilevanti, benchè siamo stati dominati per anni da altri popoli (francesi, austro-ungharici, borboni…) L’unica grande migrazione è stata quella successiva alla caduta dell’Impero romano, la cosiddetta migrazione dei barbari.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 20:14 da francesco giubilei


@Renzo: Non dico che non sia un dato di fatto, ma penso che sia inacettabile rifiutarsi (almeno) di sfogliare un romanzo perchè il titolo non va. E tu sei uno di questi, e mi dispiace, perchè fai cultura e dirigi collane o roba simile ed è davvero un dispiacere che la cultura sia guidata da chi, nonostante lavori nell’ambito, si faccia influenzare dalla copertina. Penso che avresti dovuto almeno guardarlo, visto che c’è una segnalazione a tuo nome per l’uscita di Historica. Scusa la schiettezze, è una cosa che mi provoca molte antipatie, ma non ho abbastanza vita per essere politically correct.
@ Cinzia: dici giusto, ma l’ignoranza sta nella stessa percentuale in tutti i popoli, basta conoscerli. Basta sapere cosa vedere in TV, cosa leggere. Non ti asetteresti mai quanta storia e cultura ci sia dietro una Sit Com (che io ho conosciuto da vicino a contatto con gli sceneggiatori dell’epoca) come quella dei Robinson. Se non metti tra gli editori ignoranti Giubilei, non metti tra le cause dell’ignoranza me, e di questo ti ringrazio :)
@Per il resto: io amo sballarmela con gli amici, viaggiare, ballare o fare boxe, non so altro, non so di cultura greca, latina, di idioma e imbastardimenti, per me c’è la vita, ci sono io, c’è la scrittura e ci sono le tre cose che poste l’una di fronte all’altra danno degli effetti, quindi pardon se non parlo di Grecia e Latino, ma imparo con piacere dai vostri commenti e da quelli di Giubilei che come storico, sa metterla laddove a chiunque.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 20:20 da Alessandro Cascio


Allora,
Salvo Zappulla mi ha chiesto pochi giorni fa qual e’ la mia idea di Arte. Io gli ho risposto come segue:
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”(…) in Letteratura, l’Arte secondo me è quel libro scritto da una persona che abbia il ‘’Dono della Parola’’ sin da quando è nata e che, poi, da quando ha imparato a leggere e scrivere, abbia sempre pensato e fatto tutto quel che serve per divenire un vero artista-scrittore: studiare la grammatica, la sintassi e la grafia della sua lingua, studiare le opere letterarie e la Storia della Letteratura del suo Paese, studiare la metrica, la retorica e la stilistica, ampliare il lessico e selezionarne solo i lemmi che gli sembrano utili, confrontarsi con i Classici latini, greci e italiani, ma anche con le opere straniere. Piccola condizione che però deve esserci addizionalmente a quanto detto: una sensibilità assieme letteraria ed umana, uno spirito che condivida ed ami l’umanità e scelga naturalmente, senza autoforzature, la parola come metodo per esprimere i contenuti morali ed esistenziali dell’uomo e della Natura nella quale l’uomo è inserito parimenti alle pietre, ai fiumi e agli alberi.”
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Ecco. Io vorrei un’Italia fatta da scrittori cosi’ e gli altri li manderei a fare altri mestieri. Infatti credo – alla maniera centroeuropea – che uno scrittore debba essere un professionista e non ”uno che pubblica” e intanto fa il chirurgo, il cameriere, il professore. Dunque vorrei che l’ottanta per cento dei libri pubblicati in Italia non si pubblicasse ma che il rimanente venti per cento desse uno stipendio reale agli autori – magari integrando con gli articoli di giornale, va’.
E questo perche’ il dilettantismo e’ comprensibile quando si chiacchiera in quello schifo di televisione o al bar, ma mi e’ insopportabile nei libri.

Dunque sono con Francesco Giubilei e con Renzo Montagnoli: e parlo da persona che conosce l’inglese, il francese e lo sloveno – anche se non sono un linguista,ma vivo parlando queste lingue, oltre alla mia, qui a Lubiana dove sto da dieci anni.

Siccome ho difficolta’ di connessione Internet, attendo un po’ e poi rispondo a tutti. Intanto leggo i vostri commenti ringraziandovi di cuore per la partecipazione al ”post” e salutando il caro Alessandro Cascio, che ringrazio ancor di piu’ per la bella recensione.

Sergio Sozi
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Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 20:28 da Anonimo


scusate, sono tornata adesso e non sono aggiornata… perciò comincio dall’ultimo commento di francesco.
@francesco
il mio paragone è da prendere ovviamente con le pinze. nel senso che è valido solo per alcuni aspetti. sul primo punto del discorso: la cultura greca (dei perdenti) venne assorbita e assimilata dai vincitori, ma non cancellata. dal punto di vista culturale, intellettuale, filosofico ed artistico (anche se in parte), l’ellenismo continuò ad essere la linfa vitale anche dell’impero romano e oltre, basta pensare a quanto del pensiero greco è entrato nel pensiero cristiano.
il fatto che la lingua greca divenne appannaggio di una classe sociale elevata è vero solo a roma, perchè in grecia continuavano tranquillamente a parlare greco, sebbene un greco ormai non più “classico”.
la prova di ciò è che quando l’impero romano in occidente è finito, in oriente invece è durato altri mille anni, ed è un impero romano (i bizantini si autodefinivano “romani”) che parla greco. Non solo, la cultura greca ridiventa dominante: sebbene l’impero bizantino non abbia più peso politico in occidente, la sua influenza culturale rimane determinante lungo tutto l’arco del medioevo, ben oltre i confini militari e amministrativi dell’impero.
secondo punto: la storiella che quando i romani invadevano non si comportavano da vincitori è, appunto, una bella favola. tramandata da chi la storia l’ha scritta, cioè loro stessi. in realtà, anche da fonti interne all’impero, non si evince tale versione dei fatti. Alla pax romana (quella dell’Ara Pacis, per intenderci) non ci credevano nemmeno loro, però diciamo che ai romani piaceva raccontare questa storia edificante in giro, così come agli americani piace far passare le loro guerre come crociate per esportare la libertà in giro per il mondo.
ma il discorso è complicato. però, se vuoi, possiamo approfondire. io sono convinta che la storia dia sempre le chiavi per comprendere il presente, e forse anche per prevedere il futuro.
ciao!

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 20:39 da giorgia


@Alessandro: Ammetto che di un autore che non conosco sono costretto a scegliere a impressione, oppure meglio d’istinto. Ho la scrivania stracolma di libri da leggere e se mi si parla di un libro dal titolo in inglese di un autore giovane mi viene subito il sospetto che sia un’opera che, per i miei metri di giudizio, non possa interessarmi. Questo metodo non è perfetto e c’è sempre qualche possibilità di errore, nel senso che un’opera che a fiuto potrebbe non interessarmi poi magari si rivela appetibile. Ognuno poi ha i suoi gusti; molti di voi sapranno che mi interesso di fantastico e srivo su una rivista “ad hoc”, però anche in questo campo ci sono dei sottogeneri che non mi soddisfano, come per esempio il fantasy. Peraltro non sono un monotematico, perchè mi piacciono anche i grandi classici latini; guarda caso Sozi ha fatto un cenno a quel capolavoro immortale che sono Le metamorfosi di Ovidio e già che ci sono butto lì anch’io il titolo di qualche cosa di rilevante, il De rerum natura, di Lucrezio, senza dimenticare il mio amato Virgilio. Questo anche per dire che, nell’impossibilità di leggere tutto, sono costretto a fare delle scelte e un titolo in inglese di un libro di un autore italiano mi porta a rifiutarlo.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 20:46 da Renzo Montagnoli


Sì, Francesco, Giorgia ha ragione, nel senso che i Romani quando conquistavano si comportavano da vincitori. E’ nella natura umana questo, oggi, come 2.000 anni fa. Però, oltre che dei militari quasi invincibili, erano anche degli abili politici e in questo senso riuscivano a presentarsi ai popoli sottomessi come dei civilizzatori, e in gran parte lo erano, perchè le popolazioni (tanto per fare un nome gli Elvezi) erano assai lontani dalla struttura di uno stato come quello romano e si lasciavano anche volentieri attrarre dai piccoli lussi che portavano i vincitori.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 20:53 da Renzo Montagnoli


Cari amici, vi scrivo da fuori sede.
Vi ringrazio tutti per i commenti pervenuti. Non ho avuto il tempo di leggerli, ma lo farò con calma tra stanotte e domani…

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 21:05 da Massimo Maugeri


La cosa importante è che ciascuno di noi possa esporre le proprie idee e le proprie convinzioni anche in netta contrapposizione a quelle degli altri, ma senza offendere e nel rispetto reciproco.
Da una rapida occhiata mi pare che siamo perfettamente in linea con quanto ho scritto sopra… per cui vi ringrazio.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 21:07 da Massimo Maugeri


Mi preme soltanto ringraziare (e scusarmi con) Sacha Naspini.
-
Caro Sacha, ho utilizzato la tua recensione senza nemmeno chiederti il permesso. O meglio, ti dovevo scrivere per chiederti l’autorizzazione… ma poi me ne sono dimenticato.
I’m sorry… oooops… chiedo venia!
Sorridete, su.
;)
-
A stanotte, o a domani…

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 21:11 da Massimo Maugeri


Non so come lo sapevi, Massimo, ma hai un gran fiuto. Sacha riesce a capire ogni mia parola (e io le sue, potrei leggere solo le sue cose ed essere appagato), hai preso la recensione piu’ azzeccata, non scusarti, te lo do io il permesso. :)
@Renzo: aggiungevo un po’ di Verve e ti ho usato come spunto per rispondere a chi guarda l’apparenza (non che tu lo faccia di solito, lo hai fatto in un caso soltanto). Hai detto “quello che mi spaventa è un autore che scrive un titolo in inglese” e rispondo a te per chi voglia conoscere. I miei romanzi portano questi titoli: Tra Candele, Tutti tranne me, Noi sotto il Sole di Santiago, Tra bene e male, Ditemi tutto sui baci, Domino e solo alcuni racconti per riviste cartacee come Brazilian Babes o Hey Hey My My, portano nomi inglesi, per ragioni differenti (il primo è il nome dei trans Brazil che fanno porno, il secondo il titolo di una canzone). Touch and splat è uno splatter che prende il nome da Toccata e fuga (Touch and go, internazionale). E se basta questo a mettere paura a un lettore. Non c’è niente che metta paura a un lettore, sono solo leggende create da chi non vende o da chi legge troppo per avere il tempo per mettere in pratica cio’ che legge nella realtà. Consiglio a tutti, quindi, un romanzo, al mese, 5 film a settimana e due fumetti al mese e tanta musica ogni giorno, così diverrete belli e intelligenti e non vi farete le pippe. Ti voglio bene, anzi, io voglio bene a tutti qui dentro, anche ad Anonimo.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 21:59 da Alessandro Cascio


@Alessandro: l’Anonimo non è poi tanto anonimo, visto che in calce ha messo nome e cognome: Sergio Sozi. Comunque non è questione tanto di paura (lì mi sono espresso male) quanto che, dovendo per forza scegliere fra più libri, il titolo in inglese ha costituito un motivo per rifiutarlo, nell’idea, giusta o sbagliata, che possa essere uno di quei libri in cui si esprimono più situazioni che sostanza. Insomma, come a dire qualche cosa più adatto ai giovani di una generazione che a uno della precedente, com’è appunto il mio caso. Peraltro, ci sono precedenti non fortunati di opere con titoli in inglese e di giovani autori, esperienze negative che portanto a diffidare, magari sbagliando.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 22:19 da Renzo Montagnoli


@ A. Cascio. Qui c’è gente che per diventare bella e intelligente, oltre a vedere 5 film a settimana, dovrebbe fare un’accurata opera di restauro o andare direttamente a Lourds. Dunque, ricapitolando: sei figo, sei sportivo, fai box e sei uno sciupafemmine. In più hai una bella parlantina, scrivi romanzi, vai negli Stati Uniti a prendere il caffè; le portoricane ondeggiando il loro sedere ti tergono il sudore dalla fronte. Forse sei persino figlio di papà, il che non guasta, e non è neanche una colpa. Cosa vuoi di più dalla vita? L’unico neo è che il buon Renzo si rifiuta di leggere romanzi con le copertine americane. Lo costringeremo a ravvedersi, con le buone o con le cattive.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 22:20 da Salvo Zappulla


@Salvo: ho fatto una prova di vedere in inglese il titolo di Viaggio con Dante all’inferno, di un certo Zappulla di San Secondo di Vizzini e di Calatafimi.
Ecco:
Journey to Hell with Dante, by Sal Zappulla
Come ti sembra?
Pensi che riusciremmo a venderne qualche copia in più?

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 22:28 da Renzo Montagnoli


Suona malissimo. Io non mi fiderei.

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 22:35 da Salvo Zappulla


Ma che fine ha fatto Sergio Sozi? L’hanno arrestato, finalmente?

Postato mercoledì, 23 dicembre 2009 alle 22:41 da Salvo Zappulla


Allora, eccomi qua per scrivere qualcosa a tutti. Dopo risponderò alle domande di Massimo Maugeri.
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Premetto che purtroppo non potrò citarvi, per via della quantità degli interventi, dunque ognuno si ricordi da sé cosa ha scritto nel suo commento, per favore: io non posso impiegare l’intera notte per copincollare, ma ho letto tutto.
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Ringrazio pertanto Renzo Montagnoli, Carmelo, Francesca Giulia, Francesco Giubilei, Alessandro Cascio, Amelia Corsi, Laura Costantini, Sacha Naspini, Enrico Gregori, Maria Teresa Scibona, Cristina Bove, Giorgia, Alessandro Buffa, Zauberei, Cinzia Pierangelini e Salvo Zappulla per aver partecipato al dibattito sui libri di queste ”Recensioni incrociate”, che dobbiamo alla professionalità e all’amore per le Lettere di Massimo Maugeri.
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Ecco le mie risposte.
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Ad Alessandro Cascio.
Ogni popolo dignitoso non si ritira mai, in nessuna contingenza storica, in nessuna battaglia di nessun tipo vittimisticamente, ma lotta per conservarsi, per conservare tutto quel che è suo e che ha maturato nella sua Patria – per me l’Italia. Lotta se ama la sua gente, una qualsiasi persona, in ogni Paese del mondo. Io appunto lotto per l’Italia – non ottusamente, ma guardando le cose migliori degli altri popoli senza prenderne le peggiori. Ed anche gli aspetti positivi stranieri io li ricolloco in Italia, cosí cambiando loro faccia e contenuto: cioè li faccio miei anche linguisticamente: Il ”finger food”, perciò, lo rifiuto perché è semplicemente roba barbarica: uso le posate, quando mangio. I ”manga”, poi, li butto nel cesso, con rispetto parlando, invece prendo Fidia e cerco di capirlo, ne invidio la somma arte e la strabiliante sensibilità. Le cose buone straniere, come per esempio i diritti degli autori letterari, le prendo e cerco di introdurle in Italia, poiché sarebbe possibile applicare i diritti di chi lavora anche oggi, se solo togliessimo il diritto di cannibalismo ai nostri editori-sfruttatori (non parlo dei miei, ma degli altri mille che campano sulle spalle degli scrittori).
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A Carmelo.
Evoluzione di una lingua non vuol dire perdita di dignità e di autonomia. L’inglese, cosí come ora entra nell’uso comune, costituisce spesso una semplice ed inutile sostituzione di parole nostre: perché, spiegami, dire ”ticket” invece di ”biglietto”? Questo fenomeno è irrazionale, spersonalizzante ed umiliante. Io ho una mia dignità italiana, dunque antica, e ci tengo, come ci tengono i cittadini delle altre Nazioni: ci tengono tutti nel mondo piú degli italiani, si dice. No. Piú di quegli italiani che non si amano. E studiare le lingue straniere è cosa diversa: va fatto sempre amando piú di tutte la propria, altrimenti si resta doppiamente ignoranti… della propria e dell’altrui, o ci si perde la propria e si diventa altre persone. Orribile. Concordi?
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Ad Amelia Corsi.
Siamo d’accordo. Solo che l’italiano non è affatto una ”lingua minore”, come dici. È una delle dieci lingue piú studiate nel mondo, mica briciole… dunque se ce la perdiamo noi, che abbiamo il compito di crearla giorno per giorno, ci diamo la zappa sui piedi, è da fessi, direi, buttare a mare questo tesoro studiato da milioni di persone nel globo, no?
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A Francesco Giubilei.
Pienamente con te su tutto. Non sei ”vecchio dentro”, sei solo saggio e tosto, vai sulla tua strada e su quella degli antenati. Bravo. Volevo solo puntualizzare un aspetto che molti mi pare qui non sappiano o non dicano: tutti i popoli europei fanno proprie le parole straniere, solo noi italiani abbiamo smesso di italianizzarle dalla fine del fascismo. Io sarei per continuare questa italianizzazione dei forestierismi, quando possibile – ed è quasi sempre possibile usando la tipica nostra fantasia. Che c’è di male, se un francese dice ”ordinateur”, per dire il ”computer”, riprendere in mano il nostro ”cervello elettronico” o ”elaboratore elettronico”? Mica è fascismo! È semplice decoro linguistico ed amore per le tradizioni del Paese! Infatti, se non abbiamo niente da invidiare alle altre tradizioni letterarie e civiltà del mondo, cosa aspettiamo a rispettare la nostra tradizione come fanno tutti, americani in primis mi pare proprio – anche se una tradizione unitaria, come noi italiani, loro mica ce l’hanno…
Ricordiamoci il Petrarchismo: sin dal Quattrocento, i seguaci di Francesco Petrarca si contarono in tutte le Nazioni d’Europa! Solo oggi non esportiamo piú letteratura, perché abbiamo perso identità… e gli stranieri quando ti traducono, vogliono vedere un italiano che scrive, non un mezzo non si sa cosa, un globalizzato confusionista senza personalità nazionale né individuale che scopiazza dal piú forte di turno – oggi gli americani, domani chissà chi… il piú forte di domani, no?
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A Laura Costantini.
Il mio romanzo dice cose che i critici – con rispetto parlando – non hanno approfondito né spesso detto. È satirico, sí, ma con la mia voce che resta del tutto seria, quando narra una storia, pur non rinunciando ad un sorrisetto diabolico a far da contorno. Metto mille emozioni e temi, tante varianti e fantasie in quel che scrivo. Ci penso sopra con calma, ci rifletto, non corro. Medito, rivedo, correggo, confronto coi classici. In cento mie pagine, modestamente, vi sono mille argomenti e anche solo, parallelamente, due o tre argomenti, vi sono fili che si attorcigliano ma non si spezzano e che rimandano alla Storia letteraria d’Italia. Be, Laura: in soldoni scrivo in maniera da ripetere la mia pazzia, che è sempliciotta e ingarbugliata, labirintica. Insieme. Oibò…
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A Sacha Naspini.
Se una cosa la dico in italiano, che è la mia lingua madre, non è la stessa cosa che potrei dire in un’altra lingua non mia. La lingua non ‘’serve”, non è un ”veicolo come un altro”, non ”funziona”; no; la lingua, questa lingua italiana (come ogni altra per i propri parlanti nativi) ”è”: è un bambino che nasce, cresce, invecchia ma non muore, al limite si trasforma un po’ – il neogreco segue il greco antico, al latino è seguito l’italiano. Chi nasce, infatti, non muore piú: si trasforma in parte ma mantiene la sua personalità, il proprio ”nucleo duro” del cuore. Se vuole, invece – libero arbitrio dell’individualità umana – ognuno può ”alterarsi”, divenire ciò che non è. E questa è una forma di pazzia, a mio avviso. La pazzia dell’Italia di oggi – che manco si conosce a pieno e già vuole dimenticarsi. Roba da matti. Appunto. E i matti sono, ancor piú, quelli che giustificano con le teorie tale perdita d’identita. Lo fanno perché loro, la lingua italiana, mica l’hanno studiata seriamente sui testi letterari: che glie ne frega? Basta tirare a campare, anche se da servi di dei cafoni ”dominatori linguistici” che in trecento anni di storia pensano di essere anche piú colti di noi italiani ed europei. Chi ”tira a campare” io lo disprezzo: io voglio ”vivere”, vivere la mia lingua con la sua profondità, diversa ed unica da tutto il resto. Lo stesso fanno tutti gli altri popoli dignitosi del mondo. Anche oggi. Anche con la globalizzazione – che a dirla è piú grande che a vederla nei fatti reali.
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Ad Enrico Gregori.
Certo: confrontiamo l’italiano con tutto quel che si vuole, col bengalese o col ceco, col turco e col persiano, con l’esperanto. Ma prima studiamolo, l’italiano, per favore. E ricordiamoci che esso è l’unica lingua letteraria d’Europa: se non si conosce a fondo la letteratura italiana, non si conosce la lingua stessa. Un italiano è quel che scrive e la letteratura, all’opposto, è quel che vive l’uomo italiano. Contemporaneamente. Unici nel Mondo, credo. E sfigati.
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A Maria Teresa.
Ciao, cara. Su questo campo – minato – avanziamo in coppia. Senza alcun timore e con leonino coraggio. Salutoni ed Auguri Dolcissimi!
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A Cristina Bove.
Io, nel Menú, non ho troppo portato agli estremi la realtà italiana: ho detto chiaro e tondo che bisogna fare subito una scelta di campo a muso duro, senza ambiguità: e le possibilità che il 2009 ci offre sono le seguenti: o ci si radicalizza sul purismo linguistico facendo solo sporadiche concessioni o si perdono cento parole del vocabolario italiano ogni anno. Io allora, pur non essendo di natura un estremista, qui ho fatto la mia scelta: sto con la tradizione, con la Crusca, non con chi non mi dà altre alternative se non quattro parole americane. Sono un integralista linguistico perché sono forzato dalle condizioni ad esserlo, non per scelta. Cosí sto con Dante e con i periodi ipotetici. E punto. Il resto si vede e si discute, questo no. Non io almeno.
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A Giorgia.
Romani o Greci, il discorso ora, secondo me, verte sugli italiani: noi. Io.
Io che non voglio scomparire né veder scomparire sotto la classificazione di ”arcaico” o ”disusato” un qualsiasi lemma del vocabolario della Crusca – o anche del Devoto e Oli. Che è anche il tuo vocabolario, ossia è il nostro. E la Storia, la faccio anche io, scusa, essa non ha vita a sé: la sto facendo proprio adesso, scegliendo certe parole e certe combinazioni. La parola è poesia ed è personalità, individualità e collettività nazionale.
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Ad Alessandro Buffa.
No, mi spiace. È colpa solo nostra. Io non concepisco i ”pasti veloci”, preferisco la gastronomia italiana – non lo ‘’slow food”: la cucina. Sono cose diverse dette in modo diverso. Una parola è una pietra, non una maschera della realtà, del significato.
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A Zauberei.
Non sono un ”reazionario radicale”. Sono uno che non subisce le violenze e cosí lo diventa – come i partigiani che sparavano ai fascisti aguzzini non perché li odiassero personalmente, in genere ma per autodifesa ed amor di libertà. E dunque sono un italiano che si sente di essere di pari diritto rispetto a tutte le altre Nazioni, civiltà e lingue. Tutto qua. Io non sono inferiore a nessun altro cittadino del mondo: ho la mia Patria e la mia lingua, le mie tradizioni, antiche e che amo. Come gli altri. Eccetto gli italiani che si autorifiutano – e si vede: trovami un popolo piú litigioso ed indecoroso del nostro.
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A Cinzia Pierangelini.
I pericoli per la lingua italiana sono dappertutto: soprattutto dentro di noi italiani, che amiamo libidinosamente la morte e non vediamo l’ora di esser sopraffatti da qualcuno di piú sicuro di noi, di piú morale, di piú onesto, di piú prepotente. Io no: io cerco di migliorare il nostro Paese, noi stessi, me stesso in primis. E questo cambiamento passa per la lingua, anche se viene dal cuore e dal senso della giustizia.
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Ciao a tutti a presto!
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Sergio Sozi

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 01:53 da Sergio Sozi


Che cosa sarà della lingua italiana?
Esisterà, intatta, tra qualche decennio?
Oppure, rischia davvero di essere “imbastardita” dall’inserimento di termini provenienti da altre lingue?
La risposta è semplice per non dire scontata, e credo che gli illuminati Sergio Sozi e Alessandro Cascio siano più che consapevoli che la lingua italiana subirà un imbarbarimento ineluttabile per molteplici ragioni, ancorate anzitutto ai mass media, pardon: agli strumenti di comunicazione sociale, i quali sono autentici strumenti economici e di mercato. Ossia, sostrati dell’economia.
E’ un giro o un “circolo vizioso”, dovuto al fatto che la lingua costituisce il principale simbolo di riconoscimento di un gruppo o di una nazione. Tant’è che – come sostiene il buon José L. Aranguren (cfr. “Sociologia della comunicazione”, il Saggiatore) – la lingua è la cartina di tornasole per capire se un qualsiasi paese progredisce o no, poiché questa non è uno “stato”, bensì un “processo” inarrestabile.
Come lo è, d’altronde, la società o lo siamo noi, indistintamente, che mutiamo giorno dopo giorno sia nel corpo sia nello spirito. Lo si voglia o no.
Certo che se gli esseri umani parlassero tutti una stessa lingua, aggiornata via via con i termini coniati dalle discipline umanistiche, scientifiche e tecnologiche in continua evoluzione, non ci sarebbe alcuna Babele.
Al riguardo, ricordo come, anni addietro, nelle scuole superiori i docenti auspicassero il diffondersi dell’esperanto. E c’è chi lo auspica tuttora, dato che la “globalizzazione” non fa che imbastardire ogni parlata, anche locale. Ma l’economia e i mezzi di comunicazione (lingua compresa) che le fanno da traino non badano agli imbarbarimenti lessicali o grammaticali. Non ci badano, ahimè. All’economia (e ai mass media) importa esclusivamento il profitto e lo sviluppo connesso al profitto. Ripeto: lo si voglia o no.
E il dialetto? Nel Veneto c’è chi vorrebbe fosse insegnato nelle scuole (niente di male se non sarà obbligatorio) e parlato addirittura al posto dell’italiano. Ma non solo nel Veneto.
L’importante, comunque, è parlare in modo chiaro, comprensibile, secondo logica e grammatica, aprendosi al mondo per non soccombere o per non isolarsi in una sorta di torre d’avorio, giacché l’evoluzione è una legge naturale e culturale.
Un fervido “ad maiora” a Sergio Sozi e ad Alessandro Cascio, che – mediante i loro libri – hanno affrontato un argomento attuale e spinosissimo. Cordialmente, A. B.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 05:43 da Ausilio Bertoli


Io posso capire un certo romantico dolore per le mutazioni della lingua. Lo provo anche io alle volte – come parallelamente provo una tenera commozione quando sulle labbra di qualche d’uno appare una forma dialettale in disarmo. Al di la del giusto o dello sbagliato questi nostri sentimenti sono il segno dell’affetto al nostro mondo – quando mancano sono segni del suo contrario: il desiderio di uno nuovo, il risentimento per un paesaggio tanto grazioso con le sue rovine quanto inospitale. Nell’attrazione per gli americanismi c’è la vertigine di un mondo diverso.
Quello che io contesto non è il sentimento, quello che io contesto è la sociologia sentimentale. Il dire delle cose sui mutamenti sociali distorte da oh tempora! oh mores! cattivi parlatori! Imbrattatori dell’eloquio puro!
Questo è scientificamente poco interessante, perdonatemi, e all’atto pratico politicamente inutile.
Uno scrittore che vuole difendere il suo mondo mentale può fare una sola cosa. Usarlo e usarlo bene. Fare in modo di creare un lessico seducente, e correlato a un orizzonte di valori. Inventare una lingua riscoperta e correlarla a un orizzonte etico ed esistenziale che sarà nella trama e negli sfondi e nei contenuti palesi e latenti. Se avrà successo avrà fatto un servizio alla lingua, alla sua lingua pulita dagli anglismi e dai francesismo. Se riuscirà a sedurre riattualizzerà la sua prosa.
Ecco.
I romanzi dei reazionari possono essere bellissimi.
L’importante è che non rilascino interviste (se no, non li vendono).

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 08:38 da zauberei


@ Salvo Zappulla, Ausilio Bertoli, Laura Costantini, Renzo, anche un pò @ Sacha e Carmelo e pechè no, @ Giubilei e Bove, @ Giorgia, Alessandro Buffa, Carmelo e Amelia. @h, ovvio, @nche @ Maugeri.
Ciao Salvo, un abbraccio grande. Si’ penso che questo neo vada estirpato :) Credo che in un dibattito ci si debba confrontare sottolineando le oscenità, che vengano da illustrissimi o meno, che si rispetti la persona o meno, perchè è un dibattito letterario, non stiamo prendendo il caffè al bar e a volte mi piace farmi trasportare, specie quando si parla di un mio libro. E’ bello poi vedere che il dibattito prende piede, è bello anche conoscere le diverse visioni, per capire che oltre i tuoi pensieri c’è altro.
Partendo dal fatto che non sono figlio di papà non specificando nè cosa faccio e ho fatto per vivere, posso dirti che non si può conoscere la vita altrui nè attraverso le parole proprie ne’ attraerso quelle degli altri, ma in quel modo se ne può solo vedere l’immagine riflessa che ne riporta, sì le sembianze, ma quella è spesso contraria all’originale.
RISPONDIAMO QUINDI IN MODO COLTO, VISTO CHE SI E’ PARLATO DI LATINO, STORIA E ALTRE POMPOSITA’ CHE FANNO ODIENS SE LE RIPETI TUTTE DI SEGUITO.
STIAMO PARLANDO DI CONTRARIETA’ AGLI INGLESISMI E IN MODO PIU’ AMPLIO AI NEOLOGISMI, MA NON HA SENSO OPPORSI PROPRIO A QUELLE DUE PARTICOLARITA’ CHE HANNO FORGIATO LA LINGUA CHE ADESSO CHIAMIAMO “LINGUA ITALIANA”, SPECIE PERCHE’ QUESTA E’ NATA DAL FIORENTINO TRECENTESCO (A SUA VOLTA INFLUENZATO DAL SICILIANO) CHE PRENDEVA VITA DAL VOLGO, CHE ALTRO NON ERA CHE UN LATINO COLTO “UMANIZZATO” DA UN POPOLO CHE USAVA UN DIVERSO SISTEMA COMUNICATIVO. QUESTO ERA A SUA VOLTA INFLUENZATO DAL GRECO, DALL’EBRAICO, DALL’ARABO, DAL FRANCESE PROVENZALE, DAL LONGOBARDO E ANCOR PRIMA, DA PAROLE DI MATRICE ETRUSCA. SE POI PARLIAMO DEI DIALETTI (IL SICILIANO E’ PIENA DI TERMINI ARABI E LONGOBARDI) POTREMMO FARE UN ALTRO POST. NON HA SENSO TUTTA QUESTA CONVERSAZIONE, SE NON NEL CONTESTO DEL LIBRO DI SOZI, CHE PERO’ PARLA ANCHE D’ALTRO, DI MEDIOCRITA’ DI UN POPOLO ESTINTO. VE LO DICO COME ROMEO A MERCUZIO: “STIAMO PARLANDO DI NIENTE”. STATE ANDANDO CONTRO QUEL MECCANISMO CHE LA LINGUA ITALIANA L’HA CREATA. IL MIO LIBRO PARLA COMUNQUE DI RABBIA, IO LA PALLACANESTO LA CHIAMO BASKET, SEMPLICEMENTE PERCHE’ MI VA DI CHIAMARLA COSI’. ECCO QUAL E’ IL VERO ATOMO PIMITIVO, QUELLO CHE ACCOMUNA TUTTI I POPOLI PRESENTI E PASSATI.
RINGRAZIO PER FINIRE AUSILIO BERTOLI PER I COMPLIMENTI E IL COMMENTO CHE NELLA PARTE DEL “PROGRESSO CHE NON SI CURA DELL’IMBARBARIMENTO” HA DATO QUALCOSA DA RIFLETTERE CHE PRIMA NON ERA STATO DATO.
RINGRAZIO LAURA PER LA SPLENDIDA CARRELLATA E PER LA SUA VOCE FUORI DAL CORO, CHE MI DA’ CHE SPERARE DI POTER CHIAMARE LE MIE DUE FIGLIE HONESTY E EIRHNH SENZA CHE I FIGLI DI SOZI E I NIPOTI DI MONTAGNOLI LE PRENDANO PER BASTARDE. :)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 08:59 da Alessandro Cascio


Carissimo Alessandro.
Purtroppo ho pochi elementi per poter discutere seriamente dei tuoi romanzi, o quantomeno dell’ultimo, spero di rimediare presto, perchè così, a occhio, mi sembri un tipetto interessante, che ha molte cose da dire e le dice con molta sfrontatezza. Mi pare che in questo dibattito c’è un equivoco di fondo da sgomberare: non stiamo presentando due saggi sulla storia della lingua italiana, ma due opere letterarie frutto dell’ingegno e della creatività. Ognuno racconta le proprie storie a modo suo, quel che conta è il risultato. l’efficacia, la capacità di trasmettere emozioni. Ai lettori non importa un fico secco di tutto il resto, d’altra parte chi è destinato a recepire un prodotto immesso sul mercato è un pubblico eterogeneo. Non esiste un libro buono per tutti. Diverse generazioni, diversa concezione della letteratura, e diverse aspettative. Io ad esempio quando ho letto Musil, Svevo e Proust in giovane età, li ho trovati estremamente ostici e pallosi per la mia formazione. Ora, rileggendoli, a settant’ anni, da pensionato, con una diversa maturità (o senilità), riesco ad apprezzarli meglio. Il mondo corre, si evolve, si evolve la scrittura, il modo di pensare, di agire, in fretta sempre più in fretta, bisogna bruciare le tappe per non rimanere indietro. Io a vent’anni andavo in giro con il lecca-lecca, Francesco Giubilei fa l’editore. Segnali di un tempo che non concede scampo ai nostalgici. Sergio ha la sua visione, rispettabilissima, frutto di una sua personalissima selezione, ma da persona intelligente qual è ha saputo trarne profitto per realizzare un’opera non assolutamente stantìa, amalgamando la giusta dose di ironia, sarcasmo sopraffino, mai volgare, mai banale, che alla fine rendono il suo romanzo gradevole anche alle generazioni che forse non condividono il suo punto di vista. Ripeto, il tuo libro non l’ho letto e sono curioso di conoscere la tua scrittura ma io non ho preconcetti verso i generi e le innovazioni. Tutt’altro. Sarebbe un limite grave. Se i ragazzi apprezzano Moccia, vuol dire che in qualche modo è riuscito a penetrare nel loro immaginario, a usare il loro stesso linguaggio, diventare uno di loro. Una grossa campagna pubblicitaria ha fatto tutto il resto. Moccia non passerà alla storia della letteratura, probabilmente neanche Camilleri, però si sono dimostrati efficaci per lo scopo che volevano raggiungere. Io non li criminalizzo, non grido allo scandalo, e non li reputo diseducativi. Naturalmente la letteratura con la L maiuscola è altra cosa, incide e lascia segni destinati a rimanere indelebili, ma questa appartiene solo a pochi eletti. Un libro si può leggere anche per trascorrere qualche ora piacevole, svagarsi, sognare. Non deve a tutti i costi inculcare le verità che pensa di possedere chi l’ha scritto.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 10:17 da Salvo Zappulla


@ Salvo: “Ora, rileggendoli, a settant’ anni, da pensionato”…
Caspita, non li porti male, a vederti si direbbe che sei più giovane di cinque o sei anni.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 10:27 da Renzo Montagnoli


@Renzo. Tu rompi sempre le balle. Lasciami fare il nonno con serenità, non sono mica come te che te ne vai a escort con il Berlusca.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 10:40 da Salvo Zappulla


Non posso che essere d’accordo con gli ultimi interventi di Zauberei e di Alessandro Cascio, proprio qui sopra. Il resto, perdonatemi, l’ho scorso velocemente avendo appena ora visto questo post (sono giornate incasinatissime queste!).
La lingua si evolve proprio perchè è viva, e non si torna mai indietro, piaccia o non piaccia la cosa in sè, o il modo in cui si evolve. Sono stato in Canada alcune volte: mio fratello vive in Quebec e il francese che si parla lì, specie procedendo da Quebec Town verso nord, proprio perchè non si è evoluto, suona ridicolo ad un francese moderno. Questo è il rischio che si corre, contrastando quella che è una naturale e inevitabile tendenza, volendo infarcire il linguaggio di termini obsoleti e di forme desuete, anche se eleganti e colte.
A resuscitare cadaveri si genera il mostro di Frankenstein.
Il mondo moderno è sempre più piccino, i popoli di oggi sono sempre più a stretto contatto. C’è necessità di capirsi e di comprendersi anche nella conversazione quotidiana, per questo qualche lingua si afferma sulle altre fino a rivestire il ruolo di idioma internazionale, e (mi pare giocoforza) a invadere il campo delle lingue degli altri paesi.
Che sia l’inglese è un dato di fatto, dettato da motivi economici, politici, storici. Ci piaccia o non ci piaccia. Ma non possiamo non tenerne conto.
Comunque sia un bentornato a Sergio Sozi, del quale (e del suo spirito polemico) sentivo veramente la mancanza in questo blog, e la cui passione per la lingua italiana pura, anche se da me non condiviso pienamente, merita sempre e comunque il mio rispetto e la mia stima incondizionata.
Di Alessandro Cascio debbo dire che titolo e copertna del suo libro non attraggono minimamente neanche me, ma ho già letto in rete (o “sul web” ?) uno dei suoi racconti in questo libro, e non possoche dirne un gran bene.
Quanto all’editore di Historica, Francesco Giubilei, non mi stancherò mai di elogiare il suo entusiasmo ed i risultati incoraggianti della sua ammirevole creatura.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 10:47 da Carlo S.


