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lunedì, 3 settembre 2007

CAPITOLO I – “L’OCCHIO ALATO: storie di disumanizzazione scolastica” (di Miriam Ravasio)

Le nuvole. Il plesso delle prime. “Forse” aveva vinto. Sudavo. I cieli romantici. Niente matita. Un momento critico. Le nuvole sulla cattedra. Come Raffaello.

Non entravo in una classe da oltre 20 anni. Avevo la febbre e solo da pochi giorni era morto mio padre. Improvvisamente, per un infarto, mentre attraversava la strada sotto casa, era morto sorridendo. Chissà a cosa stava pensando…

Il giorno prima, la direzione didattica, o meglio Giovanna Portavoce, mi aveva postato una mail, come al solito un po’ così , ma il senso era chiaro: il progetto che avevo scritto, e che loro avevano presentato alla Regione “forse” aveva vinto. In attesa della comunicazione ufficiale, potevo iniziare subito ” magari con un altro argomento somigliante”; dovevo impegnarmi per 195 ore divise in tutte le classi della scuola. Ero felice, con 7 interventi per classe potevo sbizzarrirmi e aggiungere attività più complesse: potevo realizzare un buon lavoro, ma lo stile della comunicazione mi faceva sperare ben poco.

In mente avevo sempre mio padre, ma pensavo anche alle dimensioni della scuola a quanto avrei dovuto camminare per muovermi dalle aule alla stanza del materiale. Contavo mentalmente i passi e i metri che avrei dovuto percorrere. Pensavo alle gambe, agli spiacevoli esiti e a quell’intervento che continuavo a rinviare; e a questo nuovo capitolo della vita che si stava aprendo. Speranzosa e triste, alle 14 esatte mi presentai a scuola. Con me avevo tutto, i libri con i segni di diverso colore, l’astuccio con le gomme pane i quadrelli di creta e le matite 6B, il quaderno degli appunti, un po’ di fogli colorati in tinte pastello sui quali, avremmo incollato i primi lavori: le nuvole chiare, le nuvole rosa, le nuvole nere.

All’istante ho capito come sarebbe stata e che prima di affrontare la classe avrei dovuto ogni volta spiegare tutto e molto bene alle maestre. Guardavo i bambini che avevo di fronte e alcuni mi conoscevano, un po’ emozionata iniziai presentando il “magnifico programma d’arte” che avrei svolto con loro, cominciai parlando dei cieli, di come è bello guardarli e dei pittori che li dipingono nei quadri. Loro, attenti, incuriositi, volevano vedere i libri, la novità li eccitava e la maestra esercitava il controllo alzando la voce. Il raffreddore, che nel giro di poche ore sarebbe diventato febbrone da cavallo, mi aggrediva. Il naso gocciolava, avevo un gran caldo, sudavo e temevo di infettare i piccoli; loro invece erano attenti. Pendevano teneramente dalle mie labbra e anche se la condizione non era delle migliori, mostrai i libri con le immagini già divise fra le nuvole serene, quelle bianche e soffici; quelle gialle o rosa che salutano il sole; quelle nere cariche di pioggia, grandine e tempesta. La scelta cadeva sui pittori tedeschi e inglesi, sui cieli romantici. Secondo la mia scaletta, questa cosa dei libri non doveva durare più di 15-20 minuti al massimo, perché la loro attenzione è limitata e anche il disegno non doveva prendere più di un’oretta. In teoria tutto era stato calcolato.

E nonostante la tosse e il raffreddore, ogni cosa si stava svolgendo come previsto e con occhio fisso all’orologio seguivo le tappe. Bambini rapiti dall’idea di toccare e sfogliare i miei libri, rumorosi ma disciplinati, toccavano incantati i tramonti e i cieli azzurrissimi di quelle vecchie opere che si avvicinavano al vero.

Davanti ad un foglio bianco, con un pastello blu oppure rosso, giallo o rosa, aspettavano il resto delle indicazioni. ”Niente matita”, perché rovina l’effetto pittorico dei gessetti; e poi volevo che pensassero, che memorizzassero, e lavorassero con attenzione, senza la possibilità di cancellare. Giravo fra i banchi e tutti mi chiamavano contemporaneamente, chiedevano; tutti insieme volevano, pretendevano consigli, colori, esprimevano dubbi, mi volevano al loro banco. Un piacevole caos che temevo di non controllare.

I tempi dei bambini sono, per ognuno, diversi. Alcuni hanno fretta di dimostrare d’aver capito tutto, altri sono incerti se prendere la cosa come un compito serio o un divertimento nuovo, altri ancora hanno bene in mente cosa vogliono fare, ma temono la novità dei nuovi mezzi. Il pastello, usato al posto della matita, creava all’inizio una grande diffidenza, è sempre così; la paura di non poter cancellare si risolveva nel tentativo di cambiare il foglio. Dovevo intervenire per tranquillizzare tutti, prestare attenzione alla maestra, rispondere alle sue domande, spiegarle ogni cosa e farmi aiutare. Un momento faticoso, il punto critico di ogni lezione, un momento che dura poco ma con un livello d’attenzione massimo.

Ho lavorato con molte insegnanti e sono pochissime quelle che hanno l’intuito giusto nei confronti del disegno, la maggior parte di loro è attratta solo dall’ordine, e da un segno che non sia troppo marcato. E’ dura dover insegnare un metodo nuovo senza inibire i bambini, lasciandoli liberi nella loro espressività, e confondere le idee alle maestre. Bisogna improvvisare i commenti giusti e guadagnare tempo. Quello necessario alla consegna dei primi lavori, che guardo e metto da parte per rivederli con loro prima della fine della lezione.

La lezione piacque a tutti, i lavori uno dopo l’altro raggiungevano la cattedra. Belli, alcuni intensi, altri imprevedibili, altri tranquilli, esageratamente simpatici, coloratissimi, o appena accennati.

I gessetti colorati rendono. Sono un mezzo molto gratificante, efficace, veloce, rassicurante. Anche se ci si sporca, in un attimo tutto è subito risolto. L’uso della gomma pane aiuta a conferire l’effetto vaporoso e i bambini imparano in fretta. Le nuvole disegnate parlano del tempo, delle ore del giorno e della sera, della luce colorata del tramonto e dell’aurora, del buio della notte e dei temporali. Un buon lavoro. Ma non è una cosa straordinaria, a quella età la sicurezza di descrivere ciò che si conosce, o si ha appena imparato, o visto è intatta.

“Quando avevo l’età di questi bambini sapevo disegnare come Raffaello; mi ci è voluta tutta una vita per imparare a disegnare come loro.” Picasso.

Miriam Ravasio

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Miriam Ravasio abita a Lecco, si occupa di educazione all’immagine nelle scuole; un lavoro a cui è arrivata “per caso”, dopo una vita dedicata alla moda e alla ricerca di immagini per abiti, tessuti e ricami. L’impatto con la scuola, e in particolare, con il frastuono pedagogico della didattica, è stato così forte e violento da indurla a scrivere.


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Scritto lunedì, 3 settembre 2007 alle 19:58 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

47 commenti a “CAPITOLO I – “L’OCCHIO ALATO: storie di disumanizzazione scolastica” (di Miriam Ravasio)”

Potete leggere (o forse avete già letto) il primo capitolo de “L’Occhio alato: storie di disumanizzazione scolastica” di Miriam Ravasio.
Trovate introduzione e presentazione all’interno dell’apposita rubrica.
Miriam è a vostra disposizione per eventuali domande.

