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Archivio del 12 aprile 2008

sabato, 12 aprile 2008

DI PROTEO E DEGLI INTRIGHI. VEIT HEINICHEN

Conoscete Veit Heinichen?

Ecco qualche cenno biografico.

È uno scrittore tedesco, nato a Villingen-Schwenningen il 26 marzo del 1957.

Si è laureato in economia a Stoccarda, ottenendo una borsa di studi della Mercedes-Benz per la quale ha anche lavorato nella sede della direzione generale. Poi ha lavorato come libraio e ha collaborato con diversi editori.

Nel 1994 è stato co-fondatore della Berlin Verlag di Berlino (diverse volte premiata come “Casa editrice dell’anno”) di cui è rimasto direttore sino al 1999.

Dal 1997 vive a Trieste, città di mare e di confine dove ha voluto ambientare i suoi romanzi. Una città che descrive nella sua complessità, tra bora e multicultura. Ogni libro approfondisce sia aspetti storici che elementi di estrema attualità offrendo sempre un piacevole quadro di una città di mare, dove si mangia bene e la cultura e l’arte hanno molto da offrire.

Il personaggio principale dei suoi libri è un poliziotto: il Commissario Proteo Laurenti, salernitano trapiantato da anni a Trieste, proprio come il suo padre letterario.

Heinichen ha ricevuto il Premio della RTV Brema 2005 per il miglior giallo 2005 (Bremer Krimipreis 2005). È stato finalista per il Premio Franco Fedeli, Bologna, 2003 e 2004, per il miglior giallo italiano dell’anno.

Ricordiamo le seguenti pubblicazioni:

I morti del Carso

Morte in lista d’attesa

A ciascuno la sua morte


Di seguito potrete leggere l’intervista realizzata da Sergio Sozi in esclusiva per Letteratitudine.

Vi invito a leggerla con attenzione perché è ricca di spunti interessanti (sui quali potremo discutere).

Intanto pongo due domande collegate, appunto, all’intervista:

Ritenete che il romanzo giallo sia particolarmente adatto a rispecchiare la società moderna? (Vi invito, se potete, a motivare la risposta).

Ritenete che le notizie dei giornali siano davvero così stereotipate come sostiene Heinichen (nell’intervista) ?

Massimo Maugeri

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Intervista a  Veit Heinichen (di Sergio Sozi)

 sergio-sozi.JPG

Ho incontrato il 22 gennaio 2008 a Lubiana lo scrittore tedesco Veit Heinichen – creatore della fortunata serie gialla del commissario Proteo Laurenti e vivente da un decennio a Trieste come il suo protagonista, poliziotto di origine meridionale (qualche titolo: I morti del Carso e A ciascuno la sua morte). I suoi romanzi sono tradotti in Italia da E/O e la serie di film televisivi che ne è stata tratta ha ottenuto in Germania nove milioni di spettatori. Una nuova serie verrà perciò nuovamente girata nel Capoluogo del Friuli-Venezia Giulia. Per venire a noi, questo è quanto scaturito dal nostro colloquio, svoltosi passeggiando tranquillamente alle undici di sera davanti al club jazzistico ”Gajo” (nel pieno centro di Lubiana), dove pochi minuti prima l’autore aveva tenuto un incontro pubblico nell’ambito del noto festival sloveno ”Fabula”.

 

Heinichen è un giallista, e noi lo conosciamo grazie ad un personaggio che è il commissario Proteo Laurenti… Ecco, noi Italiani in genere sappiamo chi è Proteus, mitologicamente parlando…

Ecco, Proteus, poveretto, è nato a Salerno e poi ha subíto tutta la classica carriera di un poliziotto tipico italiano della sua età, che veniva mandato da Sud a Nord, spedito da Ovest ad Est finché non si è inchiodato, diciamo cosí, a Trieste – una città di cui lui non sapeva tanto. Arriva a Trieste, dunque, con questo nome, Proteo Laurenti, e constata che tutti ne ridevano; perché? Perché negli abissi del Carso, nella profondità buissima dove ci sono le acque sotterraneee, vive un animaletto che ha oltre centomila anni, una specie di lucertola, priva di occhi, bianca, il cui nome scientifico è Proteus Anguinus Laurenti. Invece i genitori del personaggio pensavano ovviamente alla mitologia classica, a quel dio che riusciva a trasformarsi in qualsiasi materia e a non essere catturabile. Non sapevano che sarebbe un giorno diventato, proprio a Trieste, colui che avrebbe dovuto catturare gli altri e dunque anche scavare negli ”abissi”.