Ciao a tutti, sono Francesco Dell’Olio, autore anch’io di Hisotrica. Cazzo ragazzi, ma che pippe mentali… (sia letto nel senso più ironico e spiritoso del termine…) Personalmente sottoscrivo in pieno l’affermazione di Salvo Zappulla: “Ognuno racconta le proprie storie a modo suo, quel che conta è il risultato. l’efficacia, la capacità di trasmettere emozioni. Ai lettori non importa un fico secco di tutto il resto”. Che stiamo a menarcela sul discorso della lingua italiana, della letteratura con la L maiuscola e di tutto ciò che comporta… io lascio che siano i Valenti Intelletuali a crogiolarsi con questi discorsi… io quando leggo un libro, deve piacermi, entrare nelle ossa. Di Sozi non ho letto nulla, ma ho il suo Ginnastica e lo comincerò a breve. Di Cascio (ciao bello) ho letto tutto, e il suo Touch, lo posso dire, ti entra nella viscere. Questo mi importa. Il resto… è nulla.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 10:54 da Francesco


@ Salvo: posso sempre darti un passaggio…

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 10:58 da Renzo Montagnoli


@ Renzo. Portati il ragazzino sopra, quello fa per tre, pure la tua parte.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 11:08 da Salvo Zappulla


@ Salvo: non hai capito. Aò massimo posso darti un passaggio sulla Ford Escort!

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 11:15 da Renzo Montagnoli


@ Francesco Giubilei
Dici che “Per gli italiani è molto diverso, noi siamo un popolo antichissimo e sì può parlare di una vera e propria razza.”
Noi siamo l’esempio perfetto di un antichissimo popolo frammentato e frammentario. La storica divisione in Comuni e piccole Repubbliche aleggia – ahimé – nell’aria oggi più di altri tempi.
Aggiungo che in alcuni casi il modernissimo popolo americano ha dimostrato di essere molto più unito di quello italiano.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 12:14 da Renato


Caro Sergio Sozi, concordo solo in parte. Sono anch’io contro gli eccessi, ma personalmente trovo l’idea dell’italianizzazione dei termini stranieri una cosa piuttosto squallida e avvilente. Se un termine straniero non ha corrispondenti nella nostra lingua, o esprime meglio un concetto, teniamocelo così com’è. Oppure non usiamolo.
Un’altra cosa, per tirarti su il morale. Ricordo che ci sono parole italiane che sono note e usate in tutto il mondo, anche in America. Ho sentito più volte la parola “ciao”, o “bravo” in film americani. A parte i prodotti alimentari tipo “pasta” e “pizza”.
Loro scrivono “pizza”, non “peeza”.
Concordo però sul fatto di evitare gli eccessi.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 12:29 da Carmelo


Saluto nuovamente tutti, compresi i nuovi arrivati, Ausilio Bertoli, Renato, Carlo S. e Francesco Dell’Olio. Ed invito tutti coloro ai quali ho risposto (nel lungo commento qua sopra) a leggere la risposta, poiche’ son stato due ore a scrivere e altrettante a leggere i loro interventi e perche’ mi piacerebbe proseguire il dibattito.
.
Ad Alessandro Cascio, Zauberei e agli altri, rispondero’ stasera con piu’ calma. Intanto li ringrazio e specifico per Zauberei che ”Il menu” e’ un ”movimentato saggio narrativo, scritto in dialetto italiano”, come recita il sottotitolo del frontespizio in angloitalo: ”muvimentato narrative essei, vritten in italian dialett”. Nel libro ci sono fatti, cose che ‘’succedono” insomma, e c’e’ teoria, uniti insieme per dare al lettore sia l’aspetto concettuale che quello della trama. Ed a un certo punto, parte anche una specie di ”giallo storico”.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 13:12 da Sergio Sozi


Ad Alessandro Cascio,
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prima di uscire (a far la spesa e prendere mia figlia dalla scuola) volevo farti i complimenti per la recensione del mio libro e dirti che stasera, se vorrai, mi piacerebbe approfondirne alcuni aspetti – se ti va anche tu potrai fare la stessa cosa con la mia recensione.
Ciao, a stasera, caro.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 13:24 da Sergio Sozi


@Renato infatti purtroppo siamo un popolo profondamente disunito e questa causa va ricercata, in parte, nella divisione dei Comuni. Ancora oggi, nostante siano passati II secoli dall’unità, continuiamo ad essere disuniti. Credo sia uno scandalo che ancora oggi si parli di partito del sud, di Lega Nord e di organizzazioni politiche o meno che contribuiscono a creare una divisione tra gli italiani.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 13:25 da francesco giubilei


@Giorgia
“la storiella che quando i romani invadevano non si comportavano da vincitori è, appunto, una bella favola. tramandata da chi la storia l’ha scritta, cioè loro stessi.”
benchè alcuni storici e letterati romani, se non erro Tacito stesso, abbiano presentato un volto “inedito” del colonialismo romano, dipingendosi appunto come vincitori in una terra straniera, è indubbio che il comportamento dei romani fu profondamente diverso da quello degli altri popoli invasori.
La dimostrazione è che i romani occupavano sì militarmente i territori conquistati ma lo facevano con un numero molto basso di soldati rispetto alle popolazioni indigene che avrebbero potuto ribellarsi (almeno nell’immediato) facilmente ma ciò, nella maggioranza dei casi, non avvenne grazie al modello di convivenza proposto dai romani.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 13:37 da francesco giubilei


@sergio
e no, scusa. prima mi parli di fidia, dei classici, del latino e dell’italiano, poi mi dici: greci e romani a parte. Proprio tu? La nostra cultura è quella, le nostre radici, non possiamo dire “a parte”. Il concetto che io volevo dire è: anche se le lingue cambiano, si evolvono, cambiano i mezzi espressivi, i contenuti restano. Là si misura la grandezza di una cultura, nel poter essere veicolata anche attraverso mezzi nuovi e diversi. Nessuno parla più greco antico, ma questo non va a diminuire la grandezza di fidia.
E’ diverso il concetto che abbiamo di storia, questo è sicuro. Forse dipende dal lavoro che faccio: le case crollano, le città scompaiono, le persone muiono e le parole pure. Amen. Non che non mi dispiaccia, ma non possiamo farci niente, nè io nè tu. Sono meccanismi che vanno al di là del nostro controllo.
Però, in ogni caso, condivido il fatto che la lingua italiana bisogna conoscerla, prima di provare altre strade espressive. Picasso conosceva perfettamente l’anatomia umana, è per quello che può permettersi il lusso di stravolgerla.
e mi piace la passione che metti in quello che dici, anche se non sono d’accordo con te (almeno non su tutto). che vuoi farci, sarà perchè mi piacciono gli eroi che difendono le cause perse…. :-)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 14:23 da giorgia


@alessandro
tesoro, mi eri più simpatico prima, quando parlavi di boxe, sballi con gli amici, eccetera. se per te il latino e la storia sono pomposità, allora perchè ti allinei? perchè ti adegui a parlarne?
“stiamo parlando di niente”. assolutamente vero. le parole sono fatte di niente, i libri sono fatti parole, la letteratura è fatta di libri. quindi, di niente.
anche se parlo di latino e greco, il mio concetto di quelle lingue è molto poco sacrale. è storico, e la storia, se fatta in maniera eticamente corretta, è fatta più per demolire i miti, che per costruirli. perciò, vedi, se uno parla di classici, non necessariamente è poco aperto al resto, anzi.
per me non è un problema se dici basket al posto di pallacanestro. dillo come ti pare, come lo senti, con le parole che ti appartengono.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 14:47 da giorgia


Caro Massimo, non hai da scusarti di niente, scherzi. Saccheggiami pure quando vuoi, a piene mani.

Per il resto che dire, aggiungo solo che va be’, niente di nuovo. Tutto cambia, niente si trasforma, come si dice, o il contrario. L’idea che un giorno per dire “Ti amo” si possa scrivere “Gts54d” non mi spaventa per niente; e non mi spaventa l’idea che l’Italia tra due secoli scomparirà e tutto lo stato europeo sarà la commistione di tanti movimenti e processi. Faccio per dire. Siamo tutti bastardi, e qui alcuni interventi mi fanno pensare che in giro c’è gente che si aggrappa a una sorta di identità momentanea come se fosse una salvezza, o qualcosa che appunto identifica da qui all’eternità, cosa che non accadrà mai. Si scomodano i greci, i romani, i barbari… Loro facevano, loro dicevano. Maronna ‘o Carmine. Personalmente mi limito a entrare nella lingua “dell’ora” il più a fondo possibile, usando i giocattolini espressivi che al momento abbiamo a disposizione – e la contaminazione. Ah, la contaminazione fa nascere cose superbe. La decostruzione di una lingua apre vibrazioni infinite. Mi viene in mente la Kristof, ungherse, che vive in Svizzera e scrive in francese. Persino nell’arco di una vita, una persona, assorbe così tante mutazioni; e qui si va dicendo che oddio oddio oddio al giornaccio d’oggi si dice OK invece di VA BENE, mentre cinquant’anni fa… Mentre nel primo secolo dopo Cristo… Capisco l’ipnosi storica, anche a me prende di tanto in tanto, e a volte faccio anche dei viaggi per andare a vedere, capire da vicino. Però poi si vive nell’ora. Con le parole dell’ora, i gusti, un flusso di pensiero spontaneo che non ha niente a che vedere anche con dieci anni fa, se vogliamo. Va be’.

Mele Kalikimaka a tutti!

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 14:54 da Sacha Naspini


e quindi, siccome penso che l’importante non sia basket vs pallacanestro, ma che il vero “salto” culturale stia nei contenuti, mi sembra invece rilevante il fatto che tu, per parlare di rabbia, di violenza, abbia scelto l’america.
ogni tema ha il suo posto, ogni storia ha il suo linguaggio.
o no?

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 15:02 da giorgia


ovviamente il mio post di sopra è il seguito della replica ad alessandro. ci siamo sovrapposti con sacha (bel nome, ma sei greco-russo-italo-napoletano o a tua madre gli piacevano i nomi esotici?) :-)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 15:06 da giorgia


Eh eh, hai ragione Giorgia, forse sarà il nome a farmi scricchiolare il cervello in un certo modo… Io essere di maledetta maremma Toscana maiala. E mia madre no, niente di che, se ne stava a letto col pancione e sfogliando un fotoromanzo (ossignore) è rimasta folgorata da questo Sacha un po’ belloccio, e lì mi ha segnato – con violenza, oserei dire. Poi vivo un po’ qui e un po’ là; faccio campo base momentaneo a Parigi, di tanto in tanto. Quest’anno me la sono persa, peccato. In questo periodo la grande signora è superba.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 15:11 da Sacha Naspini


allora a tua madre gli piacevano i belli, esotici… però, dài, il nome è carino e fa tanto intellettuale romantico europeo… pensa se il personaggio del fotoromanzo si chiamava… che ne so… salvo… (ahhh…ora mi uccide…)
—–
vuliss pur’ io fare campo base a parigi, ogni tanto…

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 15:20 da giorgiaquell'altra


ehm, scusate… ho cambiato nome… :-)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 15:23 da giorgia


Mah, a dirti la verità ormai non saprei come altro chiamarmi… Ma potreste chiamarmi anche 78uyt°, la sostanza non cambierebbe di un’acca.
;)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 15:31 da Sacha Naspini


di un’acca no… è il ° che mi crea qualche problema di pronuncia…

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 15:33 da giorgia


Inventa, Gorgia! Inventa, cribbio!
:D

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 15:38 da Sacha Naspini


settantottouytallozero… =zero
ok, agente zerosachanaspini!

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 15:47 da giorgia


però “cribbio” fa tanto accademia della crusca

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 15:48 da giorgia


8)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:11 da Sacha Naspini


@Giiiiiiiiiiiiiiiiiiiiorrrrgia.

Che cacchio sniffi, le ceneri degli imperatori romani?????

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:15 da Salvo Zappulla


in questo momento l’unica cosa che sniffo è la neve finta del presepe che tento di finire… sarà mica allucinogggggena?

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:23 da giorgia


Ancora devi finire il presepe!!! Non ti vergogni? E le povere bambine a piangere perchè non vedono l’asinello con la mucca accanto a Gesù.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:30 da Salvo Zappulla


Cari amici, eccomi di nuovo qui.
Perdonatemi per l’assenza. Cercherò di rimediare anche se – visto che la discussione si è sviluppata in maniera così corposa – è impossibile interagire con tutti.
Però ho letto tutto… dalla prima all’ultima sillaba dei vostri commenti.
Sono un gran lavoratore… :)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:32 da Massimo Maugeri


In ogni caso, consentitemi di ringraziarvi tutti (uno per uno) per la vostra presenza e la vostra partecipazione.
Un saluto e un sentito ringraziamento a: Carmelo, Renzo Montagnoli, Amelia Corsi, Francesco Giubilei, Laura Costantini, Sacha Naspini, Enrico Gregori, Salvo Zappulla, M.Teresa Santalucia Scibona, Cristina Bove, Sergio Sozi, Alessandro Cascio, Giorgia Lepore, Francesca Giulia, Alessandro Buffa, Zauberei, Cinzia Pierangelini, Ausilio Bertoli, Carlo S., Francesco Dell’Olio, Renato…
(Chi dimentico?)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:33 da Massimo Maugeri


le “povere bambine” me lo hanno distrutto 4 volte!

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:33 da giorgia


@ Amelia Corsi
Grazie per aver risposto alle domande. Devo dire che mi ci ritrovo molto nelle tue risposte…

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:33 da Massimo Maugeri


Giorgia, ti autorizzo ad andare a ri-fare il presepe :)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:34 da Massimo Maugeri


@ Renzo Montagnoli
Caro Renzo, so benissimo che “quello della lingua è un problema che senti in modo particolare”. Ti ringrazio per la tua preziosa partecipazione e per i tuoi contributi alla discussione.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:34 da Massimo Maugeri


ooppss… massimo… la colpa è di salvo che mi provoca…
baci e auguri a tutti! (fuggo…..)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:35 da giorgia


@ Francesco Giubilei
Grazie anche per i tuoi interventi. Come ho avuto modo di dire, questo – di fatto – è l’ultimo post dell’anno.
Nei prossimi giorni (dopo Natale), sembre nell’ambito di questo post, mi piacerebbe dare spazio al progetto editoriale di Historica… e che tu ci aggiornassi in merito. Ma per ora proseguiamo con questa discussione.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:35 da Massimo Maugeri


@ Salvo Zappulla
Grazie per i tuoi interventi. Ho “sistemato”, da un punto di vista grafico, la tua intervista a Sergio Sozi… credo che adesso sia più leggibile.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:36 da Massimo Maugeri


@ Giorgia Lepore
Grazie per i tuoi preziosissimi e precisi riferimenti storici.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:37 da Massimo Maugeri


@Massimo, volentieri :)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:37 da francesco giubilei


Prima che mi dimentichi: l’argomento principe di questo post (la “tutela” della lingua) è stato oggetto in queste settimane (e lo è ancora) di discussioni che si “rincorrono” sulle pagine culturali dei principali quotidiani… con interventi anche da parte dell’Accademia della Crusca e di chi (viceversa) ha opinioni contrapposte.
Per dire: è una discussione “sentita”…

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:38 da Massimo Maugeri


Su una cosa, però, credo che saremo tutti d’accordo… ognuno può scegliere l’approccio linguistico che ritiene più confacente alle proprie esigenze (con l’utilizzo – o meno – di termini stranieri, ecc.) – e ognuno ha (e si tiene) le proprie idee -, ma non c’è dubbio che “certe nuove forme di ignoranza” meritino di essere stigmatizzate. Di questo aspetto avevamo già avuto modo di discuterne qui: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/02/07/ignoranti-a-pieno-titolo/

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:39 da Massimo Maugeri


@ Sergio Sozi e Alessandro Cascio
Grazie per i corposi interventi. Dai vostri differenti approcci alla scrittura, e dalle vostre recensioni incrociate, credo si stia sviluppando un dibattito acceso (ma rispettoso) e ricco di opinioni differenti.
L’intreccio di opinioni diverse, nel contesto di un sano confronto, sono sempre un toccasana contro l’intorpidimento mentale.
Grazie, dunque, a entrambi.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:39 da Massimo Maugeri


(Sempre per Sergio e Alessandro).
Nell’ambito della discussione si è già avuto modo di approfondire un po’ di più la conoscenza dei vostri libri.
Vi chiedo – se possibile – di inserire, tra i commenti, brani estratti dai vostri romanzi.
Brani che, magari, ritenete particolarmente significativi…

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:40 da Massimo Maugeri


Bisogna dare atto, ad Alessandro, che quando parla di America non lo fa per sentito dire. Al contrario, ha avuto modo di visitare gli States più volte. S
e non ricordo male nei tuoi progetti futuri, Alessandro, rientra anche la pubblicazione di una sorta di saggio/libro-di-viaggio dedicato a New York. È così? Ce ne vorresti parlare?

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:41 da Massimo Maugeri


Grazie, Sacha… :)
-
Prima di chiudere desidero ringraziare ancora Sacha Naspini e fargli tanti in bocca al lupo per il suo nuovo romanzo “I cariolanti” edito da Elliot all’interno della collana di narrativa HEROES diretta dall’ottimo Massimiliano Governi (che saluto, qualora si trovasse a passare da queste parti):
http://www.ibs.it/code/9788861921054/naspini-sacha/cariolanti.html
-
Sacha è stato anche ospite della trasmissione Fahrenheit di Radio Tre. Potete ascoltare l’intervista qui:
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/mostra_libro.cfm?Q_EV_ID=306288

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:42 da Massimo Maugeri


Il discorso della storia ci ha un po’ fuorviato dal tema principale. Al riguardo chiedo a Massimo che, quando ne avrà l’occasione, lanci una discussione proprio sulla storia, su come deve essere studiata e con che scopi.
Ricordo il primo quesito posto da Massimo: “La lingua italiana rischia davvero di essere imbastardita dall’inserimento di termini provenienti da altre lingue?”
Allora quello che comunico ora è un dato accertato da chi si occupa del problema della lingua: gli anglicismi introdotti nelle normali conversazioni o anche nella scrittura sono circa 6.000 e, tranne quelli di carattere scientifico o legati alla musica leggera, e quindi non presenti nel nostro vocabolario, la maggior parte sono andati a sostituire termini già esistenti.
Sembra poco moderno dire, per un momento di riposo, “facciamo una pausa” e allora si ricorre a una frase che non è un omaggio nè alla lingua italiana nè a quella inglese: “facciamo un break”. A parte che foneticamente “pausa” suona decisamente meglio di “break”, richiamando nella dizione proprio un periodo di quiete e non un suono gutturale da ostrogoto come invece “break”, ci si chiede il perchè di questa sostituzione. Non è un motivo pratico, nè serve meglio a rendere il concetto e allora è lecito pensare che sia una commistione fra asservimento culturale e uniformità di comportamento per essere, usando un altro anglicismo, “IN”.
Ogni lingua è naturale che subisca delle evoluzioni, perchè i tempi cambiano. Per rimanere nel mio campo, nessuno si sognerebbe oggi di scrivere poesie usando il linguaggio di Petrarca. Quello che però dobbiamo tenere presente è che l’evoluzione deve portare a un miglioramento, e non a un peggioramento, perchè altrimenti sarebbe involuzione.
Un esempio: ho fatto una pausa, durante la quale ho mangiato due fette di pane tostato farcite con pancetta.
Vediamo la moda:
Ho fatto un break e ho mangiato un toast con bacon.

Ora sfido chiunque non sia di tendenza a comprendere nel secondo caso che cosa ho fatto e che cosa ho mangiato. Peraltro anche un inglese avrebbe qualche difficoltà, perchè se è vero che con break capisce della sosta e con bacon della pancetta, finirebbe con il dire: Questi italiani vogliono parlare in inglese usando termini loro e termini nostri. Un po’ come facevano i selvaggi dopo i primi contatti con i nostri esploratori.

Insomma, per farla breve, si deve procedere con giudizio e ricorrere a termini di altre lingue solo nel caso che non esistano già nella nostra o che altrimenti siano dispendiosamente traducibili, come nel caso di un solo vocabolo che in italiano diventano due, tre o più, magari anche con l’inserimento di un verbo.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:45 da Renzo Montagnoli


Caro Renzo, va benissimo… accetto con piacere la tua proposta di organizzare un dibattito “sulla storia, su come deve essere studiata e con che scopi”.
Lo faremo l’anno prossimo. :)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:50 da Massimo Maugeri


Per gli auguri di buon Natale vi rimando a questo post che conoscete già:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/12/23/buone-feste/

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:51 da Massimo Maugeri


Caro Massimo, te potessero, grazie per la parentesi pubblicitaria!

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:57 da Sacha Naspini


Ah, e aggiungo: stracrepi malissimo il lupo a calcagnate in bocca, è chiaro
:)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 16:58 da Sacha Naspini


@ Salvo Zappulla: Salvo, sono i sett’antenni come te, che accettano il progresso senza rimpiangere nulla, che fanno sperare il meglio alle nuove generazioni e Dio sa quanto bisogno c’è di ottimismo. Ti ammiro, per questo ed altri interventi passati.
@ Carlo S.: Grazie davvero. Proprio come l’americano suona rozzo a un Inglese e l’Inglese molliccio a un americano. Diversità è comunque insieme. Un abbraccio.
@ Francesco Dell’Olio: hai già detto tutto tu fratello, so che il tuo Vivere Adagio (l’altro della collana Short Cut assieme a Naspini) va alla grande. Complimenti. Un abbraccio.
@ Renzo: a quanto pare siete sempre voi che avete a che fare con le lingue latine ad andarvene a puttane: tu, Tullio Ostilio. Bel mondo, il club letterario. (Cit. Salvo Zappulla).
P.s. Detto con ironia, Renzo, non vuol essere una mancanza di rispetto. ;)
@ Sergio e Renzo: sappiate che nonostante la polemica, considero comunque i conservatori della lingua italiana, una parte importante, complementare ai “neologisti?” perchè limitate gli eccessi. Grazie davvero Sergio, con te è sempre un piacere discutere.
@ Giorgia (con Cit. di Sacha Naspini): tu mi stai ancora simpatica invece. Il fatto è che “se possiamo dire quello che ci pare come ci pare” perchè stiamo ancora a parlare di Pompe Greche? Mi adeguo spiegando a tutti che la lingua italiana è bastarda, in modo tale che la pomposità, per una volta, sia usata in modo costruttivo. Ho scelto l’america perchè sono per metà americano. Pensavo lo sapeste, non l’avevo scritto da qualche parte? Ti amo anzi “Gts54d”. Un abbraccio. Fai bisboccia stasera :)
@ Massimo Maugeri: non so tu, ma io con sti matti mi sto divertendo un casino, mi sento a casa. Grazie per aver sottolineato il fatto che l’America fa parte della mia cultura, forse non trapelava. Dovrei farmi chiamare Alessandro J. Cascio.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 20:08 da Alessandro Cascio


@ TUTTI

Grazie a Maugeri, il tuo lavoro lo sai fare, davvero e bene, te lo dico con ammirazione.

Sono stato un mese a New York (e sono ancora preso dal Jet Lag) per vivere un po’ al Bronx e nel Queens, i luoghi in cui è ambientata la prima stesura per il mio romanzo Tra bene e male, così da conoscere in prima persona le esperienze descritte e i posti (in particolare il quartiere di Jamaica e i Black Phanter). La mia vita lì l’ho passata tra i locali culto della musica nera come il The Hall e le metro (io stesso ho vissuto due anni a Londra suonando nelle metropolitane e scrivendo per il Visual Line, mendicando per rispondere al caro e stimato Salvo, non sono un figlio di papà). Il motivo sta nel fatto che, come per Touch and Splat e per Noi sotto il Sole di Santiago o Tre Candele (ambientati in America, Capo Verde e Londra/Albertville Francia) devo scrivere sì fiction, ma devo parlare con cognizione di causa a volte anche autoimponendomi determinati eccessi o sofferenze da descrivere e comunque, vivendo in quei posti per mesi. Ma non dev’essere per tutti gli scrittori cosi’, per me è una scelta di vita precisa, quella della sincerità.
Ho passato le giornate a Manhattan, tra Broadway e Greenwich per prendere appunti sul romanzo di viaggio sugli USA da consegnare da Francesca Mazzucato che dirige la collana Chaier per Historica. Il titolo è “Usa: belli, squattrinati e in cerca di successo” che narra anche le mie esperienze da mandicante musicante nelle metro. Il romanzo parla della moltitudine di artisti che si recano a NY in cerca di successo e dei posti in cui finiscono la maggior parte di loro.

Vi riporto sotto una parte di Touch and Splat che credo mi appartenga di piu’ e che credo abbia molto a che vedere (incredibile ma vero) con Menu di Sozi.

Da Touch and Splat, TRATTI DA capitolo 1 e 2.

Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono.
Oggi vi siete svegliati presto, come ogni mattina, ancora caldi dell’abbraccio del morbido piumone in cui vi siete arrotolati per tutta una notte. La sveglia ha suonato nel modo più delicato possibile, con la melodia dello Spazzacamino che come una premurosa nonnina vi ha sussurrato: “Tesoro, è tardi, svegliati, fuori è mattino ormai.”
Che razza di mattino è, un mattino senza luce?
Nel momento in cui colpite con la mano aperta il pulsante di spegnimento, pensate ansiosamente a un modo per restare ancorati a quel letto e a una scusa da inventare al mondo intero per concedervi un giorno d’assenza dalla società dei doveri.
Malati, morti o scomparsi in circostanze misteriose.
Vi ci vuole una vacanza e una sveglia nuova.
A un tratto vi accorgete che non starete mai abbastanza male, non sarete mai abbastanza morti e che “la sveglia è pur sempre una sveglia” anche se data da un’indiana con la vostra colazione spalmata per il corpo e la fica come portaposate.
Respirate: prendetevi un attimo per riappropriarvi della realtà che vi circonda.
Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono.
[...]
Caffeina, latte parzialmente scremato, Kellogs Corn Flakes bombardati di Vitamina E, B, C e altre molecole che non avete mai capito a cosa servono e come fanno a trovarsi tutte insieme nello stesso fiocco di cereale. Dove trovano lo spazio, come gliele hanno appiccicate sopra? Sono davvero così miracolose e … come ci sentiremmo se per un giorno evitassimo di assumerle?
Se l’unico modo per verificare il bisogno di qualcuno è allontanarsi da esso, l’unico modo per testare l’efficacia di qualcosa è farne a meno.
Non oggi però. Forse domani smetterete di credere alle scatole di cereali e alle indagini delle multinazionali impegnate nella salvaguardia della vostra salute, ma non oggi: oggi avete bisogno dei Laboratori di ricerca Kellogs e della Vitamina B12, qualunque cosa essa sia.
Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono.
[...]
Fuori il freddo vi costringe a tenere le spalle ricurve tanto da farvi sembrare più brutti e insicuri di quanto in realtà siate e mentre costeggiate il muro del marciapiede della via che porta all’inizio di una nuova giornata di lavoro, vi chiedete come facciano quei tipi delle grandi aziende a essere così allegri, ordinati e rilassati già a quell’ora del giorno. Il loro Mental Fitness® funziona perfettamente, mentre le lezioni in tre Cd che avete comprato su naturalpharmacy.com vi hanno solo aumentato l’ansia da prestazione: e se non riuscissi a superare lo stress neanche con le tecniche antistress?
Pensare che avreste potuto vestire come loro, sfilare per marciapiedi come fanno loro, avere accanto stagiste in carriera con minigonne unica tinta e usufruire del loro funzionale training mentale …
[...]
Potevate essere qualcun altro e invece siete soltanto voi stessi.
Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono.
Il vostro stomaco è martoriato da Ginseng, pastiglie di Aulin e aspirine, il vostro alito puzza di dentifricio al fluoro e il vostro vicino di casa gay al primo mattino ha sempre quel dannato sorriso stampato sul volto, quella cera lucente e quello sguardo sveglio come se fosse già mezzogiorno. Quando vi augura buona giornata, voi vorreste gridargli in faccia che non è per nulla una buona giornata e non lo sarà fino a quando non tornerete a casa e vi getterete a peso morto sul letto, nervosi perché sapete che non dormirete mai abbastanza prima che la sveglia espanda per la casa la grazia melodica dello Spazzacamino per una volta ancora e poi ancora, ancora, ancora e ancora.
Al vostro funerale l’organista suonerà: Cantamimì, cantamimì, spazzacamin.
[...]
Ricordate la tecnica del cuore della rosa.
Prendete una rosa, che sia fresca, che sia del vostro colore preferito, che non puzzi.
Osservatela.
Concentrate la vostra attenzione solo su di essa, seguite le venature dei suoi petali, ammiratene lo stelo, datele tutta la vostra considerazione.
Non pensate a nient’altro che alla vostra rosa, scacciate tutti gli altri pensieri, non fatevi distrarre. Imparate a godere delle cose una per volta. Non disperdete le vostre attenzioni.
Poi respirate: prendetevi un attimo per voi stessi.
Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono… ma solo un mancato saluto alla commessa del reparto salumi che forse è l’unica, dentro quel supermercato, a meritare attenzioni.
[...]
Un giorno, passeggiando per Roosvelt Street vi siete fermati di fronte a una vetrina che esponeva un cartello con su scritto “impiegati cercasi” e vi siete detti che avere un’entrata in più per pagare le spese, male di certo non vi avrebbe fatto, in attesa di un lavoro dignitoso.
Un altro giorno non lontano, mentre stavate battendo alla cassa prodotti perfettamente uguali tra loro ma con decine di nomi e prezzi differenti, vi siete accorti che dal momento in cui avete preso la decisione di diventare adulti e di schiavizzarvi in cambio della soppressione di una parte dei vostri sensi di colpa, i mesi sono volati via, gli anni anche e quelle piccole spese superflue sono diventate di colpo indispensabili.
C’è un giorno, nella vita di ogni uomo, in cui un pensiero si arresta sulla vita come un’istantanea. Tutto ciò che prima appariva confuso comincia improvvisamente a mostrarsi più chiaro, potete scorgere la realtà così com’è, senza quella distorsione causata dai vostri sogni.
C’è un giorno, nella vita di ogni uomo, in cui tutto appare differente da come lo avete sempre visto: e mai più tornerete a essere quelli che eravate un tempo.
Il “Risveglio” è il momento in cui tutto cambia, in cui vi accorgete di aver smesso di crescere e di aver cominciato … a morire.
A quel punto smettete di mandare curriculum e cercate di tenervi la casa, la luce, la tv satellitare e il telefono, prima che sia troppo tardi.
Al supermercato non siete nemmeno entrati che vi fanno notare gli errori del giorno prima e vi avvertono:
“Il Direttore oggi è incazzato.”
Ma la frase non vi meraviglia. Quello lo è sempre, ha qualcosa di appuntito ficcato su per il culo e sta venendo verso di voi.
L’inventario! Il reparto dolciumi ha bisogno di più torte istantanee e panna cotta, il reparto Fintness di più Multipower e creme dimagranti. E ricordati che la pausa caffè è alle undici e le undici, in una giornata, arrivano una volta soltanto.
Vi da una busta che, vista la fretta che ha avuto nel consegnarvela, non è certamente la paga.
Respirate: prendetevi un attimo, quella rabbia non vi porterà nulla di buono e, se proprio non ci riuscite, preparatevi a puntare una pistola alla testa di qualcuno.
[...]
Dentro la busta, un invito vi avverte che Domenica, al vecchio West Golden Paradise, c’è un Touch and Splat:
“Non ammazzate nessuno, fino a quel giorno.”
E’ firmato Fred Houston, l’unico che vorreste ammazzare sul serio e per cui vale la pena aspettare.
Mettete su un po’ di musica e bevete qualcosa di forte.
Respirate adesso, rilassatevi, tutto sta per finire.
Concentratevi solo sulla musica e attendete pazienti che arrivi Domenica.