Postato lunedì, 3 settembre 2007 alle 20:32 da Massimo Maugeri


Sono un’insegnante e ho lavorato per sei anni con i bambini delle scuole elementari. Anni intensi e faticosi, in cui ho tastato con mano che vuol dire aprire la porta di una classe e vedersi fissare da venticinque paia di occhi attenti o annoiati, indifferenti o pieni d’amore e voglia d’imparare. I bambini sono il tesoro più prezioso che possediamo, ma un tesoro fragile come cristallo: basta un niente perché perdano fiducia in te e in se stessi, perché diventino cinici, smaliziati o crudeli come solo loro sanno essere. Che compito difficile insegnare loro più che nozioni il valore della conoscenza di se stessi e del mondo!
La scuola sta diventando sempre più disumana: parcellizzazione del tempo scuola, obiettivi, certificazione delle competenze… Ho iniziato a lavorare a 26 anni ma già non riconoscevo la scuola che avevo lasciato quando mi ero diplomata. Adesso insegno alle scuole superiori. Quanti giovani orfani anche se ormai hanno 4 o 6 genitori, quanta povertà interiore nonostante lo scooter, l’mp3, due o tre cellulari, euro a volontà, macchinette per le patatine e la coca cola anche a scuola…
Quando un alunno comprende una cosa o una lampadina si illumina dentro di lui perché io ho fatto da filtro, da mediatore, da guida, allora spero che questo lavoro abbia un senso. Più spesso però mi scontro con debito scolastico, credito formativo, genitori avvocati dei figli ad oltranza per coprire manchevolezze e incapacità di essere punto di riferimento e portatori di valori oltre il consumismo e la politica del fotticompagno…
C’è un’orfanità, una strage silenziosa di fiducia e voglia di vivere. Quanto disagio… A volte mi sento schiacciata da tutto questo.
Vorrei essere l’insegnante che vorrei…

Postato lunedì, 3 settembre 2007 alle 22:08 da Maria Lucia Riccioli


Cara Maria Lucia, grazie davvero per la tua testimonianza. Sei una bella persona e ne hai dato dimostrazione ancora una volta.
Miriam contro-commenterà molto presto.
Questa tua frase fa molto riflettere: “C’è un’orfanità, una strage silenziosa di fiducia e voglia di vivere.”

Postato lunedì, 3 settembre 2007 alle 22:19 da Massimo Maugeri


Ciao Miriam,
sento molto vicina la tua esperienza perché se tu ti occupi di “Educazione all’immagine” io mi occupo da qualche tempo di “Educazione all’ascolto”.
Così si chiamava, ormai nel vecchio 2003, il primo corso sperimentale di musica propedeutica che ho avviato con mia moglie nella nostra città del centro Italia. Oggi è una scuola di musica per bimbi in età prescolare.
Io e mia moglie proveniamo dalla (medesima) esperienza di intrattenimento di bambini maturata in qualche anno di intrattenimento dei nostri figli e nipoti: orde di esseri esigenti e potenzialmente dannosissimi che venivano e vangono ricondotti in un alveo di trattabilità solo con un metodo: l’autenticità.
I bambini “sentono” che la cosa di cui parli loro piace a te per primo, “sentono” che ti diverti anche tu con loro e che non lo fai per insegnargli qualcosa o per guadagnare soldi, “sentono” se ridi con la bocca o se ridi veramente col cuore. Ai bambini non la si fa così facilmente come si crede comunemente.
E se sei autentico, e se sai ricordarti di quando il bambino eri tu (e io ci riesco benissimo) nessun bambino potrà resistere e continuare ad essere intrattabile.
Scene tipo genitori che ti dicono di stare attento perché al figliolo “non gli interessa niente”, altri che ti raccomandano di “non stressarlo sennò dà di matto” – e altre amenità simili – succedono spesso.
Invece tu il bimbo lo guardi negli occhi, gli stringi la mano, lo saluti, impari il suo nome e il suo cognome, lo citi nei tuoi discorsi, attingi dal suo immaginario e dalla sua sita comune, e lui ti segue docile per i sentieri dell’Arte, ovvero nel terreno più affascinante che ci sia.
Io Miriam mi occupo da sempre di musica, ci sono immerso dentro, è la mia forma di Arte preferita. Per te lo sarà sicuramente la pittura, o comunque l’arte figurativa in generale.
Ti sarà capitato che gli insegnanti “curriculari” ti guardino come si guarda uno scapestrato. Io sono fortunato perché l’essere l’unico maschio in un ambiente femminile mi ha dato una qual credibilità in più (chissà poi perché… amo credere che sia per il mio fascino) però in certi frangenti sono stato guardato come un curioso pesce di un acquario, come quando salii in cima alla cattedra per illustrare alle mamme distratte il contenuto del corso o come quando una mamma mi sorprese a terra mentre mi facevo “suonare” la pancia nuda da un’orda di bambini divertitissimi, e scuotendo la testa richiuse la porta.
Lavorare coi bambini è la cosa più bella che possa capitare a un uomo di quarant’anni come me. Mi ricorda ogni giorno che tutto quello che faccio nel resto della vita è COME SONO DIVENTATO, e quello che faccio nella scuola di musica è COME ERO. E di me preferisco di gran lunga la seconda versione. Anche mia moglie, se è per questo…
Tutto ciò per dirti, cara Miriam, che sono incondizionatamente, assolutamente, irreversibilmente dalla tua parte. Capisco ogni singola parola che hai scritto fino nel profondo. Amo i bambini e amo tutti quelli che con loro si sanno rapportare, le persone che non hanno perso il bambino nel cuore. Sono pochissimi, e tu sei una.

Pier Paolo Piccioni

Postato lunedì, 3 settembre 2007 alle 23:34 da Pier Paolo


A Maria Lucia Riccioli, solo chi ama la vita e conosce l’importanza di ogni piccolo niente può soffrire così! La scuola è il mondo, chi conosce la scuola ha idea del futuro, purtroppo. Ma nella scuola ci siamo anche noi: io, te, e Pier Paolo Piccioni. Però, riflettendo sulle tue considerazioni vorrei dire che i danni della politica, qui, nella scuola, si pagano più che altrove. Ultimamente ho letto alcuni scritti della Montessori; non la conoscevo, provengo da una formazione artistica che niente aveva a che fare con la pedagogia; altro che “asilo Mariuccia”, Maria Montessori era una grande, una pensatrice, uno spirito libero e costruttivo. Alcune sue considerazioni sorprendono per le intuizioni e le sue proiezioni nel futuro, che oggi è il nostro presente. Allo stadio naturale lo spirito dell’uomo è già matematico; tende verso l’esattezza, la misura, il raffronto. Se limitiamo l’immaginazione o la sostituiamo con la classificazione pedante e improduttiva dei dati, che fine farà la matematica ? Ora che l’intelligenza dell’uomo non è più un intelligenza naturale, più che mai è necessario presentare la matematica in una forma concreta. Questi scritti, generosi di esemplificazioni e dettagli risalgono ai primi decenni del secolo scorso, purtroppo per noi e per lei, questa nostra grande pedagoga fu defraudata dalla politica. Il fascismo ridusse il suo pensiero all’ordine: ogni cosa a suo posto e un posto per ogni cosa. E di lei si perse il resto: l’invito all’immaginazione dell’universo.

A Pier Paolo Piccioni, ti ringrazio per il tuo intervento; ti immagino nelle situazioni che descrivi, concordo sull’autenticità che si riconosce, anche se il mio primo pensiero è quello del coinvolgimento delle insegnanti. E’ il lavoro più difficile, e per me l’obiettivo più importante; perché alla fine del progetto io cambio scuola ma le insegnanti restano e lascio a loro l’eredità della mia esperienza : augurandomi che possa essergli d’aiuto.

Postato martedì, 4 settembre 2007 alle 01:09 da Miriam Ravasio


Cara Miriam, ti ho letta con molto interesse. Con altrettanto interesse ho letto i commenti che ahnno fatto seguito al primo capitolo del tuo libro.
Ti ringrazio. E sono curiosa di leggere il seguito.
Smile

Postato martedì, 4 settembre 2007 alle 09:47 da Elektra


Sto scegliendo proprio in questo periodo le prossime scuole per il mio bimbo e sono molto interessata all’argomento. Mi sono procurata tutti i volumi sulla Montessori pubblicati da garzanti e li leggerò a breve. Argomento difficile e affascinante, dove però la differenza viene spesso fatta da chi applica gli insegnamenti montessoriani. Come fare a difendersi dalle individualità dei singoli “educatori”? Questa è la grande domanda che pongo alla disponibile Miriam Ravasio.
Un saluto a Massimo
buona settimana
Elisabetta

Postato martedì, 4 settembre 2007 alle 09:52 da elisabetta bucciarelli


Quanto è missionario il lavoro degli insegnanti !
In una società nella quale il ruolo genitoriale è appaltato a qualunque cosa o persona sia in grado di ingaggiare l’attenzione dei figli, la scuola è vista come uno strumento utile per coprire ore di assenza e gli educatori come i delegati alla formazione culturale e umana dei figli.
I limiti dell’insegnamento non non sono dovuti al “sistema” bensì agli individui che le famiglie formano. Come può una maestra competere con il verbo massificante della tv senza altri adulti che avallino e rafforzino il messaggio ? Oltre a tanti insegnanti forse distratti e svogliati esistono altrettanti romantici della formazione, persone validissime, alcune delle quali mi picco di annoverare tra le mie amicizie. Di essi solo minima parte riesce ad esprimere il proprio potenziale. Oltre alle ore di lezione esistono laboratori, momenti formativi specifici, attività di ricerca che buona parte del nostro corpo insegnanti è perfettamente in grado di organizzare e di attuare, pur con la scarsezza di mezzi e sospinto solo dalla personale motivazione. La curiosità, la principale spinta per la formazione della cultura, soprattutto questa va incentivata ed il lavoro deve cominciare e svolgersi soprattutto all’interno della famiglia con l’esempio, la parola, la dedizione, l’approfondimento continuo. Questa prodigiosa capacità dell’uomo può e deve essere formata al pari della scrittura, Giacchè non basta decidere di farlo. Bisogna esserne in grado.
Ringrazio il padrone di casa e la signora Ravasio per averci dato la possibilità di sfiorare questo tema.

