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mercoledì, 16 settembre 2009

IL POSTO DI OGNUNO di Maurizio de Giovanni

In questi giorni sto leggendo “Il posto di ognuno” di Maurizio de Giovanni, il romanzo che ci presenta la nuova stagione letteraria del commissario Ricciardi. Avevamo già avuto modo di incontrare Ricciardi nelle altre due stagioni della sua vita libresca: l’inverno e la primavera.
Adesso, siamo in estate.

Ecco la scheda del libro:
“Napoli 1931. Le stagioni si susseguono incuranti del sangue e della morte e la città si prepara ad affrontare il caldo torrido dell’estate. Luigi Alfredo Ricciardi, commissario in forza alla Regia Questura di Napoli, affronta un nuovo caso di omicidio insieme all’inseparabile brigadiere Maione. Ricciardi è un commissario fuori dal comune, un solitario, uno che non ama eseguire gli ordini che gli vengono impartiti e di solito fa di testa sua. Non è ben visto dalla gerarchia fascista che lo controlla a distanza ma lo lascia lavorare, perché stranamente i casi li risolve tutti. In molti cominciano a sospettare che Ricciardi abbia un segreto, si dice parli direttamente con il Diavolo. In realtà Ricciardi si limita ad ascoltare le ultime parole dei morti: più che un dono, una condanna. L’estate del commissario Ricciardi vedrà la morte della bellissima duchessa di Camparino, una donna misteriosa dalla chiacchierata vita notturna. Anche stavolta saranno le ultime parole pronunciate dalla vittima a far partire l’indagine che condurrà il commissario, e noi lettori insieme a lui, a scoprire una Napoli riarsa e poco conosciuta, abitata da personaggi inquietanti che tenteranno di ostacolare il suo lavoro”.

Di seguito avrete la possibilità di leggere la recensione e l’intervista realizzate da Morena Fanti, che mi darà una mano ad animare e a moderare il dibattito.

Vi invito, come al solito, ad approfondire la conoscenza di questo libro approfittando della presenza dell’autore (che parteciperà alla discussione). Chi ha già letto il romanzo è, ovviamente, invitato a rilasciare il proprio parere.
Poi, come sempre, tenterò di avviare delle discussioni collaterali su alcuni dei temi affrontati dal libro; per farlo formulerò le mie solite domande. Le trovate di seguito.

[Domande ispirate dalla recensione]:
Per il commissario Ricciardi l’amore, quello vero, non vuole mai il male della persona amata: “(…) si dovrebbe riparare dal male l’oggetto del sentimento, anche se il male è proprio in chi si ama. Soprattutto se il male è in chi si ama. […] e quindi, nel suo caso, doveva mantenere Enrica lontana dalla sua maledizione, dal dolore selvaggio e terribile di cui era portatore”.
Cosa ne pensate? Siete d’accordo sul fatto che bisogna riparare dal male l’oggetto del sentimento, anche se il male è proprio in chi si ama?
E quando ciò non è possibile?
Bisognerebbe rinnegare l’amore, o continuare ad amare?

Che rapporto c’è tra amore e dolore? È un rapporto imprescindibile? Esiste amore senza dolore?

[Domande ispirate dall’intervista:]
Il duca di Camparino afferma che “Un uomo muore nel momento in cui non significa più niente per nessuno”.
È davvero così? Fino a che punto è vera questa frase? Fino a che punto è essenziale significare qualcosa per qualcuno?
E qual è il “posto di ognuno”?
Esiste “un posto”, per il quale siamo stati “predestinati” (e che magari ricerchiamo disperatamente)?
O è solo una pia illusione? Un luogo chimerico?

Di seguito, la recensione e l’intervista realizzate da Morena Fanti.
Massimo Maugeri

P.s. Se avete voglia di ascoltare la voce di Maurizio de Giovanni, vi consiglio di ascoltare l’intervista rilasciata a Fahrenheit (Radio Ra Tre).


—————-

Il posto di ognuno
L’estate del Commissario Ricciardi
di Maurizio de Giovanni

Fandango libri, 2009 – pp.416, euro 14,00

Recensione di Morena Fanti

Estate del 1931. A Napoli il caldo è insopportabile. L’indagine per la morte della bella duchessa Adriana Musso di Camparino vede di nuovo uniti il Commissario Ricciardi (nell’immagne a destra) e il suo aiutante, il brigadiere Maione. Il caso si presenta complesso e Ricciardi si trova di fronte sempre nuove difficoltà in quello che sembra un delitto d’amore e di gelosia. Il commissario è un solitario e non ama eseguire gli ordini, oggi lo definirebbero un “cane sciolto”, e non è ben visto dagli uomini del potere fascista perché ama fare di testa sua: “ … Mi costringete a indagare, lo sapete. Non sono il tipo che si fa mettere paura. Da niente”.
Nel romanzo, il terzo della serie, corrono due storie parallele: l’indagine dell’omicidio e la vita interiore di Ricciardi che si specchia e si fonde con i pensieri suscitati dalle indagini. Ogni nuova scoperta porta ad altre riflessioni, che non riguardano solo i gesti che hanno portato all’omicidio della duchessa, ma scendono nell’anima degli indagati e di riflesso in quella del commissario, portandolo ad una nuova conoscenza di se stesso e dei propri desideri.
L’autore ci accompagna nei vicoli di Napoli e all’interno delle anime con la stessa delicata sicurezza che guida e armonizza le sue parole. La scrittura di Maurizio de Giovanni ha un ritmo efficace e diretto ma mai troppo veloce. Ha una musicalità interna che si rivela nella sequenza, perfettamente eseguita, in cui le donne del romanzo si esibiscono nel taglio delle cipolle e successivo pianto. Questa sequenza è un vero canone musicale in cui le note [i gesti eseguiti] si susseguono da una cucina all’altra unendo le attività svolte e le mosse, forme esteriori, ai pensieri e ai desideri, forme interiori.
Il commissario Ricciardi deve convivere con un peso enorme, con “il Fatto”, come lui stesso definisce le visioni che lo costringono a sentire il dolore sospeso nell’aria dopo una morte violenta. Questo è il motivo che lo rende così deciso nel non permettere l’ingresso di qualcuno nella sua vita. Ricciardi intuisce che l’amore, quello vero, non vuole mai il male della persona amata: “Non sapeva nulla dell’amore. Ma se avesse dovuto parlarne, avrebbe detto che si dovrebbe riparare dal male l’oggetto del sentimento, anche se il male è proprio in chi si ama. Soprattutto se il male è in chi si ama. […] e quindi, nel suo caso, doveva mantenere Enrica lontana dalla sua maledizione, dal dolore selvaggio e terribile di cui era portatore”, perciò soffre guardando la ragazza che ricama alla finestra, e che per lui è solo un’immagine, come “un quadro di Vermeer”.
Quel suo essere così solitario e pensieroso lo rende anche molto misterioso e affascinante. Due donne cercano di entrare nella sua vita: Enrica Colombo, la stessa immagine nella finestra che ora sta diventando reale, e Livia Lucani, la bella vedova conosciuta in un’indagine precedente. Lui è interessato ad approfondire queste conoscenze, ma si dimostra molto indeciso tra le due donne.
Ma Rosa Vaglio, la tata che gli è accanto dalla nascita, intuisce molte cose e capisce ciò che turba il cuore del bel commissario. Rosa ha notato gli sguardi che Ricciardi lancia alla finestra di fronte e spera che agli sguardi segua presto una mossa: lei sa che “il ghiaccio si scioglie prima, se ci si accende sotto un bel fuoco”.
A chi andrà il cuore del bel commissario?
Lo sapremo nella quarta stagione, la nuova avventura che Maurizio de Giovanni ci starà già (ce lo auguriamo) preparando.

Morena Fanti

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Uno scrittore [vero] per tutte le stagioni: un incontro con Maurizio de Giovanni
di Morena Fanti

Il commissario Ricciardi è un personaggio completo e profondo. Solo uno scrittore vero sa arrivare così dentro all’anima dei suoi personaggi e Maurizio de Giovanni (nella foto) lo ha fatto molto bene anche in questo terzo romanzo – e terza stagione della serie – (Il posto di ognuno – L’estate del commissario Ricciardi. Fandango libri, 2009) che vede protagonista il bel commissario dagli occhi verdi e dal cuore tormentato. Ma la sua scrittura non è solo tormento e introspezione: in alcuni suoi racconti in rete ho trovato un’anima ironica e leggera che non sbaglio se definisco umoristica. È sempre interessante scoprire uno scrittore che sa muoversi con grazia tra le righe e sa usare penne di tanti colori. La scrittura è un mezzo di comunicazione che diventa ancora più efficace con la voce ‘giusta’. De Giovanni è uno scrittore che non teme di farsi ascoltare, uno scrittore che si regala ai suoi lettori. Leggendo i suoi romanzi si ha l’impressione che le indagini, gli omicidi e gli altri fatti di sangue, siano solo la ‘scusa’ per accompagnare il commissario Ricciardi nella sua vita e nella sua crescita personale. La vera storia – in questi romanzi le storie sono sempre due e viaggiano parallele: le indagini per scoprire l’autore dell’omicidio da un lato e la vita di Luigi Alfredo dall’altro – è quella della solitudine dolorosa di Ricciardi e del suo desiderio per ora inascoltato da lui stesso di Amore, e gli eventi che lo circondano servono solo a contorno. Ecco il motivo per cui i suoi romanzi non sono ‘semplici’ gialli, ma romanzi pieni e densi in cui affondare e navigare in ogni direzione. Romanzi di crescita. Iniziamo proprio da qui questo incontro con lo scrittore Maurizio de Giovanni.

• Che ne pensi, Maurizio, di queste mie dissennate elucubrazioni?
Che sono perfettamente addentro e consone a Ricciardi e al suo mondo. Io racconto di un percorso, la strada di confine che Ricciardi crede essere parallela alla vita e che quindi con la vita non si incontrerà mai; e invece suo malgrado, lentamente e con grande sofferenza, lo porta sempre più vicino alla carne e al sangue, intossicandolo di vita. Le indagini che porta avanti per lavoro gli mostrano, nella corruzione dei sentimenti e delle passioni, come essere umani significhi essere capaci di amore e di delitto; e di quanto lui stesso, e Maione, ed Enrica, e Livia e tutti coloro che lo circondano siano profondamente umani. Nei quattro romanzi io spiego a Ricciardi, facendolo muovere attraverso il suo mondo, che non potrà fare a meno di essere un uomo, anche se è testimone forzato di tutto il dolore più aspro e putrescente che vede ogni giorno e a ogni angolo di strada.

• Le stagioni sono solo quattro e la prossima è l’autunno. Cosa accadrà al commissario Ricciardi dopo il quarto romanzo? Andrà in pensione anticipata? O inventerai per lui altre storie?
Dipende soprattutto dai lettori. Il contratto con Fandango Libri prevede quattro romanzi, per cui se il successo della serie manterrà gli attuali livelli, molto lusinghieri per la verità, è probabile che mi sarà richiesto di continuare. Il mondo di Ricciardi va prendendo forma e spessore libro dopo libro, per cui non avrei difficoltà a continuare a raccontarne la storia.

• Scrivere di uno stesso personaggio può essere confortante: lo si conosce sempre meglio e, anzi, ad ogni scrittura lo si approfondisce e gli si regala ancora più spessore finché ci sembra un amico, uno di famiglia. È anche vero, però, che scrivere di uno stesso personaggio potrebbe diventare un limite alla scrittura. Quale affermazione senti che ti appartenga di più?
Direi senz’altro la prima. Non pianifico molto la storia, quando comincio a scrivere, per cui sono il primo a godere la sorpresa di incontrare certi personaggi e vederne crescere pian piano caratteri e peculiarità. A me sembra di imbattermi in vecchi amici e credo che mi mancherebbero se non ne scrivessi più. Naturalmente però ho altre idee e non escludo di addentrarmi in altri mondi e in altre storie in futuro, anche per capire se sono capace di scrivere altro sempre nella forma del romanzo.

• Quanto ti piacerebbe, oppure no, che Ricciardi diventasse il personaggio di una serie tv?
Inutile negare che mi piacerebbe molto, sia per l’opportunità commerciale e di diffusione dei romanzi che questo comporterebbe sia per il divertimento di vedere in carne e ossa personaggi che finora abitano solo nella mia mente e in quella dei lettori. Trovo inoltre estremamente gratificante per uno scrittore che altri professionisti decidano di lavorare attorno a un’idea sua, per cui mi aggirerei soddisfatto e curioso sull’eventuale set come mi aggiro all’interno delle mie storie. Ammetto però anche un certo timore di vedere per esigenze di scena le storie di Ricciardi allontanarsi un po’ da come io le ho pensate, rischio inevitabile in queste circostanze.

• Come sapevi che nel 1931 si conoscevano già le emorragie petecchiali? Immagino che tu abbia fatto molte ricerche per scrivere con sicurezza di anni così lontani.
Tutto quello che scrivo con riferimento all’epoca è frutto di attente (e difficili) ricerche, effettuate con l’aiuto di amici esperti in vari campi. Nella fattispecie ho reperito trattati di medicina legale del periodo, dai quali prendo i riferimenti per il lavoro del dottor Modo. Fidati, le emorragie petecchiali erano già presenti nella letteratura medica dai primi del novecento.

• E questo pensiero mi porta anche a questa domanda: la scelta di ambientare le vicende di Ricciardi negli anni trenta è una scelta del personaggio –cioè, lui poteva essere ‘vero’ solo in quegli anni- oppure è una scelta dell’autore – per un tuo piacere di raccontarci quegli anni in particolare e combinare la storia di Luigi Alfredo con la storia dell’Italia negli anni del fascismo?
Le motivazioni della scelta degli anni trenta sono due, una occasionale e una, diciamo, funzionale. La prima deriva dal fatto che il racconto in cui nacque Ricciardi fu scritto durante un concorso al Gambrinus, caffè storico napoletano di ambientazione liberty, che vinsi e da cui deriva tutto quello che è successo dopo. L’altra motivazione è che non mi piace, nella narrativa gialla, l’eccessiva presenza delle indagini scientifiche. Mi interessa il viaggio all’interno di sentimenti, emozioni e passioni dell’investigatore tradizionale, quello che non può utilizzare analisi del DNA, raggi X, luminol e così via. A Napoli poi le scene del crimine, allora come ora, vengono immediatamente inquinate da curiosi e passanti, per cui sarebbe stato inutile riferirsi a questi strumenti.

• Un uomo muore nel momento in cui non significa più niente per nessuno, afferma il duca di Camparino. Quanto credi in questa frase?
Ci credo molto. Vedo persone che vivono in una progressiva terribile solitudine, diventando invisibili man mano che il contesto sociale se ne disinteressa, sopravvivendo in uno stato di abbandono che è peggio della morte. Ricciardi viaggia tra i morti e i vivi, spesso proprio tra questi ultimi vedendo i più soli e disperati.

• Che rapporto hai con la morte? Come credi sia possibile convivere con il dolore?
La morte è nella vita, ad essa strettamente connessa, irrinunciabile, visibile. L’impronta fisica di chi ci ha preceduti è nei nostri sensi, nei ricordi, nelle emozioni. Il dolore è un richiamo, un perenne souvenir che esiste perché è esistito l’amore. Non farei mai a meno del dolore, che è sintomo del vivere: una corazza ci eviterebbe le ferite, ma tanto varrebbe non essere mai nati. Ti dico che secondo me il dolore e la tenerezza sono le uniche due emozioni che vale la pena vivere. Non è la morte che dobbiamo temere, ma l’assenza: se facciamo in modo di non separarci mai dai ricordi, allora potremo dire di aver sconfitto la morte.

• Qual è il posto di ognuno? Ricciardi riuscirà a trovare il suo posto?
Il posto di ognuno non esiste, così come non esiste il senso del dolore o la condanna del sangue. Mi sono divertito a intitolare i tre romanzi, ed è la prima volta che lo rivelo, con tre strutture sociali che non hanno significato reale. Ognuno cerca disperatamente di procurarsi un posto diverso da quello in cui gli altri cercano di tenerlo, e per completare questo intento può anche arrivare al delitto. Relegare qualcuno in un posto è imprigionare, e nessuno può accettarlo passivamente. Ricciardi crede di vivere in un luogo intermedio tra la vita e la morte per la sua particolare condizione, e di fatto si imprigiona da solo impedendosi l’amore, l’amicizia e una vita normale; nel suo caso però sarà la vita stessa a determinare che il suo posto non è quello che lui crede.

• Il vicequestore Garzo pensa che “per comprendere i processi mentali di un delinquente bisogna, in qualche modo, pensare come lui; e quindi essere delinquenti, almeno un po’”. Ricciardi non la pensava così fino a che non ragiona sui nuovi eventi dell’indagine e su un aspetto umano che prima non conosceva. Quanto de Giovanni c’è in Ricciardi?
Secondo me c’è dell’autore in ogni personaggio. Un po’ del sottoscritto c’è in Ricciardi, sicuramente: la sensibilità al dolore, l’ironia che a volte sfocia nel sarcasmo, un po’ d’insofferenza nei confronti della burocrazia; ma anche la bonomia superficiale e pressappochista di Maione, la supponenza ribalda del dottor Modo, l’ottimismo testardo di don Pierino. Tutti figli miei, insomma, con pregi e difetti.