“She’s got a smile that it seems to me, reminds me of childhood memories, where everything was as fresh as the bright blue sky. Now and then when I see her face, she takes me away to that special place, and if I stared too long I’d probably break down and cry…”

“Oh, wo wo, sweet child o’mine.”
Jane canta e agita il pugno sotto un maestoso ed egocentrico sole che si nasconde dietro i monti sabbiosi e le steppe e che riflette i suoi raggi sulle cromature degli enormi American Eagle posati sul naso di lei, splendida cagna senza padrone, che ulula al vento il grido del coyote sporgendosi dal finestrino. Odora di CK1 pour homme e della birra doppio malto che s’è versata addosso. L’unica Budweiser d’importazione rimasta nel frigo bar l’ha pretesa con i suoi soliti capricci e poi l’ha lasciata cadere per giocare a miss maglietta bagnata imbrattando il sedile leopardato appena tappezzato.
Le strade infinite del deserto danno la sensazione che prima o poi cadrai in un burrone perché tutto ha una fine o per lo meno, tutto ha una lieve interruzione. L’asfalto corre veloce sotto le ruote eppure sembra di essere fermi, sembra di stare su un tapis roulant a cielo aperto, incatramato e a due corsie.
[...]
I camion che arrivano in senso contrario li vedi pian piano avvicinarsi a te, li osservi da lontano avvolti dall’aria in fiamme che trasuda dalla Route66 e mantieni l’auto nella tua carreggiata con l’assurdo presentimento che dopo aver aspettato quei bestioni per tutto quel tempo, alla fine qualcosa ti distrarrà e ne beccherai uno frontalmente ritrovandoti un Mercedes Benz da 10 tonnellate spiaccicato come un moscerino sul parabrezza.
Questo ti tiene in tensione tutto il tempo nonostante, a guardarle, quelle strade sembrano così sicure da darti la sensazione che su quel volante ti ci possa coricare, bere birra, mangiare hot dog, farci le parole crociate o sbatterti la tua ragazza, con amore, con gioia, con rabbia, con passione … se lei non fosse così impegnata a deteriorare il vostro rapporto con il suo infantilismo.
“Questa musica mi dà ai nervi, Jane.”
[...]
Ma dire a Jane di fare qualcosa equivale a dire a Jane di non farla. Così Antonio si ritrova il volume dello stereo a palla e un principio di esaurimento.
“Oh, wo wo, sweet child o’mine.”
Respira: quella rabbia non ti porterà nulla di buono.

NELL’AUGURARE UN BUON NATALE A TUTTI, PER CHI VOLESSE CONOSCERE MEGLIO ANCHE UNA PARTE DI ME CHE NARRA LA SICILIA, VI LASCIO “BRAZILIAN BABES”, PER OVVI MOTIVI ANCHE QUESTO TITOLO E’ IN INGLESE (SONO LE PUTTANE TRANS DI PIAZZA SAN DOMENICO) PRESENTATO ASSIEME AL RACCONTO DI SACHA NASPINI, A SAN BENEDETTO DEL TRONTO, SABATO E USCITO PER UT DELLA EDILAND.
http://shovinskij3.giovani.it/diari/3074695/come_ammazzarsi_a_natale_-_brazilian_babes_-_un_racconto_sulla_solitudine_ut_di_dicembre.html

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 20:13 da Alessandro Cascio


@ TUTTI

Grazie a Maugeri, il tuo lavoro lo sai fare, davvero e bene, te lo dico con ammirazione.

Sono stato un mese a New York (e sono ancora preso dal Jet Lag) per vivere un po’ al Bronx e nel Queens, i luoghi in cui è ambientata la prima stesura per il mio romanzo Tra bene e male, così da conoscere in prima persona le esperienze descritte e i posti (in particolare il quartiere di Jamaica e i Black Phanter). La mia vita lì l’ho passata tra i locali culto della musica nera come il The Hall e le metro (io stesso ho vissuto due anni a Londra suonando nelle metropolitane e scrivendo per il Visual Line, mendicando per rispondere al caro e stimato Salvo, non sono un figlio di papà). Il motivo sta nel fatto che, come per Touch and Splat e per Noi sotto il Sole di Santiago o Tre Candele (ambientati in America, Capo Verde e Londra/Albertville Francia) devo scrivere sì fiction, ma devo parlare con cognizione di causa a volte anche autoimponendomi determinati eccessi o sofferenze da descrivere e comunque, vivendo in quei posti per mesi. Ma non dev’essere per tutti gli scrittori cosi’, per me è una scelta di vita precisa, quella della sincerità.
Ho passato le giornate a Manhattan, tra Broadway e Greenwich per prendere appunti sul romanzo di viaggio sugli USA da consegnare da Francesca Mazzucato che dirige la collana Chaier per Historica. Il titolo è “Usa: belli, squattrinati e in cerca di successo” che narra anche le mie esperienze da mandicante musicante nelle metro. Il romanzo parla della moltitudine di artisti che si recano a NY in cerca di successo e dei posti in cui finiscono la maggior parte di loro.

Vi riporto sotto una parte di Touch and Splat che credo mi appartenga di piu’ e che credo abbia molto a che vedere (incredibile ma vero) con Menu di Sozi.

Da Touch and Splat, TRATTI DA capitolo 1 e 2.

Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono.
Oggi vi siete svegliati presto, come ogni mattina, ancora caldi dell’abbraccio del morbido piumone in cui vi siete arrotolati per tutta una notte. La sveglia ha suonato nel modo più delicato possibile, con la melodia dello Spazzacamino che come una premurosa nonnina vi ha sussurrato: “Tesoro, è tardi, svegliati, fuori è mattino ormai.”
Che razza di mattino è, un mattino senza luce?
Nel momento in cui colpite con la mano aperta il pulsante di spegnimento, pensate ansiosamente a un modo per restare ancorati a quel letto e a una scusa da inventare al mondo intero per concedervi un giorno d’assenza dalla società dei doveri.
Malati, morti o scomparsi in circostanze misteriose.
Vi ci vuole una vacanza e una sveglia nuova.
A un tratto vi accorgete che non starete mai abbastanza male, non sarete mai abbastanza morti e che “la sveglia è pur sempre una sveglia” anche se data da un’indiana con la vostra colazione spalmata per il corpo e la fica come portaposate.
Respirate: prendetevi un attimo per riappropriarvi della realtà che vi circonda.
Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono.
[...]
Caffeina, latte parzialmente scremato, Kellogs Corn Flakes bombardati di Vitamina E, B, C e altre molecole che non avete mai capito a cosa servono e come fanno a trovarsi tutte insieme nello stesso fiocco di cereale. Dove trovano lo spazio, come gliele hanno appiccicate sopra? Sono davvero così miracolose e … come ci sentiremmo se per un giorno evitassimo di assumerle?
Se l’unico modo per verificare il bisogno di qualcuno è allontanarsi da esso, l’unico modo per testare l’efficacia di qualcosa è farne a meno.
Non oggi però. Forse domani smetterete di credere alle scatole di cereali e alle indagini delle multinazionali impegnate nella salvaguardia della vostra salute, ma non oggi: oggi avete bisogno dei Laboratori di ricerca Kellogs e della Vitamina B12, qualunque cosa essa sia.
Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono.
[...]
Fuori il freddo vi costringe a tenere le spalle ricurve tanto da farvi sembrare più brutti e insicuri di quanto in realtà siate e mentre costeggiate il muro del marciapiede della via che porta all’inizio di una nuova giornata di lavoro, vi chiedete come facciano quei tipi delle grandi aziende a essere così allegri, ordinati e rilassati già a quell’ora del giorno. Il loro Mental Fitness® funziona perfettamente, mentre le lezioni in tre Cd che avete comprato su naturalpharmacy.com vi hanno solo aumentato l’ansia da prestazione: e se non riuscissi a superare lo stress neanche con le tecniche antistress?
Pensare che avreste potuto vestire come loro, sfilare per marciapiedi come fanno loro, avere accanto stagiste in carriera con minigonne unica tinta e usufruire del loro funzionale training mentale …
[...]
Potevate essere qualcun altro e invece siete soltanto voi stessi.
Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono.
Il vostro stomaco è martoriato da Ginseng, pastiglie di Aulin e aspirine, il vostro alito puzza di dentifricio al fluoro e il vostro vicino di casa gay al primo mattino ha sempre quel dannato sorriso stampato sul volto, quella cera lucente e quello sguardo sveglio come se fosse già mezzogiorno. Quando vi augura buona giornata, voi vorreste gridargli in faccia che non è per nulla una buona giornata e non lo sarà fino a quando non tornerete a casa e vi getterete a peso morto sul letto, nervosi perché sapete che non dormirete mai abbastanza prima che la sveglia espanda per la casa la grazia melodica dello Spazzacamino per una volta ancora e poi ancora, ancora, ancora e ancora.
Al vostro funerale l’organista suonerà: Cantamimì, cantamimì, spazzacamin.
[...]
Ricordate la tecnica del cuore della rosa.
Prendete una rosa, che sia fresca, che sia del vostro colore preferito, che non puzzi.
Osservatela.
Concentrate la vostra attenzione solo su di essa, seguite le venature dei suoi petali, ammiratene lo stelo, datele tutta la vostra considerazione.
Non pensate a nient’altro che alla vostra rosa, scacciate tutti gli altri pensieri, non fatevi distrarre. Imparate a godere delle cose una per volta. Non disperdete le vostre attenzioni.
Poi respirate: prendetevi un attimo per voi stessi.
Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono… ma solo un mancato saluto alla commessa del reparto salumi che forse è l’unica, dentro quel supermercato, a meritare attenzioni.
[...]
Un giorno, passeggiando per Roosvelt Street vi siete fermati di fronte a una vetrina che esponeva un cartello con su scritto “impiegati cercasi” e vi siete detti che avere un’entrata in più per pagare le spese, male di certo non vi avrebbe fatto, in attesa di un lavoro dignitoso.
Un altro giorno non lontano, mentre stavate battendo alla cassa prodotti perfettamente uguali tra loro ma con decine di nomi e prezzi differenti, vi siete accorti che dal momento in cui avete preso la decisione di diventare adulti e di schiavizzarvi in cambio della soppressione di una parte dei vostri sensi di colpa, i mesi sono volati via, gli anni anche e quelle piccole spese superflue sono diventate di colpo indispensabili.
C’è un giorno, nella vita di ogni uomo, in cui un pensiero si arresta sulla vita come un’istantanea. Tutto ciò che prima appariva confuso comincia improvvisamente a mostrarsi più chiaro, potete scorgere la realtà così com’è, senza quella distorsione causata dai vostri sogni.
C’è un giorno, nella vita di ogni uomo, in cui tutto appare differente da come lo avete sempre visto: e mai più tornerete a essere quelli che eravate un tempo.
Il “Risveglio” è il momento in cui tutto cambia, in cui vi accorgete di aver smesso di crescere e di aver cominciato … a morire.
A quel punto smettete di mandare curriculum e cercate di tenervi la casa, la luce, la tv satellitare e il telefono, prima che sia troppo tardi.
Al supermercato non siete nemmeno entrati che vi fanno notare gli errori del giorno prima e vi avvertono:
“Il Direttore oggi è incazzato.”
Ma la frase non vi meraviglia. Quello lo è sempre, ha qualcosa di appuntito ficcato su per il culo e sta venendo verso di voi.
L’inventario! Il reparto dolciumi ha bisogno di più torte istantanee e panna cotta, il reparto Fintness di più Multipower e creme dimagranti. E ricordati che la pausa caffè è alle undici e le undici, in una giornata, arrivano una volta soltanto.
Vi da una busta che, vista la fretta che ha avuto nel consegnarvela, non è certamente la paga.
Respirate: prendetevi un attimo, quella rabbia non vi porterà nulla di buono e, se proprio non ci riuscite, preparatevi a puntare una pistola alla testa di qualcuno.
[...]
Dentro la busta, un invito vi avverte che Domenica, al vecchio West Golden Paradise, c’è un Touch and Splat:
“Non ammazzate nessuno, fino a quel giorno.”
E’ firmato Fred Houston, l’unico che vorreste ammazzare sul serio e per cui vale la pena aspettare.
Mettete su un po’ di musica e bevete qualcosa di forte.
Respirate adesso, rilassatevi, tutto sta per finire.
Concentratevi solo sulla musica e attendete pazienti che arrivi Domenica.

“She’s got a smile that it seems to me, reminds me of childhood memories, where everything was as fresh as the bright blue sky. Now and then when I see her face, she takes me away to that special place, and if I stared too long I’d probably break down and cry…”

“Oh, wo wo, sweet child o’mine.”
Jane canta e agita il pugno sotto un maestoso ed egocentrico sole che si nasconde dietro i monti sabbiosi e le steppe e che riflette i suoi raggi sulle cromature degli enormi American Eagle posati sul naso di lei, splendida cagna senza padrone, che ulula al vento il grido del coyote sporgendosi dal finestrino. Odora di CK1 pour homme e della birra doppio malto che s’è versata addosso. L’unica Budweiser d’importazione rimasta nel frigo bar l’ha pretesa con i suoi soliti capricci e poi l’ha lasciata cadere per giocare a miss maglietta bagnata imbrattando il sedile leopardato appena tappezzato.
Le strade infinite del deserto danno la sensazione che prima o poi cadrai in un burrone perché tutto ha una fine o per lo meno, tutto ha una lieve interruzione. L’asfalto corre veloce sotto le ruote eppure sembra di essere fermi, sembra di stare su un tapis roulant a cielo aperto, incatramato e a due corsie.
[...]
I camion che arrivano in senso contrario li vedi pian piano avvicinarsi a te, li osservi da lontano avvolti dall’aria in fiamme che trasuda dalla Route66 e mantieni l’auto nella tua carreggiata con l’assurdo presentimento che dopo aver aspettato quei bestioni per tutto quel tempo, alla fine qualcosa ti distrarrà e ne beccherai uno frontalmente ritrovandoti un Mercedes Benz da 10 tonnellate spiaccicato come un moscerino sul parabrezza.
Questo ti tiene in tensione tutto il tempo nonostante, a guardarle, quelle strade sembrano così sicure da darti la sensazione che su quel volante ti ci possa coricare, bere birra, mangiare hot dog, farci le parole crociate o sbatterti la tua ragazza, con amore, con gioia, con rabbia, con passione … se lei non fosse così impegnata a deteriorare il vostro rapporto con il suo infantilismo.
“Questa musica mi dà ai nervi, Jane.”
[...]
Ma dire a Jane di fare qualcosa equivale a dire a Jane di non farla. Così Antonio si ritrova il volume dello stereo a palla e un principio di esaurimento.
“Oh, wo wo, sweet child o’mine.”

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 20:15 da Alessandro Cascio


Eccomi nuovamente ”in linea”.
Una risposta-approfondimento:
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A Giorgia Lepore.
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Prima cito quel che mi hai scritto tu: ”e no, scusa. prima mi parli di fidia, dei classici, del latino e dell’italiano, poi mi dici: greci e romani a parte. Proprio tu? La nostra cultura è quella, le nostre radici, non possiamo dire “a parte”. Il concetto che io volevo dire è: anche se le lingue cambiano, si evolvono, cambiano i mezzi espressivi, i contenuti restano. Là si misura la grandezza di una cultura, nel poter essere veicolata anche attraverso mezzi nuovi e diversi. Nessuno parla più greco antico, ma questo non va a diminuire la grandezza di fidia.”
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Poi, Giorgia, ti rispondo con una domanda retorica ed una risposta che mi do’ da solo – e che vorrei che mi dessi anche tu a modo tuo:
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Cosa resta, oggi, in Italia, del mondo greco-romano?
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Risposta mia: solo alcuni minuscoli tratti, importanti si’ ma isolati in un contesto generale diversissimo che rende di secondo piano questi motivi pervenutici dagli antenati. Insomma, mentre il passaggio tra civilta’ greca e civilta’ romana e’ stato graduale, non traumatico, all’insegna della continuita’ (e nonostante l’intervento della rivoluzione Cristiana, divenuta di massa nel tardo Impero Romano), vediamo che invece il passaggio dall’antichita’ all’Era Moderna, nonostante la mediazione del Medioevo, e’ stato lacerante e traumatico per la caduta effettiva di almeno i tre quarti dei valori che avevano resistito per diversi millenni; a dirla in soldoni: due secoli (il XIX e il XX) che hanno fatto piazza pulita di quattromila anni di valori, usi, tradizioni, abitudini, costumanze, canoni letterari, ritualita’, credenze popolari, precetti religiosi e giuridici, modalita’ di vita quotidiana e di relazione umana, di rapporto con la Natura e con la metafisica, di forme cultuali, artistiche ed estetiche in genere.
Cosa ne consegue sul piano di cui stiamo dibattendo io e te?
Ne consegue che, se duecento anni della nostra Storia sono diversi dai quattromila precedenti, questi ultimi nostri due secoli potrebbero ben verosimilmente essere interpretati come una semplice parentesi nel corso regolare della Storia. Noi viviamo in una parentesi, credo appunto: una parentesi petrosa, imponente, virulenta, ma anche e soprattutto banale perche’ creata da poche scoperte scientifiche: quelle avvenute nel campo dell’elettricita’, dell’elettronica, della fisica atomica e della medicina. La scoperta dell’elettricita’ e degli antibiotici in primis. Se tali vantaggi dovessero un giorno crollare – sotto la malaugurata spinta di virus imbattibili e di crisi energetiche insolubili – ecco che la nostra era verrebbe inghiottita dalle precedenti, tornando in linea con il corso regolare della Storia. Le Ere precedenti non avevano questi problemi, essendo fondate su precetti e teoremi armonicamente fusi in un tutt’uno religioso, giuridico e relazionale, non sulle scoperte scientifiche.
Dunque ti rispondo: se vuoi misurare la grandezza del mondo greco-romano sull’attualita’ – come dici – dei suoi contenuti, ne risultera’ un fiasco, poiche’ i contenuti della nostra era non abbisognano di quelli greco-romani, fanno da se’ perche’ la modernita’ vive e opera in base a delle proprie leggi – leggi barbariche e non piu’ cristiane ne’ pagane, ma deferenti nei confronti dei propri miti: la tecnologia, la scienza, il sesso e il denaro. Le nostre attuali sono delle leggi coi piedi d’argilla, perche’ hanno al loro interno il vuoto sotteso alle forme tecnologiche, cioe’ il nichilismo.
Quindi la mia ”battaglia” per la difesa dell’italiano e’ un modo per cercare di salvaguardare quei rari baluardi di antichita’ che possiamo trovare leggendo soprattutto Dante: egli e’ il tratto d’unione che unisce la nostra coscienza moderna alla classicita’ greco-romana, lui la nostra speranza: l’esatto ago della bilancia fra conservatorismo ed innovazione che assume le forme dell’intelligenza ‘’sovrumana” della Divina Commedia.
Se cade Dante, cade l’Italia e la sua funzione storica di mediazione fra antichit e futuro, fra certezze arcaiche e novita’ artistiche e spirituali.
Perche’ ”combatto”, Giorgia?
Perche’ vedo le concrete possibilita’ di recuperare un ruolo che l’attuale obnubilazione possiede ”in nuce” ma non sa di avere, non vede, non razionalizza. L’Italia che non sa di essere Italia.
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Ne consegue il mio modesto pensiero: se noi italiani ci risvegliassimo dalla nostra drogato-soporifera attualita’ ”aculturale”, capiremmo di essere l’unico popolo europeo autoctono capace – leggi: dotato degli strumenti – di creare una sintesi dei tre Evi: Antico, Medio e Moderno. Noi e solo noi in Europa daremo un giorno un vero contenuto profondo alla Modernita’… cioe’ la concluderemo, la chiuderemo. Ma bisogna esserne coscienti – e questo dare coscienza al Paese spetta agli intellettuali e a nessun altro.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 22:37 da Sergio Sozi


Zauberei, m’hai fatto ridere!
:-)
Auguri a te, famiglia e Zauberillo… come pure a tutti i letteratitudiniani.
Allora.
Respiro profondo.
Quando uno vuole scrivere dovrebbe conoscere bene la tradizione culturale e letteraria nella quale si inserisce. La nostra storia è stata molto particolare perché avendo avuto una unificazione tardiva (150 anni l’anno prossimo, ci pensate? Andreotti forse c’era… :-) ) il nostro vero collante, il nostro bostik, la nostra colla vinilica è stata LA LINGUA. E soprattutto la LINGUA LETTERARIA.
Ci pensate?
Siamo stati per secoli una Repubblica delle Lettere…
Il problema era crearsi un codice che non fosse né troppo per aria né troppo terra terra… Famo a capicce: né troppo Petrarca né troppo Boccaccio, né troppi latinucci né troppa sora Lella. Un pasticcio! (fine prima puntata, sono in Nirvana post panettone)

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 22:50 da Maria Lucia Riccioli


Seconda puntata.
Per scrivere occorre prima di tutto leggere. E studiare.
Saperla, conoscerla bene, la lingua in cui scriviamo. In tutti o quasi i suoi registri linguistici ed espressivi, quelli che si chiamano sottocodici.
Infrangere le regole dopo averle imparate.
Confrontarsi con altre lingue e culture dopo aver conosciuto e soprattutto AMATO la nostra. Sembra che gli italiani soffrano di tafazzismo, ovvero sadismo autodenigratorio…
Io vi consiglierei un libro la cui prefazione mi ha fatto commuovere. E non sto parlando di un libro di poesia o di un romanzo. Ma di un saggio, tostissimo, specialistico. IL LINGUAGGIO D’ITALIA, di uno dei nostri studiosi più importanti, Giacomo Devoto.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 22:58 da Maria Lucia Riccioli


Ed ecco qui il frontespizio, l’incipit ed il primo capitolo del Menu’ (grazie a Castelvecchi editore in Roma):
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Lukin Philippucci
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Il menú
Muvimentato narrative essèi, vritten in italian dialètt
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Importante premessa
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Il sottoscritto ha redatto il presente libro giorno per giorno, senza poterne effettuare, causa insopprimibili necessità d’ordine economico unite a tristi contingenze familiari, una revisione complessiva ed accurata. Gli si perdonino quindi i refusi, le incongruenze e le eventuali contraddizioni. Quel che state sin da ora leggendo, inoltre, proviene da un personale vocabolario ed una personale grammatica, compilati piuttosto arbitrariamente dall’autore, nel corso di dieci anni di intensivo studio e grazie a migliaia di colloqui condotti con dei nostri concittadini, anziani e viventi fuori dai confini un po’ dovunque. –
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L.P.
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«Benvenuto, professo’!» esordí con energia il vecchio Santino come lo vide attraverso la porta a vetri sfessurata «siete solo, stasera? Allora guardate: quel tavolo là in fondo è tutto per voi, s’è liberato da due minuti… se vi piace, accomodatevi, che vi mando Albertino appena finisce di servire la tavolata nella sala grande. È una cena di compleanno ma stanno ormai al dolce. Facciamo presto. Il vino lo porto io subito».
Attendere un quarto d’ora prima di cena non ha mai preoccupato Cesare Menicucci, se il vino c’era. Rivolto un conciliante sorriso a Santino, l’anziano poeta si piazzò nel posto indicato con, in mente, la buona prospettiva di ripetere ciò che da quindici anni faceva almeno tre sere a settimana in quella trattoria del suo rione, che una volta la gente chiamava Toledo ed ora soprattutto Quartieri Spagnoli o Montecalvario. Con una certa diffusa confusione rispetto ai limiti storico-geografici della zona. A Napoli le denominazioni si accavallano e fanno bufere, litigano, si accapigliano ma in fondo nessuna di esse riesce mai a far sloggiare le altre. ”Mica si tratta di democrazia della Storia,” pensò Cesare, a cui dobbiamo attribuire tutte queste riflessioni mentre sappiamo che si sta accendendo una sigaretta davanti al mezzolitro puntualmente giunto sulla mensa, ”macché democrazia: semplicemente i nomi non hanno la forza di spodestarsi a vicenda, ecco tutto. Quindi coabitano nella memoria comune, anche se da invidiosi dirimpettai. Una bella anomalia temporale, esistente solo da noi. In questa terra di matti. Ecchessía. Sia. Poi, ci credo che la gente quando parla non viene compresa, fa dei soliloqui: con tutte ’ste parole in testa mezze morte ma ancora semoventi, incacchiate!”
Il poeta stava ergendosi mentalmente ad altre, acute, vette di meditazione, quando gli si parò davanti Albertino, coi suoi ovvi centoventi chili di sbuffante gentilezza, servile dobbiamo dire perché altrimenti esisterebbero aggettivi ancor meno idonei a sintetizzare il mero concetto che Albertino è un cameriere di buon cuore, uno che lo sarebbe anche se facesse l’impiegato o l’attore.
«Stasera tenimmo ‘a solita robba, professo’, e siccome mo’ tenite ‘a faccia scura ve chiedo: ‘a vulimme ‘na pizza?» e sorrise come non saprei ripetere. Gli propose una pizza, certo, sottintendendo la marinara a cui il poeta era affezionato sin da quando lo avevano visto, con un certo stupore, entrare per la prima volta: ”E che ci fa il professore da noi?” si erano chiesti per l’appunto quel dí il trattore e il personale: era la primavera del Sessantanove e Cesare Menicucci, ormai lo sapevano tutti, già da tempo scriveva sul quotidiano Roma quelle cose arzigogolate che infiorettavano, o screditavano con ambigue circonvoluzioni verbali, alcuni personaggi, come tal Sandro Penna o talaltra Annamaria Ortese, mai visti né sentiti prima nel quartiere – dove, certo, a dire ”Eduardo” si scatenavano orde di cori da festa patronale; a sussurrare solamente ”Mèrola” la gente sarebbe stata capace di buttarsi a mare vestita; ma…
…ma ecco: ‘o professore introduceva di soppiatto nuovi numi tutelari nell’astrazione letteraria collettiva, seppur su di una testata letta solo da un certo tipo di borghesia urbana. E questo gli aveva creato, già nel 1969, un alone di celebrità, dopo soli quattro anni di servizio presso quel giornale, compiuti sembra prima di farsi notare in città – gli articoli in mio possesso parlano chiaro. Comunque va detto che nessuno, nella zona, quel tipo serio serio e un tantino flaccido lo conosceva veramente: pareva venisse da fuori Napoli, si pensava ad Avellino addirittura o a Caserta. Campano, era campano di sicuro. Fatto sta che non trattava male nessuno, anche se non conosceva il dialetto, ed era persino piacente: uno scapoletto cinquantenne biondosporco, abitudinario e di buona forchetta. Religioso quanto basta e mai sprovvisto di soldi. Be’… i soldi: né pochi né troppi, come conviene da queste parti. Un po’ come ‘e ffemmine: niente di continuativo o scandalosamente episodico; soprattutto nessuna di fastidiosamente bella o brutta.
E non troppo diverso lo vediamo ora, tre lustri dopo, cioè nel 1984. Nella trattoria di Santino. Dal 1984, di anni ne sono passati esattamente sessantasei, ma sapete, la nostra prima scena ci appare nitida e quasi fisicamente tangibile. Miracolo dell’immaginazione che qui si cerca di addizionare alla ricerca, forse: questo è un saggio narrativo, dunque un po’ si studiano le fonti e quanto basta si adula Mamma Fantasia ed anche Sorella Affabulazione, per vestire con gli sfarzosi abiti del sogno una ricerca storica che altrimenti risulterebbe fredda quanto una matrigna e grigia come un verbale di fine riunione (per quanto riguarda la terminologia che sto adottando, non preoccupatevi: la chiariremo piú avanti, nei limiti delle nostre possibilità).
Dunque eccolo, Cesare Menicucci: quindici minuti sono trascorsi ed egli abbandona, ben volentieri ci pare, un libretto. Cosí spacca la sua marinara quasi chirurgicamente, o meglio con la felpata, naturale delicatezza di un ghepardo sulla preda.
Solo che la conquista, vediamo, gli pare quanto meno equivoca, quella sera invernale. Una fetta. Poi l’altra. Eh no. Come.
Eppure l’apparenza sarebbe la solita: superficie sfrigolante di olio verdone, con pomodoro, aglio, alici e mozzarella ben solidali nel medesimo luogo. Pasta croccante ma non troppo… sembra. Spessore: normale. La solita! Morbida e ribelle…
Il poeta si sentí con un piede trasvolare non si sa per dove. Sferragliò d’istinto con le posate, si nettò la bocca, cosí emettendo un gesticolare goffo quale lo può compiere solo un uomo imbarazzato quando non trovi la carta negli igienici luoghi. Alza le sue infossate e scurette luci al cielo dell’accogliente trattoria e vede nero. Cosí ci pare che sia stato: solo nero.
Ué: ‘o professore s’è addormuto.
Magari: infarto, lo saccio íe: a una certa età bisogna fa’ attenzione co’ vine.
Infarto come? Ma stammece zitti che dorme: i professori dormono molto piú di noi. Lo vedete, guaglioni? Dorme.
E tocchiamolo, su, toccalo tu, Albertino, che io non mi fido.
Mavalà, e alza la voce tu, no: sei tu il capo qua, Santino, io che c’entro coi morti addormuti: chiamalo a voce alta.
Ma che morti e morti, jettatore: piuttosto chiama Gasparino, mòvete, dài. (Pausa comune). Ah, Gaspari’, finalmente, siente a me: guarda chillo: che c’hai misse dint’a pizza, la cicuta? L’hai steso e io mo’ te manno ‘n galera, capito?
Padrone, scusate ma io nullo sapria proprio: aggio fatte ‘a solita pizza… E purtàmmolo fuori, qui manca l’aria.
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Primo capitolo
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Il giornalista Cesare Menicucci quella volta fortunatamente se la cavò, guadagnandosi soltanto una diagnosi di circostanza; ci siamo capiti, penso: il medico ti mette a letto per una settimana, con qualche raccomandazione e un paio di pillole al giorno, poscia sdrammatizza ma alla fine dell’abboccamento dice chiaro e tondo: Se lei continua a condurre questa vita…
E fin qui la nostra sarebbe una storia di normale insufficienza cardiaca (che noi apprendiamo da diversi certificati medici dell’epoca): succede spesso che si arrivi in età matura senza saperlo. Però mica fila tutto cosí liscio o almeno cosí comprensibile, in certe situazioni che hanno su di esse puntati gli occhi di un Fato giocherellone – e se anche crudele, giudicherete voi stessi, uomini del 2050.
Infatti, spiegare o spiegarsi perché quell’uomo – proprio quello o proprio un uomo, ci chiederemmo ora – abbia iniziato a quel punto a comportarsi come illustreremo qui di seguito, oltrepassa i limiti del ragionevole e dell’empirico. Già è troppo difficile riferire ciò che egli iniziò a fare dal momento in cui riuscí, superata la fase acuta del malanno, ad aprir nuovamente bocca. Figuriamoci capirne anche i motivi.
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L’incipit fu letteralmente il seguente, ascoltato da un testimone affidabile (la sorella maggiore, astemia e suora) qualche giorno dopo il fattaccio (ossia a gennaio del 1984):
«È solo l’inizio del nuovo menú:», sussurrò il poeta, «cuociamola ora o mai piú».
L’oracolo di Delfi non avrebbe potuto essere piú ambiguo, alle immacolate, e un tantino ottuse per il vero, orecchie della orsolina Ottaviana Menicucci. La quale replicò, fra lo scocciato e l’incredulo:
«Non t’affaticare. Dormi, su, ch’è notte fatta, fuori. Sono quasi le dieci».
Ma quello, come se fosse sordo, continuava, alzando la rocciosa voce: «Che sventura. Che afflizione. Che vergogna per Napoli, per il Sud, per l’Italia tutta!» ed oscillava musicalmente il capo, quasi che, veliero nei marosi, questo stesse per colare a picco – anzi a piombo! – in un fluido aere furioso.
«Hai appetito?» confermò quasi, allora, la poverina, forse cercando di blandirlo come si fa coi figlioli che rifiutano il sonno ed inventano scuse fuori luogo. Non aveva mai assistito ad una malattia tanto farneticante del fratello. E le sovveniva intanto, involontariamente, qualche famoso delirio, tipo le confessioni letterarie in punto mortis degli atei o la conversione dell’Innominato.
«La pizza!» replicò dunque lui rabbiosamente buttando gli occhi in fuori: sembrava un insulto, ché, sanno i meridionali, per pizza (anche oggi) s’intende, ehm, qualcosa di puramente maschile. Lei lo guardò interdetta. Cosí l’uomo ripeté, ancor meno controllato nel volume: «Ma che hai capito? La pizza, dico!!» non si sapeva se fosse un chiarimento o una reiterazione.
«Cesare… – ed Ottaviana, poiché il malato aveva ben desinato da appena mezz’ora, si calò nei panni del confessore – ehhh… i tuoi appetiti sono ancora giovanili, vero? Se hai fatto qualche fesseria dimmi e tutto si appianerà: lei è giovane, certo. E ti vuole incastrare. Non necessita esser volgari: spiega tutto a me. La fede farà il resto».
«Ma che fede e fede d’Egitto. Questi sono gli ultimi giorni… nei quali… sarà possibile evitare la prima catastrofe. Seguiranno altre piaghe. vedrai!… vedrete… vedrà chi lo potrà!» ed abbassò gli occhi con spontanea drammaticità.
«Vuoi che chiami padre Eligio?»
«Ho detto di no. Dàmmi qualcosa per scrivere, per favore: mi sento debole; inoltre… anzi soprattutto… le parole mi escono fuori diversamente».
«Come ”diversamente”? Il medico ha detto che stai bene, stamattina. Puoi parlare».
«Posso ma… insomma non voglio: carta e penna, dài».
Ovviamente, Ottaviana invece gli misurò subito la (inesistente) febbre. Poi lo costrinse ad ingurgitare una dose extra-prescrizione di sciroppo. Infine gli lesse la lingua e l’interno degli occhi. Dopodiciò fecero capolino le sospirate penna e carta. Sull’ultima delle quali sappiamo che apparve il seguente messaggio:
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Infiniti e anco stomaceschi travagli
Il Paese dei nati scordanti affliggeranno,
A schiacciare come ferrosi e pesi magli
Quei che irridon beltà e virtú piú non sanno.
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Panacea unqua il lator della presente
Nella manica ascosa avrà per tutto ciò
Se gl’italici dal falso cammin impertinente
Non svieranno il pié, cambiando rotta un po’.
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Per il momento dicovi: scordatevi la pizza
E rimettete l’unta, rea, coscienza in lizza
Per aggiudicarvi il palio d’un futuro
Che solo non sia di capoccia contro muro!
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Poi serrò – eh sí: serrò in senso stretto – le palpebre e s’addormí, a chiusa tartaruga lacustre simile (ché le marine chi le aveva mai viste qua intorno, prima di oggi, insieme ai barracuda?). Ma era stata tuttavia varata, notiamo noi con la lacrimuccia sulla guancia destra, la proemiante e prefattistica lirica di quel giornalista cui ora dobbiamo il meritato titolo di poeta – come l’abbiamo appellato sin dal principio.
Ma non preoccupiamoci, suvvia: qualcuno afferma che, nell’anno 1984 e dopo la cardiaca sciagura, l’uomo ancora in vita sia, avendo scorza dura. E passati sono da quei molti fatti, gli anni che cancellan mestizie risa e inganni. Di questi da citare ce ne sono buona copia, fors’anche a causa dell’avversa Cornucopia (o vogliamo dir Fortuna? Essa, si sa, è cangiante come Luna).
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Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 23:00 da Sergio Sozi