Postato martedì, 4 settembre 2007 alle 09:57 da eventounico


D’accordo con eventounico. Quanto sarebbe migliore la scuola se il lavoro degli insegnanti venisse considerato come “una missione”.
Grazie Miriam.

Postato martedì, 4 settembre 2007 alle 11:48 da Rosa Fazzi


La domanda di Elisabetta Bucciarelli è proprio una bella domanda:come fare a difendersi dalle individualità dei singoli “educatori”? I genitori sono (dovrebbero essere) gli educatori contrapposti, che con intuito, amore, conoscenza dei propri figli e preparazione dovrebbero arginare le esondazioni di queste professionali figure. E’ come una sfida al fato, niente è certo; dalla mia particolare esperienza posso dire con sicurezza che l’ambiente conta moltissimo, a volte più della preparazione e della disponibilità. Per ambiente intendo l’ambiente fisico della scuola e delle classi; il rapporto numerico alunni e insegnanti; e una certa programmazione collaudata. Sono elementi che favoriscono il confronto fra le insegnanti, fra scuola e casa, fra programmi. Certo, quando la porta si chiude l’insegnante è solo e la classe vive il suo momento che ogni giorno è unico e irripetibile. Fortunatamente la scuola non ha memoria, quello che un giorno può sembrarci tragico e lesivo all’indomani è subito dimenticato: la scuola ha la dimensione del gioco e tutto ricomincia. Gli esterni, come appunto sono i genitori, devono coglierne lo spirito con partecipazione e distacco, seguendo con quotidianità la vita della classe e della scuola in un rapporto con i figli di serena e complice comunicazione . Ho letto da poco un libro sull’architettura di Alain De Botton, Architettura e felicità, io ne scriverei un altro: Architettura e rendimento scolastico. Ho lavorato in classi di bambini preparati, svegli, le cui insegnanti erano altrettanto sveglie e preparate, ma il risultato dei progetti è stato molto inferiore a quello che realizzato in altre scuole, dove la concentrazione era favorita da un ambiente “sano” umanamente praticabile e in perfetta armonia con l’ambiente esterno. Due ore lì ne valevano dieci in un altra sede!

Per Eventounico
Grazie per l’attenzione e il commento che mi offre la possibilità di precisare alcune cose. Le pagine di questo mio diario sono, ormai per me, una cosa lontana, scritte di rabbia dopo la festa delle carpe agonizzanti ( che leggerete nei prossimi capitoli). Odiavo le maestre, mi sembravano stupide, incoscienti, pericolose, leggere, fatue. Mi misi a scrivere per due motivi , per ricordarmi ciò che stavo realizzando e per sfogarmi per tutte le incomprensioni, le assurdità in cui mi dibattevo. Prendevo appunti per pianificare meglio il lavoro futuro; mettevo nero su bianco per bilanciare la mia rabbia. Poi con il passare del tempo cambiai opinione, osservai tutto da un altro punto di vista. Mi sentii parte di quel meccanismo e cercai i modi per rendere sempre più efficaci e costruttivi i miei interventi. Sono poche le insegnanti con cui ho lavorato in perfetta sintonia ed entusiasmo ma con tutte lavoro bene; prima di trascinarle nel mio entusiasmo mi preoccupo di conoscerle e di assecondare i loro ritmi. Poi tutto viene da sé: non mi risparmio fatiche.

Postato martedì, 4 settembre 2007 alle 16:26 da Miriam Ravasio


Grazie per la risposta. Ogni diario ha dignità di stampa, ma non tutti hanno dignità di lettura. Questo mi sembra che le abbia entrambe, anche se il giudizio di uno come me vale quanto alitare su un vetro caldo.

In ogni caso, dare forma scritta alle proprie emozioni ha una grande proprietà taumaturgica, consolante e confortante al tempo. La sintonia è una condizione bilaterale, l’entusiasmo può essere unilaterale, se si vuole, ma è sicuramente dotato di un grande potenziale di contagio. Sarebbe interessante scoprire se può assumere dimensione epidemica.

Postato martedì, 4 settembre 2007 alle 17:27 da eventounico


bene miriam. mi sfrego le mani nell’attesa di leggere i capitoli sulle carpe agonizzanti. adoro le pagine rabbiose e spontanee. :)

Postato mercoledì, 5 settembre 2007 alle 13:59 da gennaro iozzia


@ Elisabetta:
ciao cara, ricambio il saluto.
-
@ Eventounico:
grazie per i tuoi ringraziamenti, ma li “trasferisco” tutti a Miriam.

Postato mercoledì, 5 settembre 2007 alle 18:48 da Massimo Maugeri


@ Miriam.
Anche se vado un po’ fuori argomento volevo chiederti: cosa ne pensi di questa “riforma scolastica” attuata da Fioroni a rettifica di quella messa in atto dalla Moratti?
Ovviamente la domanda è rivolta anche agli altri.

Postato giovedì, 6 settembre 2007 alle 23:29 da Massimo Maugeri


da Repubblica del 2 settembre.
=
Il nuovo anno scolastico si apre con molti cambiamenti nel cassetto.
Introdotte le “classi primavera”, torna l’ammissione all’esame di terza media.
=

di SALVO INTRAVAIA
=
ROMA – Oltre 7 milioni e 700 mila alunni italiani si apprestano al rientro in classe. Ma quali novità troveranno rispetto all’anno scorso? Sezioni primavera, modifica degli esami di licenza media, obbligo a 16 anni e ripristino degli “esami di riparazione”, sono alcune di quelle confezionate, o in dirittura d’arrivo, dal ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni e dai suoi più stretti collaboratori negli ultimi mesi. La scuola italiana è in rapida evoluzione. La difficilissima sfida che aspetta il governo in carica è quella di coniugare una serie di esigenze non sempre conciliabili.