• Valerio Varesi afferma che il suo commissario Soneri è per lui un fratello e che gli fa combattere le battaglie in cui lui crede. Per te chi è Ricciardi?
Per me Ricciardi è un viaggiatore; una specie di ebreo errante o di olandese volante, un Ulisse senza Itaca costretto a percorrere eternamente una linea di confine senza entrare né il un luogo né nell’altro. La sua battaglia non prevede vincitori, è titolare di un mandato generato dal dolore della morte violenta, evitabile e quindi sempre inutile per lui, per tentare di mettere le cose a posto per quanto si possa. Provo per lui molta tenerezza per la condizione che vive, e vorrei che potesse trovare una pace che non può trovare.

• Quando Ricciardi termina un’indagine si deve confrontare con una sensazione mista tra nostalgia, delusione e rabbia. E quando lo scrittore Maurizio de Giovanni termina un romanzo con cosa si confronta?
Tiro un sospirone di sollievo. Quando scrivo una storia di Ricciardi, per tutto il periodo della scrittura, ne sono quasi ossessionato: pezzi di dialoghi, facce di personaggi, luoghi, perfino odori e sapori invadono la mia vita quotidiana e, credimi, non è facile conviverci. La fine di un romanzo è una liberazione, anche se dopo un po’ mi manca e comincio a riflettere su una nuova storia.

• Ho letto in rete alcuni tuoi racconti con una scrittura molto diversa dai tuoi romanzi. Racconti con un’anima più ironica. Forse la scrittura ‘leggera’ diventa un mezzo per rilassare la mente dagli impegni del romanzo?
La mia vera scrittura, quella che mi viene naturale, è quella leggera e ironica, al limite dell’umorismo. Sembra assurdo per chi legge Ricciardi, ma è quando scrivo di lui che la mia maniera di esprimermi cambia. Se avrò modo e tempo, prima o poi scriverò un romanzo (la cui storia ho già più o meno in mente) con quest’altra modalità, per vedere come viene.

• In questi anni proliferano siti e blog di scrittori. Sembra che chi non è presente in rete non sia ‘visibile’. Che rapporto hai tu con la rete? Come vivi internet e i rapporti che si creano sul web?
Internet mi diverte, la trovo un’enorme opportunità di studio, ricerca e contatto. Non appartengo però alla generazione per la quale la rete è imprescindibile, per cui riesco comodamente a farne a meno: per intenderci, non sono tra coloro che non vivono senza connettersi. Penso che tramite il web possano nascere meravigliose amicizie, contatti tra anime lontane; un’occasione di vicinanza, di contiguità che è diventata irrinunciabile. Di internet mi interessa questo.

• Leggendo il tuo romanzo ho pensato che due passaggi – quello delle cipolle, che chi ha letto il libro ha ben presente e chi non l’ha letto dovrebbe farlo subito, e l’altro in cui i personaggi provano fitte di gelosia che attribuiscono ad un mal di stomaco del tutto inventato – siano molto musicali. Il passaggio delle cipolle è un vero canone, con quel rincorrersi delle scene e ricominciare da capo e poi proseguire. Che rapporto hai con la musica? La senti anche tu nella tua scrittura o è una mia invenzione?
La scrittura come la musica è simmetria, ritmo, armonia; almeno, per me è così. Quindi mi capita di ritrovare momenti in cui i personaggi vengono uniti come le strofe di una canzone da un ritornello, un aspetto comune e unificante pur nella diversità delle storie di ciascuno. Mi piace scrivere in questo modo, perché la vita stessa si prende a volte la libertà di creare comuni denominatori e simili contesti, anche quando uno mai se lo aspetterebbe. Scrive una sua canzone, insomma: basta starla a sentire.


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Scritto mercoledì, 16 settembre 2009 alle 20:17 nella categoria SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

235 commenti a “IL POSTO DI OGNUNO di Maurizio de Giovanni”

Come ho scritto sul post, in questi giorni sto leggendo “Il posto di ognuno” di Maurizio de Giovanni, la nuova stagione letteraria del suo personaggio: il commissario Ricciardi.

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 20:23 da Massimo Maugeri


Vi ricordo che le storie del commissario Ricciardi sono ambientate nella Napoli dei primi anni ‘30. E che Ricciardi ha una caratteristica che è a metà strada tra il dono e la condanna: riesce ad ascoltare le ultime parole dei deceduti di morte violenta, visualizzandoli (come in una sorta di ologramma) negli ultimi istanti della loro esistenza.

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 20:26 da Massimo Maugeri


L’estate napoletana del 1931 vede la morte della bellissima duchessa di Camparino, una donna misteriosa dalla chiacchierata vita notturna. Ricciardi si trova a investigare in questo caso.

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 20:28 da Massimo Maugeri


Sul post trovate la recensione e l’intervista realizzate da Morena Fanti, che mi darà una mano ad animare e a moderare il dibattito.

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 20:30 da Massimo Maugeri


Vi invito, come al solito, ad approfondire la conoscenza di questo libro approfittando della presenza dell’autore (che parteciperà alla discussione). Chi ha già letto il romanzo è, ovviamente, invitato a rilasciare il proprio parere.

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 20:44 da Massimo Maugeri


Ed ecco le domande che vi propongo per avviare discussioni sui temi affrontati dal libro…

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 21:11 da Massimo Maugeri


Una recensione con i controfiocchi. Grande Morena.

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 21:12 da Salvo zappulla


Per il commissario Ricciardi l’amore, quello vero, non vuole mai il male della persona amata: “(…) si dovrebbe riparare dal male l’oggetto del sentimento, anche se il male è proprio in chi si ama. Soprattutto se il male è in chi si ama. […] e quindi, nel suo caso, doveva mantenere Enrica lontana dalla sua maledizione, dal dolore selvaggio e terribile di cui era portatore”.

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 21:12 da Massimo Maugeri


Cosa ne pensate? Siete d’accordo sul fatto che bisogna riparare dal male l’oggetto del sentimento, anche se il male è proprio in chi si ama?
E quando ciò non è possibile?
Bisognerebbe rinnegare l’amore, o continuare ad amare?

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 21:13 da Massimo Maugeri


E che rapporto c’è tra amore e dolore? È un rapporto imprescindibile? Esiste amore senza dolore?

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 21:14 da Massimo Maugeri


Ehilà, Salvo:-)

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 21:14 da Massimo Maugeri


Il duca di Camparino afferma che “Un uomo muore nel momento in cui non significa più niente per nessuno”.

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 21:15 da Massimo Maugeri


È davvero così? Fino a che punto è vera questa frase? Fino a che punto è essenziale significare qualcosa per qualcuno?

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 21:16 da Massimo Maugeri


E qual è il “posto di ognuno”?
Esiste “un posto”, per il quale siamo stati “predestinati” (e che magari ricerchiamo disperatamente)?
O è solo una pia illusione? Un luogo chimerico?

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 21:17 da Massimo Maugeri


Se avete voglia di ascoltare la voce di Maurizio de Giovanni, vi consiglio di ascoltare l’intervista rilasciata a Fahrenheit (Radio Rai Tre):
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/archivio_libri.cfm

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 21:23 da Massimo Maugeri


Il posto di ognuno non esiste, è soltanto una gabbia mentale in cui imprigioniamo noi stessi o incaselliamo gli altri…
Significare qualcosa per qualcuno vuol dire sentirsi pensati, cercati,amati. Deve essere terribile avere grado di significazione zero per il mondo, eppure tanti nostri fratelli scompaiono dalla scena del mondo senza che nessuno versi una lacrima per loro.
Il dolore è l’altra faccia dell’amore. Quando amiamo ci assale la paura di perdere l’oggetto amato, il dolore di vederla soffrire. Amore senza dolore è una chimera e sarebbe anche disumano.
Maurizio de Giovanni ha partecipato come me – spero mi porti fortuna – ad un concorso letterario particolare. Posso chiedergli se il suo personaggio è nato proprio in occasione del concorso?

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 21:51 da Maria Lucia Riccioli


Un saluto affettuoso a tutti, e grazie a Massimo per ospitarmi ancora su Letteratitudine per quella che sta diventando una splendida, fortunata tradizione. E voi sapete noi napoletani quanto ci teniamo, alle cose che portano bene.
Un caldissimo abbraccio alla mia Morena, e alla sua delicata sensibilità di donna e di lettrice: migliore madrina Ricciardi non poteva sperare di avere.
Sì, Maria Lucia: Ricciardi è figlio della… disperazione di uno che partecipava a un concorso e mai aveva scritto. Figlio anche di una folle idea, ispirata da una bambina che passava fuori la vetrina di un caffè storico della città, il Gambrinus. Solo quattro anni, ma sembra passata una vita intera.

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 22:23 da Maurizio de Giovanni


Grazie, Maria Lucia e bentornato Maurizio.
Possiamo dire che Letteratitudine ha, per certi versi, “adottato” Ricciardi e o seguirà per tutte e quattro le stagioni…

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 22:39 da Massimo Maugeri


La discussione si svilupperà con calma nei prossimi giorni. Intanto auguro a tutti una serena notte.

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 22:44 da Massimo Maugeri


Lascio una testimonianza veloce solo per dire che io Ricciardi lo amo, lo amo davvero. Credo che l’amore vero non debba temere nulla e nessuno.
E non c’è male che tenga.

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 23:13 da Enrica


Trovo dolentissima e meravigliosa la figura di questo commissaro che annusa il dolore, che taglia l’aria con lo sguardo a un balcone dietro il quale si nasconde una donna, che è senso, istinto, soglia.
Anche il dolore e l’amore sono soglie, corde sospese, galleggianti a mezz’aria. E forse è così che l’uomo impara ad amare, oltrepassando i confini, tra vita e morte, tra se’ e l’altro, tra corpo e corpo.
Perdendo, forse, una parte. Il cuore, il sangue, il respiro. Ma ritrovandolo oltre, salvando nell’altro ciò che ha ucciso in sè, in una commistione necessaria e grondante, tu. Io. Mescolati solo se feriti. Solo se liberi, dipanati dal dolore.
Ecco, questi sono i gialli che vorrei sempre leggere. Dove il mistero è già in noi, dove il viaggio non è solo nell’intrico di nodi, ma dentro, infondo, là dove non sapevamo di avere bisogno di qualcuno (un maresciallo, un detective, un ladro, forse) che ci venisse a salvare. Là dove l’indagine non è che la vita stessa che si rivela, affiorando con le sue paure, con fragilità, con poesia.
Bravissimo, De Giovanni. E’ struggente, bellissima, questa narrazione così consapevole di non essere altro che umanità, noi e ancora noi, e il nostro incerto passaggio.

@ Massi…no, non si può proteggere l’amore dal male, perchè è già non amare.
Come dice Hermann Hesse : “Il male nasce dove l’amore non basta”.

Postato mercoledì, 16 settembre 2009 alle 23:18 da simona lo iacono


La bellezza dei romanzi di Maurizio de Giovanni sta nella loro assenza di tempo, pur se ambientati negli anni ‘30. I sentimenti, le passioni non cambiano con le epoche e il percorso della vita pure. Definire le sue opere dei gialli è quindi estremamente riduttivo, laddove si consideri che l’omicidio, le indagini e l’identificazione del colpevole sono una semplice ossatura, intorno alla quale de Giovanni costruisce la vita. L’autore presenta anche un’altra caratteristica: la semplicità della narrazione, semplicità che non significa povertà, bensì la capacità di delineare i personaggi con poche misurate parole, così che anche un lettore che non ha avuto modo di porre mano al primo della serie, ma ha a sua disposizione solo l’ultimo, riconosce immediatamente i protagonisti. E a proposito di questi, quasi per un processo di osmosi, sono entrati in me, come se fossero dei cari amici con i quali una volta all’anno ci vediamo; è un processo di acquisizione di ricordi, che ricordi non sono, ma invece finiscono con il diventare delle conoscenze indotte, e che me li fa sentire vivi, tanto che la recensione che ho scritto io de Il posto di ognuno è quasi un dialogo con Maione, con Ricciardi, con la sua dirimpettaia.
Alle domande di Massimo risponderò con calma, domande che mi sembra confermino quanto ho scritto.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 08:23 da Renzo Montagnoli


…intenso, sorprendente…immagini forti che non intaccano la leggerezza della narrazione: la tenerezza
rabbia, dolore, dolcezza….EMOZIONE.
(l’ho già scritto a maurizio…….ma mi faceva piacere condividere con altri la mia emozione per questa storia!)

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 08:49 da rita milosa


Non mi perderò in ringraziamenti, ma le parole di Simona e di Renzo, come quelle di Morena, mi restano nel cuore. Dentro, molto in fondo.

Ricciardi guarda l’amore, cerca di capirne il senso per poterne comprendere le conseguenze. Lo osserva, ne distingue i tratti comuni e le diversità, di uomo in uomo, di donna in donna. E’ l’amore, ovviamente, il vero protagonista di tutte le storie che scrivo. Questo motore incontrollabile, che all’improvviso va fuori giri e determina la suppurazione delle passioni, e quindi il delitto.

Certo, Massimo: l’amore non si può tenere lontano dal dolore. Ma dal male forse sì, pensa Ricciardi. Se mi allontano da chi amo, se ne ho la forza, lo preservo da me e dalla corruzione della mia passione. Il dottor Jekyll si chiude dentro, per non consentire a Mr. Hyde di fare scempio di chi gli sta accanto. Ricciardi porta una condanna e non vuole contagiarla, tutto qui.

Ma qualcosa gli succede, gli sta succedendo: non riesce a sopportare l’idea di perdere chi ama. Non gli pesa la solitudine, ma gli sarebbe intollerabile trovare spenta la luce della finestra di fronte. E allora comincia a valutare l’ipotesi di uscire allo scoperto.

Forse, tutto sommato, per lui non è troppo tardi.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 08:54 da Maurizio de Giovanni


buongiorno a tutti.
“Un uomo muore nel momento in cui non significa più niente per nessuno”. Ci sono troppe persone sole al mondo, vorrebbe dire che sono già morte. Non voglio e non posso crederlo. Esiste un senso che a noi sfugge, un senso in se stessi, credo, che fa esistere ed essere vivi senza alcun singificato particolare. E’ così per la piante, per gli animali, è così per un albero che cresce su una montagna, e magari nessuno vedrà mai. Ma non per noi uomini, noi non riusciamo a rassegnarci alla mancanza di senso, è una delle nostre maledizioni. Non ho letto il libro (lo farò… ma quanti libri… come si fa a leggerli tutti…), e non so qual’è il singificato del titolo in relazione alla storia, però mi piacerebbe fosse questo. Il posto di ognuno, in fondo, è il posto in cui ognuno ha e trova un senso, il suo senso, e voglio sperare che sia dato ad ogni uomo di trovarlo, almeno una volta nella vita, magari per un momento.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 09:47 da giorgia


Oddio…. ma mi potete far venire queste paranoie già alle nove di mattina??

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 09:48 da giorgia


Eccomi qui. Buongiorno a tutti e grazie a Massimo del bel post e degli argomenti di discussione. Un abbraccio a Maurizio con cui ho condiviso l’anima di Ricciardi. Anch’io tengo molto alle cose che portano bene (sarà la mia anima napoletana).
Un bacio a Salvo che, come sempre, mi loda anche troppo, ma si sa l’affetto fornisce altre chiavi di lettura.
E un saluto ad Enrica che finalmente si palesa e dichiara il suo amore per Ricciardi. E come darle torto? Chi non ama il bel commissario dall’anima tormentata?

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 09:54 da morena fanti


Ho letto tutti e tre i romanzi che Maurizio ha “dedicato” al commissario Ricciardi. Ovvio che io sia in attesa della quarta stagione che, come l’autore anticipa, potrebbe non coincidere con l’addio di Maurizio al dolente commissario napoletano. Bene, nessuno meglio di Maurizio stesso saprà decidere in merito alla sorte di Alfredo Ricciardi.
Su “Il posto di ognuno”, Maurizio sa già come la penso. Dei tre sinora pubblicati, per me è il migliore. Il primo puntava molto sulla storia, il secondo sui personaggi. Nel terzo romanzo, storia/e e personaggi si amalgamano alla perfezione tra descrizioni, emozioni, investigazioni e colpi di scena.
La mia personalissima opinione è che la storia poliziesca-gialla-noir-thriller, debba essere molto lineare. Ciò consente all’autore di arricchire il romanzo con descrizioni, sentimenti, ricordi, incisi, “sketch” paralleli. Tanto il lettore non si smarrisce, non si discosta dalla vicenda principale se, appunto, questa è lineare.
D’altro canto, Maurizio è stato anche bravissimo a limitare al minimo le questioni puramente “tecniche” dell’investigazione. E, infatti, ogni dettaglio è giusto. Sono giusti i ruoli, le gerarchie, le funzioni e i rapporti tra i vari personaggi che concorrono alle indagini.
Leggo spesso polizieschi italiani nei quali vengono descritte cose e situazioni che in Italia non esistono. Gente in divisa o senza divisa buttata lì, tra le pagine, senza sapere chi e come può realmente investigare.
Ho già detto altre volte che se io tentassi di scrivere un romanzo basato sulla danza classica non sapendo nemmeno cosa sia un tutù, verrei giustamente respinto con perdite. Nella “giallistica”, invece, sembra che per scrittori, editor ed editori, confondere un commissario con un ispettore oppure un vice-questore aggiunto con un vicario, siano sottigliezze. Lo saranno pure, rimane il fatto che troppo spesso, chi scrive ha in testa il commissario Maigret o il tenente Colombo, e crede (senza sapere una fava) che in Italia sia più o meno lo stesso. Il che non è, invece. Si millantano competenze ed esperienze, quando invece non si conosce manco la differenza tra un poliziotto e un vigile urbano.
Maurizio è, prima che uno scrittore bravissimo, una persona intelligente. La persona intelligente ha come sua principale caratteristica quella di non complicarsi la vita in inutili cineserie.
Nei suoi romanzi, insomma, “ognuno ha il suo posto”. Specialmente in “Il posto di ognuno”.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 10:11 da enrico gregori


mi imbatto qui per caso. confesso che non conoscevo né de giovanni, né ricciardi. ma sono rimasta affascinata dal personaggio e da quello che ho letto qui e sugli altri post.leggerò i libri con piacere.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 10:17 da stefania f.