Appena lo trovo vi copio qualcosina…
Terza puntata.
I Romani esportarono insieme alle loro istituzioni, al diritto – vi siete mai chiesti perché a Giurisprudenza si studia Diritto romano? O le Institutiones di Giustiniano? Non sono insalate… ma le fondamenta delle leggi EUROPEE – , la loro lingua. Coi Greci andò diversamente, perché la filosofia, la poesia, la storiografia greca erano avanzatissime… i Romani, furbamente, presero precettori greci per i loro rampolli. La civiltà antica fu quindi sostanzialmente bilingue e l’eredità culturale che ne è derivata – le tragedie greche che ancora si rappresentano a Siracusa, i miti greci dalla forza inesauribile… – è l’ossatura della cultura occidentale, che ci piaccia o meno.
Le semplificazioni di Sacha mi sembrano quantomeno azzardate.
Questa è paradossalmente un’era dalla memoria inesauribile e infinita ma dalla Memoria corta…

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 23:04 da Maria Lucia Riccioli


Sottoscrivo a pieno quanto espresso con ammirevole sintesi ed esaustivita’ da Marilu’ Ricci e da Renzo Montagnoli – Marilu’, va’ a leggere l’ultimo intervento di Montagnoli: dice che poco meno di seimila neologismi entrano nel vocabolario italiano SOLO PER SOSTITUIRE PAROLE GIA’ ESISTENTI, CORRISPETTIVI, SINONIMI GIA’ PRONTI MA NOSTRANI. Rob de matt… MASOCHISMO PURO!

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 23:06 da Sergio Sozi


Lungi da me essere parruccona… leggo di tutto, dalle istruzioni del mouse a Borges, senza schifiltoserie particolari – starnutisco solo quando sento Moccccc… eccì! … Moccia, ecco, l’ho scritto, e poco altro, amo la letteratura francese, prediligo gli inglesi e i russi, non disdegno gli americani, anche se le nostre basi culturali stratificatissime e complesse sono da invidiare.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 23:07 da Maria Lucia Riccioli


Ciò detto: gli spagnoli e i francesi hanno un rispetto per la loro lingua che noi italiani non abbiamo. Si dirà: revanscismo, nazionalismo… ritorno alla lingua fascista, leccatissima e finta. No. Rispetto per la propria cultura, per il proprio idioma.
Vero è che le lingue sono organismi viventi, viva la contaminazione, gli ibridi… il mio dialetto, il siciliano, è un inno alla mescidanza: abbiamo subito tutte le dominazioni – ci mancano solo i marziani e gli eschimesi e mi pare che facciamo tombola – che ci hanno regalato parole di una bellezza abbagliante, costruzioni sintattiche meravigliose. Io amo le lingue e i dialetti, i fatti linguistici mi intrigano meglio delle soap – sì, se studiate i viaggi e le mescolanze di parole Beautiful diventa una telenovela de noantri – ma da qui a dire: vabbè, rassegniamoci, la vita è evoluzione, vince la lingua del più forte… eh no.
Aspetto le contaminazioni col cinese!
LETTELATITUDINE di Massimo Maugeli.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 23:16 da Maria Lucia Riccioli


Ad Alessandro Cascio,
scrivi che il Menu’ e’ un saggio-commedia ed io – almeno qui – un commediografo napoletano. Hai ragione! Ma mi spieghi come sei arrivato a questo aspetto un po’ da ‘’sceneggiata” del libro?

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 23:24 da Sergio Sozi


Marilu’,
un po’ cinesi lo siam sempre stati: non diciamo forse ”Cin cin”?

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 23:27 da Sergio Sozi


…Inoltre, Maria Lucia, i francesi, gli inglesi, gli slavi TUTTI hanno un rispetto per l’italiano che noi ci sogniamo. Assurdarello.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 23:29 da Sergio Sozi


Ma Salvuzzo Zappulla dov’e'? Mica sara’ crepato d’indigestione proprio adesso ch’e’ diventato bisnonno!
O, Salvo, che seppellito ti piangiamo, onusto giacendo tu poeta sotto iniquo tumulo di albini cannoli…

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 23:34 da Sergio Sozi


Quello che non mi va giù è che la società e la scuola – anche io insegno e faccio mea culpa – hanno abdicato alla propria funzione: dalle scuole indigene vengono maturati giovani che non sanno cos’è la consecuzzio tèmporum, non distinguono accenti e apostrofi e hanno un vocabolario di 400 parole.
Non sono questioni di lana caprina. Quando un popolo va alla semplificazione è pronto per la parola di uno solo. Quando don Milani insegnava, diceva ai suoi ragazzi: “Ogni parola che non sapete è un calcio nel sedere che riceverete in futuro”.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 23:57 da Maria Lucia Riccioli


E un gran letterato e patriota dalmata (zaratino), Pier Alessandro Paravia, cosi’ parlava agli italiani di quelle parti:
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”Studiate la vostra lingua, perche’ qui sta la vostra futura grandezza, e’ merito che nessuno puo’ contestarvi ed e’ merito grande”.
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Impariamone.
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Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 00:09 da Sergio Sozi


Detto questo: auguro ogni fortuna ai libri di Cascio e Sozi, che non sono due teorie ma due persone, che ci raccontano due storie diverse con linguaggi differenti.
L’importante è che si tratti appunto di SCELTE e non di linguaggio a casaccio, parlato o scritto perché non si conosce né la propria lingua né quella che si scimmiotta. Imparare le lingue e i dialetti, avere competenza attiva e passiva dei linguaggi vuol dire ampliare le proprie possibilità comunicative ed espressive.
No al purismo ad oltranza, no al modernismo scervellato.
Va bene così?
Buon Natale, Merry Christmas…

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 00:17 da Maria Lucia Riccioli


Leggendo gli estratti dei loro libri mi sembra che non siano così diversi…

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 00:23 da Maria Lucia Riccioli


Be’, Maria Lucia… proprio proprio uguali no.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 00:42 da Sergio Sozi


Massimo, ho letto e riletto tutti gli interventi: ce ne sono alcuni, interessantissimi (non cito gli autori per non fare torti), che scavano a fondo nella letteratura, nella storia della letteratura e della lingua e nella storia sociale. C’è molto da imparare, e penso che avanti di questo passo la discussione terminerà – se terminerà – i primi giorni del 2010.
D’altra parte, se non ci capiamo mediante il linguaggio dove andremo? cosa potremo fare? che concetti saremo in grado di esprimere? che strumenti dovremo utilizzare per comunicare o diffondere la “conoscenza” o le nostre conoscenze?
In Italia, noi italiani riusciamo a farci capire dappertutto, però quelli che non sono nati in Italia? A parte che – come ribadisce M. Lucia Riccioli – dalle scuole superiori escono spesso giovani che non conoscono affatto la consecutio temporom e imbastiscono frasi con 400 parole.
Ma fuori d’Italia? Come ce la caviamo o ce la caveremo noi, fuori d’Italia, con gli autoctoni?
Dico noi italiani, cioè noi europei.
– Sergio Sozi, tu vivi in Slovenia.
Ebbene, sai cosa mi è veramente capitato nell’Istria slovena qualche mese fa, dovendo acquistare un semplice multivitaminico in una farmacia, dove l’unica farmacista presente era una ragazza forse venticinquenne? Per farmi capire ho dovuto ricorrere al latino (eh sì, Sergio, al latino!), dato che io non parlo lo sloveno e lei né l’italiano, né l’inglese, né il francese, né il triestino e nemmeno il tedesco. Già, il latino, oggi, nella nostra moderna Europa!
Mi permettete una battuta? Quando la lingua italiana sarà infarcita oltre che d’inglese, francese e via dicendo, anche di cinese, giapponese, indi e … , dovremo ancora ricorrere al latino (se lo si conosce) o dovremo tutti, o quasi, imparare il linguaggio “mimico”, ossia “dei gesti”?
Perché – tra qualche decennio, o forse prima – il cinese, l’indi, il giapponese, l’arabo e chissà che altre lingue ancora, inevitabilmente si faranno largo nel lessico italico.
Già, la lingua, ossia il cemento e l’anima di qualsivoglia cultura, vale a dire il nostro strumento d’interazione col mondo.
Buon Anno Nuovo! A. B.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 01:28 da Ausilio Bertoli


CIAO SOZI, CIAO GLIALTRI, VI SCRIVO VELOCEMENTE PERCHE’ SONO A CASA DA AMICI.
SOZI, SBAGLIO O IL TUO ROMANZO ERA ANCHE UN COMMEDIA IRONICA (E LA NOPELATITA’ STA NELL’IRONIA DEL PROTAGONISTA) SULLA DECADENZA DELL’UOMO IN GENERE E NON UN SAGGIO SULLA LINGUA ITALIANA?
SBAGLIO O IL MIO E’ UN SEMPLICE ROMANZO PULP CHE PARLA DI SPAGHETTI WESTERN (CON LA PREFAZIONE DELL’INVENTORE DEL GENERE, GENERE ITALIANO E SCRITTORE DI OSCAR) DOVE LO SCRITTORE (IO, ITALIANO) DA’ AL PROTAGONISTA (ANTONIO, ITALIANO) UNA PERSONALITA’ RABBIOSA CHE POI LO PORTERA’ AD UNA SOLUZIONE, ATTRAVERSO UN PLOT CINEMATOGRAFICO?
MA NULLA, DOBBIAMO FARE UN DIBATTITO SULL’ITALIANITA’ PERSA PERCHE’ “BEDDA MATRI MARIA” HA IL TITOLO IN INGLESE (CHE POI NON E’ UN TITOLO IN INGLESE, MA UN’OPERA DI JOHANN SEBASTIAN BACH STORPIATA DA UN GIOCO DI PAROLE CON IL GENERE DEL ROMANZO, MA NULLA, NON C’E’ PEGGIOR SORDO DI CHI LO E’).
L’ITALIANO PURO NON ESISTE, E’ UN’ACCOZZAGLIA DI PAROLE PORTATE FIN QUI DA EBREI, ETRUSCHI, ARABI E LONGOBARDI E UNA STORPIATURA POPOLANA DEL LATINO E COME SI CONFA’ ALLA SUA NATURALE PREDISPOSIZIONE STORICA, CONTINUA A CIBARSI DI ALTRE LINGUE.
NON DOVETE CREDERE A ME CHE NON SONO LAUREATO, MA POTETE CHIEDERLO E UN ERUDITO QUALUNQUE.
ORA, SE PRENDETE QUESTE PAROLE PER BUONE, MAGARI POSSIAMO ANCHE PARLARE DI MOLTE ALTRE COSE INTERESSANTI VISTO LA VASTITA’ DEL POST (BEN FATTO) DI MAUGERI, OPPURE POSSIAMO RIFLETTERE SU QUESTO: SOZI, MA IN REALTA’ DOBBIAMO AVER PAURA DEL DECADIMENTO DELLA LINGUA O DEL FATTO CHE NONOSTANTE LA SUA CELESTIALE BELLEZZA, L’ITALIANO NON C’HA LO STESSO UN C**O DA DIRE? :)
UNA PRECISAZIONE PERCHE’ HO SEGUITO NASPINI, UNO DEI POCHI DAVVERO INTERESSANTI E DA ASCOLTARE (OLTRE LA SPLENDIDA LAURA CHE IO ADORO).
NASPINI, CONOSCENDO ME, MA SOPRATUTTO CONOSCENDO SE STESSO, STA CERCANDO DI DIRE CHE LA LETTERATURA PUO’ ESSERE USATA DA SAGGISTI, STORICI, LINGUISTI, GIORNALISTI, MA C’E’ ANCHE UNA LETTERATURA CHE E’ FATTA DA ARTISTI, CHE NON PENSANO SOLO ALLE DESINENZE E ALLE RIFLESSIONI FILOSOFICHE, MA CHE CREANO STORIE, INTRECCI, TRAME, METONIMIE, COLPI DI SCENA, CHE GENTE COME ME E LUI (MA COME MOLTI DEI RAGAZZI CON CUI PARLIAMO OGNI GIORNO, TRANNE QUANDO SI VA ALLE FIERE, CHE LE’ DI RAGAZZI MANCO L’OMBRA) VORREBBERO VEDERE, PER DIVERTIRSI ANCHE UN PO’. RAGION PER CUI, SE AL POSTO DI DIRE TI VOGLIO BENE IN UN ROMANZO SCRIVI TVB, NON E’ CHE CAMBIA NULLA: SE IL PROTAGONISTA PARLA IN QUEL MODO, IN QUEL MODO LO DIRA’, PERCHE’ SE IL PROTAGONISTA E’ UN TRUZZO DI VIA MONTENAPOLEONE, COSI’ PARLA E COME PARLA PARLA, E’ ALTRO CHE FA UN LIBRO. MA CREDO CHE QUI NESSUNO ABBIA MAI VISITATO UNA PAGINA DELLA SANTACROCE O NON SO, PALHANIUK O MILLER O AMIS. QUINDI, UFFICIALMENTE, SE NON AVETE ALTRO DI CUI PARLARE, IO MI DIMETTO, PERCHE’ “CIOE’, A ME STA STORIA QUA, CHE LO SCRIBA DEVE TORTELLARSI SUL WORD SOLO SE C’HA IL LATINO NEL CHEWINGUM, MI SBATTE UNA CIFRA COME UNA SMART DOPO UN BUM BUM CAR SULLA GARBATELLA, MA SE SI CONTINUA A BESTIA CON LA MUKKIA MI SBRAGO. NON E’ CHE SONO NONNOG, MA NON MI SENTO UNA STIZZA PER DAVVERO”.
BUON NATALE A TUTTI.
E COME SEMPRE, RINGRAZIO LO SPLENDIDO MAUGERI, SIA PER AVERMI DATO QUESTA POSSIBILITA’, SIA PER IL MERAVIGLIOSO LAVORO CHE FA PER LA LETTERATURA UNDERGROUND SOPRATUTTO.
“CHE DITE RAGAZZI, LO POSTIAMO?”
“MA SI’, POSTIAMOLO.” ;)

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 02:00 da Alessandro Cascio


Ausilio, grazie di esistere!

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 02:00 da Sergio Sozi


Caro Alessandro,
ciao bello, prima di tutto, divertiti e statti bene.
Allora: io ti avevo fatto una semplice domanda, questa:
.
”Ad Alessandro Cascio,
scrivi che il Menu’ e’ un saggio-commedia ed io – almeno qui – un commediografo napoletano. Hai ragione! Ma mi spieghi come sei arrivato a questo aspetto un po’ da ‘’sceneggiata” del libro?”
.
Sei ti va di rispondermi ne son felice, altrimenti, grazie ugualmente.
Comunque rispondo io alla tua ultima, perche’ sono uno vecchio stampo abituato a fare le cose in modo preciso, con calma ed attenzione, sempre, onorando ogni interlecutore e soprattutto chi scrive Letteratura, come te. Con calma e studio e sentimento rispondero’ dunque anche a te, ora.
Allora: il mio e’ un romanzo sulla DECADENZA ITALIANA E NON SU QUELLA DELL’UOMO IN GENERE. L’UOMO IN GENERE – SE ESISTE – ESISTE MOLTO MODIFICATO PER VIA DELLA SUA APPARTENENZA NAZIONALE E TERRITORIALE. IL CITTADINO DEL MONDO E’ CONCETTO A ME ESTRANEO ED INSOPPORTABILE. NON SONO MARXISTA, APPUNTO E RIGETTO IL CAPITALISMO. SONO UN CATTO-PAGANO ITALIANO – QUARANTAQUATTRENNE, REPUBBLICANO E FATTO A MODO SUO – COME TE D’ALTRONDE: MICA IO SONO UN TOPO DI BIBLIOTECA… EH EH EH… NE HO FATTE PARECCHIE, DI COSE VITALI, SAI – MA BELLO PIMPANTE E LETTORE QUOTIDIANO, ANCHE SE NON ME NE FREGA MOLTO, A DIRLA TUTTA. ECCO, PROSEGUIAMO. CI SONO ITALIANI, FRANCESI ECCETERA, A MIO AVVISO, dicevo. Nazioni e tradizioni. Io ho la mia. Italiana.
Poi il tuo discorso sul PLURILINGUISMO E’ COSA VECCHIA: VEDI CARLO EMILIO GADDA, vedi quel che dice il Manzoni sulla dignita’ linguistica dei dialetti. Ma l’italiano ora sta morendo ed io non posso e non devo far finta di niente: io sono un letterato (mica vuol dire niente di speciale: e’ solo quello che faccio da venti anni, come un cameriere fa il cameriere e ne e’ orgoglioso, ci siam capiti, credo, ora: un mestiere). IL DISCORSO SUL RIFERIRE LE PARLATE GERGALI, LA LINGUA D’USO, FAMILIARE O D’OCCASIONE, E’ COSA VECCHIA. VECCHIA, ALESSANDRO. E’ VECCHIO IL TUO DISCORSO E STRA-ABUSATO, STRAUSATO DA MORAVIA E DA PETRONIO, DALLA GINZBURG, ANZI. ECCO. Parli di roba vecchia piu’ del cucco, come me, come me, dico. Solo che io avverto – mi sembra – la fine della nostra civilta’ e ne parlo, tu no. Tu te ne freghi e dici: va bene uguale, la letteratura. Per me non va bene per niente. E lo dico. Non lo dice quasi nessuno ”apertis verbis”, qui. Io si’.
Poi ti sembra che qui ci si crogiuoli e si stia fra parrucconi e ignoranti di cose come l’Isabella Santacroce. Per favore, dai: la Santacroce – che mi piace discretamente, vista la situazione – l’ho fatta tradurre io personalmente in sloveno nel 2005! E gira ancora qualcosa di critico che scrissi anche su Internet.
Allora vedi, caro Alessandro: non tutti quelli che mettono le virgole al posto loro e pensano tre volte prima di scrivere un periodo sono degli imbecilli e degli ignoranti, dei denigratori della gioventu’. Io almeno non lo sono. Sono solo uno che ha studiato la letteratura e che la studia ogni santo giorno. Esattamente come uno spazzino raccoglie l’immondizia e un cameriere serve i caffe’… SOLO CHE A ME NESSUNO MI PAGA BENE COME UN CAMERIERE, VERO? E PERDI PIU’ MI SPUTANO IN FACCIA PERCHE’ ROMPO I ”CABASISI” ALLA GENTE CON DANTE INVECE DI SERVIR LORO I CAFFE’ CHE HANNO PIU’ GUSTO.
Ci saremo capiti, spero, ora. Con affetto e chiarezza.
Il lavoratore Sergio ti saluta affettuosamente e ti augura Buon Anno Nuovo.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 02:40 da Sergio Sozi


Dici bene Sergio, ma forse no (come sempre), non ti seguo del tutto. Parli di fine della civiltà. Di questa civiltà. La nostra civiltà. E fai bene a parlarne. Dove non ti seguo è nella tua strenua difesa del fortino assediato di Fort Alamo. Perchè David Crocket sarà pur stato un eroe, ma la sua sconfitta fu inevitabile.
Le civiltà muoiono, ma non spariscono. Semplicemente si trasformano in qualcos’altro. La nostra è già in atto, ed è illusorio poterla fermare.
E non è guardando indietro che si possono salvare, ma avanti. Certo, bisogna scegliere il cosa portarsi dietro in questo viaggio verso il futuro, ma bisogna scegliere le cose vive, quelle che avranno ancora senso un domani, che hanno possibilità di svilupparsi anche in futuro con un loro significato, magari anche diverso a quello che riusciamo a intravedere oggi. E questo non vuole dire dimenticarsi di Dante o Manzoni, percaritàdiddio. Ma semplicemente che non serve a nulla riesumare il loro vocabolario o utilizzare la loro sintassi. Bisogna portare avanti il loro significato, il loro pensiero, il loro valore nella nostra storia. Bisogna continuare a leggerli e studiarli, non potranno che continuare ad arricchirci.
Un pericolo c’è: se il vocabolario si impoverisce ci impoveriamo tutti e saremo veramente al ritorno della barbarie. Se invece si arricchirà, se sapremo inglobare anche termini provenienti da altri paesi, da altre lingue, e sapremo farli vivi, ricchi di significati e sfumature, italianizzarli in qualche modo, con creatività e fantasia (perchè no?), impadronircene insomma e non farcei impadronire da loro, il futuro avrà una qualche prospettiva anche linguistica, anche per il nostro italiano, anche per la nostra letteratura e la nostra cultura e per la sua diffusione. Nel mondo.
Perchè di mondo bisogna parlare oggi: poco senso ha secondo me discettare ancora di un orticello (per quanto ben curato sia) relegato ai confini dell’impero.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 12:35 da Carlo S.


@Bravo Carlo. Condivido tutto.
@Sergio non esagerare. La letteratura non è una scienza esatta, e le virgole non vanno inserite come pezzi di una catena di montaggio, altrimenti non esisterebbero i diversi stili tra uno scrittore e l’altro.
@Alessandro. Sei simpaticissimo. Ma in quale città della Sicilia vivi? Io la giro in lungo e largo. Fammi sapere che se mi trovo a passare ci prendiamo un caffè. Ma non darmi pacche sulle spalle e non farmi cadere il bastone.
.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 13:03 da Salvo Zappulla


@ Sozi – Cioè Sozi, ci vai a randa, credo che io a volte c’ho la gazza, ma non sono manfano è che non reffo una frizza di taffiate.
@Salvo – Tu ci stai dentro come un Range Rover nel fango fratello. Che è una cosa scranza per noi volgari, mica ronza. Ti ammiro. Palermo, saltuariamente. Ma mi sa che scappo per Londra tra qualche mese. Un abbraccio

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 13:26 da Alessandro Cascio


Sono d’accordo con Carlo…
Alessandro, hai un modo coloratissimo di esprimere il tuo modo di vedere la lingua e la letteratura.
Se tu e Sergio siete stati onesti, avete utilizzato gli strumenti – scelti consapevolmente, adoperati con cognizione di causa – per voi più adatti a raccontarci una storia. E al lettore, come diceva Salvo più su, questo solo importa.
A chi riflette un attimo sui fatti linguistici però non può e non deve bastare.
Provo a dire qualcosa di sensato: una civiltà, una cultura, sono vitali quando sono come gli alberi. Radicate bene ma protese con i rami verso il cielo.
La nostra cultura, la cultura diciamo così occidentale, è fatta di latino greco ebraico arabo e mescidanze varie, di letteratura e filosofia e arte… non dico che uno prima di mettersi a scrivere – attività vitale, vitalissima, altrimenti è archeologia letteraria morta prima di nascere – debba litaniare sul Castiglioni-Mariotti, ma avere coscienza di inserirsi in quella tradizione. Per rinnovarla, sicuramente. Per darvi aria attraverso le finestre dei nuovi linguaggi. Senza buttar via il bimbo con l’acqua sporca.
Altrimenti le radici poco profonde seccheranno alle prime bufere e i rami protesi verso il cielo saranno solo propaggini secche.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 13:54 da Maria Lucia Riccioli


Alessandro, la tua lingua mi sembra molto vitale. E mi piace il fatto che tu voglia vivere in un luogo, lasciare che traspiri i suoi effluvi e permei la tua pelle, per riuscire a narrarlo.
Ausilio, sai a cosa mi hai fatto pensare? A LA TREGUA del grandissimo Primo Levi. Immenso e tragico, asciutto e dolentissimo. C’è una scena toccante. Ripresa anche dallo sceneggiato. Il protagonista, affamato, durante la fuga dal lager liberato dai Russi, capita in una chiesa. Vorrebbe chiedere da mangiare al sacerdote, ma non conosce la lingua del luogo. Alza gli occhi al tabernacolo con la scritta in latino EGO SUM PANIS VITAE e chiede del pane al prete, in latino.
Non voglio passare per passatista. Ma per me letteratura e memoria sono quasi un binomio. La letteratura per me è un fiume che scorre nel letto del passato verso il mare, che è il suo futuro. E si arricchisce dei detriti che incontra e travolge, delle piogge e delle nevicate.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 14:20 da Maria Lucia Riccioli


Detto questo: vorrei chiedere ai due autori…
Secondo te il tema della rabbia oggi è diventato una vera e propria categoria? Uno schema, un reagente per capire meglio la nostra attuale società?

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 14:25 da Maria Lucia Riccioli


http://www.corriere.it/cultura/09_dicembre_18/italiano-minacciato-dibattito-crusca-lincei_5f36ffb6-ebba-11de-b41e-00144f02aabc.shtml

Non lo dico io, eh… lo scrive l’Accademia della Crusca. E fatevelo dire da chi ci lavora, a scuola. Ehi, Massi, perché non facciamo diventare questo articolo il prossimo post di LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA?