 

Ah, ecco; perciò il significato, diciamo, è metafora, piú che di ”proteiformità”, del ”vivere negli abissi”…

Sí: di vivere e scavare. E in piú c’è un altro aspetto, perché come si chiama questo animaletto in sloveno? Ecco si chiama (traduco) ”Pesciolino umano”, e infatti anche Proteo Laurenti ha i suoi lati umani… non è lo sbirro freddo: è uno che vive in contesti sociali molto forti, ha tre figli, una moglie, un’amante; diciamo che è il prototipo del cittadino italiano.

 

Già. Ma mi dica, come mai Lei – il ”burattinaio” – lo ha posto cosí: lo ha fatto emigrare dalla Campania fino ad una zona molto germanica – o almeno mitteleuropea – come quella di Trieste.

Vorrei dire che le espressioni ”mitteleuropeo o Mitteleuropa” sono state sicuramente molto superate, se parliamo del centro dell’Europa, perché i mezzi di comunicazione e di trasporto sono diventati molto veloci – rispetto a questi termini un po’ ”magrisiani” che si rivolgono indietro, all’Impero Austroungarico, e anche rispetto a queste piccole distanze. Ovviamente è una zona molto interessante, è un punto cruciale dell’Europa, perché qui si incontrano le tre grandi culture europee: quella di origine romana, quella slava e quella germanica; qui il Mediterraneo s’incontra con il mondo del Nord e dunque si incontrano le formazioni – direi quasi ”mentali” – del mare e della montagna, e, in piú, ovviamente, l’Ovest e l’Est. Inoltre questa città, Trieste, venne costruita e fatta grande e famosa da un insieme di oltre novanta etnie, cosí abbiamo anche l’insieme di Mercurio e Apollo – perché è anche una città molto forte nella Letteratura (a Trieste è sempre nata della Letteratura). Se parliamo degli ultimi due anni dell’esilio di Casanova: ebbene, in che lingua Casanova scrisse le sue memorie? In francese. Poi Stendhal (che passò a Trieste l’inverno del 1830-31) invece non la amava e diceva che sarebbe stato meglio esser rapinati da una banda di ladri catalani che esser colpiti una volta solamente dalla bora. Inoltre, in città capitò il giovane Sigmund Freud, che scriveva il suo primo discorso scientifico, cosí facendo quasi il primo errore ”freudiano”, poiché studiava gli organi sessuali dell’anguilla. Jules Verne, nel 1850, vi fece delle ricerche approfondite per un fantastico romanzo, veramente fantastico in tutti i sensi: il ”Mathias Sandorf”. E Rilke, nel castello di Duino, con le sue Elegie; Srečko Kosovel (scrittore di lingua slovena e Rimbaud del Ventesimo secolo); poi ancora Italo Svevo – che portava in sé Mercurio e Apollo perché era commerciante. Lo stesso, in seguito, per Umberto Saba ed oggi per un Boris Pahor e un Claudio Magris – Pahor, scrittore di lingua slovena, io veramente lo considero molto piú importante perché ha scritto i grandi romanzi di questo secolo, dando luce ai crimini del fascismo e ai cambiamenti in questo spazio, molto complesso, pieno di contraddizioni ma anche di ponti fra le contraddizioni.

 

Tornando alle sue opere, come mai proprio dei gialli? Da un personaggio ”proteiforme” come lei, io mi sarei aspettato magari qualcosa sullo stile del nostro Gadda oppure uno di quei falsi gialli alla maniera di Sciascia.

Mah… grande sfida. Due scrittori che io ammiro profondamente. Perché il giallo? Perché è un genere molto adatto per rispecchiare la società moderna. Se il romanzo di per sé è sempre stato uno specchio di un’area e di un’epoca, il romanzo giallo lo è ancora di piú perché si concentra molto fortemente sulle nevrosi e sugli estremi di un’area e di un’epoca. Posso anche ricordare che esistono due grandi opere della Letteratura mondiale che io ho sempre considerato come dei gialli – ”Delitto e castigo” di Dostoevskij e ”Il rosso e il nero” di Stendhal. Allora lasciamo via questi ”cassetti” in cui dobbiamo mettere le cose, lasciamo via le generalizzazioni… C’è anche della gente che mi dice: ”I tuoi libri non sono gialli, ma romanzi storici”; per me va tutto bene.