Buongiorno Morena cara, caro Maurizio. Che bello che in un giallo il vero protagonista sia l’amore. Segno che sopravvive a tutto, anche all’oscurità, alle cesoie, al delitto.
Una coesistenza – amore nel dolore, amore nel buio, amore persino nella perdita – e una sopravvivenza, che comuove. Che – tenacemente – sfalda la confusione in direzione, la sofferenza in gioia, la mancanza in presenza.
E’ questo l’amore, una misteriosa compresenza, un vorticare di contrari. Paura di darsi (come Ricciardi) per proteggere e, a tempo stesso, desiderio, sovrapposizione, fame, solo fame, d’eterno.
C’è stato chi ha cantato così l’amore, cogliendone l’assurdità e la contraddizione, l’ostinazione, la tenacia da ortica.
Vi dedico questi versi, cara Morena e caro Maurizio, a suggello delle vostre bellissime parole. E a ricordo di chi ha capito che l’amore affiora da tutto, persino dall’inferno. Potremmo forse dire, allora, che il “posto di ognuno” è nel cuore dell’altro.
—-
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona…

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 10:23 da simona lo iacono


Le domande sono stimolanti e le risposte non sono affatto scontate come si potrebbe pensare.
Prendiamo per esempio questa domanda: Siete d’accordo sul fatto che bisogna riparare dal male l’oggetto del sentimento, anche se il male è proprio in chi si ama?
Non è facile rispondere.
Immaginate una storia d’amore tra un uomo e una donna. Loro si amano, si amano davvero. Solo che lui è un alcolizzato violento, e quando è preda dei fumi dell’alcol la percuote.
Come rispondereste a quella domanda in un caso come questo?

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 10:42 da Filippo


Ne approfitto per fare i complimenti all’autore, augurando tanta fortuna al commissario Ricciardi.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 10:43 da Filippo


Intanto complimenti anche da parte mia a Maurizio De Giovanni ed al suo Ricciardi. Molto belle sia la recensione sia l’intervista.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:00 da Amelia Corsi


DOMANDE
Siete d’accordo sul fatto che bisogna riparare dal male l’oggetto del sentimento, anche se il male è proprio in chi si ama?
E quando ciò non è possibile?
Bisognerebbe rinnegare l’amore, o continuare ad amare?

***
- Io credo che sia doveroso tentare di riparare dal male chi si ama. L’esempio di Filippo cade a fagiolo. Se Tizio è un alcolista violento e ama una donna, che però picchia quando si ubriaca, ecco, se l’ama davvero farebbe bene ad allontanarsi finché quel suo male (l’acolismo) non guarisce.
Il problema sorge quando quel male è inguaribile. Che fare in quel caso? Bisognerebbe rinnegare l’amore, o continuare ad amare? Non è facile rispondere.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:04 da Amelia Corsi


proteggere, proteggere sempre… proteggere gli altri da se stessi credo che sia uno dei gesti d’amore più belli che si possano fare.
L’amore è anche rinuncia, anzi, soprattutto quello. e se c’è rinuncia, non vuol dire che l’amore sia meno profondo e meno tenace… Spesso si scambia l’amore con il possesso, con la passione. Non sono la stessa cosa. L’amore vero dona la libertà, non la toglie. Per questo, se l’amore fa male, è imperfetto. Certo, credo che sia l’unico tipo di amore che sia possibile conoscere per l’uomo; tuttavia, almeno dovremmo averne ben chiara in mente “l’idea” (per scomodare Platone), e magari cercare di avvicinarci ad essa.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:16 da giorgia


@ Simona: grazie della dedica. Bellissima. Un abbraccio

Grazie a tutti dei commenti.
Per Filippo: se l’uomo del tuo esempio è un alcolizzato e picchia la donna che dice di amare, sarebbe opportuno che lui si allontanasse, certo. Ma siccome lui non lo farà, perché è convinto di amarla davvero e che la cosa non si ripeterà più, sarà lei a dovere prendere delle decisioni.
L’amore fa sempre male. Ma anche al dolore ci deve essere un limite. Non credete?

Nel caso del romanzo, è Ricciardi che teme di procurare dolore, ma non abbiamo verificato se ciò sia vero. E inoltre, Enrica ha dichiarato che è disposta a correre il rischio.
Perciò…

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:32 da morena fanti


Nella musica napoletana hanno dovuto trovare un accordo apposta. Riguarda quel suono che scivola verso la vita che si stempera in malinconia struggente: è l’accordo di sesta napoletana.
Maurizio de Giovanni ci svela i nostri archetipi, ci ammonisce, sorridendo: sono loro che ti stanno muovendo mentre credi di essere in un presente qualsiasi, dove ti sei relegato o dove ti hanno costretto. Lo fa con un accordo suo, personalissimo e geniale, che riesce a essere classico appena nasce. L’amore e la morte se ne stanno vicini, abbracciati, con una forza narrativa indimenticabile.
Il posto di ogni lettore è di seguirlo fedelmente e di chiedere “ancora”, con una volontà bambina, che sa riconoscere quello che non ha limiti né di Storia, né del resto di niente.

Grazie e ancora grazie per i suoi libri, maestro.
Filomena

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:33 da patrizia rinaldi


Mi piace pensare a uno che ama tanto da voler proteggere: che so, un malato grave e incurabile che vuole risparmiare a chi ama una lunga, difficile e terribile assistenza, che culminerà in una tragica fine. E a un partner che, nonostante questa consapevolezza, sceglie comunque di rimanere vicino a chi ama.
La chiave è anche questa: amare è proteggere. Ma cnhe consentire e rispettare la scelta, eventualmente di sofferenza, di chi è amato.

Madonna, che darei per avere la penna di Simona.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:33 da Maurizio de Giovanni


se l’amore fa male, è imperfetto. sono pienamente d’accordo con giorgia. ma dato che l’amore perfetto non è di questo mondo, io credo che bisogna continuare ad amare nonostante i limiti o le imperfezioni.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:34 da amedeo


insomma, commissario ricciardi, si faccia avanti!!!

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:35 da amedeo


Cosa ne pensate? Siete d’accordo sul fatto che bisogna riparare dal male l’oggetto del sentimento, anche se il male è proprio in chi si ama?
E quando ciò non è possibile?
Bisognerebbe rinnegare l’amore, o continuare ad amare?
Che rapporto c’è tra amore e dolore? È un rapporto imprescindibile? Esiste amore senza dolore?
.-.-.-.-

Se il male è in chi si ama, pur considerano che l’innamoramento è quasi sempre privo di logica, c’è da pensare che si voglia bene a una persona perché è cosi e allora il problema non si pone. Altrimenti, mi sembra giusto che l’innamorato, o l’innamorata, si dia da fare per estirpare questo male, quando più che congenito è indotto.
Dopo la fase propedeutica illogica dell’innamoramento, dovrebbe subentrare un criterio di razionalità che porterebbe o a sanare l’altro, o a lasciarlo.
C’è uno stretto rapporto fra amore e dolore, come in tutti i sentimenti, cioè c’è sempre il recto e il verso della medaglia e l’istintività degli stessi è l’origine di questa caratteristica.
L’amore, per me, è sempre anche dolore, sia che questo si evidenzi come la paura di perderlo, sia che si manifesti proprio con la perdita.
Ishiguro, nel suo romanzo Quel resta del giorno, fa dire al suo protagonista maschile una frase che mi è rimasta scolpita nella memoria e questo a proposito dell’amore: “ La gioia di oggi è il dolore di domani”.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:36 da Renzo Montagnoli


Il duca di Camparino afferma che “Un uomo muore nel momento in cui non significa più niente per nessuno”.
È davvero così? Fino a che punto è vera questa frase? Fino a che punto è essenziale significare qualcosa per qualcuno?
E qual è il “posto di ognuno”?
Esiste “un posto”, per il quale siamo stati “predestinati” (e che magari ricerchiamo disperatamente)?
O è solo una pia illusione? Un luogo chimerico?
.-.-.-.-.
Il rapportarsi con gli altri ,e questo è costante negli affetti, ci offre la misura della nostra presenza. Così, a meno che non avvenga per nostra precisa scelta, non avere più importanza per qualcuno è una morte dentro, è sentirsi improvvisamente inutili. E’ questo un po’ il dramma degli anziani, quando si accorgono che prima il sistema economico, poi i figli finiscono con il considerarli finiti. E’ ovvio che il desiderio di vivere in questi casi venga meno.
Ognuno ha il suo posto ed è inutile che ci illudiamo di prenderne un altro. Nel libro del destino, quelle che sembrano le nostre possibilità di scelta, in effetti non esistono. Ognuno è quello che è e in quest’ambito può dare un senso alla sua vita, cercando nel suo ruolo la migliore interpretazione possibile.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:37 da Renzo Montagnoli


Amare è proteggere! Una bellissima, frase questa. Chi ama davvero è capace di fare passi indietro per non arrecare danni e far correre rischi all’amato o all’amata. Se non ho capito male è quello che cerca di fare il commissario Ricciardi nei confronti di Enrica…..

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:39 da Amelia Corsi


solo per dirvi che sto seguendo con grande passione questi vostri scambi. tanti auguri a maurizio de giovanni

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:41 da luciana


@Filippo. C’è un antico proverbio cinese che dice (più o meno): “Quando rientri a casa picchia tua moglie, tu non conosci il motivo ma lei probabilmente sì”.
Sante parole.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:46 da Salvo zappulla


@ Salvo:
contieniti per favore. Esagera solo quando mi fai i complimenti.

@ Renzo:
io credo che ‘il posto di ognuno’ sia quello in cui ci si sente bene. Penso sia il luogo che sentiamo come nostro, quello in cui possiamo essere liberi e veri. Come affermi tu, è il luogo in cui possiamo “dare un senso alla vita, cercando nel nostro ruolo la migliore interpretazione possibile”.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:56 da morena fanti


L’amore, come tutte le passioni, passa attraverso l’egoismo e ne esce irrimediabilmente modificato.
Io ti voglio, non posso fare a meno di te, il pensiero di altre mani su di te mi intossica. O mia o di nessuno. Piuttosto morta, tu e lui, il maledetto che ti allontana da me.
Questo è il giro della mente, ubriacata dall’amore. Questa la genesi del delitto e del dolore.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 11:58 da Maurizio de Giovanni


@Salvo: alla fine hai dovuto dire il proverbio cinese, che tu conosci bene, per esperienza, al contrario…

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 12:04 da Renzo Montagnoli


@Maurizio: nel caso di un tradimento, sì, ma non tutti i tradimenti finiscono così, altrimenti finiremmo con il restare in pochi…

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 12:05 da Renzo Montagnoli


@Morena: diciamo che si sente nel suo ruolo, che è il posto dove può dare il meglio di sé, ma è un’illusione pensare che uno possa decidere quale è il suo posto. Gli spetta, è suo, nessuno glielo toglie, perchè è stabilito così.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 12:07 da Renzo Montagnoli


DOMANDE
“Un uomo muore nel momento in cui non significa più niente per nessuno”.
È davvero così? Fino a che punto è vera questa frase? Fino a che punto è essenziale significare qualcosa per qualcuno?
E qual è il “posto di ognuno”?
Esiste “un posto”, per il quale siamo stati “predestinati” (e che magari ricerchiamo disperatamente)?
O è solo una pia illusione? Un luogo chimerico?
***
È davvero così? Sì, almeno in parte. Quanti di noi riescono davvero a farcela senza avere l’approvazione e il sostegno degli altri?
Secondo me il posto di ognuno è quello in cui possiamo dire: ecco, qui mi trovo bene, qui sono in grado di ritrovare me stessa, qui sono davvero io. Me stessa, non quello che gli altri vorrebbero che io fossi.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 12:11 da Amelia Corsi


Non sempre ci si sente bene, in quello che riteniamo essere il nostro posto. Spesso si soffre, si prova un dolore immenso.

La tesi che portavo avanti, nel libro, è che il posto di ognuno non esiste. Esiste un posto dove gli altri cercano di metterci, ma non è quasi mai quello in cui vogliamo stare.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 12:11 da Maurizio de Giovanni


@Maurizio: è vero, ma sai pure che il ruolo che abbiamo dalla nascita ci imprigiona.
Tu ti senti bene nel tuo posto? Io nel mio sì, nel senso che mi accetto…

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 12:13 da Renzo Montagnoli


salvo, lo farò presente a mia moglie. le posso dare il tuo indirizzo? tieni presente che fa piscina a livello semiagonistico e ha due braccia da marinaio.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 12:13 da filippo


Maurizio, forse il posto di ognuno non esiste. Ma credo esista un posto in cui stiamo bene, o per lo meno meglio. Un posto a cui possiamo tendere. Per chi scrive, forse, quel posto potrebbe essere la scrittura. Cosa ne pensi?

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 12:16 da Amelia Corsi


Sì, Amelia, direi di sì. Ma la scrittura, lo sai, è un mondo privato che ti attira come le sabbie mobili e dal quale per forza bisogna riemergere. E anche il mio Renzo ha ragione, sul posto incide la nascita e la cultura.

Io no, non mi sento al mio posto. La mia anima vorrebbe presuntuosamente volare in alto, ed è invece ancorata al suolo da mille necessità e da un lavoro che non mi somiglia nemmeno un po’. Ma ho un altro posto piegato per bene nel cassetto del corredo, da qualche parte. E, come quei corredi che passano da generazione a generazione, e che prima o poi verranno sacrificati alla mancanza di spazio, spero prima o poi di tirarlo fuori.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 12:27 da Maurizio de Giovanni


Grazie mille per la risposta, Maurizio. Spero che il tuo posto nel cassetto possa vedere la luce al più presto.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 12:46 da Amelia Corsi


Come sempre vorrei scrivere più a lungo, il tema proposto è bellissimo.
Stimo molto lo scrittore @Maurizio de Giovanni che ho segnalato più volte nel mio sito, unitamente alle Sue intense opere.
@Morena è una creatura angelicata per la delicatezza della sua anima e unitamente alla nostra amata@ Simo ..sfoggeranno la loro penna di piuma per profilare ogni anfratto del romanzo.
@ Salvo col suo proverbio cinese, vorrebbe – menar le mani ?-
@ Enrico Greg, è divenuto un critico attento e rigoroso, in questo caso, assai pertinente.
@Per Massimo ho un affetto particolare da nonna…, ma nel cuore c’è posto per tutti Voi.
Al solito me la caverò con una frase celebre:-
“Il conto è sempre pagato da chi più ama”- Davide M.Turoldo
La vostra Tessy

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 13:04 da M.Teresa Santalucia Scibona


“Il conto è sempre pagato da chi più ama”- Davide M.Turoldo

Vero.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 13:06 da Renzo Montagnoli


@Maurizio: anche nel mio caso quel lavoro non mi somigliava. Però, noi non dobbiamo intendere “il posto” come un ruolo che si ricopre, ma dobbiamo vederlo in rapporto al nostro inserimento nella società. In questo senso, mentre l’occupazione prevalente può variare, noi resteremo sempre quelli che siamo nell’ambito sociale. Insomma, se uno che non ha mai scritto, si mette a scrivere e ha successo, non è che abbia cambiato il suo ruolo nell’ambito della società, ma si esprime solo diversamente. Maurizio de Giovanni era una persona dotata di sentimenti, di capacità di comunicare venti anni fa e lo è anche adesso, solo che ora ci sono più persone con cui lui, indirettamente, attraverso i suoi libri, viene in contatto.
Non releghiamo il concetto di posto al lavoro, come solo può essere visto in un sistema che tende a spersonalizzare, ma eventualmente vediamomo come contributo che può dare alla società.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 13:13 da Renzo Montagnoli


ciao Tessy cara, un abbraccio grande per te.
E grazie per la bella frase di Turoldo.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 13:13 da morena fanti


Renzo, come sempre hai ragione. E come sempre, sai riconoscere con divertita semplicità il sorriso in mezzo al disagio.
Amici come te giustificano tutto, anche la salita. Forse, alla fine il posto di ognuno è con chi gli è affine; e se si incontrano queste persone virtualmente, va bene lo stesso.
Enrico Gregori, per esempio: sarei felice, e grandemente onorato, se prima o poi (spero prima, non ho tutto ’sto tempo prima dell’Alzheimer) potrò scrivere insieme a lui. Lo trovo straordinario, uno scrittore fantastico. Il suo “Doppio squeeze” è travolgente, proprio come lui. L’avete letto?

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 13:26 da Maurizio de Giovanni


L’artista, colui che crea ( parole, arte, musica) non ha un “posto”, non è un animale stanziale, vaga sempre alla ricerca d’ altro, ha febbre di conoscenza, di mondi da esplorare. E’ un randagio per vocazione. Guai se trovasse fissa dimora dove tergersi il sudore, sarebbe un limite, l’appagamento per la sua sete. Di Maurizio dicono tutti un gran bene, io non ho ancora letto nessuno dei suoi romanzi ma prometto di rimediare prestissimo (magari me lo faccio regalare da Morena per Natale); sono convinto che sarà una scoperta piacevole.
Altro pensierino: il posto di ognuno potrebbe essere il cimitero. Quale luogo migliore per trovare la pace? Ci avete pensato? Renzo, Massimo, Simona, voi che avete già qualche problemino di salute.