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 15:12 da Maria Lucia Riccioli


Secondo me il cuore del problema e’ questo: oggi nessuno vuole faticare, ne’ per leggere ne’ per scrivere. E se non fatichi, se non strizzi il cervello, Dante non lo leggi, leggi Faletti e Moccia. E con Faletti e Moccia, la lingua si riduce e leggere diventa inutile, anzi dannoso per la lingua. Meglio allora non leggere niente e parlare con degli amici fantasiosi.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 15:13 da Sergio Sozi


Rispondo a Marilu’ Ricci.
Non solo la rabbia, ma le psicopatologie in genere oggi si sono moltiplicate. Come vedete i casi di folli violenti sono in aumento. E’ una delle facce della crisi morale, economica e valoriale, non la cartina al tornasole della nostra epoca, ma una delle cartine al tornasole. E’ una delle espressioni del capitalismo rampante e negriero che crea disoccupazione e sfruttamento come cent’anni fa. E’ una delle facce dell’impotenza e negligenza dello Stato italiano nell’aiutare la cittadinanza a vivere dignitosamente. E’ una delle facce del sottosviluppo ingenerato dalla violenza individuale e collettiva.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 15:19 da Sergio Sozi


Condivisibile l’articolo del Corsera cui accennava Maria Lucia.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 18:54 da Sergio Sozi


RISPONDO PERCHE’ MI E’ STATO CHIESTO QUALCOSA SULLA RABBIA DA MARIA LUCIA RICCIOLI (E LA RINGRAZIO) E ANCHE PERCHE’ HO INTENZIONE DI USCIRE FUORITEMA. NON PARLO PIU’ DI LINGUA ITALIANA E DI QUANTO SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO.
Ciao Maria. Vedi, a volte scambiamo la rabbia con la violenza. Il tema della violenza è sì un vero e proprio genere, specie nella cinematografia, Ma il violento non è sempre rabbioso. La violenza del Pulp in genere è una violenza gratuita, non scaturita da rabbia, ma da noia, dal fantastico quotidiano (i gangster di Pulp Fiction lavorano, i crudeli di Romero scotennano Zombie, negli Horror c’è un gioco di fondo o una motivazione paranormale o questioni di denaro o semplici psicosi). La rabbia che ho voluto rappresentare è quella che appartiene a tutti noi, ho voluto farlo attraverso una storia, a dimostrazione (per chi sopra pensa il contrario) che un racconto con un plot (inizio, corpo, finale) senza troppe menate, può insegnare molto, perchè è come vivere un’esperienza altrui, ne puoi far tesoro, anche se io penso a divertire e divertirmi, quello è il vero tesoro (un uomo di cultura desta interesse ma se non diverte non serve). La rabbia non commerciale (forse quella meno rappresentabile nelle storie) è quella potenziale che appartiene a ognuno di noi, è il grido ultimo di Cristo al padre “perchè mi hai abbandonato?” è quel lento riempimento goccia goccia di una diga che per un nulla, straripa. Antonio, italiano trasferito a Chicago con sogni di gloria ma finito a lavorare in un Discount, ha una storia con una ragazza frizzante, travolgente, un’autentica pazza che lavora in un carcere, facendo assistenza ai galeotti anziani. Lui, vive con uno schema prestabilito: la sveglia, il primo saluto mattutino, il marciapiede tempestato di damerini della National Bank e il lavoro. Lo fa ogni santo giorno. L’unico modo per sopravvivere alla tentazione di uccidere tutti è “fingere di farlo” attraverso un gioco. Immaginate voi, di poter fingere di uccidere chi piu’ odiate, ma non fate retorica, immaginate di essere degli esseri umani (e non dei commentatori di un Blog letterario) e di voler uccidere qualcuno. Immaginate di poterlo fare, anche se fingendo, saltuariamente, in modo da non perdere il controllo. Che liberazione. Il gioco, poi, è ambientato in un set western che riprende lo stile dei vecchi Spaghetti Western, questo perchè volevo riportare in modo Pulp uno stile tutto italiano e dimenticato dagli anni ‘70 (VOLEVO QUINDI DARE LUCE ALL’ITALIANITA’, ANCHE SE QUESTO NON E’ STATO NOTATO, HANNO NOTATO SOLO IL TITOLO). La stessa cosa (ha dichiarato Tarantino in video su You Tube uscito anni dopo la stesura di Touch) vogliono fare diversi autori americani che amano quel genere. Ma poi, a dire che io ho scritto un Pulp Spaghetti Western prima di Tarantino, si viene presi per egocentrici, non è così? Se un Oscar pensa una cosa, è ok, se la pensa “un tipetto interessante” è un altro paio di maniche. E allora, a proposito di rabbia, dico a tutti, Montagnoli compreso, che appoggiare persone come me e Naspini è un dovere per chi vuole mantenere e difendere l’Italianità, e invece di contrastare un certo modo di usare il linguaggio che è creativo, anche se con neologismi e questo conta perchè “cos’è la lingua italiana se non creatività? (storia della lingua italiana)”. Se proprio si vuole difendere l’Italia, meglio non lasciare che un regista Italiano si prenda il merito di tutto. Con Ernesto Gastaldi (premio Oscar con C’era una volta in America e inventore dello Spago Western) se ne parla spesso e penso che anche lui, leggendo queste pippe mentali (sono sicuro che mi sta leggendo, anche se non me lo dice) si starà incazzando. Anche lui c’ha 75 anni sapete e conosce tutti i linguaggi, ci parliamo da pari, è stato felice che io avessi preso per primo l’idea di un Pulp Western, perchè “non dobbiamo sempre aspettare che siano gli altri a prendere le nostre cose”, per questo mi ha fatto la prefazione, perchè ha amato quello che ho scritto. Quindi, smettiamola di parlare di robe verbali, l’Italiano va difeso sì, ma non in questo post e molte cose che dite sono giuste, ma ve lo dico sinceramente, io sono qui per pubblicizzare il mio libro, in modo che si appoggi la letteratura giovane, i giovani autori con delle idee che potrebbero fregare gli sceneggiatori Hollywoodiani e forse far tornare il cinema o la letteratura italiana ai livelli di un tempo, ma questo si può fare adeguandosi ai tempi, non com fa Moccia, ma come facciamo noi di Short o altri autori contemporanei. Quindi, visto che non è stampato in casa, visto che anche la copertina, che non piace tanto, è di uno dei migliori grafici che abbiamo in Italia, che la prefazione è di un grande del cinema Italiano, che lo stesso Vincenzo Mollica ha detto di Touch “è un fumetto senza immagini” che lo stesso Buffa ne sta facendo un fumetto che uscirà spero prima di Torino, che giornali e TV ne hanno parlato bene, che tutti i “giovani” che hanno letto quel libro sono rimasti “accellerati” (hanno provato un forte entusiasmo)vi dico: perchè diavolo ci si impunta su un titolo che è un’opera di Bach e non si attraversa la psicologia di uno scrittore o di un libro invece di considerarlo semplicemente un “neologista” interessante, ma antipatico? Parlate di Historica, di un 16enne che pubblica buone cose e in un anno ha creato un piccolo impero, di Short Cut, la prima collana di taglio cinematografico italiana a basso prezzo, comprate Touch and Splat anche se poi lo regalerete perchè costa 4 euro e qualcosa, scontato su internetbookshop e se non volete, non importa, ma è mio dovere dirvi di sostenere la fantasia dei giovani scrittori che cercano di vivere la vita al massimo in modo da essere sinceri.
In ultimo, io su Menu mi sono soffermato sulla costruzione da commedia, non sui problemi che espone, non perchè non mi interessano (il problema della involuzione, lo capto, come lo capta l’accademia della crusca), ma voglio vivere un’esperienza attraverso una storia con un bel Plot, non voglio che qualcuno venga a dirmi ciò che già so. Quindi, di quel libro ammiro l’ironia, ma non alcuni passaggi che la tirano per le lunghe… bisogna saper usare la lingua italiana, ma bisogna saper gestire un Plot e anche per quello bisogna studiare. Sozi ha studiato, si vede, ma gli studi accademici superano quelli creativi, ma ci sono entrambi.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 18:58 da Alessandro Cascio


Caro Sergio, il problema non è in Faletti o Moccia, il problema è nella televisione. E’ la TV quella che credo influisca maggiormente sul nostro linguaggio, su quello dei ragazzi in prima battuta. E la televisione fagocita di tutto restituendocelo appiattito, in tutta la sua banalità, imbarbarito, con scarsissimo (o meglio rarissimo) senso critico.
Se qualcosa si salva (Fazio, Dandini,…) mi pare sia sempre e solo su rai3 e non a caso è la rete più “attaccata” dal potere politico, che poi (vediunpò) è anche quello economico.
Non so (i numeri mi sono sempre stati antipatici e vado a occhio), ma credo che per ogni lettore di Faletti ci siano cento spettatori di pacchi a premio (non mi ricordo il titolo di tale stronzata che da anni imperversa ogni sera), per ogni lettore di Moccia schiere di seguaci di grandi Fratelli. di isole dei famosi, di mariedefilippi, ecc.
Faticare sui libri (checchè tu dica) è SEMPRE stato un piacere (perchè anche di piacere si tratta) per pochi. Anzi, in passato direi proprio ‘riservato’ a pochi. La cultura è sempre stato un fatto di elite. Oggi si legge molto più di ieri, ma nella massa si pubblicano e si leggono anche immense cagate. Vero.
Ma saper scegliere è una dote e un privilegio. Che a volte si affina col tempo e con l’amore per la lettura. Basterebbe che su cento lettori di Moccia a 16 anni, a 20 almeno cinque o sei siano passati a Faulkner o a Dostojevskji. Che tre o quattro si siano incuriositi per Jane Austen. Che un paio si siano innamorati di Calvino. Che a uno solo sia venuta voglia di leggere finalmente per suo puro piacere I promessi sposi (e che poi magari si metta a scrivere fantascienza).
Ma di questo mi pare si sia parlato a lungo anche qui, e proprio con te, negli anni scorsi. Gira che ti rigira forse torniamo sempre allo stesso punto. Rimanendo ognuno sulle proprie posizioni. Ma forse chiarendole, ogni volta un pochino di più (almeno spero).

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:08 da Carlo S.


Be’, Alessandro, sull’intreccio, o ”plot” che dir si voglia, concordo! Solo che il mio e’ un libro un po’ particolare, cito il sottotitolo: ”Muvimentato narrative essèi, vritten in italian dialètt”. E’ scritto in ”angloitalo” e significa ”Movimentato saggio narrativo, scritto in dialetto italiano”. Ecco il perche’ delle parti lente, meditative, saggistiche. Sarebbe un saggio narrativo, e per di piu’ storico. Pero’ la storia c’e’ tutta, mi pare.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:19 da Sergio Sozi


Carlo,
stavolta concordo e trovo una sintesi: la colpa e’ degli editori – quelli librari e quelli televisivi sempre editori sono. E ci sono delle eccezioni: Eco e il suo Il nome della rosa con le tonnellate di copie vendute in Italia. Se l’ha fatto lui, puo’ succedere ancora. O dovrebbe poter succedere ancora. Ma il livello medio si e’ abbassato e dunque non succede piu’, oggi, che non siamo piu’ negli anni Ottanta. E a decidere l’imbarbarimento sono tre fattori concordanti e concatenati: la massa ignorante, il potere economico che ne sfrutta l’ignavia e i politici che fanno lo stesso per esser rieletti dagli ignoranti. Insomma questa democrazia incompleta che protegge prepotenti ed ignoranti piu’ che in altri Paesi europei.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:26 da Sergio Sozi


In altre parole, Carlo: attualita’ dei Promessi Sposi garantita – eh eh eh…

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:28 da Sergio Sozi


Rispondo ad una domanda – la principale – di Alessandro:
no, io non vorrei ammazzare nessuno. Ammazzando non si cambia il mondo ne’ la propria posizione, si peggiorano entrambi e basta. Poi non ho questa pulsione, non e’ nella mia natura. Io penso solo a difendermi, in casi estremi e disprezzo i violenti.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:33 da Sergio Sozi


Cari amici, un passaggio al volo per augurare a tutti buon Natale.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:41 da Massimo Maugeri


Devo ammettere di essere rimasto molto sorpreso. Nel senso che pensavo di non trovare nessun nuovo commento (pensandovi impegnati con riunioni e incontri familiari in occasione della festa).
E invece siete qui…
Be’, grazie! :)

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:42 da Massimo Maugeri


Ho dato una rapida occhiata ai nuovi commenti senza aver avuto la possibilità di leggerli per intero (scusatemi: rimedierò nei prossimi giorni).

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:44 da Massimo Maugeri


Intanto ne approfitto per ringraziare gli autori dei nuovi commenti: Alessandro Cascio, Sergio Sozi, Sacha Naspini, Maria Lucia Riccioli, Carlo S., Salvo Zappulla, Ausilio Bertoli (grazie mille, Ausilio!)…

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:46 da Massimo Maugeri


@ Maria Lucia
Grazie per il link, Mari… sì, magari protremmo riparlarne a gennaio su “Letteratitudine chiama scuola”.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:48 da Massimo Maugeri


Buon Natale a tutti e auguri per un felice 2010.
Il discorso sulla lingua è complesso. Ho vissuto per otto anni a New York ma non mi salta in mente di usare l’inglese per esprimermi quando parlo italiano. Anche se sono trilingue (italiano, francese e inglese) non mi è mai saltato in mente di mescolare le tre lingue.
In Italia le lingue si studiano male, i ragazzi che escono dalle scuole superiori, a meno che non siano andati per periodi all’estero, non parlano inglese, certe volte neanche lo capiscono. Studiano letteratura, ma la lingua la studiano poco, non imparano i vocaboli a memoria e i compiti in classe li fanno col vocabolario. Ho fatto le scuole in Francia, ma quando sono uscita dal liceo l’inglese lo parlavo, e sì ero brava a scuola, ma non ero un’eccezione. Mi ricordo che imparavo liste di parole a memoria e durante i compiti in classe non ci facevano usare il vocabolario.
Ora per quale motivo gente che l’inglese lo sa poco, si metta ad usarne alcune parole (e alle volte proprio a sproposito d’altronde, come potrebbe fare altrimenti?) nel nostro italiano, non me lo spiego molto.
Una cosa posso dire: gli italiani all’estero perdono facilmente l’uso della loro lingua, come se non ne fossero orgogliosi. I sud americani, gli ebrei, i russi ecc… in America conservano le due lingue e conservano con orgoglio il loro bagaglio linguistico almeno per due generazioni. Ho amiche greche, nate in America, che parlano greco con i loro genitori. Ci sono quartieri a New York dove si parla correntemente Yiddish. Nel quartiere italiano di Brooklyn, Bensonhurst, si parla un italiano che spesso fa drizzare i capelli. Su di un negozio ho visto scritto : we sell port a folio.
Forse allora ci dovremmo chiedere perché non siamo orgogliosi di parlare la nostra lingua, perché ci sentiamo più sicuri o più intelligenti se usiamo parole inglesi quando potremmo tranquillamnete farne a meno, in quanto l’italiano i vocaboli li ha.
Certi concetti, o certe immagini sono intraducibili. Difatti si dice “traduttore – traditore”, ma questo è valido pure per l’italiano. Anche l’italiano ha modi di dire impossibili da tradurre in altre lingue perché sono il frutto diretto della nostra peculiare cultura.
E’ normale che le lingue si influenzino a vicenda, come è normale che le culture si influenzino a vicenda, è sempre successo e continuerà a succedere. L’apertura verso culture diverse è un modo per crescere e migliorare, ma non quando diventa oblio per la propria peculiare cultura e lingua. E’ come se di fronte all’inglese noi capitoliamo. Forse abbiamo un grande complesso di inferiorità verso il mondo aglossassone.
Non sono d’accordo con l’idea che la perdita dell’insegnamento del latino possa spiegare l’intromissione dell’inglese nella nostra lingua. Intere popolazioni non studiano il latino eppure conservano l’orgoglio della loro lingua.
Per concludere posso dire che sono dispiaciuta che l’italiano, la mia lingua madre che trovo bella, si faccia contaminare da un’altra lingua, altrettanto bella ma ben decisa a non cedere a mode linguistiche. Sono un’insegnante nella scuola superiore, e scrivo e proprio perché amo la mia lingua, non uso mai altre lingue quando insegno o quando scrivo. Se un alunno usa dei termini stranieri gli chiedo cosa significano, se lo sa bene, se non lo sa, deve andare a cercare il significato e poi trovare il termine italiano. Questo è il mio piccolo contributo, questo è ciò che posso fare. Nella mia scrittura non uso mai vocaboli di altre lingue, a meno che l’italiano non abbia il vocabolo che cerco, oppure se voglio degli effetti speciali. Questo è ciò che posso fare per la mia amata lingua.
Ancora auguri a tutti
Claudia Marinelli.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:50 da Claudia Marinelli


Qui sopra, Alessandro Cascio ha fatto riferimento a Ernesto Gastaldi, che ha scritto la prefazione di “Touch and splat”.
Segue una minibio di Gastaldi…

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:50 da Massimo Maugeri


Auguri di buon Natale e un caro saluto anche a Claudia Marinelli…

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:51 da Massimo Maugeri


Minibiografia di Ernesto Gastaldi
-
Autore e sceneggiatore tra i più prolifici del panorama italiano, ha scritto un centinaio di copioni per film di ogni genere, quasi sempre di grosso successo, e diretti da alcuni tra i nostri migliori registi. Tra i suoi lavori come sceneggiatore, capolavori di fama mondiale come “C’era una volta in America” e “Il mio nome è Nessuno” di Sergio Leone, “Pizza Connection”, “La Pupa del gangster”, “Stradivari” e “I giorni dell’Ira”. È uno tra i più importanti sceneggiatori dei generi giallo, spaghetti-western e noir. Ha anche diretto sei film come regista. Nei suoi lavori hanno recitato attori come Robert De Niro, James Wood, Joe Pesci, Anthony Quinn, Henry Fonda, Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Jennifer Connelly, Giuliano Gemma, Michele Placido, Lee Van Cleef.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:52 da Massimo Maugeri


Gastaldi, dicevamo, ha firmato la prefazione di “Touch and splat” di Alessandro Cascio.
Francesco Giubilei me l’ha inviata autorizzandomi a pubblicarla…
(nel commento a seguire).

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:53 da Massimo Maugeri


Prefazione a “Touch and splat” di Alessandro Cascio
di Ernesto Gastaldi
-

Il bello di un libro è se ti prende fin dalla prima pagina. Questo lo fa. Se lo cominci lo finisci d’un fiato e l’Autore ottiene davvero il risultato che ti annunzia: ti lascia incazzato nero.
Perché? Beh, devi leggerlo per saperlo, ma se uno fa una prefazione qualcosa deve dire: allora vi dirò che c’è un ambientazione americana credibile, si vede che l’Autore è mezzo americano, c’è una presa pel culo dei western all’italiana abbastanza ingiustificata ma a farlo è un vecchio rincoglionito e allora pazienza, ci sono dei personaggi ben torniti, vi ci affezionate pure un po’ anche se, come dice l’Autore, per testare l’importanza di una cosa dovete provare a farne a meno.
No, il libro dovete prima leggerlo e poi provare a farne a meno, se no non funziona.
Dicevo, ci sono dei bei personaggi e anche una qualche filosofia nelle loro teste, tutte un po’ confuse come va di moda adesso che a raccontare una storia dall’inizio alla fine, senza flashback, sogni, inversioni temporali è da buzzurri.
Questo libro non fa eccezione, ma, se è dell’Autore il fin la meraviglia, ci riesce bene. C’è un montaggio molto moderno, un plot ben intrecciato, e tutto rotola verso un finale frenetico che vi lascerà incazzati neri.
Leggete e saprete. L’Autore chiude così: “Adesso respirate lentamente: quella rabbia non vi porterà nulla di buono, se non ve ne libererete in fretta.”
Mettetevi quindi calmi e buona lettura!

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:55 da Massimo Maugeri


@Alessandro. Ti rendi conto di quanti libri si producono giornalmente? E come sia difficile, se non impossibile, seguirli tutti? Massimo, il buon Massimo, l’angelico Massimo, frate Massimo da Catania, dà ampio spazio nel suo blog anche a tanti piccoli editori. Mi pare che Francesco Giubilei sia spesso presente qui. Ma ciò può bastare? Ti lamenti perchè ritieni ti stiano snobbando. Non è così. Conosco autori che pubblicano con Mondadori, Piemme, Marsilio, Fazi e altri che vanno per la maggiore, anche loro ritengono di essere sottovalutati, la critica se ne frega, le stesse case editrici li abbandonano al loro destino. Autori che se ne vanno in giro a loro spese per presentare i propri libri, che sgomitano per trovare un minimo di visibilità. La verità è che c’è un esubero di offerta rispetto alla domanda. Io non so che distribuzione ha Francesco, quale visibilità nelle librerie. Ma ti assicuro che è dura per tutti.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:56 da Salvo Zappulla


A proposito della “questione linguistica”, segnalo quest’altro articolo di Giorgio De Rienzo (sempre sul Corriere):
http://archiviostorico.corriere.it/2009/dicembre/24/italiano_non_salva_per_legge_co_9_091224061.shtml

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 19:57 da Massimo Maugeri


@ Salvo
A proposito di spazio… per quanto riguarda me e Letteratitudine il problema è che pubblicherei anche più post al giorno, ma – aihmé -, non ce la faccio proprio a seguire più di un post a settimana. :(

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 20:00 da Massimo Maugeri


@ Alessandro Cascio e Sergio Sozi
Caro Alessandro, caro Sergio…
intanto vi ringrazio per aver inserito i brani tratti dai vostri libri.
Ma vi ringrazio anche per il dibattito in sé.
Avete difeso le vostre idee con passione e determinazione (evitando di imporle)… credo che – in ogni caso – questi scambi siano utili occasioni di confronto e riflessione.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 20:04 da Massimo Maugeri


Comunque sia, cari Alessandro e Sergio, al di là delle differenze (e sempre rimandendo in ambito letterario) avete importanti punti in comune (nonostante i diversi approcci):
- l’amore per la scrittura
- l’amore per i libri
- l’amore per la letteratura.
-
Credetemi… non sono (non siamo) – ahimé – in tanti ad avere in comune i suddetti “amori”.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 20:06 da Massimo Maugeri


Ma (e mi rivolgo sempre a Sergio e Alessandro) avete un’altra cosa in comune… un altro “incrocio”: quello con la casa editrice Historica del giovanissimo Francesco Giubilei.
Vi chiedo di approfondire questo aspetto, parlando magari dei vostri progetti passati e futuri con la “giovane Historica” (sembra quasi un ossimoro, “giovane historica” :) ).

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 20:09 da Massimo Maugeri


@ Francesco Giubilei
Mentre ci siamo ti chiedo (a beneficio dei nuovi lettori/frequentatori di Letteratitudine) di parlarci di te e del progetto Historica.
Come nasce “Historica”?
Cosa si è realizzato fino a questo momento?
Chi sono gli autori coinvolti?
E cosa bolle nell’historica pentola?

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 20:11 da Massimo Maugeri


Infine rimetto in evidenza le altre due domande del post (ne abbiamo già iniziato a discutere):
- La società in cui viviamo è particolarmente rabbiosa? Più rabbiosa di quelle del passato?
-
- Quale potrebbe essere un “giusto” antidoto contro la rabbia dilagante?

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 20:13 da Massimo Maugeri


Per oggi chiudo qui.
Una buona serata a tutti e… ancora auguri!

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 20:22 da Massimo Maugeri


@Sergio. Hai una visione estremamente romantica di quella che è la scrittura ma, a mio parere, destinata a infrangersi contro la dura realtà. Lo scrittore non può paragonarsi a un impiegato che lavora burocraticamente otto ore al giorno e viene compensato nella stessa misura. Una volta un mio amico editore mi disse: “Li vedi quei pacchi di carta? Finchè rimangono in bianco costano un mucchio di soldi; dopo stampati, rischiano di non valere più nulla”. Il segreto è qui. Scrivere è un investimento, come giocare in borsa, come partecipare a una qualsiasi competizione. Ci si immerge in un labirinto senza sapere se si riuscirà a venirne fuori. Nessun editore sarà mai in grado di retribuirti in anticipo per le pagine prodotte. Tante pagine, tot soldi. E’ una concezione che va contro ogni regola di mercato editoriale, impossibile da applicarsi in una azienda che vuole fare imprenditoria seria. A meno che tu non diventi un nome “sicuro” dal punto di vista commerciale, in quel caso allora qualche grosso editore potrebbe proporti un contratto forfettario, anche di grossa cifra, per acquistare i diritti sulle tue opere
presenti, future e postume. Potrebbe anche accadere, niente ci è precluso in questo mondo. Camilleri ha aspettato 60 anni per avere riconosciuti onore e gloria. Nel frattempo continua a lavorare con serietà, come hai sempre fatto, cercando di non rompere le palle più di tanto.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 20:59 da Salvo Zappulla


Scusate, prima copincollo una parte dell’egregio intervento della sig.ra Claudia Marinelli, con la quale concordo del tutto, poi vengo a rispondere alle idee di Massimo Maugeri – che ringrazio un’ennesima volta per il bel ”post”.
-
”Per concludere posso dire che sono dispiaciuta che l’italiano, la mia lingua madre che trovo bella, si faccia contaminare da un’altra lingua, altrettanto bella ma ben decisa a non cedere a mode linguistiche. Sono un’insegnante nella scuola superiore, e scrivo e proprio perché amo la mia lingua, non uso mai altre lingue quando insegno o quando scrivo. Se un alunno usa dei termini stranieri gli chiedo cosa significano, se lo sa bene, se non lo sa, deve andare a cercare il significato e poi trovare il termine italiano. Questo è il mio piccolo contributo, questo è ciò che posso fare. Nella mia scrittura non uso mai vocaboli di altre lingue, a meno che l’italiano non abbia il vocabolo che cerco, oppure se voglio degli effetti speciali. Questo è ciò che posso fare per la mia amata lingua.”
-
Queste sono parole da scolpire sul marmo!

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 21:05 da Sergio Sozi


Salvo, ti cito un attimo e ti rispondo al volo, concisamente:
”Nessun editore sarà mai in grado di retribuirti in anticipo per le pagine prodotte. Tante pagine, tot soldi. E’ una concezione che va contro ogni regola di mercato editoriale, impossibile da applicarsi in una azienda che vuole fare imprenditoria seria.”
-
Questo e’ vero ma non dappertutto: in Slovenia, mia moglie ha ricevuto mille euro per il suo libro di debutto, all’atto della pubblicazione. Dunque come vedi, l’imprenditoria non seria e’ quella italiana. Non e’ seria perche’ non paga gli autori, perche’ ne pubblica alcuni e poi non li promuove e perche’ pubblica delle fesserie allucinanti.
Questa a casa mia non si chiama ‘’serieta”’. D’altronde l’imprenditore italiano e’ improntato sul modello del prepotente arraffatore e sfruttatore, nemmeno professionale nel suo lavoro.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 21:18 da Sergio Sozi


Ammiro Francesco Giubilei incondizionatamente: e’ una persona onesta, sincera e che crede nella cultura. Ho iniziato nel 2009 a pubblicare con la sua Historica Edizioni e spero di poter continuare a farlo perche’ mi piacciono sia il progetto editoriale sia le persone che ne fanno parte, autori compresi (tutti, incluso Alessandro Cascio, ovviamente, del quale sottolineo le doti scrittorie nelle ultime battute della mia recensione qui presente, ed inclusi Naspini e Dell’Olio, Bassini, Lauraetlory, Francesca Mazzucato, eccetera: tutti autori da stimare).
A partire dal 2010, per Historica Edizioni, inoltre, dirigero’ la collana dedicata alla saggistica storica e letteraria, visionando opere inedite e scegliendo quelle da pubblicare. Chi vuole mi mandi pure i file Word in allegato: leggo e valuto tutto con serieta’ ed attenzione – come sa chi mi conosce.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 21:30 da Sergio Sozi


Risposte sulla rabbia e la societa’.
Se parliamo d’Italia, la rabbia e’ la stessa di sempre e segue la stessa stupidita’ di fondo: negli anni Settanta ci si scannava fra comunisti e fascisti ed oggi ci si scanna per un posto auto o per un litigio condominiale.
Quale antidoto? Chiede Maugeri.
Non c’e’ antidoto alla stupidita’: servono solo piu’ persone intelligenti, ragionevoli, oneste, patriottiche, benevolenti e sensibili nel futuro. Se la natura le fara’ nascere, le cose cambieranno, altrimento si continua la tarantella delle lotte intestine fra stupidi ed insensibili.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 21:43 da Sergio Sozi


L’editore serio in Italia, ma più che serio direi onesto, è colui che paga i diritti d’autore ogni fine anno, dopo resoconto delle vendite; garantisce una buona distribuzione, spedisce una ventinia di libri in omaggio alle redazioni dei giornali, presenta una scheda professionale del libro nel proprio catalogo. Più di questo non può fare. Non può mettersi a organizzare presentazioni e dibattiti per ogni singolo autore, sarebbe troppo dispendioso. Quelli che tu definisci fesserie, spesso sono libri che servono a incrementare gli introiti, che so: guide turistiche, libri sul territorio, libri insomma che il mercato richiede e non hanno bisogno di investimenti in pubblicità. Non sarà il massimo ma considera che l’editore deve pur campare, ha segretarie da pagare, affitto, telefono, luce, non è votato al martirio.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 21:45 da Salvo Zappulla


Salvo scusa ma hai letto attentamente cosa ho scritto? Te lo ripeto, sperando che tu me ne spieghi il perche’: perche’ in Slovenia (PIL di gran lunga inferiore a quello italiano) un editore da’ mille euro all’atto della pubblicazione ad un esordiente e in Italia no? Credi che forse che l’imprenditore sloveno sia votato al martirio? Non sara’ che gli editori italiani vogliano guadagnare sulle spalle dei fessi? Chiedo, eh… chiedo solo, non affermo mica. Dimmi un po’ tu…

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 22:10 da Sergio Sozi


@ Maugeri: grazie a te per aver aggiunto la prefazione ma sopratutto di aver nominato Ernesto Gastaldi, un simbolo importante dell’italianità.
@ Salvo Zappulla: non mi sto lamentando in generale, ma nel particolare (questo dibattito) avrei voluto che si desse piu’ pesso all’opera che al titolo, che sì, si fosse parlato di lingua e neologismi, ma fino al limite della sopportazione. Insomma, dimmelo a me caro mio, non te la sei rotta un po’ la m**hia anche tu? :)
@A Sergio: ho paragonato il tuo plot a quello di uno dei film piu’ belli della storia e ho specificato anche a Giubilei che per me saresti piu’ un bravo saggista, ma ci sono romanzi, come quello che hai scritto, che stanno bene dove stanno (te l’ha pubblicato Castelvecchi, mica Il Foglio), tra saggio e storia. Niente contro, giuro. La pensiamo diversamente su molte cose, ma abbiamo entrambi lo stesso amore per le cose che facciamo come dice il Maugi.
@Salvo, di nuovo: io voglio di più, non mi basta mai, che mi frega a me se non cagano quelli di Fazi? E’ la concorrenza, per me potrebbero anche mozzar loro le mani, così non scrivono più, tranne per la Flavia Piccinni, che a lei voglio bene. Mica scrivo Pulp per nulla, scrivo con la stessa boria con la quale vivo. E credimi, non mi sento snobbato, anzi, sono davvero lusingato (proprio tanto) e felice per le recensioni, prefazioni e dalle attenzioni ricevute da un editore in cui credo fermamente, ma voglio parlare d’altro, io non c’entro nulla con sti discorsi, non so piu’ cosa dire, si ripete la stessa tiritera. Parliamo di Rabbia, Western, parliamo di cinema, parliamo di scrittori Pulp, del decadimento delle scimmie di Sozi e la TV, parliamo dei Plot, parliamo di fi*a, parlamo di scimmie, di chi sono, dei loro nomi. ;P
E poi, ok, è vero, molti nel settore (lo so, che mi dicano sì perchè lo so per certo) mi considerano uno completamente fuori (e Maugeri lo so che sta lì a pensare “speriamo che non sgara, speriamo che non sgara”). Voi parlereste di Latino con uno completamente fuori?
Di cosa parlerei? C’è un libro che non mi editerà mai nessuno perchè Fazi pensa che abbia il finale scontato, Minimum Fax che è troppo esagerato, e Historica che è un romanzetto, in cui parlo di tutto quello che si faceva da bambini (come far bere alcol ai cani e dar fuoco ai gatti o far bere i girini agli amici o fare buche col ferro filato dentro). Non sai quanto mi piacerebbe parlare di questo o che so… del fatto che ho conosciuto dopo mesi la ragazza piu’ bella della terra e non scherzo, non è una bellezza soggettiva, ma oggettiva, come guardare il cielo d’Africa, oggettivamente puoi anoiarti sì, ma non puoi mica dire che ti fa schifo. Poi parlare di voi, che figata sapere come avete conosciuto le vostre mogli o che so, cosa avete fatto nella vostra vita di veramente rabbioso, eccessivo, folle.
@Tutti.
Riguardo alle domande di Maugeri.
- La società di oggi è piu’ rabbiosa?
Ovviamente lo è, per il semplice motivo che piu’ una società si organizza piu’ deve sottoporsi a schemi, più crei schemi, piu’ si realizza la convinzione che tutto cio’ che va fuori da quel contesto sia errato, piu’ sono i contesti di cui fai parte, piu’ hai la possibilità di uscirne fuori per via di un normale errore, più sbagli, piu’ ti alieni, piu’ sei alienato, piu’ covi rabbia.
- Un antidoto?
Il mio libro parla di questo. In questa società non c’è altro antidoto che sfogare la propria rabbia quando si viene a contatto con essa. Ci si dovrebbe soffermare su se stessi, lavorare sulla propria mente, sulla propria anima, sulla capacità di tensione dei propri muscoli, dei propri nervi, un lavoro costante, il primo lavoro della nostra vita. Il problema è che la sveglia suona, il telefono squilla, la TV trasmette ad orari prestabiliti, il micronde fa din, il citofono assorda il corridoio, il capo chiama. Non c’è tempo di creare una nuova opposizione, tirate un Duomo in faccia a Berlusconi.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 22:13 da Alessandro Cascio


Salvo: le ”fesserie” secondo me non sono le guide turistiche eccetera, ma i libri di narrativa brutti: ce ne sono troppi in giro. Se gli editori fossero seri pubblicherebbero dieci titoli all’anno invece di trenta ma pagherebbero gli autori. Cosi’ si fa in Slovenia.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 22:15 da Sergio Sozi


@ Sergio: hai ragione, dovebbero darci almeno una pensione minima (pochi euri) dopo diciamo “tre romanzi editati con editori non a pagamento, tre fiere nazionali, 10 racconti per riviste, 10 recensioni e tre interviste”. Almeno la pensione minima. Io (@) Salvo, scrivo davvero 8 ore al giorno sai, anche di più, pure a Natale, ho un libro editato, uno da editare ra un mese o due e altri dall’agente e ne sto finendo un altro (quello per il quale sono stato a NY) e sto scrivendo il PLot per quello da consegnare a Ottobre per Chaier di viaggio. In piu’ stiamo lavorando al fumetto di Touch and Splat (se si potessero editare le tavole ve le farei vedere) e di Tre Candele, il mio primo romanzo. Io porca vacca, voglio la pensione, se non per la scrittura, per la follia che c’è nel fare cose del genere. Io la voglio la pensione Sergio. In Slovenia però, non scrivono tutti come in Italia, non è così? C’è la stessa quantità di scrittori? No perchè potrebbe essere questo il motivo per cui le cose, dagli anni 60 a oggi, sono cambiate. Voglio venire in Slovenia sai, da tempo.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 22:19 da Alessandro Cascio


Cascio, perché non vai in Slovenia e ti fai ospitare da Sozi? Sarebbe un bell’incontro e credo che Sozi sarebbe bel lieto di ospitarti. Poi potreste relazionarci qui sugli esiti dell’incontro stesso.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 22:44 da Carmelo


Ah ah ah! Si’, dateci la pensione minima, editori!
A parte gli scherzi, in Europa in genere gli editori sanno leggere, dunque leggono i libri, ne scartano tanti ma quelli che pubblicano li trattano bene. C’e’ molta selezione e fatta da persone serie, da letterati veri non da pirana che si autoinventano editori per fregare il prossimo. Io scrivo in italiano, dunque veramente costo troppo, qui in Slovenia, perche’ gli editori devono anche pagare il traduttore – comunque ho pubblicato due postfazioni critiche a due libri di narrativa altrui (Diego Marani – Bompiani in Italia – ed Autori Vari: una raccolta di racconti italiani scritti dai nostri autori piu’ famosi) ed ora attendo la pubblicazione a giorni, come appendice ad un libro di Umberto Galimberti, dell’intervista che ho fatto al notissimo filosofo milanese. Inoltre, sempre qui, ho pubblicato e pubblico diversi articoli di giornale, tutti e sempre pagati come si deve. Peccato che posso muovermi pochino, scrivendo in italiano e non avendo un best seller in Italia. Se avessi un libro venduto in diecimila copie in Italia, o che avesse vinto un premio importante, qui mi avrebbero tradotto subito anche la narrativa. Io sono soprattutto un narratore, anzi un novellista. I racconti son la cosa che mi riesce meglio.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 22:55 da Sergio Sozi


@Figuriamoci, Carmelo, tirato com’è il caro Sergio, mi ridurrebbe il ragazzo peggio del Cristo in croce. Statti dove sei Alessandro, che ora organizziamo un petizione in tuo favore per farti ottenere la legge Bacchelli, così potrai spassartela senza problemi economici. Ha proposito di ragazze, non è che avresti qualche zia, magari un po’ avanzatella da presentarmi?