Crescita economica e sociale del sistema-paese, conti pubblici in ordine e ammodernamento dell’intero apparato scolastico nazionale sono solo alcuni degli obiettivi che l’Europa ci spinge a raggiungere. Ma in che modo? In sedici mesi l’esecutivo Prodi ha messo mano alla scuola con la cosiddetta “tecnica del cacciavite”: niente rivoluzioni, insomma. Dopo avere accantonato buona parte delle novità introdotte dal precedente governo, ha modificato gli esami di maturità dichiarando guerra ai diplomifici. Poi, è iniziato il lavoro per rendere il sistema di istruzione nazionale più efficace e giusto. Sono state introdotte una serie di novità, alcune delle quali partiranno proprio dall’anno scolastico ormai alle porte.
=
Sezioni primavera.
Sono bastati 30 milioni di euro per fare spazio per la prima volta in assoluto nelle aule italiane anche ai piccoli di due anni. Le prime 1.158 sezioni per piccoli di età compresa fra i 24 e i 36 mesi partiranno a settembre. Un esperimento che toglierà da ogni imbarazzo almeno 15mila famiglie italiane alle prese con la caccia all’asilo più economico e affidabile della città. L’operazione è stata accolta bene visto che le richieste provenienti da tutte le regioni sono state 2.802. La speranza è che entro pochi anni l’esperienza possa essere estesa. “Nasce una tipologia innovativa di servizio educativo integrativo, che risponde in tempi rapidi ad un’alta domanda delle famiglie, di fronte alla quale fino ad oggi c’era un’offerta insufficiente”, spiega Mariangela Bastico, viceministro della Pubblica istruzione. Sarà compito dei comuni, fornendo i servizi e garantendo i requisiti necessari, rendere attive le sezioni primavera.
=
Elementare.
Dopo essersi sbarazzato di tutor e portfolio, Fioroni costruisce tutto sulle nuove “Indicazioni nazionali”. Per l’intero primo ciclo di istruzione (che comprende la scuola dell’infanzia, la primaria e la media) sono indicate le competenze e le conoscenze che gli alunni dovranno possedere alla fine di ogni segmento scolastico. Non più quindi programmi dettagliati, quindi. Le scuole nella loro autonomia possono, sempre entro certi limiti, scegliere cosa e quali argomenti fare studiare a bambini e ragazzini che, alla fine, dovranno mostrare di poter competere con i coetanei degli altri paesi europei. Il tutto dovrebbe rimanere in fase di sperimentazione per due anni. Successivamente arriveranno i nuovi curricoli.
=
Scuola media.
Le Nuove indicazioni nazionali partiranno anche per la scuola secondaria di secondo grado, ma la novità più interessante all’orizzonte riguarda gli esami di terza media. Due le novità in vista per l’anno 2007/2008. Per i circa 556mila ragazzini di terza media sarà quasi certamente reintrodotta l’ammissione agli esami cancellata dall’ex ministro, Letizia Moratti, e gli scritti passeranno da tre a quattro, con una prova nazionale predisposta dall’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione).
=
Scuola superiore.
Salvati gli istituti tecnici e i professionali dalla licealizzazione spinta varata dal vecchio esecutivo, il governo Prodi mette sul tavolo l’obbligo di istruzione a sedici anni. I 553mila ragazzini che quest’anno hanno superato gli esami di terza media dovranno proseguire gli studi scegliendo una scuola superiore o un corso di formazione professionale triennale. Intanto gli studenti del primo anno degli istituti professionali al loro ingresso in aula troveranno una gradita sorpresa: dovranno studiare quattro ore in meno rispetto ai compagni degli anni precedenti. Entra, infatti, in vigore da settembre la riduzione dell’orario scolastico da 40 a 36 ore per la prima classe, stabilita dalla Finanziaria.
=
Altro capitolo su cui si è soffermato Fioroni è quello dei debiti. I ragazzi del quinto anno saranno gli ultimi a potere accedere alla maturità senza avere saldato i debiti scolastici contratti a fine anno. Per gli studenti del terzo e del quarto anno saldare i debiti sarà una condizione necessaria per sostenere la maturità. Il dibattito sul ripristino degli esami di riparazione è stato già avviato. Forse entro quest’anno, viale Trastevere stabilirà tempi e modalità per certificare il superamento dei debiti: se non a settembre, come un tempo, gli esami occorrerà comunque sostenerli. Per gli stessi alunni, nel 2007/2008, cambierà anche il credito scolastico, non più espresso in ventesimi ma in venticinquesimi.
=
Adulti.
Novità in vista anche per gli adulti. Da quest’anno, l’educazione degli adulti entra a far parte in modo organico del sistema di istruzione nazionale. In Italia sono ancora pochissimi coloro che dopo avere concluso il ciclo canonico degli studi partecipano a corsi di aggiornamento. Ce lo rimprovera l’Europa dove per educazione degli adulti (lifelong learning), considerata una risorsa strategica, ci collochiamo agli ultimi posti. Il 6,1 per cento certificato dall’Eurostat (nel 2006) è poca cosa rispetto alll’11,1 dei paesi Ue e al 26,6 del Regno Unito.

(2 settembre 2007)

Postato venerdì, 7 settembre 2007 alle 12:29 da Le "novità scolastische" (postato da Cicerone 4)


Colpita! (e affondata) non sto parlando della riforma Moratti, ma di me; caro Massimo mi quasi obblighi ad un intervento che avrei evitato. A me, la prima parte della riforma Moratti piaceva. Trovavo giusto mettere mano alle elementari, dividendo bene i cicli fra il primo e il secondo. Con l’ingresso morbido alla prima elementare ( promosso e introdotto da non so quale ministro), di fatto si era generato (almeno qui da noi) un comportamento, dei piccoli alunni, poco consapevole, svagato, che induceva le maestre ad un lavoro estenuante e ripetitivo. I bambini contestavano le regole della scuola, ne riconoscevano l’importanza solo dopo alcuni mesi di frequenza: “alla materna non era così!”
Non mi ricordo in quale capitolo, ma nel diario ne parlo ampiamente. Troppe figure professionali; una maestra ogni due ore, le compresenze, gli esperti, agli occhi dei bambini creavano l’effetto trasmissione; effetto che degenerava in sopportazione e aperta insofferenza: quando arriva un’altra maestra? Mi sembrava giusto e assennato ridefinire con una certa precisione gli obiettivi educativi dei primi anni scolastici: essere a scuola, imparare a scrivere, conoscere l’aritmetica. Discipline insegnate con la ricchezza dei nostri tempi e supportate dalla presenza d’attività ricreative e artistiche. Per i primi due anni, una maestra prevalente mi sembrava una buona idea. Da noi, a Lecco, ancor prima della riforma e controriforma, nella maggior parte delle scuole è ritornato l’obbligo del grembiule e in alcuni casi anche quello di “salutare” con il vecchio e generico Buongiorno Signora Maestra. Ho parlato con queste insegnanti, ho chiesto il perché di questa voglia d’ordine; si è trattato di un percorso obbligato per recuperare il senso della scuola, del dovere e del diritto all’istruzione.
Concordo con il Ministro Fioroni sull’importanza di imparare e condivido con lui anche il suo rifiuto verso i progetti (ne parlo diffusamente anche in Occhio), ma bisogna fare chiarezza. Delle brevi interviste o qualche articolo di giornale non bastano; quali progetti ? Tutti ? L’affermazione “meno teatro e più matematica” non chiarisce; se per teatro s’intende una promozione economica per la semplice visione di alcuni spettacoli teatrali, allora sì: limitiamola. Ma, se per teatro s’intende un progetto che porti nelle classi un testo su cui si lavora, si ricerca, si elabora e si interpreta, allora no: mi sembra un’idea pesante. Il teatro può essere una porta aperta all’immaginazione, alla conoscenza di sé, alla capacità comunicativa e interpretativa. Con il teatro si studia storia, poesia e volendo anche matematica. Qui in Lombardia siamo afflitti dai progetti che non lasciano traccia, gratuiti o assurdamente costosi, servono solo a frammentare i programmi. Sono i progetti proposti dalle associazioni, che grazie a questa loro attività ricevono fondi e sussidi Regionali e Provinciali. Progetti utili e validi nelle scuole medie superiori, quando la loro presenza è richiesta dagli allievi o dagli insegnanti. Assurdi quando diventano delle vetrine espositive proposte ad un uditorio “piccolo” e da esponenti che non hanno alcuna qualifica per parlare ai bambini. Sono tanti, troppi e con questa montagna di proposte si devono confrontare, i dirigenti scolastici, gli assessori all’istruzione ( magari freschi di nomina), gli insegnanti, e quelli come me, che invece propongono progetti studiati per “quella” scuola o per uno specifico gruppo di classi.
In ogni modo e concludo, dei progetti integrativi non si può più fare a meno: sono parte di uno stile educativo che si è allargato ai musei, ecomusei, percorsi tematici, a internet! “Da YouTube a Wikipedia, dai blog alle mostre spiegate dai visitatori: nella you-era si diffondono nuovi modi di fare divulgazione in cui l’alunno insegna e il ricercatore diventa comunicatore”. (dal Domenicale 12-8-07)
Se lavorassi al Ministero …

Postato venerdì, 7 settembre 2007 alle 16:19 da Miriam Ravasio


Cara Miriam, non volevo né colpirti né affondarti. Lo sai che sono uno “sporco suscitatore di dibattiti”. Volevo solo contribuire ad alimentare questo. E sai una cosa? Non me ne pento. Perché ti ho stimolata a scrivere un nuovo e interessante articolo. Un post nel post.
Anzi, ne sono proprio contento.
Naturalmente, se c’è qualcun altro che vuole intervenire in merito… ;)

Postato venerdì, 7 settembre 2007 alle 22:18 da Massimo Maugeri


Da La Stampa dell’8 settembre 2007
=
Socializzano bene, ma studiano male, convinti di imparare cose che «non servono»
=
di FRANCO GARELLI.
Quest’anno, la riapertura delle scuole sembra coincidere con un dibattito pubblico più attento allo specifico ruolo formativo di questa istituzione e alla necessità di meglio governare i processi che la riguardano.