@Morena. Sei spacchiosa.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 13:58 da Salvo zappulla


Caro Maurizio, i poveri di spirito potrebbero definire “fregnone” uno scrittore che, in uno spazio a lui dedicato, parla di un libro altrui. Io, invece, lo definisco un signore e, soprattutto, un amico. Ti ringrazio di cuore per le tue parole. Per il resto, avendo qualche anno più di te, sono io a rischiare per primo l’Alzheimer, quindi… io sono pronto, damose ‘na mossa. E poi lo sai, “loro” ordinano e noi obbediamo :-)

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 13:59 da enrico gregori


riprendo la bellissima citazione riportata da teresa santalucia scibona
“Il conto è sempre pagato da chi più ama”- Davide M.Turoldo
però questa citazione lascia intendere che in un rapporto a due c’è sempre qualcuno che ama di più. non so come la pensate voi, ma io non sono del tutto d’accordo. non è possibile immaginare un rapporto in cui ci si ama allo stesso modo? o in cui si fa a gara per amare di più? oppure c’è sempre, inevitabilmente, qualcuno che ama più dell’altro?

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 14:12 da maria


a maurizio de giovanni.
leggerò al più presto i suoi libri e sono certa che mi piaceranno. volevo chiederle questo, sui due personaggi ricciardi ed enrica, anche rispetto a quello che ho scritto prima.
tra i due, tra ricciardi ed enrica, secondo lei, c’è qualcuno che ama più dell’altro? e chi? anche per questi suoi personaggi chi ama di più è quello che paga il conto?
grazie in anticipo per le risposte.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 14:16 da maria


Anche io ho letto tutti e tre i romanzi pubblicati nel ciclo delle “stagioni del commissari Ricciardi”. Personalmente tra i tre ho preferito il secondo, ma questi sono solo dettagli e opinioni personali. In sostanza trovo molto bella la sua scrittura, ottimi gli intrecci delle storie narrate (tutte), splendidi i ritratti dei personaggi, da quelli protagonisti a tutti i comprimari.
Ma soprattutto apprezzo le atmosfere in cui si ambientano le sue storie: non una Napoli da cartolina, oppure di stereotipo della camorra, ma una città che sa essere anche tetra, anche piovosa, anche senza la minima volontà di cantare. Una Napoli viva e vera, lacerata e sofferente, precipitata nel clima pesante del regime fascista, dove una cappa di piombo sembra sempre incombere anche nelle giornate più assolate (e quest’ultimo libro si svolge infatti in un’afa opprimente di piena estate) e pienamente rappresentata anche dai fantasmi che il commissario percepisce e realmente vede come vivi nell’attimo del trapasso, assorbendo tutto il loro dolore.
Amavo Maigret (e tutto Simenon) forse per le medesime ragioni (le atmosfere così dense da tagliarsi quasi con il coltello) per le quali oggi amo il commissario Ricciardi.
Aspetto con ansia il quarto libro, e la possibile fiction TV che sembra ci sia un’idea (o forse anche qualcosa di più) di trarre da tutta la serie.
Intanto grazie a Maurizio per le sue storie, e a Morena per la sua recensione e la bellissima intervista: ne esce fuori uno scrittore sensibile e umanissimo (ma questo io lo sapevo già, e credo lo sapessero anche altri di voi).
Un carissimo saluto ad entrambi.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 14:25 da Carlo S.


Maurizio, se hai tempo di rispondere, approfitto anche io per farti una domanda. Leggendo i tuoi libri, mi sono fatto l’idea che la persona in qualche modo più vicina e in confidenza con Ricciardi fino talvolta a prenderlo anche un po’ in giro sia il dottor Bruno Modo. Forse perchè anche lui, in quanto medico legale, “vive la morte” come pratica quotidiana in una sorta di assuefazione al dolore. E’ possibile che sia così?

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 14:35 da enrico gregori


Tessy, un’altra la cui stima è un fiore all’occhiello, come Carlo: è vero, la città (quella vera, quella che deve campare e non ha il tempo di ridere e ballare) è un personaggio principale, nella mia anima anche non narrativa. Sapessi che dolore, vederla cadere in pezzi e capire che è immortale ma perennemente moribonda.
Maria, io non credo che si possa amare di più o di meno. Ognuno ama secondo la sua natura, ed è quella che trattiene pezzi d’amore o lo lascia passare tutto intero. Ricciardi ama sottraendosi, Enrica aspettando con quieta determinazione, Livia intestardendosi. Sempre amore è. Forse, tutti sbagliano. Ma sempre amore è.
Enrico, conosci Ricciardi dall’interno e sai bene che Modo è in qualche maniera un alter ego di Ricciardi; per inciso, sapessi quante volte ho maledetto me stesso per avergli dato questo nome che mi rende impossibile inserire l’omonimo sostantivo nella stessa frase. La morte è una compagna di vita per entrambi; uno lo sa dell’altro, l’altro lo sente dell’uno.
Modo è uno dei miei personaggi preferiti, se mi posso consentire il vezzo.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 15:04 da Maurizio de Giovanni


ma sì, vezzeggiati :-)

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 15:06 da enrico gregori


@maurizio
esiste anche un posto che scegliamo, no? mi sembra che ci siano varie possibilità, a questo punto: la tua ipotesi, che l’unico posto è quello che ci assegnano gli altri; l’ipotesi di Renzo, che il posto ci è assegnato per destino e nessuno può sottrarsi. Ma se così fosse, la scelta dell’uomo non esiste, non esiste la libertà individuale. In entrambi i casi, ci si sottrae alla scelta, e quindi a scegliere il proprio posto, delegando agli altri o al destino. Anche quella rinuncia in realtà è una scelta, è una delega, un modo per dire io non c’entro, lo hanno fatto gli altri per me, lo ha fatto il destino. Non è giusto: nei confronti di se stessi, degli altri e nemmeno nei confronti del destino (chiamatelo Dio o come vi pare).

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 15:48 da giorgia


ah, e poi c’è la quarta ipotesi… quella di salvo… il cimitero come posto giusto collettivo (e molto democratico)… Mitico Salvooooo!!! :-)

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 15:49 da giorgia


Giorgia, nessuno ha un posto di per sè. Nel posto ti ci mettono gli altri: sei un extracomunitario, sei un povero, sei uno straccione, sei una escort, sei un terremotato. E invece sei un uomo, con amori, dolori, petali e lacrime, un essere fatto di sogni e di frustrazioni.
Il problema è: quanto conti, nello sceglierti il posto?
Il titolo l’ho dato proprio per questo: il posto di ognuno non c’è. E se c’è, lo sa solo l’ognuno.
Molto riguarda anche la trama del romanzo, ed essendo un giallo non posso dire perché.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 16:01 da Maurizio de Giovanni


@Salvo: su quello non ci piove, ma non è detto che tutti finiscano lì..

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 16:04 da Renzo Montagnoli


E comunque, Salvo ha risposto come avrebbe risposto Ricciardi. Né più né meno.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 16:05 da Maurizio de Giovanni


e allora Ricciardi merita di essere conosciuto!
comunque, scherzi a parte, esiste un posto che non è solo in relazione agli altri. Su quello è vero, la societò conta molto, conta la nascita, il momento, il luogo, il nome e anche l’aspetto. Però esiste un posto che si potrebbe definire un non-luogo, ed è quello che ognuno è dentro, riguarda quello che siamo, chi siamo, chi vogliamo essere. In questo, spero che ci sia uno spazio per la volontà e responsabilità individuale. Anche se, devo riconoscere, forse hai ragione: questo lo sa solo “ognuno”.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 16:32 da giorgia


due “sviste” alle quali riparare, col permesso di maurizio.
un saluto a Tessy Scibona. che non “incontravo” da parecchio e un complimentone a Morena per l’efficace intervista

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 17:32 da enrico gregori


@ Carlo:
grazie della tua lettura. Il merito va a Maurizio e alla sua scrittura.

@ Enrico: grazie.

Vorrei parlare ancora della scrittura di Maurizio. La bellezza di certi passaggi è dovuta anche alla musicalità del testo. Il susseguirsi delle frasi, il rincorrersi degli eventi da una casa all’altra, da un personaggio al successivo, ha una perfezione che non può e non deve passare inosservata.
“Il posto di ognuno” unisce una bella storia e una scrittura adeguata, altrettanto bella.
Trovare tutto in uno stesso romanzo non è sempre facile.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 17:45 da morena fanti


@Maurizio. Se io e Ricciardi ragioniamo alla stessa maniera, allora hai creato un genio. Non ho più dubbi. Mi faccio regalare da Morena tutta la serie, crepi l’avarizia.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 20:03 da Salvo zappulla


Innanzi tutto un grande in bocca al lupo a Maurizio per il suo romanzo- che mi ripropongo di leggere quanto prima…-.maurizio lo conosco di vista,pur essendo della stessa città,però mi ha colpita per la sua gentilezza e semplicità con cui un giorno si è alzato a darmi la mano e i complimenti per una minuscola cosa scritta da me.
I migliori auguri!
L’amore non può risparmiarci dal dolore,in nessun caso,ma l’amore secondo me dovrebbe sempre e per sempre proteggere l’essere amato a costo di sacrificare se stesso.E’ una bomba piena e pronta per scoppiare e ferire in mille frammenti chi si ama,eppure può essere disinnescata solo da se stesso e nell’istante della sua rinuncia trovare il proprio profondo significato.
Non esiste un posto per ognuno di noi.E’ tutto falso e vano,è il riflesso dello sguardo altrui, del desiderio come dell’odio,è l’illusione del posto “sicuro” per cui ogni essere umano sarebbe disposto a barattare se stesso,io credo di essere qui fin quando gli altri mi restituiranno l’immagine di me.Il senso quello vero di noi stessi,della vita è sempre altrove.Noi esistiamo perchè quel posto non lo troviamo mai,il senso è nella ricerca.
un abbraccio

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 20:03 da francesca giulia


Un caro saluto e i miei complimenti anche a Morena per la sensibilità messa nell’intervista a Maurizio.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 20:07 da francesca giulia


Cari amici, vi ringrazio di cuore (tutti) per i numerosi commenti.
Ne approfitto per ringraziare, ancora una volta, Morena Fanti per la bella recensione e l’ottima intervista e Maurizio de Giovanni per la partecipazione a questo dibattito.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 21:46 da Massimo Maugeri


Mi piacerebbe ringraziarvi tutti, uno per uno (come faccio spesso), ma – accidenti – i commenti pervenuti sono davvero tanti.
Be’… come se fosse, eh:-)

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 21:48 da Massimo Maugeri


In merito alla domanda qual è il “posto di ognuno”?… mi è venuta in mente una famossisima citazione (che senz’altro conoscete già), una delle mie preferite.
La inserisco nel commento che segue.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 21:51 da Massimo Maugeri


L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è gia qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
-
da “Le città invisibili”, di Italo Calvino

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 21:51 da Massimo Maugeri


Ecco, forse il “posto di ognuno” è proprio quel chi e che cosa in mezzo all’inferno, non è inferno. A noi il compito di farlo durare, e dargli spazio.
Non so se siete d’accordo…

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 21:53 da Massimo Maugeri


@ Maurizio de Giovanni
Credo che la maggior parte dei commentatori li conosci già.
Forse non hai mai incrociato la Giorgia dei commenti precedenti: è Giorgia Lepore, anche lei scrittrice (autrice del romanzo “L’abitudine al sangue” – Fazi editore). Dettagli, in questo post:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/07/26/dibattito-sul-romanzo-storico-andrea-ballarini-rita-charbonnier-marco-salvador-cinzia-tani/
Ecco, così vi faccio conoscere…
:)

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 21:58 da Massimo Maugeri


@ Maurizio de Giovanni
Una domanda (che probabilmente ti è già stata rivolta):
qual è il posto della scrittura, nella tua vita?

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 21:59 da Massimo Maugeri


Altra domanda per Maurizio…
Premesso che il dolore è un inevitabile compagno di viaggio per tutti noi, il dolore del commissario Ricciardi riesce ad assorbire un po’ del tuo, ad alleviarlo?

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 22:05 da Massimo Maugeri


Per il momento, chiudo qui.
Auguro a tutti voi una serena notte.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 22:06 da Massimo Maugeri


massimo, sono in incognito… :-)

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 22:25 da giorgia


e comunque, è stato un piacere conoscere Maurizio. Il libro mi intriga molto.
Mi piace questa cosa che Ricciardi “vede” le persone nel momento in cui muoiono. Forse è come se gli venissero affidate. Condividere la morte di qualcuno è un estremo gesto d’amore. In questo senso, chiederei a Maurizio, l’amore di Ricciardi non è solo per una o più di una donna, è qualcosa di un po’ più profondo, forse?
Questo credo che c’entri con il legame tra amore e dolore. Non nel senso che chi ama spesso dà anche dolore all’oggetto del suo amore, (che può essere, ma allora continuo a pensare che non si tratti di amore ma di possesso); ma nel senso che chi ama prova dolore, a prescindere dall’essere ricambiato o meno. Penso che non esista amore senza dolore, perché chi ama prende su di sé il dolore della persona amata, e così lo fa suo, lo sente, lo condivide. È uno degli aspetti più incredibili dell’amore, prendere su di sé il dolore dell’altro. Esiste una parola nella nostra lingua che però ha perso il suo significato pregnante ed originario (come molte parole, del resto), appiattita dalla consuetudine: compassione. Che non vuol dire provare pena, pietà (ma anche sul senso di pietà ci sarebbe molto da discutere), ma “sentire insieme”, soffrire insieme. Una delle forme più alte d’amore.
Forse per questo il nostro amore è imperfetto, ed è una fortuna; perché se fosse perfetto, allora sarebbe immenso anche il nostro dolore per gli altri, e questo noi non potremmo mai sopportarlo, ne rimarremmo schiacciati.

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 22:29 da giorgia


no, è che nel frattempo sto correggendo un articolo sulle anfore tardoantiche in Puglia e dopo un po’ le anfore mi fanno un po’ delirare…

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 22:30 da giorgia


Maurizio, oltre che scrittrice Giorgia è anche archeologa.
Ecco, così ti smaschero del tutto. :)

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 22:35 da Massimo Maugeri


Buonanotte a tutti.
(Stavolta davvero).

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 22:36 da Massimo Maugeri


non è giusto, tu vai a dormire e io sto con le anfore…
‘notte

Postato giovedì, 17 settembre 2009 alle 22:37 da giorgia


Che post! e che risposte profonde alle domande di Massimo!
Mi hanno messo in crisi. Sì, in crisi perché ero convinto che a ciascuno di noi sia toccato in sorte un posto che mai avrebbe voluto occupare. Dal momento che – secondo la mia convinzione – coloro che si accontentano del proprio posto, per me non hanno granché da sognare, non hanno insomma orizzonti in cui riporre un desiderio capace, se soddisfatto, di dare la felicità a sé stessi, innanzitutto, e magari anche al prossimo.
Certo, bisogna accontentarsi o, peggio, rassegnarsi, perché c’è sempre chi invidia il nostro posto, la nostra salute, i nostri quattro soldi, la nostra giovinezza, il luogo o la nazione o il continente in cui siamo nati. In altre parole, c’è sempre chi sta peggio ma molto peggio di noi. E in effetti è così. Come

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 02:08 da Anonimo


- Riprendo dall’interruzione involontaria, chiedendo venia.

Come, dicevo, c’è sempre chi sostiene quanto sosteneva il duca di Camparino nell’ultimo romanzo di Maurizio de Giovanni – scrittore che apprezzo anche per il colore intenso, vivido, con cui dipinge le sue narrazioni -, ovvero: “Un uomo muore nel momento in cui non significa più niente per nessuno”.
Ma io aggiungerei: “per nessuno, neppure per il suo dio”. Perché basta un’ispirazione, oppure un’illusione, un fine pregno di misticismo per far rinascere un individuo, facendogli sopportare perfino gli inganni o i dolori più atroci.
Per finire, a Maurizio de Giovanni vorrei chiedere – dato il tema – che posto il commissario Ricciardi avrebbe ambito nella vita. Sempre un posto nel commissariato di polizia? Lo chiedo per capirne profondamente la psicologia.
Un saluto cordialissimo a tutti gli intervenuti.

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 02:30 da Ausilio Bertoli


Grandissimo Maurizio e grandissima Morena. L’intervista, per chi come me ha la fortuna di conoscere Maurizio, e’ una fotografia estremamente fedele dell’autore e del libro. Ho adorato questa terza avventura del commissario Ricciardi. La progressione e la crescita di questo personaggio, romanzo dopo romanzo, e’ tangibile e conferma cio’ che ho pensato fin dalle prime righe del primo libro: Maurizio de Giovanni e’ un grande scrittore.
Io non credo che esista un posto per ognuno di noi. Anzi, probabilmente il senso stesso della nostra esistenza e’ trovarcelo, quel posto. Scavarlo con le unghie, strapparlo con i denti, difenderlo. Chi riesce a crearsi quel posto, a trovare una collocazione, in sostanza a lasciare un segno, e’ colui che non muore. La riflessione presente nel romanzo:

“Un uomo muore nel momento in cui non significa più niente per nessuno”.

ne e’ la dimostrazione e si incastra perfettamente alle mie riflessioni di questi giorni in cui ricorre il quindicesimo anniversario della morte di mio padre. Ecco, lui il suo posto se l’e’ guadagnato, ha messo radici nel cuore mio, di mia sorella, di mia madre e di molti altri che ancora oggi lo rimpiangono. Il che’, in un certo senso, equivale ad una piccola, grande immortalita’.

Un abbraccio a Maurizio.