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 23:08 da Salvo Zappulla


Caro Carmelo,
purtroppo ho una casa minuscola che non mi permette di ospitare gente. Comunque prima o poi forse ci si incontrera’. Tenendo presente che sono un padre di famiglia molto religioso, cattolico osservante, e con prole a cui tengo piu’ della mia vita. Non uso mai parolacce e non permetto che nessuno ne usi davanti a mia figlia, inoltre faccio vita molto ritirata e non amo viaggiare. Sono una persona riservata e schiva: pochi amici ma veri e di lunga data. Ho abitudini che non intendo intaccare minimamente, non sono persona socievole. Ma sto bene cosi’. La parola ”amico” per me non e’ facile da dire. La dico raramente e solo dopo anni di precedente conoscenza.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 23:09 da Sergio Sozi


Ha proposito= a proposito

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 23:10 da Salvo Zappulla


Tirato si’: non ho il becco d’un quattrino! Poi io le tasse le pago, dunque voglio che gli altri paghino me, se vogliono qualcosa che mi costa lavoro. Il mio slogan e’: ”pochi soldi poca musica” (proverbio sloveno: vuiol dire che se dai quattro soldi a un musicista, non puoi chiedergli di farti ballare fino alle tre del mattino). Tu lavori gratis, Salvo?

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 23:16 da Sergio Sozi


Claudia Marinelli: quello che scrivi mi piace moltissimo… che ne dici di parlarne anche nello spazio dedicato alla scuola?

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 23:24 da Maria Lucia Riccioli


Beh visto l’andazzo, opto per casa di Salvo e porto una zia (ne ho niente male, sai). Sozi si troverebbe la pargoletta sul divano a chiedergli “papi, papi, cos’è una gang bang?”
No, io sono antichiesa, antireligioso, mi piace Cristo e dico parolacce, non mi siedo composto a tavola, nè sul divano, mi piace bere birra e se mi svegliano prima delle 10 m’incazzo. Sozi mi butterebbe fuori dopo avermi solo visto in faccia.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 23:28 da Alessandro Cascio


Dai, c’è uno spazio dedicato alla scuola? Posso venire anch’io a parlare di splatter e trash anni ‘70? Le porto io le diapositive.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 23:29 da Alessandro Cascio


@ Sergio. Si scherza eh?
Io scrivo su quasi tutti i migliori giornali siciliani e nessuno mi dà un centesimo. Lo faccio perchè mi piace, mi piace vedere pubblicato il mio nome, e mi dà prestigio.
Confidenza per confidenza. Anche il mio editore mi ha dato un buon acconto con un anno di anticipo sull’ uscita del romanzo. Ma sono casi rari in editoria. Evidentemente tua moglie ha scritto qualcosa di così interessante da garantire vendite certe.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 23:35 da Salvo Zappulla


Scrivi anche sul Giornale di Sicilia? E’ di Palermo, io sono di lì, ma mi ha pubblicato due volte La Sicilia, i tipi del Giornale di Sicilia mi hanno risposto “ma no, noi cultura ne pubblichiamo poca, alla gente ste cose …” e poi la smorfia tipica siciliana. Così Vitale, quello che ha scritto I cento passi, saputa la cosa, è andato in TV a fare un monologo su me e il mio romanzo, gli scrittori Palermitani dal titolo “Nemo profeta in patria”. Gli ho voluto bene, a quell’uomo lì.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 23:41 da Alessandro Cascio


Scrivo su: “La Sicilia”, su “La voce dell’isola” e un paio di riviste culturali.

Postato venerdì, 25 dicembre 2009 alle 23:50 da Salvo Zappulla


A proposito di rabbia: che coraggio c’è a uccidere alle spalle, con una pistola, un uomo disarmato solo perchè non ha pagato il pizzo. Lo saprebbe fare anche un bambino. La rabbia, ecco da cosa deriva, dalla mia sicilitudine, credimi che perfino al Bronx si chiedono scusa per ogni stronzata. Mi sarebbe piaciuta una persona saggia accanto, ma la saggezza ho dovuto impararla da solo, con i libri. Una volta leggevo la Marini e la Lipperfield, ma poi ho cominciato con Miller e ho preso a fare Boxe, il problema è che adesso, se noto cattiveria nelle parole di chiunque (e la cattiveria si nasconde spesso dietro le belle parole come la RABBIA SI NASCONDE DIETRO LA QUIETE) esco fuori binario, nei limiti della legge, ma fuori binario. Sozi non ha mai desiderato uccidere qualcuno, io non passa giorno che non pensi a quello che farei se anche gli uomini di cultura si armassero. Ne ho scritto un racconto dal titolo: “I buoni stanno al Palace” e quanto mi ci rivedo, Salvo, quanto.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 00:03 da Alessandro Cascio


“LA NOSTRA VOGLIA DI FAR FUORI PER SEMPRE I TARTAGLIA PER LA GENTE DI TERRASINI ERA DIVENUTA DI COLPO MALAVITA, E SE PRIMA AL PALACE STAVANO I MAFIOSI, ADESSO STAVAMO NOI, CHE NON ERAVAMO NE’ BUONI NE’ CATTIVI, L’ESATTO STANDARD DELL’UOMO MEDIO IN PURGATORIO: ONESTO E RABBIOSO, MARITO E PUTTANIERE, PADRI DI FIGLI DI MADRI DIVERSE. PER QUESTO, DA QUANDO SCONFIGGEMMO LA MAFIA PER SEMPRE, CONTINUO’ LO STESSO AD ESISTERE LA DELINQUENZA, PERCHE’ MOLTI DI NOI, DOPO AVER PROVATO AD UCCIDERE, NON SEPPERO PIU’ FARE A MENO DELLA GIOIA CHE TI DA’ SOSTITUIRSI A DIO QUANDO CREDI CHE QUELLO TI ABBIA TOLTO QUALCOSA. E ALLORA INIZIARONO A RIPRENDERSI TUTTO, CREDENDOSI BUONI E CERCANDO LA CATTIVERIA ALTRUI LADDOVE NON C’ERA O ERA COSI’ LIEVE DA POTERSI CONSIDERARE SANTITA’, IN CONFRONTO ALL’INSANITA’ DEI GESTI DEI BUONI, CHE CONTINUARONO A VIVERE DA PACHA AL PALACE, INDOSSANDO LA ROBA DEI TARTAGLIA, BEVENDO IL LORO VINO, CONTINUANDO A PRODURLO NELLE LORO CANTINE, SULLE COLLINE DI MONTELEPRE. QUANDO NE USCII, FU PERCHE’ CAPII CHE IL BUONO NON ESISTE, ESISTE LA PAURA, ESISTE LA CODARDIA, MA LA BONTA’ DI CUI TANTO PARLAMMO DAL COMPIANTO RICUPATI, IN CAMPAGNA, PER LE OLIVE, NON L’AVEVO MAI TROVATA, NEANCHE NELLE MIGLIORI DELLE INTENZIONI.
(DA: I BUONI STANNO AL PALACE – A. CASCIO)

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 00:26 da Alessandro Cascio


Caro Alessandro,
neanche io sono un santo: ho avuto i miei momenti e periodi brutti e stupidi. Anche ora sono piuttosto stupido ed anche fesso, pieno di tentazioni e di peccati. Un uomo, un ometto, sono. Ma ho avuto la fortuna, che Dio mi ha concesso, di nascere da una famiglia onesta e colta. Una famiglia che tutti amano perche’ ne sono amati, a Spello, in provincia di Perugia. Inoltre credo ed applico la sincerita’, credo che la doppiezza e la malignita’ di certi uomini di cultura siano delle cose spregievoli che stigmatizzo e allontano da me. Io non sono mai doppio o ambiguo, chiedilo a Salvo che mi conosce ormai bene. E di una cosa, poi, sono certo: se certi uomini di cultura (non tutti) si armassero, sarebbero feroci piu’ di Attila, e… ed ecco che io smetterei di colpo di leggere e di scrivere ed andrei a fare il lavapiatti – che ho fatto a Londra, ormai sono esperto – o il cameriere – che ho fatto a Foligno – al massimo il raccoglitore di pomodori di serra – altra esperienza umbra. Se non c’e’ l’onore vero, non c’e’ la cultura. E parlo di onore antico, non di quello mafioso, ovviamente.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 00:33 da Sergio Sozi


discorso che si sta facendo veramente molto interessante.
ringrazio Massimo per le nuove domande a cui risponderò domani, o meglio questa mattina :) , e vorrei anche rispondere all’intervento di Sergio sull’anticipo da parte degli editori. Ora vado a leggermi la biografia di Rupert Murdoch da cui, a proposito di editoria, c’è tanto da imparare.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 00:43 da francesco giubilei


Francesco, sappi che mi riferivo agli editori coi soldi, mica a te che fatichi di brutto per sbarcare il lunario!

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 00:54 da Sergio Sozi


Salvo,
no, qui la legge del ”prendo dunque pago” e’ uguale per tutti. Mia moglie e’ una come un’altra. Tutto si paga e tutti pagano le tasse, in Europa. In Europa dico.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 01:00 da Sergio Sozi


“I buoni stanno al Palace” parla proprio di questo, dei colti che per sconfiggere la malavita diventano peggiori dei malavitosi. Anch’io ho vissuto molto a Londra, lavapiatti, cameriere, pomodori, olive e vendemmie, tutte fatte e qui per me le raccolgo ancora, le olive. Vedi pero’, io non credo nella bontà, credo nella capacità di trattenere la rabbia, di sopprimerla … ma Touch parla appunto di questo, di gente che non riesce a farlo. E’ l’insegnamento di Cristo, che diventò rabbioso proprio ptima della sua morte, a definire il fatto l’uomo è fatto così.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 01:26 da Alessandro Cascio


Sofferenza e dolore. Ne parlo poco, esplicitamente. Credo nell’amore, comunque. Amo. Ma questo brano forse ne offre un piccolo sguardo. E’ estratto da un mio racconto inedito, intitolato ”Esergo” (fa parte della serie di Santonastasio, il mio capitano dei Carabinieri siracusano).
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Far soffrire la gente è uno dei tanti obblighi della vita, come la fatica di abitare in una soffocante via cittadina o del dover dire delle mezze verità.
Bisogna quindi rassegnarsi, come alla propria, all’altrui sofferenza da noi stessi procurata, o meglio a quella da noi comminata agli altri entro un certo autoimposto limite: i più bravi cristiani sono quelli che centellinino la sofferenza da far subire al prossimo. Ecco: tant’è riguardo a Giralda.
Ciò non toglie che qui i sintomi di una nuova persecuzione mafiosa nei miei confronti possano essere chiaramente rintracciabili: un messaggio lasciato di recente a Perugia proprio per colpirmi, per farmi capire che sono seguìto, anzi tallonato, scrutato, perfino ridicolizzato, messo in piazza. Manco in pensione mi lasciano in pace. O che la mia uscita di scena rappresenti il momento giusto per attuare dei propositi vendicativi di vecchia data?
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Questo scrivendo a penna sul consueto ma saltuario diario, Euterpe, che da pochi minuti aveva abbassato la cornetta, si sentì una carogna: benché la sorellaccia gli fosse riuscita spesso pocopatica, anzi antitetica, magari non avrebbe dovuto usarla strumentalmente in tal modo. Sarebbe stato sufficiente prenderla in giro per la spocchia intellettuale che ella si sentiva di detenere più di Socrate – benedetto: tanto snob, doveva esser stato, da non sentirsi così generoso da lasciare una parola incisa sul fango!
Ma chiamarla solo per constatarne un fallimento esegetico… eh. Troppo brutto.
La mafia, comunque. Eccola: nell’ultimo suo travestimento. Ancora.
Se sapevano che lui finalmente sapeva, non c’era niente da fare: esclusa la possibilità di risalire all’autore della scritta, non sarebbe rimasto altro che attendere la loro prima mossa. Si sarebbero fatti sentire? Presto? Tardi? Mai? O solo coi fucili? Con altri arpioni meno fisici?
Poi… be’… diciassette persone. Diciassette possessori di quel recapito telefonico da indagare con discrezione. Gente fidata, però, gente cosciente che reputo improbabile abbia dato il mio numero telefonico a qualcuno senza prima avvisarmi. Un caso da ”Euterpe III” (”l’Astuto”). Vediamo. Mai arrendersi. E mai richiamare il signor, detestabile, Novak, maggiore ancora in pieno servizio presso la Compagnia Trieste II. Stai a vedere che un vero carabiniere si riconosca solo quando stia in pensione. E senta il fiato del Conte Ugolino mafioso sulle spalle senza essere l’arcivescovo Ruggieri.
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Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 01:56 da Sergio Sozi


L’amore regge il mondo, non la rabbia. Solo che e’ facile evitare di amare. E’ troppo facile, sai Alessandro? Si campa meglio senza amare e rabbiosamente, pensando solo a se stessi. E Cristo quando ha detto a suo Padre ”Perche’ mi hai abbandonato?” non l’ha detto con rabbia ma con dolore rabbioso. E’ cosa diversa, e’ una sfumatura, ma questa sfumatura fa la differenza fra Gesu’ Cristo e noi. Noi possiamo arrabbiarci e basta. Siamo egoisti quando ci arrabbiamo. Cristo era altruista perfino quando disse ”Mannaggia, sto morendo e mi lasci qui!”. ”Quod licet Iovis non licet bovis” (cio’ che e’ permesso a Giove non e’ permesso al bove”. Noi uomini siamo i buoi, Alessandro).

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 02:06 da Sergio Sozi


Non esiste antidoto contro la rabbia e forse è giusto così. E’ l’ultima pulsione rimasta. Tutto il resto è mero adempimento. Ognuno si confronta solo con il proprio io ed al tu non resta che morire. Il noi lo ha fatto da tempo. Salvo è l’ultimo dei fessi sopravvissuti. Bisogna augurarsi che campi altri 150 anni. Nel frattempo potremo leggere altre belle cose.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 09:29 da eventounico


@Evento. Non sono riuscito a comprendere cosa intendi dire, sarebbe opportuno ti spiegassi con maggiore chiarezza. Mi sembri piuttosto astioso.
@Sergio. Sulla tua onestà e integrità morale non nutro alcun dubbio.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 10:24 da Salvo Zappulla


“Dio mio, Dio mio,perché mi hai abbandonato?”
E’ un urlo di disperazione,non di rabbia, con cui Gesù si cala fino in fondo nella precarietà della vita umana. E’ l’atto d’amore estremo e supremo che fa di Gesù il perfetto anello di congiunzione tra Dio e l’uomo.
Ma in questi giorni si festeggia Gesù che nasce, non Gesù che muore.
Buon Natale a tutti.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 10:49 da Sara


@ Sara e Sergio
Vedi Sergio, ci sono scrittori e scrittori e questo post ne è un esempio evidente. C’è che dice “falsità”, come te, perchè vuole dare positività attraverso la sua arte e c’è chi invece si limita a osservare e riportare intigendo la realtà nella fantasia. Io, come dice una mia cara amica, sono uno scrittore realista. Il mondo è retto dall’amore? E’ vero? Ci credi? Non è retto dal suo contrario? Guerre, povertà, malattia, barboni, omicidi, stupri, amori più finiti che cominciati, corruzione, Chiesa, delinquenza e …
Il mondo è retto dall’amore? Esiste l’amore, è vero, ce n’è, ma è più la rabbia, è più la Jungla: sopravvivi per tutta la vita e quando ci sono gli scampoli giusti, prova a vivere. Lo stesso amore non è altro che un momento di un rapporto. Proprio un momento fa ho vissuto un momento di grande amore, ma è una piccola luce nella mia vita, fatta d’altro.
Sara, l’ultima tentazione di Cristo è, nella religione, il riconoscimento che anche Cristo è uomo e il suo grido non è visto come amore, per i miei studi sulla Bibbia (e ragazzi, potrei stare qui ore a farvi comprendere che in realtà la religione cattolica è una truffa, un furto da altre religioni come l’egizia V. Il libro dei morti) quel grido è RABBIA. Non solo, ti dirò di più, per Potin, che scrisse il discusso Jesus-la vera storia di Cristo (venendo ammonito dalla Chiesa cattolica) Gesù era rabbioso e giocava d’azzardo e lo stesso Mel Gibson prese quelle parole per scrivere la scena in cui Cristo si reca al tempio di suo padre, divenuto un mercato e con RABBIA rovescia in terra le bancarelle dei poveri contadini. Ma il cattolico ha un modo del tutto politico di difendere ciò che spesso non conosce (la propria religione) inventando di sana pianta le leggi cristiane o la storia, perchè VUOLE che sia come dice lui, non perchè lo è. Per esempio, la posizione della Bibbia sul sesso. Io ho studiato da vicino (andando in loco) il mondo islamico e la loro religione (che è cristiana, anche se molti non lo sanno) è simile alla nostra. Noi non possiamo andare a letto neanche con nostra moglie se non per procreare e non possiamo farlo se non dopo il matrimonio (vergine al matrimonio quindi). Poi, la Chiesa si adatta ai tempi e cambia anche la parola di Dio, quella parola che fu creata in un concilio intorno al 400 d.c. per tenere a bada i popoli. Quindi, cara Sara e Sergio, l’ultima tentazione di Cristo non è amore, non è dolore, ma è RABBIA, ve lo dico così che in questo modo, potete amare Cristo come lo amo io, non perchè è il figlio di Dio, ma perchè è stato un grand’uomo e in questo mondo, il grandi uomini valgono piu’ degli angeli.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 11:24 da Alessandro Cascio


@ Eventounico: grazie per la risposta. E’ ciò che anch’io voglio far capire col mio romanzo. Quei ragazzi credono che l’unico antidoto alla loro rabbia, alla loro voglia di uccidere è “giocare a farlo” ma poi il gioco si trasforma e nonostante tutto, capiamo da mille piccole cose che tutto quello, basta solo per pochi mesi, il tempo che arrivi un’altra busta che annunci (sulla musica di Touch and Go in Dminor di Joahn Sebastian Bach) un altro Touch and Splat. A me Sergio piace, è uno che ha dei valori e potrebbe darsi che lui abbia ragione e il 90% del mondo torto e se è così, tifo comunque per lui, perchè fin quando si è giovani e forti o vecchi e forti, tutta la rabbia del mondo va sfogata, ma quando ne avremo bisogno, cercheremo l’amore e sarà davvero frustrante accorgersi che non esiste, proprio in quel momento, quello in cui la rabbia ci farà morire.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 11:30 da Alessandro Cascio


Buona giornata a tutti e grazie a tutti gli intervenuti.
Riguardo alla questione qui sopra sollevata mi trovo perfettamente d’accordo con Sara.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 11:31 da Massimo Maugeri


@ Alessandro Cascio
Hai scritto: “Maugeri lo so che sta lì a pensare “speriamo che non sgara, speriamo che non sgara”.
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Ti assicuro che ti sbagli. Nutro ben altre speranze e ho ben altre preoccupazioni.
Anche perché nei confronti di chi “sgarra”, o meglio, di chi si comporta nei modi stigmatizzati nella famosa “avvertenza” posta sulla colonna di sinistra del blog (e della nota legale e netiquette ad essa legate) non ho alcuna difficoltà a intervenire cancellando i commenti (o, in caso di reiterate esagerazioni, a inserire il soggetto in questione in blacklist).
Chi decide di intervenire in questo blog, accetta automaticamente questo mio indirizzo.
Mal che vada qualcuno potrebbe additarmi come dittatore, o antidemocratico, o fascita, o comunista (dipenderebbe dall’orientamento politico dell’accusatore). Ma tali accuse farebbero da contraltare alle altre: eccessivamente democratico, buonista, mieloso.
Né le une né le altre mi scalfiscono.
Del resto, piacere a tutti non rientra nelle mie ambizioni. Anzi, ritengo sia moralmente discutibile già il solo “tentare” di piacere a tutti.
Non so se rendo… ;)

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 11:43 da Massimo Maugeri


A proposito, le scritte A STAMPATELLO sono genericamente considerate fastidiose. Chiederei, dunque, di evitarle…

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 11:47 da Massimo Maugeri


Sto per uscire. Sarò fuori sede per tutto il giorno e non so quando rientrerò. Di certo non avrò la possibilità di controllare la discussione per un bel po’.
Dunque, per mia serenità (non avendo appunto la possibilità di controllare e – eventualmente – intervenire nella discussione… come, del resto, ho già fatto in altre circostanze) ho messo l’intero blog in moderazione.
Ogni volta che invierete un commento apparirà la scritta: “Il tuo commento è in attesa di approvazione”.
Sbloccherò i vostri commenti al mio rientro.
Vi prego di essere un po’ pazienti e vi chiedo scusa per il disagio.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 11:51 da Massimo Maugeri


Come nasce “Historica”?

Historica edizioni nasce nel settembre 2008 con la pubblicazione de “Le colpe dei padri” di lauraetlory, precedentemente era un e-magazine letterario e poi una rivista cartacea.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 12:16 da francesco giubilei


Cosa si è realizzato fino a questo momento?

Tanto, e gli autori pubblicati possono testimoniarlo :)
Siamo partiti da zero, senza un grafico, un editor, un sito internet, una distribuzione, una tipografia affidabile e in poco tempo, anche imparando dai nostri errori, siamo riusciti a costruire una casa editrice funzionante al 100%. Oggi pubblichiamo 5 collane: narrativa contemporanea, celeris, Short cuts  www.collanashortcuts.com), Saggi e Cahier di Viaggio (http://cahierdiviaggio.blogspot.com). Ad oggi siamo distribuiti su tutto il territorio nazionale da Ediq, in Emilia-Romagna, Marche e Abruzzo da L’editoriale (Cda), in bibliotesa da Ls e abbiamo un buon numero di librerie fiduciarie con cui collaboriamo.
La grafica è curata da Sacha Naspini e l’editing dei testi da Valentina Silvestri.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 12:22 da francesco giubilei


Chi sono gli autori coinvolti?

Il primo libro pubblicato è stato “Le colpe dei padri” di lauraetlory, seguito da “Il muro dell’apparenza” di Sabrina Campolongo. Per la collana short cuts abbiamo pubblicato Remo Bassini, Alessandro Cascio, Francesco Dell’Olio e Sacha Naspini, tutte le info su http://www.collanashortcuts.com
Per la collana Celeris, Matteo Gambaro (Avorio), Cinzia Pierangelini (Un’altra Julia) e, ultima uscita, Diario di melassa di Maria Giovanna Luini.
La collana di saggi è stata inaugurata da Sergio Sozi con “Ginnastica d’epoca fredda”, mentre la nuova collana Cahier di viaggio, diretta da Francesca Mazzucato, ha iniziato le pubblicazioni con “Romanza di Zurigo” della stessa Mazzucato e presto uscirà il primo titolo della diramazione di collana “petit cahier di viaggio”, piccoli libri di viaggio in formato tascabile, della scrittrice macedone Biljana Petrova, qui in anteprima la copertina: http://4.bp.blogspot.com/_P_IG1XGBR74/SzDwcNnJkwI/AAAAAAAABNA/kvo_fW2Pjmo/s1600-h/Cop_Biljana%5B1%5D.JPG

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 12:30 da francesco giubilei


E’ molto comune un equivoco in vaste discussioni (come questa su Letteratitudine) dove siano presenti gli autori: confondere questi ultimi con le loro opere. L’opera si crea in un mondo slegato dagli accidenti sociologici. Biografia dell’autore, sue ideologie e argomentazioni varie, e storicizzazioni diverse, possono essere anche del tutto ininfluenti, e spesso fuorvianti, in relazione alla qualità dell’opera.
*
A prescindere da quanto appena detto, aggiungo che su “Touch and splat” di Alessandro Cascio e sui suoi libri precedenti non posso dire nulla, per il semplice motivo di non aver letto nè il libro in questione e nemmeno gli altri. Riguardo a ciò che ho invece letto talvolta online in suoi commenti passati, e qui e là spiluccando in questo post, affermo che Alessandro Cascio mi è simpatico. Sento sintonia con un suo certo modo di essere, libero – senza affettazione – da gioghi (e giochi) di svariata natura. Provo inoltre simpatia per la sua vicinanza alla migliore letteratura statunitense, e per la sua ricerca che evita steccati limitanti la letteratura dentro gerarchizzazioni di generi, di ambiti nazionali e linguistici.
*
Di Sergio Sozi ho letto molti racconti sia editi che inediti, che egli stesso mi ha più volte inviato personalmente, e ho recensito il suo racconto lungo”Ginnastica d’epoca fredda”. E anche “Il Menù” mi era già stato inviato quando ancora era inedito. Ho sempre apprezzato l’attenta ricerca linguistica, dal ritmo ben calibrato, della scrittura di Sozi, la sua vivacità squarciata a tratti da bagliori di notevole efficacia. Cito soltanto un autore, tra i contemporanei, che sembra approssimarsi maggiormente all’opera di Sozi: Gadda.
Per quanto poi riguarda la faccenda degli editori e dell’editoria… Sergio!, ogni tanto ancora spero che la copia de “Il Menù”, la quale mi era stata da te promessa qualche mese fa attraverso l’invio da parte di Castelvecchi Editore, giunga infine al mio indirizzo di casa (che mi auguro tu non abbia smarrito…).
Ciao,
Gaetano

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 12:37 da Anonimo


E cosa bolle nell’historica pentola?

Il 15 e 22 gennaio faremo due maxi eventi a Bologna dove lanceremo la nuova collana Cahier di Viaggio, il 29 saremo invece a Rimini, mentre l’11 torneremo a Bologna sempre per Romanza di Zurigo. Il 13-14 marzo parteciperemo a Buk, la fiera della piccola e media editoria di Modena dove abbiamo acquistato tre eventi: il sabato presentazione di Diario di melassa di Maria Giovanna Luini e Avorio di Matteo Gambaro e successivamente Fabio Zanello lancerà la nuova collana di cinema con un libro su Brian de Palma. La domenica invece presenteremo Romanza di Zurigo, Sogno di Skopje e il nuovo petit cahier di Francesca Mazzucato su Marsiglia. Successivamente parteciperemo alla Fiera di Torino con uno stand tutto nostro.
Per quel che riguara le pubblicazioni previste, segnalo il libro su Brian De Palma che inaugurerà la collana di Cinema, il giallo di Enrico Gregori che usciranno entrambia a Modena, più altre sorprese.
A Torino lanceremo un nuovo libro che abbiamo commissionato ad un autore, un romanzo storico su cui abbiamo intenzione di investire molti soldi ed energie.
Inoltre a Natale 2010 ci sarà una grandissima novità a cui stiamo già lavorando ma che per ora è top secret ;)

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 12:39 da francesco giubilei


Dimenticavo, alla fiera di Modena, se tutto va bene, lanceremo una nuova rivista in formato tabloid, sempre in collaborazione con Gordiano Lupi de Il Foglio. E’ una nuova scommessa a cui credo molto e sperò si rivelerà un buon successo!

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 12:41 da francesco giubilei


@ Maugeri: più che additarti come dittatore, ti addito come uno che ha preso troppo sul serio ciò che ho scritto, era un modo per dire quello che volevo dire. In quanto allo stampatello, ci sono Zappulla e Montagnoli che hanno piu’ di 70 anni, era per rendere piu’ facile la lettura. Scherzo ragazzi. A me non dà fastidio, anzi, mi facilita la lettura. CIAO MAUGI.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 15:29 da Alessandro Cascio


Posso intervenire con una piccola cattiveria? Si fa un gran parlare di lingua italiana e del doverla usare a proposito da parte di chi scrive. Poi leggo, nei commenti: “Sacha, ti chiami così perché a tua madre GLI piacevano i nomi esotici?” e inorridisco. Ecco, io più che di basket e fast food, mi preoccuperei di un GLI al posto di un LE, che non è contaminazione e, ne sono certa, neppure ignoranza, ma assoluta noncuranza nei confronti della nostra lingua. Ho detto :-)

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 15:40 da Laura Costantini


Salvo, perchè mai ti è sembrato astioso riconoscere che tu scrivi sui giornali di tutta la Sicilia senza alcun compenso ? Sull’attaccamento all’io vedi in giro atteggiamenti diversi ? Massimo è uno che si sbatte per farci dialogare tutti con serenità, ma guarda quanto gli costa (E’ addirittura costretto a mettere il blog in moderazione). Sulla rabbia non sei daccordo ? Io ne vedo tanta in giro e ne ho paura proprio perchè la conosco. Non c’è bisogno di pensare a soggetti delinquenziali. E’ sufficiente girare tra le persone cosiddette “normali” e ti accorgi che covano dentro un senso di vuoto nel quale ogni sussurro, anche il più benevolo ed onesto, diventa un urlo. L’amore tra le persone non lo vedo più. Forse è un mio limite. Me ne scuso, ma non riesco ad avere la fede di Sara.

Postato sabato, 26 dicembre 2009 alle 21:04 da eventounico


Titolo: ”Se io fossi un editore”.
Premessa al testo: Ho sempre sognato di aprire una casa editrice, ma mi mancano i quattrini.
Svolgimento:
Ecco, se io fossi un editore in Italia – dopo aver svolto le pratiche burocratiche ed aver fatto un contratto con un buon distributore – lavorerei cosi’:
1) Vedrei quanti soldi ho per realizzare un titolo, un libro, insomma calcolerei quanto mi costa complessivamente OGNI TITOLO, tutto compreso;
2) Deciderei con quanti titoli uscire l’anno seguente, da gennaio a dicembre;
3) Mettiamo, ipoteticamente, che prevedo cinque titoli per il 2010: faccio i calcoli e vedo infatti che HO IN TASCA i soldi necessari per realizzare questi cinque titoli.
4) Seleziono personalmente i cinque titoli, valutando i dattiloscritti che mi vengono inviati. Scelgo IL PRIMO TITOLO da pubblicare: mettiamo un libro di narrativa di Tizio che piace A ME;
5) Faccio il contratto all’autore di questo titolo di narrativa e gli pago subito il suo dattiloscritto, all’atto della firma, cinque euro a pagina standard di 1500 battute, spazi esclusi. Mettiamo che il dattiloscritto e’ di 120 pagine standard (= 100 pagine di libro), do’ all’autore 600 euro per l’acquisto della sua opera. Adesso la sua opera e’ mia per tre anni, dopo tornera’ di proprieta’ dell’autore. Nel contratto specifico anche che, nel corso di questi tre anni, daro’ all’autore il 7% del prezzo di copertina di ogni copia venduta ogni anno.
6) Fatto il contratto come dicevo sopra, lavoro sul testo assieme all’autore. Ottengo le bozze finali e stampo mettiamo 1000 copie del libro.
7) Do’ il libro in distribuzione e mi metto a promuovere il titolo presso recensori e critici della carta stampata e di Internet, organizzo presentazioni pubbliche, partecipazioni in radio, Internet, eccetera. Mi muovo molto su quel titolo per due mesi, curando anche i dettagli minuscoli. Visito qualche libreria per vedere se il distributore e’ stato serio e l’ha dato ai punti vendita.
8 ) Ricomincio d’accapo con il secondo titolo fino al quinto.
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Insomma il succo e’ questo: per fare gli editori bisogna avere PRIMA i soldi da investire; bisogna realizzare SOLO i titoli che i soldi che abbiamo in tasca ci permettono di realizzare; bisogna pagare agli autori il dattiloscritto SUBITO; bisogna avere molti e buoni contatti con la stampa per evitare di far cadere nel nulla un titolo; non bisogna pubblicare troppo: solo i libri che possiamo ben distribuire e promuovere.
Io la vedo cosi’ e cosi’ fanno in Europa gli editori seri, piu’ o meno.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 01:24 da Sergio Sozi


Chiedo venia, ma a causa di imprevisti di vario genere non sono riuscito a ri-connettermi prima di adesso.
Vi chiedo scusa per il disagio…

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 11:49 da Massimo Maugeri


Due parole su Francesco Giubilei
Credo che Francesco sia un esempio per tutti i giovani. Stiamo parlando di un ragazzo che non ha ancora compiuto diciotto anni (o li hai già compiuti, Francesco?… non vorrei sbagliarmi) e che ha creduto con ottimismo e determinazione a un sogno.
Il sogno era quello di fondare un casa editrice.
Francesco è riuscito a realizzarlo mettendoci impegno, fatica, studio, grinta, determinazione, entusiasmo… e senza rinunciare alla buona educazione.
Sono certo che negli anni Historica crescerà sempre più raggiungendo obiettivi importanti.
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Credo che Francesco sia un esempio per tutti i giovani, dicevo… anche per questo mi piace dargli spazio qui a Letteratitudine.
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Vedo che sei riuscito a ritagliarti uno spazio anche alla Fiera del libro di Torino…
Bravo, Francesco… continua così!

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 11:56 da Massimo Maugeri


Ciao Gaetano, grazie per il tuo commento.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 11:57 da Massimo Maugeri


@ Cascio
Pur senza rinunciare a qualche battuta o a qualche spiritosaggine (di tanto in tanto), ho l’abitudine di prendere tutti con la massima serietà… soprattutto i miei ospiti (ai quali offro, con piacere, spazio e visibilità). Nella fattispecie diciamo che ne ho approfittato anche per ribadire la linea di questo blog (che tu ben conosci, essendo un frequentatore di antichissima data). Ogni tanto lo faccio (anche per rendere noto il mio approccio ai nuovi frequentatori)
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Nel gergo dei blog l’uso dello STAMPATELLO equivale a un urlo. Per evidenziare un testo sarebbe preferibile ricorrere al grassetto o al corsivo. Ciao Casci

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 12:02 da Massimo Maugeri


@ Laura Costantini
Eddai, Laura… :) nella velocità di scrittura sul blog capita un po’ a tutti di produrre refusi ed errori (dovuti, appunto, alla velocità di scrittura).
Un bacio.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 12:04 da Massimo Maugeri


@ Eventounico
Grazie, caro Evento. Ho scelto di mettere il blog in moderazione perché sapevo che non avrei avuto la possibilità di connettermi per molto tempo. E io mi sento addosso una grande responsabilità nei confronti di tutti.
Tanti auguri di buone feste a te e alla tua splendida famiglia.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 12:07 da Massimo Maugeri


@Evento. non avevo capito bene a cosa fosse riferito quel fesso. Tutto Ok. Già fesso me lo dico io, mia moglie, i miei figli, Maugeri in privato… come dire… ho il carbone bagnato. Un abbraccio.
PS. Se hai ancora la mia mail, rimandami quell’articolo al tuo libro, che allora per una serie di circostanze negative andò perduto).