Non mancano ovviamente preoccupazioni immediate, anche rilevanti, dal caro libri lamentato dalle famiglie alla difficoltà di formare le classi, dal turnover degli insegnanti al rifiuto di molti genitori di mandare i figli nelle scuole a maggior presenza multietnica. Ma l’urgenza di questi problemi non sembra far passare in secondo piano l’idea che occorre far di tutto per ridare alla scuola lo smalto che ha perso nel tempo e la funzione che le compete nella società dell’innovazione.

Per anni la scuola italiana è stata presentata come un luogo protetto per i giovani, come uno spazio in cui non farsi male, con esami facilmente superabili e l’idea che la frequenza sia già di per sé una virtù. Oggi, il rinnovato interesse per qualificare questa istituzione passa per un ministro (che si definisce «della scuola», più che della «pubblica istruzione») che a più riprese si è espresso per ridare una patente di normale serietà alla presenza scolastica. Di qui la denuncia che i debiti formativi accumulati dagli studenti a fine anno sono perlopiù insoluti o inesigibili; l’intenzione di modificare l’esame di maturità in termini di maggior serietà e impegno; o ancora la battaglia per evitare che certi contenuti o autori classici siano derubricati dalla scuola dell’autonomia, al fine di garantire al Paese un minimo di cultura comune.

Ma la domanda di serietà scolastica sembra crescere anche in ampi settori della pubblica opinione, che riflettono al riguardo sui guasti del passato. Tra questi, l’anomalia di una scuola che da tempo viene investita di compiti formativi impropri, col rischio di annacquarne la funzione specifica e prioritaria, che è pur sempre quella di essere un luogo in cui si trasmette la conoscenza e si costruisce la «forma mentis» dei giovani. Di anno in anno, invece, crescono le aspettative nei confronti della scuola, impegnandola in campagne di educazione alla sessualità, per una corretta alimentazione, sui temi della legalità, di prevenzione delle tossicodipendenze, di educazione stradale, di varie abilità espressive ecc. Ora, è indubbio che spetti alla scuola anche di educare ai valori della cittadinanza; ma perlopiù facendo leva sul normale curriculum di studi e sui rapporti interni agli ambienti formativi; non attraverso una moltiplicazione di compiti che le vengono attribuiti come se fosse l’unica agenzia formativa sulla faccia della terra.

Ancora, cresce nell’opinione pubblica l’indignazione nei confronti di quei genitori che agiscono da sindacalisti dei figli studenti, quando questi vengono ripresi dagli insegnanti per comportamenti non urbani o incivili sui banchi di scuola. Come a dire: «stop» al familismo italiano che pervade anche gli ambienti scolastici, e mina alla radice quel minimo senso di autorità e delle istituzioni di cui non può fare a meno il vivere civile.

Si moltiplicano dunque nel Paese gli indizi che a scuola «la ricreazione è finita», come auspicava un celebre libro di Bottani di 20 anni or sono. O si fa strada l’idea che occorre andar oltre il clima scolastico descritto dal bel film La notte prima degli esami, un Oscar di simpatia umana che illustra però un deficit di tensione formativa.

Che si sia sulla buona strada, all’inizio di un sano ripensamento delle questioni scolastiche, emerge anche dall’indagine Giovani a scuola, coordinata da Alessandro Cavalli e GianLuca Argentin, – svolta dallo Iard per la Fondazione della scuola della Compagnia di San Paolo, in uscita dal Mulino (pp. 332, euro 25) – con l’obiettivo di guardare a questa istituzione dal punto di vista dei suoi giovani protagonisti.

La ricerca non conferma – come sottolinea Lorenzo Caselli – le voci allarmistiche che sovente riguardano la scuola italiana, nemmeno l’immagine del bullismo invadente e debordante che le cronache nazionali applicano ai nostri studenti. La larga maggioranza dei giovani dichiara di trovarsi bene a scuola, di avere buoni rapporti con i propri compagni di classe, e che non sono male nemmeno le relazioni con gli insegnanti, anche se di alcuni di essi si stigmatizzano vari comportamenti. Tra questi, il fatto di non prendere in considerazione le esigenze degli studenti, o di voler imporre le proprie idee, specie politiche.

Tuttavia, «lo stare bene a scuola» degli studenti sembra dovuto più all’interesse per la socializzazione che per lo studio o l’impegno formativo. Il 38% degli studenti italiani rientra nella categoria degli «svogliati», quelli che dichiarano che «la scuola è un luogo dove non ho voglia di andare»; persone quindi non attratte dalle proposte formative e dai programmi scolastici. Quattro studenti su dieci non promuovono i loro insegnanti per la capacità professionale. La maggioranza dei giovani non ha l’idea di imparare delle cose che servono. La scuola sembra lontana non soltanto dal mondo del lavoro, ma anche dal vissuto dei giovani.

In sintesi, come nota Cavalli, la scuola non è allo sfascio, ma non gode nemmeno di buona salute. I segnali di sofferenza maggiori si riscontrano sia tra gli studenti più bravi, alla ricerca di stimoli più forti, sia nei giovani per i quali la scuola è fonte ricorrente di insuccessi e frustrazioni.

Come è lontana, questa scuola «mediocre», dall’appello di una rivista americana di qualche anno fa, che ricordava che la capacità di coinvolgere i giovani in sfide culturali significative è una delle condizioni chiave per la loro riuscita non solo nella carriera scolastica, ma anche nella vita!

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 8 settembre)
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/Libri/grubrica.asp?ID_blog=54&ID_articolo=1023&ID_sezione=81&sezione=News

Postato sabato, 8 settembre 2007 alle 14:06 da Stanno in aula, vivono altrove (postato da Cicerone 2)


A Miriam grazie per avermi risposto… A Massimo grazie per l’inatteso e immeritato attestato di stima… Massimo, grazie dei tuoi stimoli, delle tue provocazioni mai fine a se stesse ma sempre intenzionate a farci riflettere…

Postato giovedì, 13 settembre 2007 alle 21:28 da Maria Lucia Riccioli


Cara Maria Lucia, sono io che ringrazio te. :)

Postato giovedì, 13 settembre 2007 alle 21:48 da Massimo Maugeri


Ciao, Miriam!
Sergio

Postato martedì, 18 settembre 2007 alle 01:05 da Sergio Sozi


mi sono piaciuti molto i vari commenti che ho trovato sul sito , emolto interessante il testo di miriam ravasio . Credo che la scuola sia un mezzo molto importante per la crescita culturale del nostro paese e poter quindi diminuire ancor di più l’ignoranza , non solo della popolazione senza titolo di studio ma soprattutto di insegnanti spesso molto meno istruiti degli alunni . per questo la scuola deve essere un punto di incontro e di scambio di opinioni.
G.G

Postato giovedì, 17 aprile 2008 alle 17:23 da Anonimo


@ Massimo
pensi che sia una cosa possibile trasportare qui il dibattito su Pennac? Con un link?

Postato giovedì, 17 aprile 2008 alle 17:50 da miriam ravasio


Va bene Miriam. Aggiungo un link ai due post.
Intanto ne inserisco un qui:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/03/25/diario-di-scuola-di-daniel-pennac/

Postato giovedì, 17 aprile 2008 alle 21:58 da Massimo Maugeri


[...] recenti Massimo Maugeri su CAPITOLO I – “L’OCCHIO ALATO: storie di disumanizzazione scolastica” (di Miriam Ravasio)Massimo Maugeri su MANITUANA. INCONTRO CON WU MING 4Massimo Maugeri su MANITUANA. INCONTRO CON WU [...]