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 08:26 da Laura Costantini


Grandissimi entrambi, come dice Laura.
Sono presente, leggo, anche se non entro nel merito.
é davvero un arricchimentoo continuo qui da Massimo.
cari saluti a tutti

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 09:41 da cristina bove


Credo che la risposta all’interrogativo del male che si pongono Filippo e Amelia Corsi, del male inguaribile, del male distruttivo, e del rapporto tra male e amore, sia evangelica. L’opposizione tra male e amore è nella gramigna che viene lasciata in mezzo al grano, è nella messe ora nera ora dorata che viene raccolta insieme, è nella provocazione.
Il male, come il dolore, è sempre una provocazione. A cambiare le modalità dell’amare. Da avere ad essere.
Questo delicato passaggio, questa traversata come fra due vette d’onde del mar Rosso, è l’approdo.
Trasformare. Trasformarsi.
Il male, come il dolore, non è che un mezzo.
E l’arte è la traccia di questo sforzo, la mano tesa a lasciarne segno.
La poesia dell’uomo è trasmigrare. Chiamare. Invocare quello che potremmo essere e non siamo, quello che ci manca, quello che – in realtà – cerchiamo. Una modalità di noi che solo nel sogno, e nell’imperdibile attimo del risveglio, forse si compie. Anima, stelle.
La conquista della nostra identità ( e, con essa, delle corrette modalità dell’amare) passa dolentemente dalla nostalgia del cielo. O anche da quella finestra illuminata, dietro la quale c’è chi sa attendere.
Per questo credo che Ricciardi, alla fine, non si opporrà più all’amore nè al miraggio che sia davvero possibile preservare l’uomo, qualsiasi uomo, dal male. Nemmeno da quello che viene da noi stessi.
Ancora bravissimo, Maurizio.

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 11:10 da simona lo iacono


@Massimo: una delle cose meravigliose che succedono a Letteratitudine (Maugeri santo subito), forse la più importante, è l’incontro con menti e sensibilità che la vita comunemente concede con troppa parsimonia: Giorgia è un ulteriore gran regalo, di questo ti ringrazio. Molte delle più belle amicizie che ho trovato nella scrittura abitano qui, forse proprio Letteratitudine è il posto di ognuno di noi.
@Sempre Massimo: la scrittura si allarga, a macchia d’olio. Lo sai, in che modo. Comincia strisciando, pensi di poter smettere quando vuoi, di dominare il vizio, e poi ti ritrovi con pezzi di dialogo e descrizioni di luoghi che s’infilano nei pensieri quotidiani, e ben presto sei uno zombie dotato di taccuino, con l’aria perennemente dissociata.
Ricciardi assorbe molto del mio dolore, poverino. E si fa carico di altre forme di sofferenza del tutto nuove, che prima non c’erano nemmeno negli incubi.
Forse Ricciardi è il mio incubo, né più né meno. Gli altri scrittori trasferiscono i sogni, e io un incubo.
@Ausilio: grazie delle bellissime parole, che apprezzo moltissimo. Il posto di Ricciardi è una bella questione: lui è l’unico abitante di un territorio di confine tra i vivi e i morti, l’unico che ha la percezione di entrambi e non interagisce con nessuna delle due categorie. La polizia era l’unico lavoro che in qualche maniera gli consentiva di porre rimedio, se non al dolore, almeno alla causa generante dello stesso. Ma il suo senso di giustizia è ben diverso da quello del diritto sociale, e a volte le vittime sono colpevoli e i colpevoli vittime, per cui la sua azione non è quella che ci si aspetterebbe da un poliziotto.

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 11:55 da Maurizio de Giovanni


@Tutti quelli che non hanno letto i miei libri: non date retta a quello che dicono Laura (ciao, piccoletta!), Enrico, Simona, Cristina, Massimo; il loro giudizio è ottenebrato dall’affetto che hanno per questo scalcinato autore.
Che comunque è la metà di quello che lo scalcinato autore nutre per loro.

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 11:58 da Maurizio de Giovanni


La Vera creazione di un personaggio letterario è evento raro.
Maurizio de Giovanni ha dato vita a una creatura reale, alla quale ti leghi e che ti sembra di conoscere da sempre.
Il Commissario Ricciardi ti seduce, tra le sue ombre. Personalità triangolare, angolosa.
Uomo che, diversamente da tutti gli altri, è abituato a scorgere ultravioletti e infrarossi che feriscono l’occhio.
Uomo solo, siglato a fuoco da una condanna.
Destinato alla disperazione se non avesse accolto “l’istanza, per alleggerire quel peso. Nel mondo dei vivi, per seppellire i morti”.
Maurizio de Giovanni cattura il lettore con lacci d’inchiostro e lo conduce al centro esatto della storia.
E tu sei lì.
Ti muovi tra i personaggi. Vivi.
Ne ascolti le parole, ne intuisci i pensieri.
Grazie, Maurizio.

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 14:44 da Andreina Doria


Grazie a te, tesoro. Scrivere sapendo di essere letti come mi leggete tu e Morena vale più di uno Strega.
Assolutamente.

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 15:04 da Maurizio de Giovanni


@maurizio
:-)
se passi dalle mie parti (martina franca) fammi un fischio… così poi ti faccio un interrogatorio di terzo grado. Sai com’è, tra “dissociati”, magari ci capiamo…
a proposito: condivido il senso di giustizia di Ricciardi. Colpevoli, vittime… Siamo tutti complici.

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 15:12 da giorgia


Giorgia, il mio direttore editoriale (Mario Desiati, chissà se fa un giro da queste parti per un commentino) è proprio di Martina, come saprai già. In generale la Puglia è la regione dove Ricciardi è meglio accolto, e sarei veramente felice di venirci ancora una volta. Chiederò alla Fandango di organizzare qualcosa dalle tue parti.

Grazie.

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 15:18 da Maurizio de Giovanni


sarò in prima fila…. e porto gli amici, ovvio. anzi, ti invito anche a cena. Se ti fidi della mia cucina…
salutami mario

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 15:23 da giorgia


Mi scuso per la mia assenza ma sono impegnata fuori casa in questi giorni.
Ho letto tutto ma non posso rispondere a tutti.
Vi saluto con molto affetto, soprattutto Ricciardi che è così affascinante (non me ne voglia la cara Enrica).
Un grazie particolare a Laura che sono certa ha apprezzato particolarmente proprio perché conosce bene l’opera di Maurizio.
E grazie a tutti, per i complimenti e i commenti.
Ciao Maurizio

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 15:36 da morena fanti


Mauri’, nun fa ‘o pulicenielle. quanne che ho lett’ o primme romanze tuoie, nun t’acconosceve e me piacette assaje.
ps: m’a so’ cavata cor napoletano?

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 15:48 da enrico gregori


Ho letto tutti e tre i libri di Maurizio De Giovanni e mi sono molto cari. La Napoli che descrive Maurizio, anche se lontana, mi appartiene per diritto di nascita e per le memorie storiche tramandate a noi abitanti all’ombra del Vesuvio. Ma non è solo questo. Ne riconosco e amo gli odori, gli umori, la passionalità nascosta attraverso la lucida analisi dei personaggi. E il dolore…soprattutto quello corre sulla mia pelle. Lo sento, lo condivido. E non si tratta solo di storie a sfondo “noir”, con tutto il rispetto per il genere. A mio avviso si parla di vita. Di uomini e donne che per il tramite della narrazione rappresentano i fatti della vita e della morte, naturalmente. Come è nell’ordine delle cose. I romanzi di Maurizio hanno un respiro ampio e ritmo. Ascrivo ad essi una grande suggestione, coinvolgimento, pathos. Sarà che quando vado al Gambrinus vedo il Commissario Ricciardi seduto al tavolino a prendere il caffè e la “sfogliatella”? O sarà che lo incontro spesso nelle strade assolate o fredde del groviglio del Centro Storico? Ti abbraccio Maurizio. Delia Morea

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 15:51 da Anonimo


Delia conosce la città, conosce l’aria del mare com’è d’inverno, lo spirito dei vicoli e delle piazze, conosce la mia anima; è una raffinata e delicata scrittrice.
Quindi conosce Ricciardi, da prima che nascesse.
Un bacio a te, mia carissima.

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 16:04 da Maurizio de Giovanni


Il problema è che le stagioni sono quattro e che ormai il prossimo è relativo all’ultima, l’autunno.
Maurizio, avessi fatto almeno i “mesi” del commissario Ricciardi!

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 18:51 da Renzo Montagnoli


Un bacio anche a te al tuo straordinario Ricciardi. “Il posto di ognuno” è un romanzo bellissimo, intenso e umano con tanti significati sottesi e con un ordito perfetto. La tua scrittura forte e ricca, vive, circonda, accompagna e coinvolge chi legge. Credo che la scrittura rappresenti una necessità per chi scrive ma anche per chi legge e in questo caso ci siamo. A presto. Delia

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 19:20 da delia morea


Eccomi qui. Vi ringrazio tutti per i nuovi e stimolanti interventi.

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 22:14 da Massimo Maugeri


@ Maurizio
L’unica cosa che ho in comune con i santi è il mio secondo nome (che è, appunto, Santi) :-)

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 22:20 da Massimo Maugeri


Per quanto riguarda Letteratitudine… be’, questo blog nasce come luogo d’incontro (tra, ecc. ecc.), e questo rimane uno dei suoi fini principali:-)

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 22:22 da Massimo Maugeri


Questa tua frase sul “vizio” della scrittura mi ha fatto sorridere, Maurizio: “… poi ti ritrovi con pezzi di dialogo e descrizioni di luoghi che s’infilano nei pensieri quotidiani, e ben presto sei uno zombie dotato di taccuino, con l’aria perennemente dissociata”.
È proprio vera!

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 22:23 da Massimo Maugeri


Un ringraziamento e un saluto di benvenuto ad Andreina Doria .

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 22:25 da Massimo Maugeri


@ Giorgia e Maurizio
Va be’ che vi ho fatto conoscere (ne sono lietissimo), ma siamo già agli inviti a cena? :)
Scherzi a parte, un paio di giorni fa ci siamo sentiti telefonicamente con Mario Desiati e gli avevo preannunciato la pubblicazione di questo post (ma so che è ultracoinvolto nei suoi impegni editoriali).

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 22:28 da Massimo Maugeri


Cara Giorgia, a proposito di Martina Franca e Mario Desiati… da’ un’occhiata a questo post (dove Mario è stato ospite di Letteratitudine):
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/06/il-paese-delle-spose-infelici-di-mario-desiati/

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 22:30 da Massimo Maugeri


Per chi passasse da queste parti solo adesso, rimetto in evidenza le domande generali del post (proposte su alcuni dei temi trattati dal romanzo “Il posto di ognuno” di Maurizio de Giovanni)…

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 22:35 da Massimo Maugeri


Per il commissario Ricciardi l’amore, quello vero, non vuole mai il male della persona amata: “(…) si dovrebbe riparare dal male l’oggetto del sentimento, anche se il male è proprio in chi si ama. Soprattutto se il male è in chi si ama. […] e quindi, nel suo caso, doveva mantenere Enrica lontana dalla sua maledizione, dal dolore selvaggio e terribile di cui era portatore”.
-
Cosa ne pensate? Siete d’accordo sul fatto che bisogna riparare dal male l’oggetto del sentimento, anche se il male è proprio in chi si ama?
E quando ciò non è possibile?
Bisognerebbe rinnegare l’amore, o continuare ad amare?
Che rapporto c’è tra amore e dolore? È un rapporto imprescindibile? Esiste amore senza dolore?

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 22:36 da Massimo Maugeri


Il duca di Camparino afferma che “Un uomo muore nel momento in cui non significa più niente per nessuno”.
-
È davvero così? Fino a che punto è vera questa frase? Fino a che punto è essenziale significare qualcosa per qualcuno?
E qual è il “posto di ognuno”?
Esiste “un posto”, per il quale siamo stati “predestinati” (e che magari ricerchiamo disperatamente)?
O è solo una pia illusione? Un luogo chimerico?

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 22:36 da Massimo Maugeri


Bene. Vi auguro una serena notte.
E che ognuno sogni il suo posto!
;)

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 22:38 da Massimo Maugeri


Maugeri, perchè non vai in quel posto?

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 22:47 da Salvo zappulla


Io ormai rifuggo il Gambrinus, dal primo momento in cui ebbi l’onore di leggere la prima edizione del “Ricciardi” direttamente dal “file” che mi spedì Maurizio – molti di voi lo ricorderanno, perchè fui accusato nella prima edizione del “Letteratitudine Book Award” di giocare sporco, di presentare un libro due volte editato, ora non ho letto venie in proposito – non ci vado perchè ho paura di rompere quell’atmosfera magica, quel surplus incantevole che vi ricreò Maurizio.
L’altro giorno sono dovuto andare, per offrire un caffé ad un mio nipote americano, venuto apposta per conoscere questo, che, con il “Pedrocchi” di Padova, il “Florian” di Venezia e “Le Giubbe Rosse” di Firenze (dove vi fu l’incoronazione degiovannea) è il più bel caffé dell’universo.
Per un attimo, con l’umbratilità del tramonto che uccide Napoli – perchè Palepoli è città di sole – ho creduto di vedere Maurizio e Ricciardi seduti insieme, non ho visto chi dei due interrogava l’altro, ma credo Maurizio.
Ciao, amico mio.

Postato venerdì, 18 settembre 2009 alle 23:46 da Francesco Di Domenico Didò


cosa avevi bevuto, didò?

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 00:49 da enrico gregori


Massimo, grazie per il benvenuto. Felice di essere qui. Davvero.
Per quanto riguarda la tua domanda: “Cosa ne pensate? Siete d’accordo sul fatto che bisogna riparare dal male l’oggetto del sentimento, anche se il male è proprio in chi si ama?”
Uhm…io credo che se è amore è, debba essere naturale riparare dal dolore chi si ama. Soprattutto se il male risiede proprio in chi ama…Come dire…Nello specifico, Ricciardi è abitato dal dolore, sezionato; il dolore lo osserva attraverso i suoi stessi occhi, quegli occhi che ne scorgono la sua sembianza più feroce e estrema. Nessun luogo per lui è riparo, quanto meno la sua anima, il suo sentire, il suo amare.
Il respiro del dolore gli soffia dritto nell’anima.
Eppure continua a amare, senza chiamare per nome l’amore…senza emettere voce, il suo fare lo dichiara.
Ricciardi è uomo di lealtà e rigore, non coinvolgerebbe mai Enrica nel suo mondo troppo spesso buio. A questo punto, toccherebbe a Enrica… La mite e dolce Enrica che però quando vuole sa essere ben tosta.
O Livia?

@ Maurizio…il paragone con lo Strega! Ma grazie grazie grazie!

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 01:36 da Andreina Doria


@Gregò,
è da un pò che ti vedo sobrio, io ho paura delle crisi di astinenza.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 01:38 da Francesco Di Domenico Didò


Come al solito sono in ritardo. Dovevo comunque passare per rendere omaggio all’autore che non ho ancora avuto la fortuna di conoscere di persona, ma è come se lo avessi frequentato per anni. Forse i suoi libri hanno costruito questo legame che potrei chiamare amicizia. Non so bene come rispondere alle domande poste perchè non credo ci possa essere soluzione di continuità tra dolore e amore. La vita è costantemente impregnata di entrambi ed è solo per un nostro limite che cerchiamo di distinguerli. Quello che fa la differenza è l’intensità. La difesa di chi amiamo è indispensabile, certo. Eppure…da chi o da che cosa ? Forse anche noi dovremmo difenderci da noi stessi quando siamo portatori di dolore. L’amore è la cura.
Un caro saluto a tutti i frequentatori del blog ed un abbraccio a Massimo.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 07:55 da eventounico


Buona giornata a tutti. E un abbraccio a te, caro Eventounico.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 08:45 da Massimo Maugeri


Sono approdato per caso e sono rimasto affascinato da questo doppio sogno: Letteratitudine e Ricciardi.
Grazie.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 10:56 da Santo Ruotolo


gentile de giovanni, il suo personaggio mi incuriosisce. e anche la storia. ho visto che su altri post di questo blog gli autori offrono un brano tratto dai loro libri. sarebbe possibile anche con questo suo? grazie.
a. mollica

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 15:32 da antonio mollica


Un uomo muore solo quando muore. Fino a quel momento significa sempre qualcosa per qualcuno. In terra o in cielo.
un abbraccio
Elisabetta

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 16:00 da elisabetta


In merito alla morte, beh, anche se di sicuro moriranno persone che non significano più niente per nessuno, disgraziatamente ne muiono molte, ma molte, che significano veramente tanto per chi lasciano. Certo, chi se ne va in silenzio, nella solitudine, può fare tenerezza, può far pensare alla società che mette da parte, però mi sento di dire di essere d’accordo con Elisabetta.
Sull’amore. Non so se si potrà mai arrivare a una decisione. In effetti l’amore è una trovata abbastanza geniale della nostra evoluzione per permettere alle persone di sesso opposto di riprodursi e di allevare con buon esito la prole. Anche se adoro le poesie d’amore, resta sempre la parte di etologa che mi mette sul chi va là. Noi umani non siamo una specie estrale, la gravidanza è lunga e l’inettitudine della prole dura decenni. Quindi, come tenere vicino il maschio, capace di difendere la femmina in gravidanza e poi il bambino? Ecco l’amore. Come impedire che la femmina si faccia fecondare da altri? Ecco l’amore. Poi l’animale culturale che siamo ha anche aggiunto di suo, inserendo il concetto di famiglia, di norma maschilista. Insomma, nel nostro genoma dovrebbe essere implicito che per far sì che il nostro patrimonio genetico sia preservato, cioè che i nostri discendenti sopravvivano, si difenda chi si ama. Se poi c’è chi devia dalla norma, beh, i tiggì ne sono pieni. Io personalmente tenderei a difendere chi amo in ogni caso. Anche se so che in teoria lo faccio solo per una biochimica che deriva dall’evoluzione che la mia specie ha fatto.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 16:39 da Barbara Becheroni