 

E sono romanzi storici, questi suoi, visto che Lei si documenta con fare certosino?

Beh: io faccio il mio lavoro, come lo faceva il grande Sciascia o anche Gadda, i quali hanno sempre descritto gli spazi in cui vivevano: erano osservatori perfetti, precisi, non lasciavano via niente. E questo fa Letteratura. Perché? Perché, in confronto agli altri media, la narrazione diventa pessima se lascia via le cose. I media oggi trattano tanto con la verità ”oppressa”, ossia con la metà della verità; mi spiegherò: non è la bugia il problema, la bugia si svela sempre da sola, ma prendendo le notizie, oggi, vediamo che una parte della verità è oppressa e l’altra parte diventa ”l’assoluto” e questo il romanzo non può farlo e il narratore ancora di meno.

 

Perciò il narratore ha il dovere, secondo Lei, di trovare una verità completa.

Per questo ha anche un mezzo che è anche molto diverso dagli altri: un libro di due, trecento pagine o perfino cinquecento; per questo, allora, lo scrittore può dare spazio a tutti: a quelli che gli piacciono e a quelli che non gli piacciono, ma, lasciandone via uno, diventa un disastro.

 

In poche parole, esiste una realtà corale all’interno di un romanzo. Il romanzo di oggi non è piú un romanzo monologante ma ”plurivoco”.

Sicuramente. E c’è un’altra cosa, poi: nessun altro mezzo e nessun altro genere dà spazio a tutti e quattro i gruppi coinvolti.

 

Mmmh… ovvero, chiarendo il concetto…

Intendo dire: gli investigatori, le vittime, i delinquenti e… chi è il quarto gruppo? Siamo tutti noi, a cui piace talmente tanto delegare il male e il bene ma soprattutto volgere le spalle a questi fatti che ci circondano. Se pensiamo al futuro e a come crearlo, servirebbe ammettere un po’ di piú che ne siamo tutti coinvolti.

 

In cosa: in un crimine? (dico sorridendo)

In tutti i crimini e in tutte le vicende e le cose che ci circondano, siano quella dell’immondizia a Napoli, siano i grandi fallimenti imprenditoriali, della Parmalat e via dicendo… dico che ne siamo tutti coinvolti. Ma ci piace troppo, stiamo ancora troppo bene per capire che queste cose ci sono e che ci circondano, ci concernono, influenzano la nostra vita.

 

Bene. Ma questa, magari, è una cosa che noi troviamo anche nei giornali. Nel senso che i giornali ce ne dànno uno spaccato.

Invece no. I giornali vivono di uno stereotipo enorme. Nessuno ci ha mai svelato, nelle ultime settimane, quante volte si sono ripetute queste cose dell’immondizia in Campania. Nessuno ricorda mai il fatto che ci sono stati almeno nove commissari straordinari coinvolti in queste cose. Nessuno scrive che ogni giorno, da dieci anni, partono dall’Italia per la Germania Ovest ed Est tre treni pieni d’immondizia (i tedeschi ovviamente ne sono contentissimi perché cosí fanno lavorare le proprie strutture). Lí, smaltire una tonnellata di rifiuti costa duecento euro – trasporto incluso – mentre in Campania costa duecentonovanta euro. Vorrei sentire questo dai media, perché solo cosí il cittadino può farsi un’immagine completa. Io purtroppo, che vivo con piacere in Italia e che ho avuto anche un ruolo di ”missionario” nei confronti dei tedeschi e di altri europei, devo dire che lí in Germania esiste sempre lo stesso stereotipo: in Italia non funziona niente. E non è vero: ci sono cose che in Italia funzionano molto meglio che in Germania: per esempio le telecomunicazioni e la burocrazia – sono stato imprenditore in Germania e lo so. Avevo un ruolo difficile: il missionario fra Tedeschi ed Italiani, e ambedue non mi credevano. Ho la sensazione putroppo che gli Italiani siano diventati recentemente un popolo con una memoria quasi inesistente.

 

Una memoria storica corta. Significa che l’Italia vive una contemporaneità dalla quale non riesce ad uscire. O sbaglio?