D’accordo sulla rabbia. A vent’anni bisogna essere arrabbiati e aver voglia di prendere a morsi il mondo intero. A 40 si è più pacati, a 60 moderati, a 70 rincoglioniti.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 12:08 da Salvo Zappulla


@ Sergio
Scrivi: per fare gli editori bisogna avere PRIMA i soldi da investire; bisogna realizzare SOLO i titoli che i soldi che abbiamo in tasca ci permettono di realizzare; bisogna pagare agli autori il dattiloscritto SUBITO; bisogna avere molti e buoni contatti con la stampa per evitare di far cadere nel nulla un titolo; non bisogna pubblicare troppo: solo i libri che possiamo ben distribuire e promuovere.
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Be’, tutto sommato mi sembra ragionevole. Sulle modalità di pagamento agli autori, sarei più aperto…
Aggiungo che oggi la Rete offre la possibilità di pubblicare testi a costo zero e senza spreco di carta.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 12:13 da Massimo Maugeri


@ Zap
Ma quand’è che ti avrei dato del fesso?
Asciuga il tuo carbone, che potrebbe servire per la befana… :)

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 12:17 da Massimo Maugeri


Davvero grazie a Massimo, le tue parole mi spronano a continuare su questa strada!
Vorrei rispondere a “se io fossi un editore” di Sergio. Prima cosa che mi lascia un attimo perplesso nel tuo ragionamento è fare un contratto con un buon distributore. Come tutti sapete la grande distribuzione è in mano da PDE e MESSAGGERIE. Bene, PDE chiede come minimo 4-5 novità al mese e l’azienda deve avere un fatturato di minimo 200.000 euro e, chiaramente, prende editori che sono sul mercato già da anni. Messaggerie non so come lavora ma penso più o meno allo stesso modo. Poi ci sono i distributori medi, DEL PORTO (che però è fallito ed ha chiuso) e CDA e infine si arriva ai piccoli come EDIQ.
Avere un distributore nazionale come CDA, dato e non concesso che si riesca a firmare un contratto con loro, porta più a svantaggi che a vantaggi tangibili. Quindi la soluzione più congeniale, almeno all’inizio è avere vari distributori regionali e sperare lavorino bene. Per questo riuscire a fare un contratto con un buon distributore è molto molto difficile.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 13:40 da francesco giubilei


D’accordissimo con Sergio sul discorso dei fondi, ma la domanda è: dove li troviamo questi soldi???

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 13:46 da francesco giubilei


@Maugeri. Da qualche tempo stai diventando irrispettoso, penso che una strigliatina di quelle buone non ti farebbe male.

@Francesco. Mi hai anticipato. Riuscire a trovare un buon distributore è difficile nella stessa misura che per un esordiente trovare un editore che lo pubblichi. Bisogna presentarsi con un catalogo interessante e corposo. Inoltre i distributori più grossi chiedono il 60% sul prezzo di copertina e per un piccolo editore è impossibile accettare tali condizioni. Anche pagare 600 euro all’autore al momento della firma del contratto sarebbe da suicidi. A meno che uno non si chiami Mondadori e in quel caso può capitare che pur di strappare un autore prestigioso alla concorrenza gli si offrino anche cinquantamila euro a scatola chiusa. Si comincia distribuendosi i libri da sè nella propria regione e, lavorando con serietà, man mano allargarsi alle altre, affidandosi a distributori regionali. Complimenti comunque, mi pare che tu abbia le idee chiare e stia lavorando benissimo. Autori come Sergio, Alessandro, la Costantini, Bassini, Gregori, e gli altri citati sopra rappresentano certamente un bel biglietto da visita. Mi sarebbe piaciuto conoscerti alla Fiera di Roma, ho sbirciato nei passeggini delle signore ma non ti ho trovato.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 14:11 da Salvo Zappulla


Ehhhh forse hai guardato nei passeggini sbagliati :)
A Roma purtroppo è difficilissimo avere lo stand, c’è una lista d’attesa chilometrica, è una bella fiera che meriterebbe di essere frequentata. Quest’anno ho partecipato come lettore, ho dato un’occhiata e preso contatti, saremo invece presenti a Modena e Torino, se qualcuno passerà sarà un piacere ospitarlo al nostro stand.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 14:27 da francesco giubilei


@ Zappulla
Hai ragione: chiedo venia alla befana.
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@ Francesco
L’importante è non avere fretta. Sei ancora giovanissimo e il proverbio “chi va piano va sano e va lontano” è molto saggio. Continua così.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 14:48 da Massimo Maugeri


In effetti è cosa che non riesco a spiegarmi. Parlo della Fiera di Roma. Bisogna aspettare che altri editori escano per rimpiazzarli. E invece mi pare che gli spazi ci siano, nei piani alti. Fate casino col Sindaco, porca l’oca! Roma è in enorme crescita, meno decentrata di Torino, meno costosa, non ci sono i grandi a fare da accentratori. Insomma, non si può rinunciare a cuor leggero.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 14:54 da Salvo Zappulla


Preciso che Salvo e io – tra di noi – scherziamo, eh…
Adesso vi lascio. Buon pomeriggio e buona serata a tutti.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 15:01 da Massimo Maugeri


Confermo. Ci permettiamo qualche battutina pepata, grazie alla stima reciproca.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 15:11 da Salvo Zappulla


Francesco e Salvo, tutti:
il mio discorso era riferito ad un’editoria di livello aziendale, che parta come azienda con l’intenzione di prendersi subito una fettina di mercato. Per chi inizia artigianalmente avete ragionissima entrambi, Salvo e Francesco: si inizia distribuendosi da soli. Cosi’ facevo con la rivista nel 1995-2000: ci dividevamo le zone umbre di spettanza e via a portare pile di copie nelle librerie. Le biblioteche via posta. Oggi secondo me se si ha voglia di andare in macchina, una distribuzione in tre regioni – metti Emilia-Romagna, Marche e Umbria, la si riesce a fare. Pero’ bisogna essere svegli ed efficienti.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 20:40 da Sergio Sozi


P.S.
anche io scherzo, qui, almeno con Salvo e Massimo – poi ci sarebbero gli altri della vecchia leva che non si fanno piu’ vedere… parlo dei napoletani: dove siete finiti?

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 20:42 da Sergio Sozi


Gaetano,
grazie mille per le belle parole e i bei pensieri, caro, la tua stima mi e’ preziosa, sai? Adesso per risolvere la faccenda cui accennavi, compro qualche copia e te ne spedisco una, porca mis… cosa posso farci? Sto fuori Italia e qualcuno mi considera un po’ ”naufragato” ah ah ah.
Abbraccioni

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 20:49 da Sergio Sozi


@Tutti. Chiarisco. Io considero questo posto un’isola felice dove scaricare la tensione della giornata, lo stress, e la tendenza alla depressione, perciò mi piace alternare interventi seri ad altri più leggeri che, a mio parere, servono da pausa quando il dibattito si fa troppo pesante o acceso. In genere le mie battute le rivolgo agli amici che so dotati dello stesso spirito goliardico e non si offendono, persone con cui c’è stima e affinità da parecchio tempo: Sergio Sozi, Renzo Montagnoli, Massimo, Di Domenico, Giorgia e qualche altro che non interviene più. Spero di non aver superato mai i limiti del buon gusto e della buona educazione. Se così fosse, il padrone di casa sa benissimo che in qualsiasi momento può mettermi alla porta.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 21:04 da Salvo Zappulla


Caro Salvo, il senso dell’umorismo aiuta a vivere meglio. Questo vale in generale, per la vita… e anche per quanto concerne i nostri scambi on line.
C’è questa citazione di Mahatma Gandhi: “Se non avessi il senso dell’umorismo mi sarei suicidato molto tempo fa”.
E poi mi piace quest’altra di Mark Twain: “L’umorismo è una gran cosa, è quello che ci salva. Non appena spunta, tutte le nostre irritazioni, tutti i nostri risentimenti scivolano via, e al posto loro sorge uno spirito solare”.
Chissà: forse il principale antitodo contro la rabbia è proprio il sense of humour.
Scusate “l’anglofonia”. :)
Buonanotte a te e a tutti.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 22:32 da Massimo Maugeri


Ah ah ah! Salvo, suvvia! Ma che superato i limiti! Che dici? Tu sei sempre il solito: non offendi nessuno e sei carico di dolcezza ed intelligenza! Peccato solo che a parlare adesso sia il tuo spirito, mentre il corpaccione riposa in pace sotto un tumulo di cannoli alla ricotta…

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 22:38 da Sergio Sozi


Francesco Giubilei,
aoh! Dico: nelle prossime fiere porterai anche il mio ”Ginnastica d’epoca fredda”, no? Senno’ come fa la gente a dirti: ”Ma che vuol dire ’sto titolo arrovellato, inturcinato, labirintico e storto?”
Ah ah ah!
Ciaobbello

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 22:43 da Sergio Sozi


Domanda a tutti:
Finora abbiamo girato tutti attorno a diversi argomenti, pure importanti, riguardanti i due libri del post. Ma adesso, dico, qualcuno sarebbe curioso di sapere ANCHE qualcosa di piu’ dei romanzi stessi? Perche’ non ci chiedete altre cose?

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 22:52 da Sergio Sozi


Sì, come suggerisce Massimo il senso dell’umorismo aiuta a vivere meglio. Molto meglio. Ed è il migliore antidoto contro la rabbia (sottoscrivo). Proprio in questi giorni sto leggendo Paasilinna (“Piccoli suicidi tra amici”), che inizia con questa citazione di un proverbio (finlandese?): “In questa vita la cosa più seria è la morte; ma neanche quella più di tanto”. L’umorismo a volte riesce a farci vedere la realtà con quel distacco spesso necessario a farci comprendere cose serissime. Non conoscevo Paasilinna. E invece, proprio per questo, merita (dopo aver letto Cascio e Sozi, naturalmente).

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 23:40 da Carlo S.


@ Laura: è noncuranza nei confronti della madre di Sacha, più che altro.
@ Eventounico: perchè, si paga per mettere un blog in moderazione?
@ Salvo: sono contento che sui giornali siciliani scriva tu, te lo dico da siciliano (non, ovviamente, da giornale).
@ Sergio: un buon editore deve valutare i libri che piacciono “agli altri” non “a lui”, questo è il primo errore. Non parlo di commerciabilità, ma di differenza di vedute. Ci dovrebbe essere una commissione esperta che raggruppa diverse età e diversi stili, diverse conoscenze artistiche.
Se tu fossi un editore e io scrivessi in latino, pubblicherei di certo con te. Ma causa “mia ignorantia e tua povertas” non ci incontreremo mai in editoria.

Sì, Giubilei ha 17 anni, ma da almeno 30 anni.
E’ lui che mi ha raccolto dalle ceneri e mi ha portato di nuovo a pubblicare, io avevo smesso, suonavo nei centri sociali e spacciavo marijuana.

Postato domenica, 27 dicembre 2009 alle 23:57 da Alessandro Cascio


Accolgo l’invito di Sergio relativo a richieste di approfondimento sui libri in questione.
*
Prima però faccio anch’io una considerazione su un tema trattato marginalmente: la lingua è un organismo vivo e naturalmente si riproduce, si rinnova, cerca ulteriori vibrazioni sonore e musicali, e riceve nuova energia internamente e da altri organismi che con essa convivono, similmente a vecchie cellule una parte della lingua muore, ecc. Come ogni organismo, la lingua rischia anche di soccombere, per una risposta non sufficientemente efficace all’aggressione di organismi più potenti. Generalmente, nei registri linguistici, tale aggressione avviene in forma di violenza ipnotica (ma vi sono anche forme di violenza diretta: il divieto di parlare/scrivere e di imparare/insegnare una determinata lingua). La violenza verso gli organismi linguistici avviene non solo attraverso la spinta contraria, esterna, degli organismi più aggressivi di alcune lingue straniere, ma anche (internamente, come un cancro) con un certo imperversare patologico del linguaggio giornalistico-pubblicitario-televisivo. A me dà fastidio in ugual modo, per esempio, sia l’utilizzo di “question time” o “family day” utilizzato nel linguaggio politico sia l’uso di “di tutto di più” (modo di dire entrato ipnoticamente nel linguaggio comune attraverso la pubblicità del canone RAI).
*

“Il menu” di Sergio Sozi (e adesso scrivo il titolo correttamente, senza maiuscola e accento in “menu”) è un romanzo distopico, alleggerito però da quella ferocia e drammaticità che generalmente caratterizzano molti dei romanzi distopici più famosi. Ed eccomi finalmente alle domande per te, Sergio: uno dei rischi in questo tipo di romanzo è l’orientare il testo (che nasce, nelle intenzioni dell’autore, come opera di narrativa) verso un registro eccessivamente saggistico-sociologico. Il tuo romanzo invece ha mantenuto un corretto equilibrio mimetico tra i diversi registri linguistici. Ti eri posto questo problema? E se sì, come hai proceduto in tal senso per evitare disarmonie nel testo?
Grazie Sergio. Un abbraccio,
Gaetano

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 10:21 da Anonimo


La soluzione dell’umorismo come possibile antitodo alla rabbia mi trova d’accordo.
Ne aveva anche parlato Pirandello in una sua opera dedicata, appunto, all’umorismo. Per Pirandello l’umorismo è capace di conciliare sentimenti diversi come la rabbia e la tenerezza, la pietà e l’aggressività, l’odio e la compassione.
Saluti e auguri a tutti.

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 13:17 da Maria


@ Maria: dipende. Se per esempio racconti le barezellette sui gay in un locale gay, quelli si arrabbiano. O che so, se racconti una barzelleta sui Carabinieri a un posto di blocco. L’ideale sarebbe raccontare barezellette sui gay a un posto di blocco e barzellette sui carabinieri nei locali gay. Però se trovi un carabiniere gay sei fregato, si arrabbia. Cioè, se racconti una barzelletta sui gay a un posto di blocco, quello (il carabiniere gay) magari per onor della divisa ti dice: “Signor Caio, questo non è il momento adatto per raccontare barzellette”, e ti fa la multa. Però se poi te ne vai al locale a raccontare barezellette sui carabinieri, quello pensa: “Beh, ma allora sei recidivo” e mica ti fa la multa, nel locale gay non te la fa la multa e certe volte, meglio una multa, perchè quell’altra cosa che ti fanno, se non sei abituato, può generare altra rabbia. Insomma, penso che dopo tutto questo discorso, tutti siamo d’accordo adesso che l’umorismo genera rabbia e che il discorso di Maria è totalmente sbagliato, quindi non seguite i suoi consigli, a meno che non siate gay o carabinieri, allora un gay carabiniere può raccontare tutte le barezellette sui carabinieri gay che vuole, si chiama autoironia.
Un abbraccio a tutti e ad Anonimo per aver approfondito i libri in questione.

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 15:48 da Alessandro Cascio


@ Alessandro
L’umorismo bisogna esercitarlo soprattutto su se stessi e, al limite, con le persone che si conoscono bene e che possono comprenderlo. Qualcuno l’ha anche messo in rilievo.
Altrimenti non è umorismo: è cattiveria, sarcasmo, in alcuni casi vera e propria stupidità.
Ma l’umorismo che salva dalla rabbia, dicevo, è soprattutto quello che si riesce a esercitare su se stessi. Non è facile, e per farlo bisogna avere molta intelligenza e un buon livello di autostima.

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 16:06 da Maria


@ Maria: ma tu la sai quella del carabiniere gay?

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 16:32 da Alessandro Cascio


@Alessando. Tutte le occasioni sono buone per attaccare bottone.

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 17:31 da Salvo Zappulla


Alessandro,
ah ah ah! Sei un barzellettiere fenomenale! Bellissima!

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 20:20 da Sergio Sozi


Gaetano mi chiede una cosa veramente importante – lo ringrazio ed ammiro per l’intelligenza del quesito, che ricopio:
”Uno dei rischi in questo tipo di romanzo è l’orientare il testo (che nasce, nelle intenzioni dell’autore, come opera di narrativa) verso un registro eccessivamente saggistico-sociologico. Il tuo romanzo invece ha mantenuto un corretto equilibrio mimetico tra i diversi registri linguistici. Ti eri posto questo problema? E se sì, come hai proceduto in tal senso per evitare disarmonie nel testo?”
Certo, quando cominciai a stendere ”Il menu” (piu’ di tre anni fa) avevo ben presente il problema, essendo l’armonia un fattore importante, come nella vita anche nella scrittura – e piu’ ”pericolosamente” si vive o si scrive, piu’ si rischia di cadere negli eccessi, nelle varie forme di radicalismo che, a mio avviso, generano patologie dell’anima, del corpo e… della carta libresca (infatti io non scrivo mai per scaricare qualche mia pulsione deteriore, ma per proporre al lettore, spesso implicitamente e non esplicitamente, delle possibili soluzioni agli aspetti negativi che tutti noi uomini purtroppo condividiamo: scrivo per sollevare gli animi e stimolare un ottimismo profondo e costruttivo, spero non banale, insomma, o almeno ci provo).
Dunque, francamente, io non ho mai affrontato ”a tavolino” questo aspetto della scrittura saggistico-narrativa di cui e’ costituita la mia opera: semplicemente ho sviluppato ”in itinere” sia l’intreccio, lo svolgimento della vita del protagonista (Cesare Menicucci) e degli altri personaggi (alludo all’Anonimo, il quale e’ un accenno, anzi e’ quasi una citazione aperta dell’Innominato manzoniano, a veder bene), sia i momenti ‘’saggistici” (o meglio saggistico-biografico-pseudostorici) che riguardano la ricostruzione operata dall’io narrante (Lukin Philippucci, il cui nome e’… tutto un programma della situazione in cui egli vive mentre scrive ”Il menu”, nell’anno 2050).
Ho fatto molta attenzione a far si’ che la trama si sviluppasse il piu’ linearmente possibile, pertanto adottando un ”espediente”: la scrittura ”in tempo reale” di Philippucci, giustificata dalla sua poverta’, causata dalla recente morte del padre che lo ha lasciato, spero si capisca, senza il becco di un quattrino. Philippucci DEVE pubblicare prima possibile perche’ ha bisogno di soldi, insomma, cosi’ mentre trova il materiale lo trascrive, senza troppo star ad analizzarlo e selezionandolo solo in fretta. Mi pare che questo espediente abbia funzionato benaccio, dandomi la possibilita’ di creare una struttura narrativa scorrevole ma continuamente interpolata da dei chiarimenti e qualche digressione fatte dal Philippucci – il quale sa che i suoi lettori, ossia gli italiani del 2050, senza continui chiarimenti non capirebbero niente degli anni che Philippucci racconta (ossia del periodo che va dal 1984 al 2007). Inoltre costui e’ un dialettologo trentenne, dunque cerca l’esattezza, come tutti gli scienziati umanistici.
In soldoni, e’ la natura stessa del ”Menu” che mi ha fornito ‘’sua sponte” la soluzione alla domanda che mi hai posto tu, Gaetano.
Ciao e grazie mille

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:07 da Sergio Sozi


Ciao Salvo :)
Proprio oggi degli amici parlavano di te, leggono tutto ma … nulla, non c’è verso di farli partecipare. Ne dicevano bene eh, sei uno che fa fico, tu. E certo, è un modo per conoscere Maria, di cui adesso vogliamo sapere tutto :)
Sergio, Philippucci è ormai uno di noi.

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:24 da Alessandro Cascio


Grazie a tutti per i nuovi commenti.
A Maria dedico questa canzone e questo video:
http://www.youtube.com/watch?v=y2Shl906QGM
-
Prendi esempio, Cascio: rende di più della barzelletta sul carabiniere gay :)

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:39 da Massimo Maugeri


@ Sergio e Alessandro
Ragazzi, ma come fate a dire che non si sta parlando dei vostri libri? (Anche se forse l’ha detto solo Sergio).
Voglio dire: recensioni, controrecensioni, interviste, prefazioni, brani estratti, citazioni.
E poi siete anche fortunati. Essendo questo l’ultimo post dell’anno siete rimasti (e state rimanendo) al centro dell’attenzione per un bel po’.
Aprofittatene! ;-) )

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:42 da Massimo Maugeri


Anzi, ne approfitto per anticipare che a partire dal 30 andrò in vacanza per qualche giorno e il blog… sarà chiuso per ferie.

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:44 da Massimo Maugeri


@ Alessandro
Qualche domanda per te. Invito Sacha Naspini (se ci legge) a portene altre…

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:45 da Massimo Maugeri


P.S.
Inoltre, Gaetano, ti confessero’ quanto segue.
Nel 2006 mi son detto: ”Adesso scrivo un libro che prenda in giro i critici letterari superficiali che circolano per la stampa odierna: faccio un panorama dell’Italia di oggi, ma lo maschero con qualche pazzia, sotto alla quale serpeggia la nostra folle realta’: vediamo se qualcuno capisce che sto ritraendo realisticamente (infatti il mio e’ una sorta di realismo magico italiano, dopotutto) la situazione del 2006 e non quella del 2050”.
Be’, devo ammettere che qualcuno c’e’ quasi arrivato, fra i diversi quotidiani che mi han fatto l’onore di parlarne. Tra i recensori piu’ in gamba, devo dire che la figlia di Stelio Mattioni, Chiara, che scrive sul Piccolo, ha colto nel segno, tracciando un parallelo con ”1984” di Orwell e dicendo del Menu: ”Proviamo quindi a dare una lettura sui generis di questa storia, come se l’occhio dell’autore fosse quello del Grande Fratello nell’epoca della sua piena realizzazione”. Appunto, dico io: oggi. Ma e’ il capitalismo ad averlo creato, non il comunismo. Orwell non fu per niente profetico, in questo caso.

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:46 da Sergio Sozi


Prima dicevamo che hai visitato a lungo parte degli Stati Uniti D’America (e ritornerai a New York tra breve).
Ritieni che la tua conoscenza degli States traspaia da questo tuo romanzo?
-
Poi… (a questa domanda possono provare a rispondere anche gli altri… anche perché potrebbe aprire un nuovo filone di discussione).
Se questo tuo romanzo, anziché dal siciliano Alessandro Cascio, fosse stato firmato dal newyorkese Alex Cash… (a tuo avviso) avrebbe avuto più o meno successo? (Oppure non sarebbe cambiato nulla)?

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:51 da Massimo Maugeri


@ Sergio
Non autoincensarti citando i critici a te favorevoli, volpe :-) )

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:53 da Massimo Maugeri


Massimo,
no, no, mi son spiegato male: intendevo chiedere ai lettori del blog delle domande che avessero un taglio piu’ di approfondimento critico, invece di parlare solo delle tematiche generali – come per esempio la questione linguistica. Tutto qua.
Mentre stai via congeli tutti gli interventi come ieri? Se si’ dico subito a Salvo di tornare a fare la dieta, dopo i bagordi festerecci… eh eh eh…

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:53 da Sergio Sozi


Ancora per Alessandro…
Hai detto che scrivi per diverse ore al giorno… poi sei un giramondo, ecc.
Ma come fai a sbarcare il lunario, dato che riuscire a campare con la scrittura è una quasi utopia?
(Questa è una domanda “personale”… dunque, se non ti va… non rispondere).

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:56 da Massimo Maugeri


I critici a me favorevoli? Tutti tranne uno – che pero’ nello stroncare Il menu ha parlato di tutto meno che del libro. Ce l’aveva con me per fattori extraletterari. Pero’ e’ vero: sono un po’ volpone, eh eh eh… stroncatemi voi per benino, no? Ah ah ah!

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:57 da Sergio Sozi


No, Sergio… dal 30 metto il blog proprio “in ferie” (e mando in ferie anche voi) :)
… nel senso che fin quando non rientrerò chiuderò i commenti.
Solo qualche giorno: così ci riposiamo un po’ tutti.

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 21:59 da Massimo Maugeri


Invece ritorno un attimo a uno dei temi paralleli della discussione. Quello della rabbia (di cui ne abbiamo parlato un po’ meno).
Mi chiedo (e vi chiedo): fare attività sportiva non potrebbe essere uno dei “rimedi” per smaltire la rabbia?

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 22:02 da Massimo Maugeri


Secondo me, esterofili come sono gli italiani, Alex Cash avrebbe fatto molta cash. Ma non spiccioli, dico: soldoni veri! Comunque secondo me il titolo straniero del suo libro non e’ niente di terrorizzante. Non sara’ certo un titolo a distruggere la lingua italiana, ma l’infarcire di termini inglesi l’italiano. Gli italiani sono buffi: non parlano neanche mezza lingua straniera ma vantano gli anglicismi (dei quali spesso manco sanno il significato) mentre parlano in italiano. Alessandro invece scrive bene in italiano e sa veramente l’inglese. E’ un altro paio di maniche.

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 22:18 da Sergio Sozi


@ Sergio e Alessandro
Se continuate così, finirete con lo sposarvi…
Nell’eventualità nomino come testimoni di nozze Salvo Zappulla e Sacha Naspini. :)

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 22:22 da Massimo Maugeri


E con questa battuta (non essendo sicuro di potermi ri-connettere) vi auguro la buonanotte.

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 22:23 da Massimo Maugeri


Si’, anche le attivita’ ginniche servono. Lo dice uno che sta con il culo seduto otto ore al giorno – pero’ per prendere la birra in frigo e per acquistare le sigarette mi alzo, cosi’ facendo moooolto sport. Infatti vedete i risultati? Mica sono rabbioso, io, mai! Porca zozza della miseriaccia boia e della ****** sbudellata e *****, nonche’ *****!!!!

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 22:24 da Sergio Sozi


A Francesca Giulia,
ciao, cara, bentrovata ed Auguri! Hai elencato alcuni termini francesi presenti nell’italiano di oggi. Bene: urge precisare che sono parole entrate nella nostra lingua nei decenni passati; da almeno una decina d’anni in qua, invece, entrano solo lemmi anglo-americani. E’ una monomaniacale voglia di ossequiare ”i piu’ forti del mondo” che mi ripugna. Come d’altronde mi ripugna ossequiare i piu’ forti in genere.

Postato lunedì, 28 dicembre 2009 alle 23:28 da Sergio Sozi


Maugy, lo avete detto in due tre: non ho raccontato nessuna barzelletta sul carabiniere gay, ho parlato della sua esistenza e dei luoghi in cui non va raccontata. Per il resto, io sono riconoscente dello spazio, di questo, come molti altri, se proprio dobbiamo dirla tutta, è grazie ai giornalisti, critici e lettori se posso fare il mio mestiere e se gli editori mi prendono in considerazione. Io lo dico apertamente, molti altri no, ma non prendiamoci in giro, parlare di un libro fa vivere un libro.
- Ritieni che la tua conoscenza degli States traspaia da questo libro?
Lo dice lo stesso Gastaldi in prefazione. Sì, come tutte le conoscenze, traspare da questo libro, il tratto finale della Route, ciò che ne è rimasto, le autostrade lungo il deserto, ma anche altre conoscenze, quelle del Western, per esempio, sono importanti e poi c’è solo l’anima di uno scrittore di Pulp e Action. La scrittura cinematografica non pretende conoscenze eccessive, devi solo studiare le location e ambientarci una storia, non è un saggio sull’america.
- Se questo tuo romanzo, anziché dal siciliano Alessandro Cascio, fosse stato firmato dal newyorkese Alex Cash… (a tuo avviso) avrebbe avuto più o meno successo? (Oppure non sarebbe cambiato nulla)?
Io sono per metà americano, ma non traspare dal nome. Molti siciliani sono per metà americani, Little Italy ne è piena, o il New Jersey. Ma no, penso che come gli Spaghetti Western ambientati in Messico erano scritti da Romani, tutta la fiction in genere può essere scritta da chiunque. I miei canali non sono quelli della normale letteratura, perchè della mia scrittura, di normale letteratura c’è poco, tanto che lo stesso autore del fumetto tratto da Touch and Splat (che uscirò prossimamente) mi ha esplicitamente detto che quando è venuto a contatto con il romanzo, ha compreso che era stato scritto appositamente per un’idea in immagine (film o appunto, fumetto). Del resto i miei studi sono studi di sceneggiatura, sono ufficialmente uno sceneggiatore. Il prossimo è ambientato in Africa, il protagonista è un Italo-Francese. Ho vissuto in tutti e tre i posti, non mi si darà dell’Africano o del Francese, ma devo molto all’Africa perchè alcuni dei miei migliori amici e una donna che mi ha fatto da mamma è Africana e in Francia ho vissuto e il premio Internazionale che mi diede l’opportunità di scrivere è un premio appunto francese.
- Hai detto che scrivi diverse ore al giorno e sei un giramondo… come fai a sbarcare il lunario visto che campare con la letteratura è un’utopia?
Semplicemente con l’ingegno e non pretendendo troppo dalle proprie tasche. Non ho una famiglia, se c’è la ragazza non deve pretendere più di tanto, io stesso non pretendo più di tanto e svolgo diversi lavori nel settore e non. Quei pochi soldi, non li getto via a stronzate, al costo di restare un mese dentro a scrivere e mangiare pane e cipolla. Povertà, si chiama, o semplicità. Vivo in un luogo che me lo permette e ho una casa in campagna che i miei genitori mi hanno lasciato. e hai un tetto e un pezzo di pane, qualche amico… non ti serve più nulla. La verità è che a me, di tutte le cose che interessano i normali esseri umani, non frega nulla, mi interessa solo scrivere, faccio arte fin da bambino, per me il resto è tutto secondario.
Grazie davvero Sergio e un saluto a Francesca e Giulia.

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 07:03 da Alessandro Cascio


Alessandro,
hai dei principi di vita spartani e sani. Come i miei – io non ho telefonino ed uso solo quel che mi serve, spendo poco e vivo con poco. Mi interessano veramente solo la Letteratura e l’affetto dei miei cari. Il superfluo impigrisce e rovina individui, famiglie e Nazioni.

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 09:44 da Sergio Sozi


@Cacchio Sergio, ma come fai a dire che hai principi di vita in comune con Alessandro?
Lui fuma le canne e tu fumi con il cervello.
Lui beve birra e tu acqua benedetta.
Lui è uno sportivo e tu tutt’al più eserciti le mandibole per sgranocchiare i cannoli che ti mando.
Va be’, vi unisce l’amore per la scrittura, non è poco, e una vena poetica.
Mi pare ne sia venuta fuori una discussione davvero interessante. Sergio lo conosco. Nel bene e nel male possiede una sua autenticità che ne fanno un personaggio. Alessandro mi sembra vulcanico, spirito guerriero, e sa il fatto suo. Alessandro, appena ho un minuto di tempo richiederò il tuo libro all’editore, me lo faccio spedire in contrassegno, sono curiosissimo di leggerti. Giuro, non lo dico tanto per dire. Francesco potrà confermare.

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 10:28 da Salvo Zappulla


Alcune domande anche per Alessandro Cascio, generiche, non avendo letto il suo romanzo, e spero non banali.
Quali sono i tuoi scrittori preferiti? Conosci e apprezzi William Burroughs? E Céline? Quali scrittori hai sentito più vicino (se vi è stata una sensazione di vicinanza) durante la scrittura di “Touch and splat”?
Grazie.
Naturalmente può rispondere alle stesse domande anche Sergio. Conosco già alcuni suoi autori di riferimento e formazione: tra i classici, Ovidio, Boccaccio e Tasso, per esempio, tra i contemporanei, Bontempelli, Gadda, Landolfi.
Ciao,
Gaetano

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 10:36 da Anonimo


Adesso, Gaetano, mi sto mettendo sull’ ”Ab Urbe condita” di Tito Livio. Aggiungilo fra le pietre miliari… extranarrative.
Salvo: e’ una comunione spirituale, ah ah ah. Grazie pei cannoli.

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 16:20 da Sergio Sozi


@Sergio leggo sempre con attenzione i tuoi commenti,hai ragione le parole francesi son abbastanza recenti nel nostro vocabolario,ma le ho ricordate perchè secondo me la nostra lingua è aperta ad una continua commistione di lingue,anche se principalmente all’inglese che è, non la lingua dei più forti,ma una lingua estremamente pratica, malleabile che si presta molto al linguaggio delle tecnologie,al linguaggio della comunicazione contemporanea fra i popoli.Perchè vederci soltanto l’aspetto negativo e di forza?capisco che per un purista l’italiano vada preservato e non contaminato,ma quando un termine risulta essere obsoleto perchè non ha più corrispondenza nella vita di tutti i giorni,perchè non utilizzare un termine che possa essere compreso da molti?Un arricchimento, un riconoscimento di un linguaggio universale,dove ci si comprenda,dove possano confuire esperienze differenti,dove le differenze non si appiatiscono,pur preservando l’unicità della lingua madre,creino un linguaggio universale. L’italiano stesso è una lingua che si è formata grazie ad arricchimenti provenienti da altre lingue,che hanno fortemente contribuito alla formazione di molti termini oggi italiani,perciò sotto le spoglie dell’italiano puro,ci sono tracce di greco,latino come di francese e d’inglese.Recentemente anche la signora Maraschio,presidente dell’Accademia della Crusca ha ribadito l’importanza di una ricchezza linguistica europea fatta di multilinguismo e che ogni paese dovrebbe oltre a custodire l’unicità della propria lingua,parlarne almeno altre due,di cui, è universalmente riconosciuto,una è l’inglese. L’inglese come lingua di unione fra i popoli, di pace e di comprensione universale,perciò ripensiamo a quanto nel passato la chiusura all’ingresso di altre lingue,o culture,possa essere stata rischiosa per la comunicazione libera fra i popoli,io non credo che ci sia grande rischio nell’apertura che si può trovare invece nella chiusura in nome di una difesa verso minacce esterne.Non vedo imbarbarimento,soltanto flussi di cambiamento dovuti ad un fenomeno globale che non è sempre visto in luce negativa,ma come interazione fra lingue,culture e popoli nel nome di un concetto di cultura multilinguistica, verso una società ben lontana dall’idea di cultura monolitica,ma aperta all’arricchimento comune e all’armonia fra i popoli.
un caro saluto a te Sergio e anche ad Alessandro Cascio che mi ha salutata come se fossi due persone,Francesca e Giulia…che mi conoscesse davvero??
Abbracci

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 17:31 da francesca giulia


@Sergio perdona,dimenticavo,la cosa più importante:ti faccio tanti tanti auguri per questo libro!!Che il 2010 ti porti tante soddisfazioni.
@A.Cascio naturalmente anche a te … :-) doppi auguri da Francesca e da Giulia!!