1.Al di la della cornice del romanzo, quando penso a questioni tipo: non le/gli ho detto la verità per proteggerla/lo, ahò io non ci credo mai all’amore puro. Dev’essere che non ci credo mai a prescindere: l’amore puro ha del divino, del platonico, il nostrano è ammischiato, storicizzato vissuto. La protezione dal male è anche una forma di egoismo, un non saper tollerare il dolore negli occhi di un altro, ma mica per bontà per debolezza. La protezione dal male è anche un atto di profonda aggressione, e arroganza, perchè fa mettere in una posizione asimmetrica, chi sa vs chi non sa, e in questa posizione asimmetrica protegge qualcuno dal suo diritto alla consapevolezza, e anche del suo diritto a giocare la storia con tutte le carte. In un certo senso ne manipola il destino.
Penso per esempio a mio nipote, adoratissimo. E alla teoria di chi suggeriva di non fargli sapere che era stato adottato. Penso, ai mariti che non dicono alle mogli che hanno avuto una brutta diagnosi. Il non dire davvero è sempre altruismo? Qualche volta è fuga. Qualche volta è arroganza. Cose umane che non condanno, e che spero di non dover mai considerare, ma potrebbe accadere, ma insomma mica è detto che sono appun to segno di amore e altruismo.
Anche perchè il non dire, tiene qualcosa fuori dall’amore. La parte di noi non detta, è quella che evidentemente non ama. Se no si dichiarerebbe.
2. La frase sul significato è molto bella, ma non lo so se si è solo perchè ci vedono gli altri.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 16:59 da zauberei


Mio caro signor Mollica, le allego una paginetta di presentazione che scrissi, a nome di Ricciardi, per un incontro a Roma. E’ una cosa insolita, perché i libri sono in terza persona; ma è anche inedita (a parte un racconto che forse Renzo ricorderà) e forse sarà gradita agli amici di Letteratitudine. Ecco a voi…

Potessi dirlo, direi così: mi chiamo Luigi Alfredo Ricciardi, e vedo i morti.
Se lo dicessi, mi guarderebbero fisso, accennerebbero di sì con la testa. Si guarderebbero attorno, preoccupati, valutando la via di fuga o i tempi di un aiuto. Farebbero forse un’incerta risata, ma negli occhi probabilmente manterrebbero una vaga paura. Quando si parla di morte, la gente ha paura.
Di questi tempi, poi, con questi strani individui che hanno cambiato perfino il calendario e chiamano anno nono il millenovecentotrentuno, e camminano tirando calci all’aria, la paura ha tanti colori; e uno che va dicendo che vede i morti, magari lo sbattono dentro, o lo arruolano e lo fanno generale.
Comunque, io non lo dico. A nessuno. E non l’ho mai detto.
Vedo i morti ammazzati, o per incidente, con violenza in-somma, all’improvviso. Li vedo sul posto dov’è successo, per un tempo variabile, dieci giorni, un mese, anche due: vanno sbiadendo come un ricordo, allontanandosi un poco alla volta da questo schifo di mondo dal quale sono stati strappati.
Li vedo con le ferite e il sangue, ma con l’espressione dell’ultimo sguardo, che ripetono l’ultima metà del pensiero che la morte ha amputato, continuamente, con lo stesso tono e le stesse parole. Come un pezzo di queste nuove pellicole col sonoro, che proiettano nei cinematografi e le donne piangono e gli uomini sorridono. Sempre la stessa pellicola. Pensateci un po’, a essere legati a una sedia davanti a uno schermo che ripete sempre la stessa scena, all’infinito, ma con tutti i colori, anche quelli che non vorresti vedere: il rosa delle budella, il rosso delle interiora, il nero del sangue. Il grigio del cervello.
Si imparano tante cose, a vedere i morti, che il resto della gente non si immagina. Che il sangue pompato dal cuore ancora vivo da una ferita è nero, per esempio; che il cervello è liquido, quando cola da un cranio aperto da un martello. Che a continuare a parlare con i polmoni bucati si caccia dalla bocca una schiuma di bollicine, come la saponata per i pavimenti, ma rossastra, come il vino annacquato. E tante altre piacevoli cose, si imparano.
Potessi parlarne, qualcuno tra quelli non fuggiti mi chiederebbe forse come si fa a non impazzire. Risponderei che i bambini si abituano a qualsiasi cosa. Io la prima volta mi sono spaventato, a vedere uno seduto a terra in un giardino con un coltellaccio da potatore piantato in mezzo alla camicia nera di sangue e con la schiuma alla bocca, che mi raccontava che lui la mia donna (la mia? Ma se avevo cinque anni!) non l’aveva nemmeno toccata. Poi, un po’ alla volta, a forza di vedere bambini arrotati da carrozze, donne impiccatesi per amore, guappi squartati da rivali, ho imparato a camminare a testa bassa, canticchiando motivetti tra me e me per non sentire, o dando spazio a pensieri riposti.
Cresci con le tue abitudini: e sopravvivi. Certo, non sei come gli altri, e lo sai. Allora te ne stai per conto tuo, come il passero del poeta gobbo. Nel caso mio, non so perché, i compagni di collegio intuivano qualcosa di oscuro e mi lasciavano in pace, invece di sfottermi a morte come facevano con i ritardati o gli zoppi.
E dopo che sei cresciuto, cominci a chiederti che vuoi fare nella vita. E per forza, senza avere possibilità di scelta, devi fare il mestiere che faccio io. Per vedere di mettere a posto qualcosa, nel processo interrotto: per capire e mettere fine all’opera frettolosa della morte, che ha dovuto tagliare il filo con un unico morso, senza sciogliere tutti i nodi un po’ alla volta. Ho fatto il poliziotto, e ora sono il commissario della squadra mobile della regia questura di Napoli.
Tante altre cose le ho imparate camminando per questa città. Io vengo da un paese piccolo, della provincia di Salerno, senza pazzie e senza ricchezze: si muore per fame o per disgrazia. Qua invece la morte ha tante tinte, nessuna è uguale alle altre; la rabbia, l’odio, il rancore, la gelosia. Il fatto di stare tutti così vicini uno addosso all’altro, calpestarsi, urtarsi, il posto tuo lo voglio io, e ti levo da mezzo e me lo piglio. Sono pieni gli angoli, di quelli rimasti senza posto con un colpo di mazza in mezzo agli occhi, che si raccomandano senza sosta a un padreterno sordo. O piangono. O vogliono la mamma, la moglie. O ridono, perfino: e quando ridono, credetemi, è atroce.

Ecco, questo è Ricciardi.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 17:12 da Maurizio de Giovanni


@Maurizio. E’ una scrittura bellissima: diretta, armonica, porta subito dentro l’anima del personaggio. Complimenti di cuore.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 18:14 da Salvo zappulla


Qui addit scientiam, et addit dolorem…
A chi più sa, più spiace… chi ama a volte è il più consapevole, quello che si carica anche i pesi dell’altro. Questo è amare.
Il posto di ognuno… una frase evocativa al massimo grado.
In realtà l’essere non sta, ma è. L’essenza è come un profumo: non possiamo imprigionarla.
Altrimenti facciamo come il padre di quella diciottenne sgozzata perché amava un “infedele”.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 18:15 da Maria Lucia Riccioli


Bellissima la presentazione di Ricciardi…

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 18:32 da Maria Lucia Riccioli


wow… mi sa che la prima persona ti è molto congeniale…

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 19:22 da giorgia


@ massimo
è inutile che fai il “male pensante”… noi pugliesi siamo molto ospitali… :-)

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 19:24 da giorgia


@Giorgia. Veniamo in gruppo tutto lo staff di Letteratitudine (400 persone).

Tra noi ci sono molti reperti archeologici, così avrai anche materiale su cui lavorare.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 19:43 da Salvo zappulla


@Salvo: volevo dire che mi ricordavi un cratere attico…

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 19:57 da Renzo Montagnoli


ok… stavo giusto pensando di aprirmi un ristorante…
quanto ai reperti, io in genere li lavo, asciugo, disegno, fotografo, metto in busta, e ripongo sullo scaffale… dovrete stiparvi un po’…

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 19:58 da giorgia


@Salvo: servizio completo con lavaggio, asciugatura e fotografia, poi imbustamento e ti rispedisce a casa…

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 20:00 da Renzo Montagnoli


va be’, il cratere attico lo mettiamo come fontana in giardino…

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 20:10 da giorgia


@ Renzo. Bisogna trovare un sarcofago per il tuo trasporto.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 20:13 da Salvo zappulla


@Giorgia. Io ho lavorato alcuni anni al cimitero del mio paese, in fondo possiamo considerarci colleghi. Ho alcuni teschi dell’Ottocento messi da parte, magari te ne faccio omaggio.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 20:17 da Salvo zappulla


Dio, l’ultima è orrenda (la ritiro)

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 20:18 da Salvo zappulla


vuoi vendicarti del fatto che ti metto come fontana in giardino?

e comunque io i teschi li tratto bene, pennelli morbidi, bisturi, carta stagnola… gli dò pure il nome, in genere. Visto che qua siamo in tema di morti…. c’è chi li vede mentre muoiono, c’è chi li vede già belli e andati. Io li vedo già stagionati. Ma sono più simpatici…

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 20:23 da giorgia


@Giorgia: Salvo come fontana? Vedrei di più un bel fauno danzante, e poi, data l’età, il cratere attico è tutto sbrecciato…

@Salvo: mi sa che facevi ridere anche i morti…

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 20:30 da Renzo Montagnoli


E’ proprio il post adatto a Ricciardi e al suo autore: adesso anche i teschi… Direi: Il post di ognuno (mamma mia, chiedo scusa, mi è scappata).

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 20:32 da Maurizio de Giovanni


@Maurizio: sembra la famiglia Addams…

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 20:37 da Renzo Montagnoli


Renzo ci farebbe un figurone nella tua collezione, un teschio colto, dotato di ironia, e simpaticissimo. Si ci potrebbe attaccare una candelina sopra e utilizzarlo anche per l’albero di Natale.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 20:39 da Salvo zappulla


@Salvo: è un’immagine romantica…

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 20:54 da Renzo Montagnoli


@ Maurizio
è per farvi sentire più a casa, tu e il tuo commissario… e poi oltre i teschi possiamo parlare di tibie, peroni, clavicole, vertebre, decomposizione in ambiente chiuso e ambiente aperto, patologie varie… vasta competenza sull’argomento…

@Renzo e Salvo
mi sa che Maugeri ci sbatte fuori a tutti…
comunque, passando al ristorante, io c’avrei pure gente a cena… devo andare a cucinare!
cibo, morti, cucina, ossa…. avete mai mangiato un panino con mortazza alle 10 di mattina seduti sul’orlo di una tomba con lui che ti sorride in maniera disarmante?
è da provare!

baci a tutti!

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 20:55 da giorgia


Signori, leggere i vostri commenti è sempre uno spasso e Salvo è il mio eroe personale. Non ho capito assolutamente niente del libro presentato, ma per quello c’è l’ottimo post con tanto di recensione e intervista. Meno male! Grazie, Massimo!

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 21:27 da Rita Charbonnier


Ok. Abbiamo scherzato un po’, sul tardi è concesso.

@Charbonnier. Ci mancavi solo tu per completare l’opera. Sei arrivata come la ciliegina sulla torta per chiudere in bellezza la serata.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 21:37 da Salvo zappulla


Grazie a tutti per i nuovi commenti.
Credo che persino il serioso Ricciardi non riuscirebbe a non sorridere (vero, Maurizio?).
E confermo che qui a Letteratitudine c’è un reparto di reperti.
:)

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 23:18 da Massimo Maugeri


@ Maurizio de Giovanni
Grazie per il brano, Mauri’… la presentazione di Ricciardi in prima persona è bellissima.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 23:18 da Massimo Maugeri


Bene, bella gente.
Domani partirò per qualche giorno (per motivi tutt’altro che ludici o vacanzieri) e temo che non riuscirò a organizzarmi per pubblicare nuovi post.
Vi lascio questo (bellissimo, grazie a voi) con Maurizio de Giovanni e il suo Ricciardi: credo ci siano ancora margini perché la discussione possa continuare.
E poi ci sono i post precedenti. E “la camera accanto” per fare quattro chiacchiere o proporre argomenti per discussioni:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/08/18/la-camera-accanto-12%c2%b0-appuntamento/

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 23:24 da Massimo Maugeri


Vi offro un pensiero di Ricciardi (conil permesso di Maurizio e della Fandango):
“Ricciardi ironizzava spesso, quando gli raccontavano del cinematografo o dei libri dalla copertina gialla, in voga da un paio d’anni. Là tutto quadrava sempre, il detective trovava solo gli indizi che portavano alla scoperta del colpevole.
A lui non piaceva il cinematografo e leggeva pochi romanzi: non sopportava la finzione, quando si trattava di delitti. Pensava che ce n’era già più che abbastanza, di crimine, per inventarsene ancora”

-
da “Il posto di ognuno” pagg. 249-250

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 23:30 da Massimo Maugeri


Certo, verrebbe da chiedersi: cosa penserebbe Ricciardi delle storie del commissario Ricciardi?
:)
Buona domenica a tutti!

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 23:31 da Massimo Maugeri


Io mi accontenterei di sapere cosa ne pensi tu, caro Massimo; e come ti è sembrato “Il posto di ognuno”, se lo hai finito.

Un abbraccio.

Postato sabato, 19 settembre 2009 alle 23:57 da Maurizio de Giovanni


@Maurizio…bellissimo, Ricciardi!!! Davvero bellissimo. Se passa dalla Sicilia, digli che c’è una finestra accesa.

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 00:21 da simona lo iacono


ah, vedo che vi siete divertiti mentre io ero a lavorare ;)
Bellissimo il brano di presentazione di Ricciardi, Maurizio.

A proposito del nostro Luigi Alfredo: spero che stia lavorando ad una nuova indagine. Tu che lo conosci bene, Maurizio, ci sai dire qualcosa?

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 10:41 da morena fanti


Dolce Morena, so che l’autunno del 1931 sarà (è stato) molto, molto piovoso. Che quando piove questa città diventa anch’essa liquida, che tutto diventa indistinto, sfuggente, inafferrabile.
Che sotto questa pioggia battente, in un’alba di un lunedì di fine ottobre, un bambino e un cane aspetteranno su una panchina di pietra, di lato a una ripida scalinata che porta a un bosco, indifferenti all’acqua che non lava.
Che uno di essi è vivo e l’altro è morto.
E che Ricciardi sarà costretto a scavare in un’altra solitudine che non è la sua.
E che scavando in questa solitudine, sotto la pioggia battente, dovrà cercare un fantasma che non trova.
E che forse avrà, in mezzo a tuoni costanti e nella luce intermittente dei lampi, una dolcissima, terribile notte d’amore. Forse. O forse l’avrà sognata.
Ti basta?

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 11:24 da Maurizio de Giovanni


Le atmosfere piovose sono quelle che prediligo. E una Napoli autunnale è sicuramente fuori dai clichè, ma sicuramente più viva e vera di quella da cartolina che così spesso ci viene descritta (non da Maurizio, ovviamente). Mi sento già fortemente attratto da questa pioggia battente, da questa città quasi liquida, da questi fantasmi inafferrabili, da questi slanci di passione infine del commissario-riccio, reali o sognati che siano. Insomma, da questa quarta avventura.

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 13:02 da Carlo S.


Questa scrittura ammalia, apparentemente semplice, ha una musicalità straordinaria, frasi di grande effetto che rimangono impresse, “sarà costretto a scavare in un’altra solitudine che non è la sua”. Pochi aggettivi, nessuna similitudine (che sviano il lettore e lo portano lontano dal testo. Borges odiava le similitudini). Ricciardi trasmette tanta malinconia, sembra che si faccia carico di tutte le miserie del mondo, fino a rimanerne schiacciato, compresso sotto il loro peso. Leggerò al più presto i libri di Maurizio perchè sono convinto di aver conosciuto in questi giorni un grande scrittore.

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 13:44 da Salvo zappulla


Che carico che mi dai, Salvo. E se poi i romanzi non sono all’altezza dell’idea che ti sei fatto? Non puoi immaginare quanto mi piacerebbe avere un tuo parere, specie sull’ultimo.
Comunque grazie, e grazie a Carlo: la Fandango ha deciso di pubblicare il quarto nell’ottobre 2010, per dare spazio a “Il posto di ognuno” che grazie anche a voi amici sta andando bene in un modo non ipotizzabile precedentemente.
Ma voi sapete che un romanzo ti può anche scoppiare nella testa, tanti mesi prima.

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 14:04 da Maurizio de Giovanni


Perdonami la presunzione, caro Maurizio, ma ho fatto l’editor per Terzo Millennio e i testi li fiuto a naso. La tua è una scrittura particolare, colpisce subito, al primo impatto. Lascia il segno. Appena vado in città compro il libro e magari ci scrivo su una bella recensione per “La Sicilia” (sarebbe il minimo dopo averti rotto le scatole ieri sera con ossa e teschi. A proposito: gli ospiti di Giorgia pare siano finiti tutti all’ospedale. La nostra cara amica, ieri sera, per errore, ha servito nel caffé le ceneri del nonno al posto dello zucchero). )

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 14:23 da Salvo zappulla


Che meraviglia questa anticipazione, Maurizio. L’atmosfera è coinvolgente già da queste poche righe. Sarà una stagione degna del nostro Ricciardi.
Grazie.
E sono, ovviamente, curiosa di questa “dolcissima e terribile notte d’amore”.