Io credo che questa sia solo teoria, perché anche l’Italia uscirà da questa contemporaneità; perché la contemporaneità è una cosa semplice che si sviluppa sempre in avanti. Non siamo mica in una tribú nella giungla. Non è vero: vedo gente in gamba, che si muove e torna dall’estero volendo investire impegno ed esperienza. Solo che dobbiamo rompere con alcune strutture e soprattutto… be’, facciamo esempio: Mastella perché si è dimesso? Per mantere il piccolo potere che ha. Semplicemente, se ci saranno adesso delle nuove elezioni, avranno la vecchia legge elettorale: significa che i piccoli partiti rimarrano sempre quelli che possono far cadere o frenare o portare avanti un progetto. Ma di popolo e di maggioranza non si parla molto: si parla solo dei piccoli rompi*****.

 

(Ridacchio) Per tornare alla Letteratura. Questo suo Proteo Laurenti mette sempre le mani in delitti abbastanza particolari ed in lui è presente un modus operandi tipico dell’investigatore.

Questo ha molto a che fare con la città in cui si trova, perché Trieste è una città particolare: varie volte confermata alla prima posizione nella qualità della vita in tutto il Paese; al secondo posto guardando ai depositi bancari; insomma una qualità della vita altissima: si sta bene a Trieste, non c’è microcriminalità o quasi. Siamo una città portuale e confinaria dove si riunisce e passa l’Europa, cosí non abbiamo a che fare con tanti omicidi… meglio cosí: non devi neanche chiudere a chiave la porta di casa! Laurenti invece ha a che fare con i casi tipici – che sono sempre europei: io non racconto mai una cosa che coinvolga solo i triestini, perché ogni cosa che tocca Trieste ha sempre a che fare con l’Europa. E questa è la particolarità del luogo, in senso positivo o negativo. Significa che abbiamo a che fare con una città multiculturale e plurilingue, una città dai contrasti enormi che va dal mare fino al Carso; una città che non ha una cucina tipica: abbiamo una vasta scelta di tutto. Un luogo, insomma, dove la diversità è una ricchezza, ma che ha le sue nevrosi, ovvero i grandi ”casi” europei: traffico d’organi – le cui investigazioni vengono gestite dalla Magistratura triestina in tutta Italia, in collaborazione anche coi colleghi europei; per non dire dei grandi coinvolgimenti, massonici e di Gladio, riguardanti la fine di Roberto Calvi: avevano il centro a Trieste e ne erano coinvolti personaggi triestini o triestini acquisiti… parlo di un Flavio Carbone, per esempio, che aveva tredici aziende a Trieste e che spacciava poi terreni in Sardegna. Guardiamo la storia di questi terreni, vediamo chi ha venduto queste terre che diventavano unite per esser la base per la Certosa. È cosí: a Trieste abbiamo sempre l’Europa – a Trieste nessuno paga il ”pizzo” e trenta chilometri piú lontano capita già.

 

Capita già? (dico essendone stupito). A proposito di questo Lei mi fa venire in mente un titolo: ”Gomorra”.

Bravo, Saviano, bravissimo! A me piace perché è uno intelligentissimo che mostra questo coraggio civile che pochi hanno. Magari, no anzi sicuramente, non si è immaginato il fuoco che accendeva. Sicuramente no. Non lo invidio per la situazione in cui vive, ma devo dire che è un uomo con il coraggio civile che mi aspetto da tutti. Cambierebbe immediatamente tutto. Invece la gente sta bene senza muoversi, accomodata sul divano con le noccioline.

 

I difetti degli Italiani: forse l’indifferenza, l’apatia…

Io sono contrario a tutte queste generalizzazioni, non servono. C’è gente ”cosí” e gente ”cosà”.

 

Be’, ma nella mentalità comune…

Della mentalità comune mi vieto di parlare, perché, con quattro traslochi che ho fatto in Europa, ho sentito tutti questi luoghi comuni. Tutti e di piú. Lasciamo perdere e guardiamo direttamente negli occhi dell’altro.

 

Già, questa è la cosa fondamentale, forse (concludo accondiscendente nel congedarmi con il sorprendente e disponibilissimo Veit Heinichen. Ai posteri, perciò, e agli astanti, l’ardua sentenza: senza ”luoghi comuni” ci resterà in mano solo uno sterile ”non luogo”?).

(Sergio Sozi)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, RITORNO AI CLASSICI   126 commenti »

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