Postato giovedì, 17 aprile 2008 alle 22:03 da Kataweb.it - Blog - LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Blog Archive » DIARIO DI SCUOLA di Daniel Pennac


IL SISTEMA ADULTO

di LAURA TUSSI

Non si considera l’età adulta come aperta ai processi di cambiamento. Subentrano assenza di cultura e vecchie mentalità nella convinzione che l’adulto è in grado di autopromuoversi in quanto tale con la capacità di self help. Per una sbagliata mentalità chi desidera acculturarsi e fare esperienze educative non ha bisogno di essere tutelato dall’iniziativa pubblica, che dovrebbe invece promuovere le condizioni affinché ogni territorio diventi area di educazione permanente.
Le offerte educative per l’età adulta necessitano che l’esperienza del cambiamento venga vissuta collettivamente perché l’essere e l’agire collettivi diventino valore culturale e sociale contro l’alienazione e l’individualismo. Una corretta strategia educativa deve garantire su un piano territoriale offerte capaci di interferire significativamente con i continua adulti. Si tratta di riscrivere il tempo libero degli adulti nei continua che devono diventare esperienze capaci di mettere l’adulto nella condizione di sperimentarsi. La rigenerazione dei continua è l’oggetto dell’educazione degli adulti, per cui ogni operatore professionale che si rivolge agli adulti deve porre la teoria del cambiamento a guida delle proprie riflessioni e azioni.
I servizi educativi si pongono problemi per potenziare la formazione degli adulti. Subentra inesistenza o sporadicità di interventi che ritengono il diritto alla formazione una risoluzione per le povertà post-materialistiche (intellettuali, morali, informative). Spesso si ritiene che solo qualche iniziativa per l’istruzione degli adulti sia sufficiente quando in realtà si lega solo alla dimensione di adultità. La teoria dell’incompiutezza dell’individuo e il continuum da sollecitare per evitare l’invecchiamento sono le fonti più idonee con cui rilanciare l’educazione degli adulti. In Italia non esiste una legge nazionale che indirizza gli interventi locali e gli ordinamenti regionali sono inorganici, per cui il mutamento radicale per allargare i quadri di percorsi educativi ricade nel diffondere nei territori il maggior numero di proposte per coinvolgere gli adulti in modo diretto. Nel ruolo dell’ente locale il sistema locale è un organismo vivo che indaga i bisogni di fasce di popolazione più deprivate. La rete di interazioni territoriali che stimolano le risorse di diversi servizi pubblici e privati, quali biblioteche e musei, coprono la domanda di informazione. Il comune ricopre la funzione di promozione diretta di diverse iniziative, supportato da altri enti locali; fornisce strumenti culturali che permettono all’individuo di esplicitare senso di cittadinanza e appartenenza. L’operatività comunale si esplica con l’area della domanda compensativa, per chi desidera colmare lacune della propria formazione; con l’area della domanda innovativa per chi vuole rinnovare il proprio patrimonio conoscitivo a partire da standard medio alti di capacità e competenze; con l’area della domanda espansiva per le esigenze di acculturazione riguardanti le relazioni educative a livello ludico, creativo, artistico. Per questo occorre costruire reti di servizio su basi territoriali: il territorio deve essere organizzato per soddisfare gli interessi intellettuali e relazionali, come in un’accademia platonica con la rigenerazione di mente e corpo attraverso le relazioni. Per questo occorre puntare su laboratori di formazione. I laboratori strumentali sono funzionali a compiti che l’adulto vuole praticare e perfezionare: servirsi di lingue, perfezionare l’attività professionale. I laboratori relazionali nell’associazionismo e nella produzione aggregativa sono luoghi in cui si sperimenta la relazione tra gli adulti e le altre generazioni. Nei laboratori di cittadinanza si impara ad essere cittadini, a discutere diritti e doveri e momenti in cui ci si incontra per risolvere i problemi del proprio ambiente con solidarismo e cooperazione. Nei laboratori creativi l’adulto investe le energie più vicine alla dimensione della ludicità, della proiettività, dell’avventurosità, nella realizzazione artistica, musicale, poetica e teatrale, sperimentando il piacere di essere dilettanti in diversi campi. Il desiderio disinteressato di espressività cerca nell’allestimento di mostre e concerti collettivi una legittima aspirazione alla socializzazione tramite l’atto creativo. I laboratori cognitivi costituiscono una palestra di produzione mentale con i circoli di lettura, le discussioni culturali, i cineforum per contrastare l’atrofia del disuso dell’intelligenza. Il mondo adulto è ricco di persone che inconsapevolmente educano i loro coetanei (medico, assistente sociale, uomo politico). L’etichetta di educatore è comunque un’attribuzione fastidiosa perché si parla di educazione e pedagogia solo per i non adulti, per questo siamo convinti che non occorre istituire scuole o diplomi per educatori di adulti. Il vero prerequisito dell’educazione è la metodologia con cui costruiamo il rapporto e imbastiamo la comunicazione.

LAURA TUSSI

Postato martedì, 22 aprile 2008 alle 20:28 da Laura Tussi


Miriam ti aspetto nel blog: makitevole.blogspot.com… e vorrei un tuo parere

Postato giovedì, 25 settembre 2008 alle 12:15 da Catia


@ Miriam…
” Essere maturi vuol dire aver perso l’entusiasmo nei giochi che si faceva da bambini”- Nietzsche(pressappoco…)…
Poi c’è di peggio(aggiungo io)…
Si diventa “adulti”, che è un po’ una ‘deriva’…Dopo un percorso “tortuoso” si ritrova un tenue slancio d’entusiasmo verso quegl’istinti.Ma è ormai “troppo tardi”…
Allora si prova una feroce invidia per i bambini: per i loro facili entusiasmi, i loro sorrisi, la loro leggerezza…
E come sopprimere questo “nemico”?… Con “l’ordine”, la “disciplina”, ” ognuno al propio posto e fermo e zitto!”…
” Quì comando io, piccole bertucce!…
E vi voglio fermi,spenti,come se foste quasi morti…
Come lo sono io, adulto maturo…”.
Un caro saluto.

Postato giovedì, 25 settembre 2008 alle 14:33 da Gianni Parlato


x Parlato:
dipende dall’infanzia! (per quanto mi riguarda, io non ho nostalgia, credimi) Lasciamo perdere Nietzsche e il suo pensiero, con tutto il bagalio delle influenze: resettiamo.
I bambini non hanno fantasia! (frase provocatoria) Ne hanno da piccoli, quando giorno per giorno scoprono ciò che li circonda e allora giocano con niente, ma mentre crescono, già dalla materna in su, senza stimoli si abbandonano all’aggressività o alla noia. Il fate un disegno libero, non li aiuta più, se non come momento ludico di manipolazione della materia. Del resto è così anche per la scrittura (qualche insegnante può confermarlo?), l’invito a scrivere “quello che volete” cade nel vuoto.
I bambini hanno una strordinaria fantasia se agiscono in un area definita od un tema. Ma era così nel passato, quando, qui noi andavamo per prati e boschi. Prima del gioco, il rituale prevedeva un piccolo confronto: pirati, mamma, zorro?
Ma la “circoscrizione” del tema, che io chiamo supporto tecnico, deve avere anche dei contenuti, e soprattutto riconoscerla solo nella prima parte del lavoro…a quel punto, quando il senso è chiaro e la tecnica regala sicurezza allora la fantasia ritorna ad essere quella dei primi anni.
Così è per i grandi. Così è stato per il Post sull’Arte; l’imput fornito per la stesura dei racconti, ma soprattutto alla partecipazione era dato dall’insieme di suggestioni e intenti su cui più persone avevano riflettuto. Non un inizio da includere, inglobare, sviluppare, ma Emozioni, Pensieri. Le immagini e le didascalie (Goya dava grandissima importanza alle didascalie) erano un attacco alla memoria, ai dati trattenuti presenti in noi e stimolati da suggestioni diverse e contrastanti. Insomma solo l’Arte ci salverà e vadano a quel paese i superuomini/donne.
Ciao
:-)

Postato giovedì, 25 settembre 2008 alle 16:27 da miriam ravasio


D’accordo Miriam, ci salverà l’Arte (e non solo, aggiungo io). Però, non mi infastidire il caro Friedrich, e non accomuniamolo col superuomo tipo superman, chè il vecchio picchiatello forse era ad un passo dalla Libertà, e forse ha fissato l’abisso troppo a lungo, e l’abisso ha guardato nei suoi occhi (parafrasando, in una citazione generalmente usata di cui mi perdonerai spero, le sue stesse parole).
I bambini e l’arte… I bambini non sono disgiunti dalla fantasia – SONO fantasia, com’è ovvio. Fino a una certa età, d’accordo. Poi la tecnica rischia di spegnere la creatività. Un artista però deve fare comunque questo viaggio pericoloso. Apprendere la tecnica, per poi andare oltre, e dipingere di nuovo come un bambino… Chi sono coloro che dicono che la tecnica non serve, che le parole non possono comunicare l’incomunicabile, che i libri sono un ostacolo all’evoluzione spirituale, e così via? Proprio coloro che hanno raggiunto un grado di apprendimento tecnico elevatissimo, che si sono abbuffati di parole e di libri. E infine, essi raggiungono livelli sublimi dipingendo come incolti, scrivendo con frasette minime e asciutte, rimanendo in silenzio.