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 17:43 da francesca giulia


@ Sergio: io non possiedo nulla, come il mio albero, si chiama Mosè, il cane di Ditemi tutto sui baci, un romanzo che spero la gente possa leggere presto perchè fa stare bene e insegna tanto sulla vita: non io, il libro, davvero, non so come dirlo, ma a volte nei libri che scrivi per anni, non c’è dentro lo scrittore, lo scrittore è un osservatore e impara. La tua sanità di principi è ammirevole e da come se si vede che Il Menu è un romanzo sincero.
@ Salvo: li hai mai mangiati i cannoli di NapolA? Sono grossi così e smetti solo al primo rigurgito. Sono contento di aver convinto qualcuno a comprare il mio libro dopo 6 giorni e milioni di parole, potrei divetarci ricco sfondato, in 12.000 anni, collegato a un cuore, un polmpone e un cervello d’acciaio. Grazie davvero, Salvo.
@ Gaetano: che bella domanda. Io non mi rifaccio solo ad autori della letteratura, ma avendo affrontato degli studi a Roma sia in campo fumettistico che in campo cinematografico, mi rifaccio sì alla letteratura, ma anche al fumetto e alla sceneggiatura. Frank Miller per il fumetto, anche Allan Moore e di Italiani Canepa e Guidaboldi, mentre per quanto riguarda il cinema Brugs, i fratelli Cohen, Tarantino, Cameron Crowe, Tim Burton e Rodriguez, sono quelli di cui non perdo un solo film e una sola sceneggiatura. In campo letterario invece Bukowski, Saramago, Palhaniuk, Amis ma anche Carver e Fante, per il resto pesco dal mucchio, ma molti libri li lascio a metà, sono pochi i libri che finisco, su tre al mese, uno lo finisco, due no. Mi piace Naspini, di lui ho letto tutto.
Burroughs lo conosco solo per The pried they called him” per il semplice fatto che come adolescente degli anni ‘90, musicista alternative di quel tempo (eravamo in pochi ad esserlo in Sicilia e così giovani) amavo Kurt Cobain che in un CD accompagnò la storia di Bourroughs con delle chitarre distorte che per noi erano sinfonia, perchè quelle corde stavano male quanto noi. Bourroughs fu inventore di un macchinario psichedelico che fu trovato accanto al crpo del suicida Cobain. Mi piace il suo burbero, acido e cinico modo di fare, ma per i plot cinematografici bisogna cercare altrove.
@ Francesca e Giulia: sì, lo avevo fatto di proposito :) . Ciao a te.

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 18:51 da Alessandro Cascio


@Alessandro. A Terrasini, Capaci, Carini sono andato spesso negli ultimi anni e in genere mi piaceva gustare pane e panelle. L’ultima volta a Capaci mi è capitata una cosa piuttosto carina. Ho chiesto a uno dove potessi trovare un tabaccaio. Lui me l’ha indicato, poi mi ha detto se poteva aspettarmi fuori per offrirgli una sigaretta. Era trasandato e abbastanza sporco, diciamo un po’ il classico scemo del villaggio, uno di quelli che tutti si divertono a sfottere, e in quel locale elegante, che faceva anche da bar, lo scacciavano. Allora gli ho messo in mano 20 euro e gli ho detto: “Tu entri nel bar con me, mi offri il caffè e dopo prendi due pacchetti di sigarette, uno per te e uno per me”. Il barista non credeva ai propri occhi. Il ragazzo ha fatto un figurone.
Il libro l’ho già richiesto.
Francesco mi ha risposto nel giro di qualche minuto. Però, che efficienza! Così si fa l’editore. Questo nel giro di qualche anno se li mangia tutti.

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 20:02 da Salvo Zappulla


Cara Francesca Giulia,
purtroppo non posso concordare con la tua ottimistica posizione. E questo per via dei seguenti motivi:
1) L’italiano ha come lingua madre il latino e secondariamente, diremmo come ”zia”, il greco antico. Siccome oggi si guarda solo alle altre lingue contemporanee, il rischio e’ di dimenticare la propria madre. Dunque l’imperativo del sottoscritto e’ questo: preservare l’Alma Mater;
2) Oggi vanno in disuso solo lemmi dell’italiano letterario – e portano con se nell’abisso dell’oblio anche le ”vecchie” espressioni proverbiali ed i lemmi d’origine dialettale entrati nel dizionario magari solo 50 anni fa e nel 2009 gia’ ”uccisi” dai neologismi e i forestierismi inglesi. Un letterato tutto questo non puo’ accettarlo, se ha un minimo di amore patrio. E’ contrario alla dignita’ linguistica del Belpaese, e’ contrario alla mia personalita’ tutta.
3) Gli italiani le lingue straniere in genere non le sanno, ma amano infarcire di lemmi americani i loro discorsi. In Europa oggi avviene giustamente invece questo: ogni popolo si tiene la propria lingua sana sana e in piu’ ne impara almeno un’altra. Questo auspicherei anche in Italia, ma non accade. Accade un insensato imbastardimento e una modernizzazione all’insegna della superficialita’ e della ”funzionalita”’ della lingua. La lingua non e’ un telefonino, che deve ”funzionare”, e’ l’alter ego di un cittadino italiano, belga, russo, eccetera. La lingua serve a creare arte. La lingua e’ come i colori di un pittore: dalla tavolozza del vocabolario piove sulla tela a seconda della genialita’ – o meno – dell’artista.
Tanti Auguri di Felice 2010!
A presto

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 23:05 da Sergio Sozi


@Sergio caro, ho problemi di connessione ma finchè posso vorrei porti una domanda.Dici cose giuste e sensate,senza dubbio, ma un letterato oltre a preservare il patrimonio linguistico del passato non dovrebbe anche aiutare a crearne di nuovo?E per far ciò,non dovrebbe aprirsi al cambiamento che investe la lingua parlata oltre che scritta,e non dovrebbe auspicare che a leggerlo siano i lettori di “oggi”?Guarda,intendiamoci,tu hai molte più certezze e sicuramente strumenti di me per valutare,ma i dubbi che mi permetto di porgerti mi aprono anche eventuali altre risposte nella mente.Sarei felice e curiosa di sapere se secondo te sto dicendo cose inappropriate del tutto,che ne pensi?
ricambio con affetto e stima gli auguri e auspico per te un 2010 ricco di…aperture!! :-)

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 23:14 da francesca giulia


P.S. per Francesca Giulia
Comunque il discorso sulla Letteratura e la lingua italiana si puo’ riassumere cosi’: agli italiani non va proprio di faticare con il cervello. Boccaccio, Dante, Petrarca? Troppo ”tosti”, serve leggere le note. L’Eneide tradotta dal Caro nel ‘500? E che sei matto, roba da vecchi! Tasso? Un bigotto che scrive difficile. E la lingua rappresenta questa pigrizia, questa nullaggine intellettiva e spirituale. Diventando un’altra, ma piu’ ”facile”. Contenti loro…

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 23:19 da Sergio Sozi


Rispondo subito alla tua ultima domanda qua sopra, cara Francesca Giulia.
Allora: un letterato-scrittore si’, potrebbe – non ”dovrebbe” – rinnovare la sua lingua nei propri romanzi e racconti, nella propria poesia… al limite anche nella critica, se ne scrive; ma sempre ”cum grano salis”, con un briciolo di sale in zucca – ossia senza strafare. E anche l’aprirsi alla lingua parlata NON E’ assolutamente obbligatorio: perche’ lo dovrebbe essere? L’italiano e’ l’unica lingua letteraria d’Europa, che c’entra andare a riprodurre in un racconto, mettiamo, le chiacchierette delle ragazzine liceali o i termini informatici? Perche’ BISOGNA farlo, con ottocento anni di letteratura scritta a cui ispirarsi, da San Francesco a (putacaso) Tiziano Scarpa? Chi l’ha detto che l’innovazione viene sempre dalle idiozie che la gente spara in TV o su Internet, al bar?
Io insomma mi sento libero di eliminare tutto cio’ e leggere Tabucchi, Calvino, Bontempelli, Pazzi, Niffoi (autori contemporanei: alcuni anche viventi) e prendere magari da loro, non dalle fesserie del primo che apre bocca e le da’ fiato in un bar. La Letteratura e’ anche questa liberta’. E io me la prendo – lo vedrai dal Menu’, se vuoi…

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 23:29 da Sergio Sozi


@ Salvo: è questa la vera arte, le azioni fantasiose di chi vive con fantasia, ironia, sfida: la letteratura è una scopiazzatura qua e là di quella gente, di quelle azioni. Molte persone pensano che a scrivere un libro basta tornare da lavoro e dopo la Tv farsi due ore di pensare su un foglio, per questo intraprendono la stesura, ma quando è il momento di tirare fuori il cuore e l’esperienze pensano che ci sia un problema con la trama. Io so per certo di poter scrivere di un vecchio balordo che pianta cavoli per 20 anni, come Asimov scrisse di Ingegneri che progettano strutture su Marte, ma solo fin quando avrò la voglia di conoscere bene i cavoli, di conoscere bene la terra e i balordi, così come Asimov conosceva bene Marte, avendo vissuto lì per anni. Se smetti di vivere, smetti di scrivere. Ovviamente, l’editoria oggi permette, attraverso ilmiolibro.it o stampaltuolibro.com a chi non ha mai mangiato un cavolo, di scriverne un libro di ricette sui cavoli. Io sono in parte di Terrasini, un paese che ci ha avvicinato al mondo prima per la mafia, poi per l’antimafia ed è un piacere sapere che Salvo Zappulla ha pestato queste terre, anzi, se hai un po’ di merda nelle suole, non toglierla, è un nostro souvenir dall’occidente siculo, lasciamo sempre un po’ di noi a chi passa da qui, anche se loro impiegano molto tempo ad accorgersene.
Grazie per l’ordine, uscirà qualcosa di più “letterario” a Febbraio, ma Touch è il mio mondo, quello che tra l’altro ha appassionato molti giovani che si sono entusiasmati di fronte a quel lavoro (tanto che si sta lavorando al fumetto, meraviglioso davvero, ho visto qualcosa in anteprima).

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 23:38 da Alessandro Cascio


Alessandro,
approfittiamo di questi ultimi momenti di letteratitudinita’: svelami qualcosa di piu’ sul tuo ”Dimmi tutto sui baci”, per favore.

Postato martedì, 29 dicembre 2009 alle 23:48 da Sergio Sozi


Pardon: ”Ditemi tutto sui baci”.

Postato mercoledì, 30 dicembre 2009 alle 00:03 da Sergio Sozi


Poiche’ a partire dal 30 dicembre 2009 questo blog verra’ momentaneamente surgelato dal Maugeri e riaperto ai commenti dopo qualche giorno, ne approfitto per lanciarvi delle domandine fulminanti, per rispondere alle quali avrete poche ore (o potrete farlo dopo la pausa, fra qualche giorno, quando il Maugger tornera’ angelicamente fra di noi a riaprirci le porte del Paradiso Letteratitudiniano – adesso scherzo, eh! Meglio precisarlo, senno’ con l’aura di burbero che ho sulle spalle, qualcuno puo’ pensare che io dica sul serio). Allora ecco le domande:
-
1) Scrivereste mai un libro che parlasse SOLO DI VOI STESSI e di ALTRI LIBRI, ma non prendesse nulla della vita che vi circonda?
2) E’ possibile analizzare, sentire e trattare, in un libro narrativo, la vita che vi circonda utilizzando non le parole che gli altri usano attorno a voi ma l’italiano letterario del 1300?
3) Che rapporto avete con il Latino?
4) Sapreste immaginare qualcosa di personale ed originale partendo da una frase come questa: ”C’e’ un cancello in mezzo al mare, viva gli sposi!”?
5) La Letteratura italiana si e’ veramente ridotta cosi’ male da dover vivere imparando dagli sceneggiatori cinematografici o c’e’ ancora qualche spiraglio di speranza per chi scrive letteratura con le leggi della letteratura stessa – che NON SONO le stesse leggi del cinema?
-
A voi le ardue sentenze.
A presto sentirci, amici! Grazie di tutto a voi, a Cascio, al carissimo Maugger e… Felice 2010!
Bacioni
Sergio

Postato mercoledì, 30 dicembre 2009 alle 01:48 da Sergio Sozi


Rispondo dopo a te Sergio che hai posto domande divertenti e posso mettermici tutta la notte, fino a mezzanotte, ora in cui questo Blog diventerà una zucca e Sozi e Zappulla due topolini (Maugy, stregaccia cattiva!)
La questione è questa:
“SE PER LA CHIESA DOVREMMO CREDERE IN DIO PUR NON AVENDO PROVA DELLA SUA ESISTENZA, ALLORA, POSSIAMO MANDARE IN GALERA QUALCUNO PUR NON AVENDO PROVA DELLA SUA COLPEVOLEZZA?”
Rispondete numerosi, amici della notte, come sempre, sottovoce, quando un altro giorno, vista l’ora, sta per finire e un altro sta per iniziare.

Postato mercoledì, 30 dicembre 2009 alle 02:14 da Alessandro Cascio


Beh, se non c’è altro, io continuo nel mio lavoro notturo, che è quello di prendere il Nobel per la scienza e la matematica per aver trovato l’area di Dio che, visto che è padre figlio e spirito santo, visto che è trinità ed è un triangolo è … base per altezza diviso due.
Quindi, lo rendo ufficiale nel blog di Maugy: l’area di Dio è base per altezza diviso due.
Grazie.

Postato mercoledì, 30 dicembre 2009 alle 03:47 da Alessandro Cascio


@ Alessandro Cascio
La tua domanda, nel commento delle 2:14 am, è secondo me il primo passo (“Un viaggio di mille passi inizia dal primo passo” diceva qualcuno). Ovviamente, ogni passo è il primo passo… Sto leggendo in questi giorni un libro davvero notevole, pubblicato qualche settimana fa:
Manu Bazzano, “Buddha è morto. Nietzsche e l’aurora dello Zen europeo”, IPOC, 2009.
Te lo consiglio caldamente.
Inoltre. Sono anch’io un amante, da tanti anni, del buon “Hank” Bukowski. Ho letto praticamente tutto di lui. E in questo periodo sto leggendo, tra le altre cose, anche un libro postumo di Buk, una raccolta di scritti inediti (o meglio, per la maggior parte sono racconti e scritti vari, apparsi in piccolissime riviste e mai tradotti in italiano) pubblicato nemmeno un mese fa, un miracolo editoriale frutto di otto anni di lavoro da parte del curatore:
Charles Bukowski, Azzeccare i cavalli vincenti, Feltrinelli, 2009.
Ciao.
Subhaga Gaetano Failla

Postato mercoledì, 30 dicembre 2009 alle 08:58 da Anonimo


P. S. per Alessandro
Ho scritto prima il mio intero nome, ma sono lo stesso Gaetano dei commenti precedenti in questo post…

Postato mercoledì, 30 dicembre 2009 alle 09:03 da Anonimo


@Sergio,grazie,penserò alle tue interessanti domandine,mi piacciono mi piacciono tanto,tornerò quando finirà l’incantesimo del blog addormentato!!!….nel prossimo anno.
un abbraccio forte a tutti i lettori.
@A.Cascio mi è piaciuta tanto la tua frase e condivido in pieno “Se smetti di vivere, smetti di scrivere. “.E’ la vita che cerco quando apro le pagine di un libro,la tua vita in cui ,se hai ben racContato,troverò qualcosa della mia.E’ la magia della buona letteratura.
un bacione e adesso via,tutti a nanna,fin quando una principessa non darà un bacio ad un rospo(azzurrognolo?) che si trasformerà….in un bel blog!!!
SALUTI A TUTTI

Postato mercoledì, 30 dicembre 2009 alle 12:02 da francesca giulia


@ Francesca Giulia
craaaa… craaa.. craaa…
:)
un bacio e buon anno a te e ai tuoi cari

Postato mercoledì, 30 dicembre 2009 alle 18:20 da Massimo Maugeri


E a proposito di baci…
Sergio scrive: ”Ditemi tutto sui baci”.
-
Il bacio consiste nel contatto tra le labbra di una persona verso una qualsiasi parte del corpo di un’altra persona. Durante questo contatto, le labbra della persona baciante aspirano leggermente dell’aria creando il tipico rumore dello “schiocco”. Attualmente si ritiene che il bacio abbia anche la funzione di cercare partner con sistema immunitario diverso dal proprio per rinforzare la prole. Esiste addirittura una scienza che studia il bacio nei suoi aspetti: la filematologia. Il bacio è molto importante nel contatto fra due persone, esso infatti è una dimostrazione di affetto, del quale può rappresentare diverse “gradazioni”.
http://it.wikipedia.org/wiki/Bacio

Dimenticavo: in inglese si dice “kiss” ed è un ottimo rimedio contro la rabbia. Certo dipende da chi te lo dà… :-)

E comunque, il primo è sempre il migliore… o quasi.
Provare per credere.
Buon anno a tutti! :-D

Postato mercoledì, 30 dicembre 2009 alle 18:23 da Massimo Maugeri


Ringrazio i protagonisti di questo post e tutti gli intervenuti. Credo che sia stata una “recensione incrociata” molto ricca e particolare.

Postato mercoledì, 30 dicembre 2009 alle 18:55 da Massimo Maugeri


E adesso, dopo la pausa festiva, rinnovo le mie sciocche domandine, fingendomi un po’ Maugeri…
-

1) Scrivereste mai un libro che parlasse SOLO DI VOI STESSI e di ALTRI LIBRI, ma non prendesse nulla della vita che vi circonda?
2) E’ possibile analizzare, sentire e trattare, in un libro narrativo, la vita che vi circonda utilizzando non le parole che gli altri usano attorno a voi ma l’italiano letterario del 1300?
3) Che rapporto avete con il Latino?
4) Sapreste immaginare qualcosa di personale ed originale partendo da una frase come questa: ”C’e’ un cancello in mezzo al mare, viva gli sposi!”?
5) La Letteratura italiana si e’ veramente ridotta cosi’ male da dover vivere imparando dagli sceneggiatori cinematografici o c’e’ ancora qualche spiraglio di speranza per chi scrive letteratura con le leggi della letteratura stessa – che NON SONO le stesse leggi del cinema?
-
A voi le ardue sentenze.
A presto sentirci, amici! Grazie di tutto a voi, a Cascio, al carissimo Maugger e… Felice 2010!
Bacioni
Sergio

Postato giovedì, 7 gennaio 2010 alle 19:29 da Sergio Sozi


P.S.
Per carita’: non volevo dire che Maugeri e’ sciocco, ma io si’, capiamoci.

Postato giovedì, 7 gennaio 2010 alle 19:32 da Sergio Sozi


ciao a tutti e buon anno, anche se in ritardo. sono tornata e mi sono letta tutti i commenti di questo post di fila… e ora mi sento vagamente sbronza…
mi dispiace di avere interrotto alcune conversazioni molto interessanti, e che ormai non è il caso di riprendere, però ci tenevo a salutare sergio e alessandro, perchè non è frequente trovare due persone che stanno di fuori entrambe come due boeing 747 nella ionosfera anche se ai poli opposti… e però la ionosfera è un posto tanto bello!
@sergio
le tue domande sono troppo difficili. però la quarta mi intriga molto… vedrò di sognare qualcosa di adeguato, poi ti faccio sapere…

e anche se io sto di fuori uguale ma al terzo polo (?) non capita spesso di trovare una discussione così

Postato giovedì, 7 gennaio 2010 alle 23:07 da giorgia


ecco, al solito mi sono scordata di rileggere e cancellare l’ultima riga che non c’entra niente…

Postato giovedì, 7 gennaio 2010 alle 23:08 da giorgia


Ciao, Giorgia.
Be’: le discussioni fra amici possono continuare all’infinito, credo. In un altro momento la tua sensibilita’ trovera’ risposte anche per gli altri quesiti, ne son certo.
Ti invio i miei Salutoni Cari

Postato venerdì, 8 gennaio 2010 alle 00:34 da Sergio Sozi


…intanto, visto che questo e’ un posto in cui transitano scrittori, continuo a fingermi Massimo Maugeri e rinnovo le domande per tutti gli avventori di Letteratitudine:
-
1) Scrivereste mai un libro che parlasse SOLO DI VOI STESSI e di ALTRI LIBRI, ma non prendesse nulla della vita che vi circonda?
2) E’ possibile analizzare, sentire e trattare, in un libro narrativo, la vita che vi circonda utilizzando non le parole che gli altri usano attorno a voi ma l’italiano letterario del 1300?
3) Che rapporto avete con il Latino?
4) Sapreste immaginare qualcosa di personale ed originale partendo da una frase come questa: ”C’e’ un cancello in mezzo al mare, viva gli sposi!”?
5) La Letteratura italiana si e’ veramente ridotta cosi’ male da dover vivere imparando dagli sceneggiatori cinematografici o c’e’ ancora qualche spiraglio di speranza per chi scrive letteratura con le leggi della letteratura stessa – che NON SONO le stesse leggi del cinema?

Postato venerdì, 8 gennaio 2010 alle 00:44 da Sergio Sozi


@ Sergio
Grazie per la precisazione.
In ogni caso credo di avere un dono esclusivo per le domande sciocche: sono note su tutta la blogosfera :)
Scherzi a parte: se qualcuno ha voglia di rispondere alle domande di Sergio… che si faccia avanti!

Postato sabato, 9 gennaio 2010 alle 11:29 da Massimo Maugeri


Bentrovata, cara Giorgia!
Secondo me questo dibattito dimostra che è possibile confrontarsi in maniera civile anche se la si pensa in maniera opposta. E anche quando la si pensa in maniera opposta ci sono sempre dei punti in comune… ed è bello quando vengono messi in risalto.

Postato sabato, 9 gennaio 2010 alle 11:33 da Massimo Maugeri


Sarei anche curioso di aver delle risposte da te, Massimone. Fatti sotto, dai…

Postato sabato, 9 gennaio 2010 alle 12:37 da Sergio Sozi


Sulla civilta’ e il rispetto che han dominato sempre durante questo dibattito: certo, la civilta’ regna quando chi interviene si ricorda di questa legge fondamentale: le opere d’arte letteraria non sono le persone che le scrivono.
Poi volevo ricordarti che una stroncatura l’ho beccata anch’io sul web. L’unica. Sei curioso? Cerca su Google Il paradiso degli orchi e cerca li’ Il menu…

Postato sabato, 9 gennaio 2010 alle 12:41 da Sergio Sozi


Sergio, come sai – in genere – qui a Letteratitudine, preferisco non rispondere alle domande (per meglio svolgere il ruolo di moderatore e animatore… e per mantenere, dunque, un ruolo equidistante). E questo, spesse volte, mi costa molto…
Comunque (visto che mi tiri in ballo), ti rispondo in ordine sparso:
-
Secondo me si può scrivere di tutto, purché ciò che si scrive abbia un senso, abbia la possibilità di lasciare un segno in chi legge, abbia – in sostanza – una sua efficacia.
[C'è, per esempio, un mio racconto inedito in cui ho inventato una specie di linguaggio pregno di errori di ogni tipo... per dire].
-
Se penso a un libro che parla di libri e rimanda a altri libri mi viene in mente uno dei miei preferiti: “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Calvino.
-
Il latino lo farei studiare ovunque, anche negli istituti tecnici.
-
La vera prima legge della letteratura, per me, è la vita stessa… tutto il resto viene dopo.
-
Come sai sono contrario alle stroncature. Per quanto mi riguarda, se un libro non mi piace… non ne parlo. Tuttavia la stroncatura è uno “strumento valutativo” che il critico può legittimamente (ma responsabilmente) adoperare. Chi scrive lo sa, e deve accettarlo.

Postato sabato, 9 gennaio 2010 alle 13:04 da Massimo Maugeri


Grazie per le risposte, carissimo Massimo. Sei andato molto sul generico, nonostante le domande fossero ben circostanziate. Tuttavia ammettero’ di esagerare in fantasia, anche quando io ponga delle semplici domande.
Pero’ chiedevo nella prima domanda se credessi possibile parlare solo di te e dei libri in un tuo libro narrativo, senza attingere alla realta’.
Nella seconda domanda facevo l’esempio contrario: puoi parlare della realta’ ma utilizzando l’italiano letterario trecentesco?
L’ultima domanda recita cosi’, parafrasando: le leggi della Letteratura sono diverse da quelle dei copioni cinematografici. Perche’ almeno la meta’ dei libri invece sembra un copione?
Sul Latino la pensiamo ugualmente. con la differenza minima che lo imporrei gia’ in prima Media, a undici anni…

Postato sabato, 9 gennaio 2010 alle 21:31 da Sergio Sozi


1) Caro Sergio, scrivere di me stesso senza tener conto che sono parte di questo mondo sarebbe un artificio. Comunque penso che ogni autore, direttamente o indirettamente, in tutto o in parte, si rifletta nei suoi personaggi. Non scriverei di altri libri, per rispetto dei loro autori.
2) E’ tutto possibile, ma c’è sempre una certa correlazione fra linguaggio e l’epoca in cui si vive ed occorre tenerne conto.
3) Sai che sono favorevole alla reintroduzione del latino, una lingua che aiuta molto a ragionare.
4) Non mi attirano dei temi imposti, anzi li rigetto.
5) Gli spazi ci sarebbero, basta cercarli. Certo che se non si fa nulla a livello governativo per stimolare la cultura, non ci potrà che essere un progressivo imbarbarimento.

Postato domenica, 10 gennaio 2010 alle 07:50 da Renzo Montagnoli


Grazie per la risposta, caro Renzo. Quella del ”cancello in mezzo al mare” era un modo per scherzare…
E adesso lascio perdere le domande, facendovi invece leggere l’incipit di un mio vecchio inedito, intitolato ”Putiferio al Sopramuro”. Era una mia fase alquanto gaddiana e spero che provochi qualche risata. Buona lettura, amici.
-
Putiferio al Sopramuro
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-
Primo Capitolo
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Squacquerando, a tarlettante compagnia simile entro vetusto baule in pantagueliche orge sfrenata, la densa comitiva ribalda e godurante spiattellàvasi – a mareggiate a corrucciati cavalloni a ribollenti enfiamenti – nei compassati grigetti del centro perugino, sì sfettucciando in frappe e nastrini la semper tacitoide concaocèano celeste – o meglio cobaltacea. Quel paracriminante dì avea di festa avviluppata la testa, tanto che niùn azzardossi a spencolare in, seppur certo dignitosi, per la febbrile atmosfera inopportunissimi rimbrotti o lagnacci, tantomeno sciorinando sussurricoli imbestialiti atque perfidevoli.
Possiam loquire che tutto era spento e zitto nel grigio perusin maggiorato, che sovente ammuta o sbranga la bocca tranne quando c’è pubblica beltà, ergo minorili lazzi catapultavan risate imbriache puranche verso le prioriche mura dell’augusto palagio, i cui sbadiglianti cannon le tette forse piluzzicavano alle svenevoli alabarde, colubrinesche chiappe anco tentando anzichenò. Birraglia sciroccata o comatosa, nei loci di più confortevoli truogoli bàcchici détti hostarie, se obliava, se strafocava alla bolsa faccia del grinzoso priore Nuccio, ché però in libera sortita ei li aveva lassati – o Semper Beneamato et In Graziadèi Panzuto Capoccia di Perugia la ribusta!
Machecè da festeggiar, o insanotti? Negre sarcicce e mestoli de gialle zuppe bavanti, torte col sale, adirittura, per ogni dove, co’ tamburacci ‘n po’ stonuti e plebe lessa ch’intona bestammion in terza rima, e ciaramìcole, zampognari a gambe levate co’ fiaschi obliqui… Poi i mandolini al torciglion melloso e letrombette-collo-infinito amoreggianti puttanesche nelle acuminate salse acustiche di cromorni vielle e ribèche. Che sonoro desinar molesto scalini ungue di note e palpate di pocce, stanotte! Qual blasfema liturgia cava le rigide sottane e accanisce i membri dell’andrògina Peroscia? A che fan coro rustici i billi, dissoluti li notari, manolesta avvocatura abbracciata all’ebbra mercanzia, tutt’insieme come eterni pavoni (e pavane)?
Fan coro ad una scorpacciata de botte, giarde, pizze, manatone e peri che la cittade avria donato a que’ de Siena. Almeno così me dissero un par de cojonotti che non se sa ‘n dua givano, lì verso il Sopramuro, sotto il grugno consenziente della luna sottile e la pulita facciata dello spedale. ‘N èron brilli, mi parve. E anco m’attizzavan alla bevuta… ma io, per incontrare Giannotto degl’Alfani, comunque, avea da far le cose perbene, dunque salutai: Baciolemani e Arvedecce messeri. Pensai fulmineamente che avrei fatto meglio a cambiarmi d’abito prima di vederlo, anco per via degli schizzi ed il tanfo che il saione avea assorbito durante quel giro un poco da lunatici. La coccarda ch’avevo mezza smunta in testa, poi, mejo lassàlla sta’.
(…)

Postato domenica, 10 gennaio 2010 alle 19:54 da Sergio Sozi


@ Sergio
Be’, il buon Renzo è stato più preciso e puntuale di me nelle sue risposte. Hai visto?
Per il resto, vecchio volpaccione… tanto hai fatto, tanto hai scritto… che questo post ha superato quota 380 commenti, conquistando (di conseguenza) un posticino nell’elenco dei post più commentati di Letteratitudine.
Aggiornerò l’elenco nei prossimi giorni.

Postato domenica, 10 gennaio 2010 alle 23:04 da Massimo Maugeri


Ah ah ah! Ti ringrazio ancora, Massimone! A quando il secondo volume di ”Letteratitudine – il libro”? Ci stai gia’ pensando, se non ti conosco male…
Abbraccioni

Postato lunedì, 11 gennaio 2010 alle 13:25 da Sergio Sozi


Sergio, sì… sto pensando a “Letteratitudine, il libro – vol. II”. Ma non sarà un progetto a brevissimo termine.
(Ho aggiornato l’elenco dei post più commentati).

Postato mercoledì, 13 gennaio 2010 alle 23:22 da Massimo Maugeri


Massimo,
ho ascoltato su Radio Hinterland il dibattito fra te, Francesco Giubilei ed altri. Interessante! Anch’io ho fatto radio – per quasi dieci anni… naturalmente nella programmazione notturna: miscelavo Letteratura, musica Classica, jazz e rock per tre ore ogni sera dal lunedi’ al venerdi’, pensa… Erano altri tempi e mi pagavano 7000 lire l’ora per fare quel bel lavoro del presentatore radiofonico liberamente e con gusto. Niente scelte musicali pilotate o imposte com’e’ oggi. L’Italia non era ancora un Paese massificato…

Postato giovedì, 14 gennaio 2010 alle 14:59 da Sergio Sozi


Sergio,
la puntata radio di “Letteratitudine in Fm” con Francesco Giubilei è riascoltabile qui:
http://www.plettro.org/podcast/editore.mp3

Postato venerdì, 15 gennaio 2010 alle 23:16 da Massimo Maugeri


Massimo,
se per caso un giorno a Radio Hinterland affrontaste un argomento nel quale potessi esprimere qualcosa di utile, fammi un fischio.

Postato mercoledì, 20 gennaio 2010 alle 20:09 da Sergio Sozi


Visto che non e’ possibile intervenire sul post del ddl sul ”processo breve”, scrivo qui cosa penso della Giustizia:
in Italia oggi servirebbe solo fare una bella cosa, urgentissima: ASSUMERE PIU’ GIUDICI E FUNZIONARI, PERCHE’ LA CARENZA DEL PERSONALE tribunalizio DETERMINA L’ATTUALE INEFFICIENZA, NON ALTRI MOTIVI. PUNTO. ASSUMETE PIU’ PERSONALE, per favore, signori dello Stato, vedrete come cambiera’ tutto.
Salutoni

Postato sabato, 23 gennaio 2010 alle 20:59 da Sergio Sozi


Bello vedere che questo post rientra ancora, dopo due anni, nella superclassifica letteratitudiniana!

Postato lunedì, 9 gennaio 2012 alle 22:15 da Sergio Sozi


Già! I bei vecchi tempi! :)

Postato lunedì, 9 gennaio 2012 alle 22:26 da Massimo Maugeri



Letteratitudine: da oltre 15 anni al servizio dei Libri e della Lettura

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"Cetti Curfino" di Massimo Maugeri (La nave di Teseo) ===> La rassegna stampa del romanzo è disponibile cliccando qui

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OMAGGIO A ZYGMUNT BAUMAN

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OMAGGIO A TULLIO DE MAURO

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RATPUS va in scena ratpus

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Ricordiamo VIRNA LISI con un video che è uno "spot" per la lettura

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"TRINACRIA PARK" a Fahrenheit ...

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