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 14:37 da morena fanti


L’idea di un commissario che vede i morti è davvero geniale, oltre che molto forte. Come scrittore non teme di rimanere legato per sempre alla figura di Ricciardi, senza avere la possibilità di proporsi con altro?

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 16:23 da Rickie


@ Salvo
quanto sei cattivo, Salvo…. ora, per farti perdonare, come minimo dovresti fare una recensione anche a me… :-)

@ Maurizio
mi ricollego a quanto detto da rickie, ma da un punto di vista un po’ diverso… è difficile staccarsi da un “figlio” che uno ha dentro, nella testa, nel sangue… sembra quasi che abbandonandolo muoia qualcosa. E uno non ritorna più quello di prima. Ma non ti capita mai di volertene liberare?
Non ti capita di dire a Ricciardi: basta, stai zitto, non ti voglio più sentire, mi stai succhiando il sangue e io rivoglio la mia vita?

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 17:06 da giorgia


Sapete, Ricciardi è venuto fuori senza che io avessi mai scritto altro, e a un’età in cui non avrei mai creduto di poter pubblicare qualcosa. E’ titolare di un merito autonomo, come se il sottoscritto dovesse raccontare qualcosa che arriva da un altrove di cui è in qualche modo tramite.
Se dovessi continuare a raccontare del suo mondo mi farà piacere. E se dovesse venirmi qualcos’altro in mente (non è detto che non sia già accaduto), magari proprio Ricciardi e il suo successo mi consentiranno di proporla a qualche editore con possibilità di essere accettata. In un mondo in cui gente di grande talento, e ne ho conosciuta in questi quattro anni, ha tante difficoltà a farsi pubblicare, è già tanto, non credete?
Quindi, in ogni caso ringrazierò sempre Ricciardi per essermi venuto in mente.

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 17:22 da Maurizio de Giovanni


Capisco perfettamente quello che intendi.

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 17:45 da giorgia


@Giorgia. Fatti dare la mia mail da Massimo

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 18:09 da Salvo zappulla


@Giorgia: scherzi, una recensione da Salvo? Meglio passare i propri libri al Sant’Uffizio…

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 21:14 da Renzo Montagnoli


@Giorgia: comunque Salvo non è un pessimo recensore, questo per chiarire le cose, e te le dico io che scrivo molte più recensioni di lui, anche se adesso mi sono un po’ stufato a sfornare quelle dei molti libri letti quest’estate.

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 21:16 da Renzo Montagnoli


allora passa a quelli autunnali… potresti cominciare con me… poi vediamo chi dei due è più cattivo… io non sono una che si offende. Potremmo inaugurare un nuovo genere di recensioni: la recensione “semi-seria”, così almeno ci facciamo due risate. Voi siete i tipi giusti! :-) )

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 21:41 da giorgia


@Giorgia: sono serissimo quando scrivo di letteratura e accessori vari.
A parte gli scherzi, ho recensito e intervistato anche Salvo ed è stato un lavoro molto serio, tanto che abbiamo riso pur restando con i volti impassibili:)

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 22:25 da Renzo Montagnoli


@Giorgia:
Ecco il link alle mie 303 recensioni

http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=31

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 22:26 da Renzo Montagnoli


allora avete inventato la “risata impassibile”, nuova forma di arte drammatica…
ora mi documento sulla tua attività di recensore (o censore?… :-)

@Maurizio
cazzeggi a parte, volevo chiederti una cosa seria.
Sono rimasta molto impressionata dalla pagina di presentazione del commissario e mi piace molto la scrittura che usi là in prima persona. Però i romanzi sono scritti in terza (a proposito, l’ho preso e comincio domani!). Allora ti chiedo: visto che è Ricciardi che “ti è venuto in mente”, è Ricciardi che è venuto da qualche parte, come hai ben raccontato qualche riga più su, la narrazione impersonale ti è venuta così, automatica? ti è più congeniale? o è frutto di esigenze narrative? forse un giallo esige quel tipo di narrazione?

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 22:37 da giorgia


Cari amici, vi sto scrivendo da fuori sede… ma vi ho seguito con gusto.
Grazie per i vostri interventi e per la vostra simpatia.

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 23:00 da Massimo Maugeri


@ Maurizio de Giovanni
Caro Maurizio,
ti confermo tutto quello che ti ho detto stasera in occasione della tua chiamata.
“Il posto di ognuno”, intanto, è all’altezza degli altri due tuoi bellissimi romanzi.
Ciò premesso… io credo, caro Maurizio, che la scrittura sia innanzitutto carne e sangue, e poi mestiere. Le storie di Ricciardi sono intrise di carne e sangue letterario, e c’è pure mestiere.
La tua è una scrittura che trae origine dalla “necessità” (si vede, si sente). Per questo è efficace.
E per questo il commissario Ricciardi è un personaggio letterario destinato a rimanere.
Brindo a te per ciò che sai.

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 23:08 da Massimo Maugeri


Ancora grazie a tutti. Vi auguro una splendida notte.

Postato domenica, 20 settembre 2009 alle 23:10 da Massimo Maugeri


@Giorgia: credo che la prima sia adatta ai racconti, o ai romanzi di natura introspettiva, quando un’ottica soggettiva è utile a mantenere la prospettiva sempre sul protagonista. La terza aiuta nei romanzi di “ambiente”, quando si deve conferire una colorazione alla storia e uno sviluppo della stessa più corale. Il noir, che è appunto più che il giallo il genere di Ricciardi, è parecchio aiutato dalla terza persona proprio per dare dimensione all’ambientazione.
Almeno secondo me, è chiaro.
La presentazione di Ricciardi mi è venuta in prima, per dare in poche righe il senso della sua natura, della condanna e del dolore. Spero di essere stato sufficientemente chiaro, anche se a quest’ora non posso poi pretendere molto da me stesso.

@Massimo: grazie, fratello; soprattutto per il brindisi. E poi per essere stato “padrino” di Ricciardi fin dall’inizio.

Postato lunedì, 21 settembre 2009 alle 00:06 da Maurizio de Giovanni


Ehila gente, non mi posso allontanare un attimo che subito mi sparlate. Ve la dò pure io una piccola anticipazione: nel prossimo numero de “La voce dell’isola” faremo uno special su tre grandi scrittori italiani. Una pagina intera per ognuno.

1) Maurizio de Giovanni (servizio della straordinaria, unica, inimitabile, ipergalattica Morena Fanti).

2) Antonella Cilento. Servizio di Simona Lo Iacono (Simonuccia, che Dio ti mantenga sempre così come sei per i prossimi 150 anni).

3) Rita Charbonnier (la divina Rita Charbonnier). Servizio del sottoscritto.

@Maurizio. Se mi fai pervenire il tuo indirizzo poi ti spedisco una copia del giornale, salvozappulla1@virgilio.it

@Giorgia. venerdi vado a Catania e compro anche una copia del tuo libro, nel frattempo faccio il giro dei parenti e vedo se riesco a recuperare i 18 euro necessari.

Postato lunedì, 21 settembre 2009 alle 08:04 da Salvo zappulla


Grazie, Salvo: sono fierissimo di essere tra cotanto senno. A parte ti invio l’indirizzo, ci terrei molto ad avere la copia del giornale.

E grazie ancora a Morena, la mia campionessa.

Postato lunedì, 21 settembre 2009 alle 08:07 da Maurizio de Giovanni


Non avendo letto il libro, mi limito a commentare i quisiti posti che sono, di per se’, indice di una grande profondita’ di riflessione. alcuni commenti saranno estremamente scarni. Quando si ama non si ha scelta. non si pianifica una tattica, si segue il flusso e deflusso e si riesce a controllare gesti ed azioni solo quando l’oggetto del desiderio cessa di essere tale. per i forti e’ chiaro che l’ideale sarebbe rinunciare ad amare per quelli che non lo sono, non resta che affidarsi agli eventi. amore e dolore, a certe eta’ e’ un binomio inscindibile anzi. l’ amore e’ direttamente proporzionato al grado di sofferenza. se questo stato di malessere perdura negli anni vuol dire che qualcosa non ha funzionato nel processo di crescita interiore. dolore e’ l’amore non corrisposto, dolore e’ l’amore ingannato, vilipeso, offeso; dolore e’ chi ci ha regalato un falso amore; dolore e’ l’amore che, ripiegato su se stesso per difesa, si in – bossola e si atrofizza. e quanto piu’ si investe nell’altro, tanto piu’ la delusione di un rifiuto sara’ devastante e si approda insorabilmente nella ” terra di nessuno “. una volta ho letto, la vita che non tende ad un’altra vita, e’ prossima ad estinguersi… certo, inteso in senso spirituale ma volendo si potrebbe anche adattare ad una situazione fisico-affettiva. questo scompiglio nasce dalla troppa credulita’ e dal potere giurisdizionale che permettiamo agli altri di avere su di noi. e qui, forse, entra in gioco il posto di ognuno. ma, i “posti” possono essere tanti e diversi per ciascuno di noi. puo’ essere l’angolo interiore dove ricerchiamo la nostra compattezza e la nostra stoicita’. ci sarebbe meno sofferenza nell’addossare alla predestinazione il mancato raggiungimento del ” luogo ” ma qualche volta, o spesso, come dice E. L. Masters: il fiore della mia vita avrebbe potuto sbocciare da ogni lato se un vento crudele non avesse intristito i suoi petali dal lato di me che potevate vedere dal villaggio… Grazie a Maurizio de Giovanni per questo materiale di riflessione. Ciao Massimo

Postato lunedì, 21 settembre 2009 alle 16:44 da NICOLETTA


Ma che sorpresa galattica, Salvo!!! Una pagina intera per ognuno?!? Non vedo l’ora! E sono felice e onoratissima che sarò in così buona compagnia. Grazie di cuore a te e anche a Massimo per aver creato questo punto d’incontro virtuale e non solo. Ragazzi, leggere i vostri commenti è diventato il mio spasso serale preferito…

Postato lunedì, 21 settembre 2009 alle 23:12 da Rita Charbonnier


Mi permetto di richiamare un passaggio dell’autore: “La tesi che portavo avanti, nel libro, è che il posto di ognuno non esiste. Esiste un posto dove gli altri cercano di metterci, ma non è quasi mai quello in cui vogliamo stare”. Questo è verissimo, ma secondo me il posto di ognuno è fatto proprio di questa dualità, spesso distonica: un posto dove siamo per gli altri (la società, la famiglia, gli eventi della vita, le circostanze, le svolte inaspettate)… ed il posto dove ognuno dentro di sè vuole stare, ed effettivamente, intimamente, sta. Anche per me, come per il commissario Ricciardi, ed anche per l’autore, il posto che mi è stato “assegnato” non corrisponde a quello in cui sono intimamente. C’è un posto, in fondo al cassetto o al cuore, dove so di essere e dove so che sarò sempre.

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 11:33 da effeti...vamemte


Ed infine: per rispondere alla domanda del sig. Maugeri:
Cosa ne pensate? Siete d’accordo sul fatto che bisogna riparare dal male l’oggetto del sentimento, anche se il male è proprio in chi si ama?
E quando ciò non è possibile?
Bisognerebbe rinnegare l’amore, o continuare ad amare?
Che rapporto c’è tra amore e dolore? È un rapporto imprescindibile? Esiste amore senza dolore?

La mia risposta è: sì. bisogna riparare dal male, proteggere il proprio amore…. ma se ciò non è possibile, mai si può rinnegare l’amore, anche se porta con sè dolore. Perchè…. “NON SI VOLTANO LE SPALLE ALL’AMORE”.

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 11:36 da effeti...vamemte


Quando il posto dove siamo per gli altri (la società, la famiglia, gli eventi della vita, le circostanze, le svolte inaspettate)… ed il posto dove ognuno dentro di sè vuole stare, ed effettivamente, intimamente, sta, coincidono, allora la vita ci sorride.
E’ raro, ma non impossibile.

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 13:27 da faraona


Ciao a tutti amici di letteratitudine!
Sono ancora qui, affascinata da questi temi, ma presa da molti impegni.
faraona è la femmina del tacchino. FARAONA è il FARAONE al femminile, per gli antichi egizi non lontani dalla modernità. Horus ha ragione, trovare il proprio posto è raro ma non impossibile. Peccato che alcuni antichi regni siano crollati a causa della presunzione di chi doveva stare in mezzo ai polli: invece aveva un trono: quando fu giusto vi fu civiltà: quando non lo fu regnò il caos.
Comunque….
Ricordiamoci almeno che la parola AMORE è alfa privativa + mors, quindi vita, creazione e non distruzione. Tutto qui.
Ciao amici
Rossella

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 13:42 da Rossella


Uno si sceglie un posto, e per prenderlo sgomita anche. Poi lo cacciano da quel posto, o lo perde, conta poco. E cerca di sopravvivere, e sopravvivendo riprende a sgomitare.
La vita alla fine ha ragione, o crede di averla ed è lo stesso; Ricciardi osserva la vita che gli scorre davanti, ne è terrorizzato come uno che in riva al mare guarda le onde e non sa nuotare: ma alla fine ne viene sommerso, e forse imparerà.
Comunque, sgomitando, cercherà di sopravvivere e forse, alla fine, riuscirà anche a essere felice.
Almeno ci proverà, senza scendere a compromessi.

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 14:47 da Maurizio de Giovanni


Comunque, l’unico modo per avere e tenersi il proprio posto è non guardarsi indietro.
E forse neanche avanti.

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 15:07 da Maurizio de Giovanni


Infatti.
Soprattutto, neanche avanti.

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 15:18 da faraona


Gentile Maurizio, citando il precedente intervento:
“Comunque, l’unico modo per avere e tenersi il proprio posto è non guardarsi indietro. E forse neanche avanti”.
Non sono d’accordo… Se Ricciardi non si guardasse indietro, allora perderebbe il senso di ciò che è stato, che lo ha fatto diventare ciò che è oggi, con tutto il suo fascino. Il passato non si può cancellare o ignorare, come ci insegna Ricciardi. E se lui è al suo “posto” ora, lo deve anche a ciò che gli è successo, a ciò che è stato. Non crede?

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 15:25 da effeti...vamemte


Certo; ogni cosa che succede è dentro al futuro, contribuisce a formarlo e a costruirlo.
Nella storia, Ricciardi porta il marchio di una condanna che è perenne e dalla quale non si libererà mai. Nella realtà, la vita a volte restituisce con gli interessi quello che toglie.
Ma è vero: ogni cicatrice è un ricordo, e quello che non ti uccide ti rende migliore e più forte.

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 15:35 da Maurizio de Giovanni


Mi piacerebbe chiederle un’altra cosa: cito un altro suo intervento: “Ma qualcosa gli succede, gli sta succedendo: non riesce a sopportare l’idea di perdere chi ama. Non gli pesa la solitudine, ma gli sarebbe intollerabile trovare spenta la luce della finestra di fronte. E allora comincia a valutare l’ipotesi di uscire allo scoperto. Forse, tutto sommato, per lui non è troppo tardi.” Allora la condanna di Ricciardi è destinata ad essere alleviata dall’amore silenzioso di una donna, quieta ma determinata, che lo vuole a tutti i costi, sfidando anche la propria famiglia? Questo personaggio così… moderno in un certo senso, come è quello di Enrica, così vivo, mi fa credere che non tutte le condanne sono eterne, e che ognuno ha dirittto ad essere felice, ha diritto alla possibilità di essere felice.. nel libro, come nella vita… che ne pensa?

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 15:47 da effeti...vamemte


La felicità per alcuni è un dono, che arriva attraverso strade misteriose e colpisce come una disgrazia. Per altri è il frutto momentaneo di un cammino lungo e difficile, durante il quale nessuno regala niente.

Penso che ci sono gesti e situazioni in qualche modo riparabili, ricomponibili; che alcune realtà come una famiglia, una situazione, un contesto economico siano superabili e altre, come la lontananza, la morte siano invece definitive. A nessuno però può essere tolto il diritto di lottare per la propria felicità e per mantenerla, una volta raggiunta.

Il crimine maggiore però è perderla quando la si ha, per incuria o per superficialità. La felicità è una conquista quotidiana.

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 15:58 da Maurizio de Giovanni


Penso che per Ricciardi la felicità sia il risultato di “un cammino lungo e difficile, durante il quale nessuno regala niente”… Però non mi ha detto di Enrica… come per molti altri suoi lettori, il rapporto tra i due splendidi personaggi, che si dipana tra i tre libri, è forse uno degli aspetti più affascinanti della sua scrittura, insieme all’immagine di Napoli, anche se in un tempo così lontano. Si vede che lei ama tanto i luoghi, le piazzette, gli angoli, i vicoli…

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 16:12 da effeti...vamemte


Enrica è quieta e determinata: sa quello che vuole, ha pochi punti fermi ma a essi si rifà continuamente. Vuole Ricciardi, ha deciso che è l’amore della sua vita: ma l’educazione, il condizionamento sociale le impediscono di prendere iniziative che non appartengono al suo tempo e alla sua personalità; quindi fa l’unica cosa che può fare. Aspetta. E si mantiene pronta per il giorno in cui lui si farà avanti.

Non sa della condanna di lui, dell’inferno che ha dentro, non può saperlo; ma saprebbe condividerla. Il quarto romanzo riserverà alcune sorprese rilevanti, da questo punto di vista. Anche Livia, per altri motivi ugualmente determinata, vuole capire l’origine del fascino che Ricciardi esercita su di lei.

Sarà dura mantenere la concentrazione sul giallo, con queste due che affilano le proprie armi.