Postato giovedì, 25 settembre 2008 alle 19:03 da Subhaga Gaetano Failla


Miriam, rileggo adesso il tuo commento, specialmente nella parte finale, e mi sa che dicevamo le stesse cose… (ah, la santa discussione faccia a faccia…!)

Postato giovedì, 25 settembre 2008 alle 19:10 da Subhaga Gaetano Failla


Non importa!Essere fraintesa è un’altra delle mie attività. Bambini e fantasia: ho scritto un libro/diario , ma ero solo alle mie “prime” esperienze. Riassumere in poche parole è sempre difficile e se i concetti sono complessi si rischia, appunto, di essere poco chiari.
ciao
:-)

Postato giovedì, 25 settembre 2008 alle 19:28 da miriam ravasio


@ Miriam…
anche io non ho nostalgia dell’infanzia( sarà forse perchè non l’ho mai”rinnegata”?). Non parlavo personalmente,nel precedente,ma dell’ involuzione infanzia-maturità(involuzione, per me).
” La fantasia è la parte più intima che abbiamo noi esseri umani”- Freud.
Sarà forse per questo, che da “adulti” diventiamo “borghesi”?( io ).
Tecnica e fantasia,sono d’accordo.
Per esempio, i maestri di canto t’insegnano a tirare fuori la voce che nemmeno sapevi di avere( poi , a cantare, ci pensi tu).
– …” bambini hanno una strordinaria fantasia se agiscono in un area definita od un tema”… –
come l’artista ha bisogno dell’ispirazione e della musa ispiratrice per creare( ti trovi?), altrimenti sente solo tumulto,dentro di sè…

- P.s.
” Premesso che la verità è donna( Come? E tutti quei filosofi,così brutti che di donne non ne sapevano niente, e forse per ciò scrivevano…ecc., ecc.) è vero che non si è mai lasciata sedurre”.
Così inizia -” Al di là del bene e del male”- Nietzsche.
T’invito, con tutta la stima che ho per te, a leggerlo.
Negl’ani ‘70, seppur piccino, ascoltavo molto i discorsi dei grandi( soprattutto nel “Partito”),e anche fuori si asseriva che il Nicc’ era stato il fautore del Nazismo.
Mi sono incuriosito al “Picchiatello”( come lo chiama Gaetano) perchè trovavo sue citazioni in ogni romanzo o saggio(d’amore? ma ci può essere un saggio d’amore? vedi Kundera, Barthes…( che tanto piaceva al compianto “Enrico”)) che leggevo,ma soprattutto di psicologia.
Ho sfidato il mio “snobismo di sinistra”, mio nonno(grande ricordo), il “buonismo veltroniano”,il “radical-chicchismo” bertinottiano, l’ “imbecillismo” berlusconiano e l’ho letto.
Risultato?
Nietzsche è nazista, almeno quanto qualcuna/o(quassù) crede che io sia maschilista( di “sinistra” vi lascio dubitare, nemmeno io ci capisco più niente!…).
A proposito…
Quando il Nicc’ parlava di “Migliori” si riferiva ai grandi pensatori, agli spiriti liberi( non ai magnaccia-miliardari e simili…).

Un caro saluto

Postato giovedì, 25 settembre 2008 alle 22:12 da Gianni Parlato


@ Parlato:
non ho pregiudizi e lo sai, il “Picchiatello” l’avevo già letto, tempo fa (tanto) ma mi mancavano gli altri , per cui non mi ricordo niente a parte qualche citazione qua e là sparsa negli appunti. Però non sono sicura che il soffermarsi su pensieri che tanto hanno animato gli uomini, nel bene e nel male, possa avere un senso, se non quello del piacere personale. E io sono un artista, quindi propensa al fare. Il pensare sul pensato, a volte lo vivo come un ostacolo. Però è anche vero che ad animarmi sono sempre gli affetti e quindi, appena libera dai vincoli (martedì mi tolgono il gesso) è probabile che… forse…
Un caro saluto anche a te.
:-)

Postato giovedì, 25 settembre 2008 alle 23:15 da miriam ravasio


@ Parlato:
nel leggere qua e là su Nietzsche ho trovato delle note che trattano della sua “antipatia” per Cervantes, colpevole di aver fatto morire il cavaliere, nei panni di Alonso Chisciano,guarito dalla sua pazzia. Testo interessante, ti incollo le frasi finali.
“Ci piace pensare, a conclusione di questa breve noterella, a una superiore mistificazione romanzesca, che vuole la pazzia di Nietzsche suggellata dall’abbraccio a un cavallo, in una mattina del 3 gennaio 1889, in piazza Carlo Alberto a Torino e pensare che in qualche modo la vita e la morte di Nietzsche si possono volutamente confondere con quella di Don Chisciotte. Un ronzinante lega queste due figure, quando don Chisciotte scende da cavallo torna savio, quando Nietzsche abbraccia un cavallo afferma la sua pazzia. Ma è appunto solo una superiore mistificazione romanzesca. ”
Ciao, miriam

Postato venerdì, 26 settembre 2008 alle 15:47 da miriam ravasio


@ Miriam( con un po’ di ritardo)…
Quando Nicc’ abbracciò il cavallo, era di fatti diventato pazzo( e non una metafora poetica o letteraria). Comunque, quell’abbraccio, voleva significare la perdita dell’entita umana degl’uomini, e la solidarietà e il risconoscimento agl’animali di essere ‘migliori’…( se non è poesia,questa…seppur “pazza”).
P.s.
Don Chisciotte,penso che stava un po’ troppo a cavallo…
Un caro saluto

Postato lunedì, 29 settembre 2008 alle 16:49 da Gianni Parlato


@ Miriam…
” pensare sul pensato”? Io penso invece che Nicc’ si molto attuale.
– ” E io sono un artista, quindi propensa al fare”-…Un’artista dobrebbe essere propenso a creare.Capisco che sei “lumbard”,ma è il Silvio,un uomo del “fare”( quindi non tradire!…).
Noto anche che hai qualche propensione epicurea.Mi fa piacere; brava,brava…
Ti faccio tanti auguri per domani, e per sempre…

Postato lunedì, 29 settembre 2008 alle 17:15 da Gianni Parlato


@ Parlato
grazie per gli auguri per domani, e per sempre… (che cosa significa? che non ti fai più sentire?)
- riguardo alle stupidate che ho scritto sopra: non erano da prendere in considerazione! Alla sera sono sempre stanca e faccio il Puffo Contrario, hai presente?
Comunque sto leggendo Zarathustra e la mia impressione è questa: grandioso per le immagini, per la filosofia poetica, alcune verità ci sono, altre invece sono sfiorate e altre troppo esaltate. L’insieme, però (la sto sparando grossa) si offre come carta moschicida per misticismi pericolosi. E’ proprio quello che penso! Il Picchiatello è testimone del suo tempo, che da vero “contemporaneo ai posteri” ha saputo anticipare. Però quel tempo lo abbiamo conosciuto. Non è attuale, come, nella storia moderna non è attuale nessun vero pensatore del passato; e questo è veramente il nostro problema. Noi, l’uomo moderno, lo sappiamo bene che “dio è morto”, è morta anche la religione e quindi è morto anche l’ateismo. Come sappiamo anche, che dopo Auschwitz è impossibile scrivere “poesia”. Non ci servono pensieri che ci interpretino ma la capacità di produrli.
Ritornerei alle origini e per un aiuto mi affiderei alla Letteratura. Nietzsche, lo collocherei lì, più fra le lettere che fra i pensieri. Piccoli sorsi di poesia, saggezza e lucida follia. Il funambolo, prima di esibirsi deve guardarsi attorno ed esitare… come il nostro amico del post sull’arte.
Sono già le 18 e 14, forse la mia lucidità mi sta già abbandonando, fra poco è sera. Adieu…
Un abbraccio, Mimì