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 16:17 da Maurizio de Giovanni


Grazie per la bellissima anteprima sul quarto libro… Aspetterò con ansia di leggerlo, ed ovviamente tiferò per Enrica, la mia piccola eroina del suo tempo, che sfida le convenzioni, il condizionamento sociale, l’educazione dei genitori, per aspettare l’uomo che ama…Lei, la mancina con gli occhiali, che ricama e lava i piatti nell’acquaio, che guarda dalla finestra… mi pare di vederla davvero.. Personaggio splendido, del quale- sono sicura- lei andrà fiero, anche perchè colpisce moltissimo il cuore dei lettori.

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 16:28 da effeti...vamemte


Caro Maurizio, prendo spunto da quanto hai detto poco sopra:
“Sarà dura mantenere la concentrazione sul giallo, con queste due che affilano le proprie armi” per spiegare perchè come avevo detto alcuni giorni fa, nel mio primo intervento, il terzo volume mi era piaciuto meno del secondo. Ecco, credo sia proprio per questo: deve esistere un certo equilibrio fra il Ricciardi pubblico (il commissario) e quello privato (la sua love-story, con Enrica, la tentazione di Livia,…
Nel secondo libro questo equilibrio era perfetto. Nel terzo (a mio parere), per quanto di piacevolissima lettura, si è un po’ come leggermente sbilanciato a scapito della storia poliziesca.
Certo, diversi dei tuoi lettori e sostenitori (anche leggendo i post qui) sono molto attratti dalle sue vicissitudini private, dall’evolversi dei suoi sentimenti, e la caratterizzazione di Ricciardi si basa (e molto) anche su questo.
Il difficile è non farsi prendere eccessivamente la mano e rompere l’equilibrio magico che è quello dei grandi libri; che è quello (p.es.) di Simenon e del suo Maigret, della sua consorte, del Dottor Pardon, ecc… sempre presenti (ma usati con parsimonia).
Ma sono sicuro che questo problema è presente nei tuoi pensieri, e le tue righe da me riportate lo stanno a dimostrare.

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 19:16 da Carlo S.


PS: Naturalmente per bilanciamento non intendo necessariamente 50%!

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 19:17 da Carlo S.


Caro Maurizio, cari amici,
vi ringrazio per i nuovi commenti e per aver mantenuto viva la discussione.
Interessante l’ultima annotazione di Carlo…
Attendiamo la risposta di Maurizio :-) )

Postato martedì, 22 settembre 2009 alle 21:55 da Massimo Maugeri


Caro Carlo, ho molto pensato alla tua nota e ti ringrazio veramente molto. E’ vero, con i personaggi seriali si corre il rischio di rimanere affascinati a osservare e raccontare il loro mondo, smarrendo il contatto con la storia principale. Si può insomma essere traditi dalla voglia, dello scrittore ma anche dei lettori, di andare più a fondo nelle relazioni e nei sentimenti.
In realtà nel mio caso non è proprio così; il mio interesse primario, credimi, è sempre per la storia gialla la cui costruzione, l’individuazione dei possibili colpevoli, il dover dare gli indizi necessari a scoprire la soluzione e poi nasconderli affinché passino inosservati, è la parte più impegnativa.
Allora, cos’è successo tra il primo, il secondo e il terzo romanzo? Dunque, è andata così: nel primo mi sono limitato a presentare i personaggi ricorrenti (anche perché non sospettavo minimamente che avrei scritto altri libri con Ricciardi); nel secondo sono entrato più nel merito delle relazioni tra loro, ma in modo statico, descrivendo le situazioni; nel terzo, hanno cominciato a muoversi, a incontrarsi, a prendere delle decisioni. Questo ha fatalmente comportato uno spostamento della scena, determinato sostanzialmente dal ritorno di Livia e dal “fidanzamento” di Enrica.
E’ vero, l’interesse dei lettori per la storia sentimentale di Ricciardi è crescente e lusinghiero; ma non mi influenza nella scrittura, grazie a Dio.
Così non sarà, spero, nel quarto romanzo, dove la storia principale è molto forte e influenzerà anche quelle personali. Almeno ci proverò.
Mi è di grande aiuto ricevere questo tipo di osservazioni, questo è un altro grandissimo merito di Letteratitudine.

Postato mercoledì, 23 settembre 2009 alle 08:42 da Maurizio de Giovanni


L’osservazione di Carlo rappresenta quello che è anche un mio timore verso i personaggi seriali. Mi viene da pensare che scrivendo sempre di uno stesso personaggio si finisca per volergli troppo bene e si dia sempre più spazio a lui e ai suoi bisogni. Cosa non negativa, naturalmente, ma bisogna sempre verificare che non vada a discapito della storia.
Non mi riferisco a Luigi Alfredo. Il mio è un discorso ampio, che investe tutti i personaggi seriali. E inoltre, ho il timore che lo scrittore tenda a ‘fermarsi’ nella sua scrittura.
Sono cose che ho già detto forse. Ma ci penso spesso.
Chissà se Ricciardi pensa che gli stiamo dedicando troppe attenzioni?
O se lo pensa il nostro Maurizio?

Postato mercoledì, 23 settembre 2009 alle 11:12 da morena fanti


Dolce Morena, Ricciardi è un veicolo: serve per andare attraverso il suo tempo e la storia che il suo autore vuole raccontare. E’ in sostanza un “nobile pretesto”, un modo, un’occasione.
Chiaramente la sua peculiarità, la sua maniera unica di percepire il dolore, lo rende caratteristico e impronta i contatti col prossimo, le amicizie, gli affetti. E’ ovvio che rimanga nella mente, che ci si aspetti di sapere come gli va con Livia, con Enrica, che cosa pensi di lui Rosa o Maione. Ma rimane un veicolo: attraverso lui io parlo di un delitto, delle passioni corrotte che lo hanno generato, di come vittime e colpevoli si cambino di posto in una danza macabra che gronda lacrime e sangue.
Io ho nei confronti di Ricciardi tenerezza, ma non amicizia. Mi dispiace per lui ma non posso comunicargli questo mio dispiacere.
Ma mi mancherà, quando non ne scriverò più.

Postato mercoledì, 23 settembre 2009 alle 11:58 da Maurizio de Giovanni


E io spero tu non smetta mai di scriverne. Che finite le quattro stagioni tu trovi il modo di proporcelo ancora. Con misura, magari (che alcuni autori ci propinano talvolta anche bufale, legandosi a contratti di pubblicazione di tot libri l’anno per x anni), ma con costanza, lasciandoti guidare dall’ispirazione e dalle belle storie che tu riesci a congegnare.
Ricciardi è uno dei più bei personaggi della letteratura poliziesca italiana.
Spero che non muoia in breve tempo.

Postato mercoledì, 23 settembre 2009 alle 13:43 da Carlo S.


Sai che cosa strana che succede, con Ricciardi, amico mio? Mi viene in mente una storia e una sola; è tanto articolata, così particolareggiata che mi sembra di esserci dentro. E, quando ci penso, mi pare che mai più riuscirò a scriverne un’altra, che quella sarà comunque l’ultima storia di Ricciardi.

E arrivo alla scrittura, e quella viene fuori come un fiume in piena, così, senza nemmeno rileggere in maniera approfondita, senza poter articolare una scaletta, un contesto, niente. Nessun romanzo è durato più di un mese e mezzo. Poi la testa si svuota, e mi pare che sia finita, che non mi verrà mai più niente in testa che riguardi quel mondo.

Passa un mese, un altro, un altro ancora. E come un germe, come un tumore o se vuoi una perla in un’ostrica, comincia a sedimentarsi una nuova, piccola idea. E fioriscono dialoghi, ambienti, atmosfere. E ci risiamo.

Non prendo impegni, come potrei? Ma ti dico, e so che tu mi crederai, che non sono io a decidere quanti altri Ricciardi scriverò. Né l’editore, attuale o futuro.

E’ Ricciardi stesso.

Postato mercoledì, 23 settembre 2009 alle 15:19 da Maurizio de Giovanni


In verità, caro Luigi Alfredo, perché è lei vero che scrive firmandosi con il nome Maurizio de Giovanni?, io credo che lei sia più vero di tanti scrittori che girano sul web (esclusi i presenti, naturalmente. Altrimenti Salvo si sentirà parte in causa).
Penso che lei non smetterà mai di raccontarci storie, anche quando assumerà un altro nome.
Con stima e affetto.

Postato mercoledì, 23 settembre 2009 alle 16:03 da morena fanti


Vi racconto un piccolo aneddoto capitatomi ieri.
Libreria Cavallotto- Catania.
“Bungiorno, desidero un libro di Maurizio de Giovanni”.
“Umh…mi pare che questo autore non l’abbiamo”.
“Come no, signorina è famosissimo, viene pure su Letteratitudine”.
“con chi pubblica?”.
“Con la Fandango”.
“Non trattiamo editoria locale”
“Signorina, porca puttana! (oh scusi non mi riferivo a lei) la Fandango non è un editore locale.
“Mah? Qual è il titolo?”.
“Il posto di ognuno”.
“Mai sentito nominare”.
“Signorina, il Commissario Ricciardi! Minchia. Se non mi dà il libro da qui non esco! Guardi che mi incateno alla porta”.
“Il commissario Ricciardi? Ma perchè non lo ha detto subito”. Gli occhi le si illuminano d’immenso, in tre secondi va a trovarlo nello scaffale.
Tutto vero, sapete che non racconto balle (quasi mai).
Morale della favola: Ricciardi è più famoso di te, caro Maurizio, finirà col prenderti la mano, assoggettarti al suo volere. Pian piano ti identificherai in lui, amerai come lui, soffrirai come, verrai assorbito dalla sua anima.

Postato mercoledì, 23 settembre 2009 alle 16:20 da Salvo zappulla


“Dooooolce Morena” con te faremo i conti più avanti.

Postato mercoledì, 23 settembre 2009 alle 16:22 da Salvo zappulla


@ salvo:
non dire così, che lo so che mi vuoi bene

Postato mercoledì, 23 settembre 2009 alle 16:30 da morena fanti


Non è detto che non sia già così, caro Salvo. E forse, alla fin fine, è pure giusto.

Sono già “quello di Ricciardi” in molti ambienti, tranne che a Napoli: qui sono quello di “Juve – Napoli 1 a 3, la presa di Torino” che è già alla seconda versione teatrale; ma si sa, il calcio è l’oppio dei popoli.

Postato mercoledì, 23 settembre 2009 alle 16:35 da Maurizio de Giovanni


Lunga vita a Ricciardi e al suo ottimo autore.
Vi ringrazio per aver mantenuto in vita questo interessantissimo dibattito.
Il commissario Ricciardi sarà sempre gradito ospite di Letteratitudine. E non è escluso che un giorno (Maurizio, te la butto lì) non si possa pensare a una pubblicazione del tipo: “Il commissario Ricciardi secondo Letteratitudine”, con una sistematizzazione e integrazione degli interventi qui pervenuti lungo il corso delle stagioni ricciardiane.

Postato giovedì, 24 settembre 2009 alle 10:58 da Massimo Maugeri


Senza retorica (nemmeno un po’, tanto non la so usare) ti ringrazio, Massimo; e porto nel cuore te e tutti gli amici che attraverso Letteratitudine mi aiutano a scrivere ancora, cercando di migliorare, per quanto le limitate qualità consentano, il mio racconto.

Non so dirti qual è il posto di ognuno, nè se esiste: certamente, Letteratitudine è il mio posto. Un forte abbraccio a tutti voi.

Postato giovedì, 24 settembre 2009 alle 11:16 da Maurizio de Giovanni


Un abbraccio a te, Maurizio caro.
Letteratitudine sarà sempre il posto tuo e del buon Ricciardi.
Al di là delle stagioni:-)

Postato giovedì, 24 settembre 2009 alle 11:18 da Massimo Maugeri


quante dotte disquisizioni sul proprio posto, e l’altrui.
nella mia somma ignoranza, penso, in maniera un po’ schizofrenica, che vi sia un posto fisico, per ognuno – casa, famiglia, città, lavoro… ma vivaddio, per qualcuno, c’è anche un posto “metafisico”- la speranza, il sogno, il mito, la scrittura, la lettura, la passione, il gioco.
in quanto a maurizio,con perizia coltivata fin dall’infanzia, stat in medium: si destreggia una favola, tra l’uno e l’altro universo, come luigi alfredo, tra cielo e terra ,tra sogno e realtà, tra orrorre e quotidianità, tra amore e morte, come è giusto che sia. per questo li amiamo, entrambi, maurizio e il suo doppio

Postato giovedì, 24 settembre 2009 alle 21:47 da floriana tursi


Benvenuta su Letteratitudine, Floriana.
Di certo, Maurizio e il suo doppio interverranno per ringraziarti. Per il momento ti becchi i miei, di ringraziamenti:-)

Postato giovedì, 24 settembre 2009 alle 22:28 da Massimo Maugeri


E anche i miei, naturalmente. Ma Flo sa qual è il suo, di posto, nel mio cuore.

Postato venerdì, 25 settembre 2009 alle 09:18 da Maurizio de Giovanni


scoprire un autore attraverso la passione comune (il grande napoli) incuriosito dalle storie, anche se ho rivisto in modo non molto originale (il sesto senso!!!) ed il modo in cui viene narrata la nostra città che nonostante il periodo storico non è cambiata per niente!!!
mi piace molto.

Postato venerdì, 22 gennaio 2010 alle 22:16 da salvatore


Il commissario Ricciardi, per me appassionata di letteratura e anche di quella specifica gialla, è stato una scoperta. Ho trovato in libreria il libro pubblicato da Einaudi e sono risalita agli altri. Buona la ricostruzione storica, ottima la psicologia e indovinato il senso del dolore (solo qualche volta appena un po’ sopra alle righe) misto alla sottile ironia che pervade le pagine. Spero che Di Giovanni continuerà la serie: quando trovo un personaggio intrigante mi auguro sempre che l’autore sia un novello Simenon e ci regali tante storie quante sono quelle dell’indimenticabile Maigret.

Postato lunedì, 14 novembre 2011 alle 16:34 da Estella Galasso Calderara


Grazie mille per il tuo commento, cara Estella.
Di certo del nuovo Ricciardi di Maurizio de Giovanni ne parleremo qui a Letteratitudine (non so ancora se come dibattito on line o nell’ambito del programma radiofonico).
Aggiornerò te e tutti i ricciardiani! :)

Postato lunedì, 14 novembre 2011 alle 19:00 da Massimo Maugeri


Sto finendo ora di leggere l’autunno di Ricciardi e, con dispiacere, penso che mi rimane un solo libro da leggere: l’ultimo, quello edito da Einaudi. Quando un autore riesce a rendere così vivo un personaggio, tanto che esiste il rammarico di doverlo abbandonare (ma in realtà è lui, il personaggio ormai dotato di vita propria, che ci lascia e a noi non rimane che attendere il suo ritorno), significa che è riuscito nel suo intento: ha catturato il lettore che attenderà le nuove storie,sbirciando tra le novità delle librerie, chiedendosi che cosa ne sia stato del suo “eroe”. Al termine delle stagioni, devo dire a Di Giovanni un GRAZIE perché mi ha regalato delle ore di buona letteratura. Alla faccia di chi ancora pensa che il giallo appartenga alla serie B.

Postato mercoledì, 16 novembre 2011 alle 21:20 da Estella Galasso Calderara


Cara Estella, sono lieto che la serie di Ricciardi sia di tuo gradimento.
Intanto ho mandato una mail a Maurizio de Giovanni: sarà ben felice di leggere queste tue parole!
Ancora grazie per essere intervenuta.

Postato giovedì, 17 novembre 2011 alle 21:07 da Massimo Maugeri


Carissima estella, ti ringrazio per le bellissime parole che hai avuto per le mie storie. Non garantisco sulla qualità della scrittura né su altre abilità o attitutdini letterarie, ma certamente sulla passione e sul cuore, così come sull’amore immenso che porto per la mia bella e disgraziata città.
Un forte abbraccio, e spero di non deluderti.

Postato venerdì, 18 novembre 2011 alle 12:30 da Maurizio de Giovanni


Un caro saluto a Maurizio che ho avuto il piacere di conoscere a Milano per Tirorapido 2009…
Auguri per questa sua nuova avventura letteraria!

Postato domenica, 20 novembre 2011 alle 18:11 da Maria Lucia Riccioli


Con il bacio di Enrica, ho finito l’ultimo libro del commissario Ricciardi. E adesso mi sento come se un amico mi avesse abbandonato. E ne aspetto il ritorno. Speriamo che Maurizio De Giovanni senta la responsabilità di tenere i suoi lettori col fiato sospeso. Devo aggiungere che questa ultima storia segna uno dei punti migliori della serie, sia dal punto di vista giallistico che psicologico. E mi sembra che le vicende personali di Ricciardi non distolgano affatto dalla tensione della trama che, anzi, dalla intricata situazione esistenziale e affettiva del commissario, ne risulta arricchita. Ho già detto che spero che De Giovanni faccia come Simenon: certo le vicende di Maigret erano all’impronta della concisione, delle vere short stories, mentre i casi del commissario Ricciardi sono romanzi lunghi, ben articolati e approfonditi da ogni punto di vista. Non mi rimane che fare i miei vivi complimenti all’autore e ricordargli che Ricciardi vive…

Estella Galasso Calderara

Postato domenica, 20 novembre 2011 alle 21:36 da Estella Galasso Calderara


Grazie ancora, cara Estella. Spero che tu possa tornare a intervenire altre volte.

Postato lunedì, 21 novembre 2011 alle 19:20 da Massimo Maugeri



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