Postato lunedì, 29 settembre 2008 alle 18:15 da miriam ravasio


Cher Mimì,
il Picchiatello, a mio parere, era in anticipo sul suo tempo ed è in anticipo anche sul nostro. Uno degli uomini più indigesti dell’Occidente. Forse perchè ha smembrato il Cristianesimo fin nella sua essenza. E l’Occidente ha le proprie radici affondate nel Cristianesimo. Comunisti, atei, fascisti, anarchici, intelligenti e meno intelligenti, tutti noi occidentali abbiamo a che fare con i profondissimi condizionamenti cristiani, e non ce ne si libera con qualche buona idea. E’ un processo di decondizionamento lunghissimo, faticosissimo, è quasi come modificare per scelta soggettiva il DNA… Siamo nati respirando quell’aria ed essa è diventata “noi”… Penso che il Picchiatello abbia a che fare con questo superlavoro…
@ Gianni
Mi piace leggerti, ma mi fai venire il mal di mare per come scrivi…
Il parere del correttore di bozze (servizio gratuito e non richiesto):
dopo i segni grafici (il punto, la virgola, ecc.), i quali vanno a contatto con la parola precedente, lasciare uno spazio. Economicizza con le virgolette (chè costano!) e quando le metti che siano aperte quando devono esserlo (e non viceversa!). Quando apri la parentesi, niente spazio successivo, e quella chiusa va attaccata alla parola precedente. Risparmia qualche accento dove non ci vuole (qui e qua, e anche quo e zio Paperino).
Saluti picchiatelli,
Gaetano

Postato lunedì, 29 settembre 2008 alle 19:03 da Subhaga Gaetano Failla


@ Miriam…
Concordo con Gaetano,anzi esagero : Nietzsche, è una delle più illuminate intelligenze della storia dell’ uomo!
Non lo trovo per niente “passato”, mi ripeto. Anzi, penso che sia sempre attuale…e oltre.
P.s.
” Tanti auguri per domani, e per sempre”- semplicemente…per domani e per ogni momento della tua vita( pensando solo in positivo). Dunque mi faccio sentire( non ti sei salvata?!…)
Un carro saluto

Postato lunedì, 29 settembre 2008 alle 21:38 da Gianni Parlato


@ Gaetano…
e bè,la vita è un’ odissea…e chi si fruscia(vaneggia) di avere fantasia o di essere un’artista,sente e carpisce le correnti!…
Scherzi a parte…
Scrivo veloce,sì,seguo più l’istinto che la ragione…Però, considera anche due cose: leggere dal pc, comporta di conseguenza già leggere veloce- 2) qui(grazie,non ho messo l’accento) i caratteri sono fintroppo piccoli,per cui,si velocizza ancora di più…e quindi sono ancor di più fraintendibile(ahimè)…
Ma mi sovviene un dubbio,però…( lasciami stare il “ma” e il “però”)…
Non sei allenato a leggere il Nicc’,che qualcuno trova “illeggibile”?( ovviamente,non oso paragonatmi a lui, è soltanto un esempio…sono sincero).
Un – caro – saluto- ( così andrebbe meglio? Dillo pure a Massimo…)

P.s.
Erudita l’analisi che hai fatto sul Nicc’…Infatti lui sosteneva anche che molti filosofi e scrittori dell’epoca fossero figli di pastori, e per ciò facevano fermo riferimento alla religione( soprattutto perchè, in quanto privilegiati, erano tra i pochi che avevano la possibilità di studiare )

Postato lunedì, 29 settembre 2008 alle 22:00 da Gianni Parlato


@ Miriam…
perdonami …un “carro” saluto…ovviamente, da considerare errore di ‘tastiera’…
Un caro saluto

Postato lunedì, 29 settembre 2008 alle 22:03 da Gianni Parlato


@ Gaetano…( n’ata vota!?…tr. un’altra volta!?).
-”Economicizza con le virgolette (chè costano!) e quando le metti che siano aperte quando devono esserlo (e non viceversa!)”-
Non ho capito bene cosa vuoi dire…Fammi capire, mi fanno bene queste nozioni( nota, sto già lasciando lo spazio dopo le virgole).
P.s.
Lo sai che è un’abitudine maledetta che ho, scrivere “quì e quà” con l’accento…Ma non si è mai usato?( eppure non ho mai letto Topolino…). Non sto scherzando, delucidami, perchè io le leggo dappertutto senz’accento( ma la mia memoria, però…M’inganna!).
Un, caro, saluto

Postato lunedì, 29 settembre 2008 alle 22:18 da Gianni Parlato


Caro Gianni,
ho letto molte pagine di Nietzsche, molti anni fa, e negli anni continuo talvolta a leggerlo. Ho letto anche libri su di lui, tra i quali un testo recente di un mio compagno di strada, Manu Bazzano, il quale abita a Londra. Il testo è pubblicato in Inghilterra e negli U.S.A e si intitola “Buddha is dead” e sono contento (immodestamente) che ci sia anche il mio nome nella pagina iniziale dei ringraziamenti. Ho letto un libro di Osho (sono trascrizioni di discorsi di Osho) su Nietzsche dal titolo “Zarathustra. Il dio che danza”.
Nietzsche era profondamente religioso, non certamente nel senso che si dà volgarmente oggi a tale parola, ma nell’accezione originaria: re-ligere, unificare. Sacralizzare la nostra vita, o meglio, riconoscere che tutto nella vita è sacro. Nietzsche ha vissuto e cercato e rischiato con grandissima intensità. Un uomo d’una sensibilità molto rara.
Sono contento che tu ami quest’uomo, e il tuo umorismo di stampo meridionale mi diverte (io sono altoatesino e voi terroni mi divertite tanto, siete così pittoreschi…! Ehm…cioè… Non sono proprio altoatesino… sono nato a Scalea, in Calabria, e sono vissuto in questa regione, trasferendomi ancora più a Sud, per molti anni. Adesso abito nella Toscana maremmana).
Ti auguro una buonanotte. A presto,
Gaetano

Postato lunedì, 29 settembre 2008 alle 22:36 da Subhaga Gaetano Failla


@ Gianni
Perchè ho notato che spesso scrivi le virgolette chiuse al posto di quelle aperte. E qui e qua non vogliono l’accento, in nessun caso, nemmeno in Qui, Quo, Qua. Però io leggevo e leggo Topolino… E non essendo altoatesino (e te lo dico n’atra vota) non ho bisogno di traduzione in italiano standard (eh eh…). Ciao,
Gaetano
P.S.
A Miriam dico che sei stato tu a prendere il suo spazio e andare fuori tema. Io non c’entro…

Postato lunedì, 29 settembre 2008 alle 22:53 da Subhaga Gaetano Failla


@ Gaetano Virgolette Quì Quò Quà
…e se Gianni ti stesse prendendo in giro?

:-)

Ps. Non è proprio un fuori tema, stiamo discutendo di filosofia e di filosofi senza invadere altre stanze!
:-)

Postato lunedì, 29 settembre 2008 alle 23:17 da miriam ravasio


Cara Miriam, ti ringrazio tanto dell’ospitalità nella tua stanza.
Be’, se Gianni mi sta prendendo in giro non c’è problema, perchè sento la sua ironia lieve e benefica. Si ride un po’ insieme. Il riso fa buon sangue (ho mangiato poco fa un ottimo riso al sugo, con peperoni biologici e peperoncino piccante… Slurp…). E poi ho visto adesso la Gelmini a Blob, e un po’ di umorismo mi aiuta a scacciare l’incubo del grembiulino e della squola… (per i refusi ci penso io). Un bacione e buonanotte,
Gaetano
P.S. Spero che la tua gamba sia ormai guarita.

Postato martedì, 30 settembre 2008 alle 20:24 da Subhaga Gaetano Failla



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