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giovedì, 9 agosto 2007

CLICK JEANS di Barbara Gozzi

Nuova puntata di Giovani scrittori crescono (selezione under 30)”. Stavolta vi presento Barbara Gozzi, che molti di voi conoscono giacché è una frequentatrice assidua di questo blog. Il brano che leggerete è un estratto di Click jeans, pubblicato da Arpanet nell’ambito di CONCEPTS Moda, AA.VV ( euro 15.00). Inoltre vi invito alla lettura di un inedito della Gozzi, intitolato L’altra fame, pubblicato recentemente sul blog “Books and other sorrows” della scrittrice Francesca Mazzucato.

barbara-gozzi.jpgBarbara Gozzi ha 28 anni. È nata a Modena e attualmente vive in provincia di Bologna con la famiglia. Ha pubblicato ‘Progetto Butterfly’ (Editing Edizioni, novembre’06); ‘La casa della nonna’ (Nicola Pesce Editore, aprile’07); tre racconti nell’antologia ‘Scrivi con lo Scrittore’ curata da Ettore Bianciardi (Giraldi Editore, Maggio’07); ‘Click Jeans’ racconto lungo pubblicato su ‘Concepts Moda’ (Edizioni Arpanet, giugno’07). Da giugno’2007 è anche possibile scaricare gratuitamente l’Ebook ‘Spicchi’ (romanzo breve inedito) realizzato dalle edizioni Kult Virtual Press. Collabora con il progetto ‘The Sleepers’ e cura la rubrica ‘Contorsioni’ presso il blog Caffè Storico Letterario e l’EMagazine Historica di F.Giubilei. Entro fine anno uscirà il seguito di ‘Progetto Butterfly’. Ha appena concluso la versione beta di ‘Experiment’, pubblicato in atti sul blog come sperimentazione narrativa flash e ha due testi nel cassetto che attendono revisioni spietate. Attraverso il suo blog (www.progettobutterfly.splinder.com) è possibile rintracciare testi, esperimenti, segnalazioni e composizioni scomposte. E- mail:gozzib@tiscali.it 

CLICK JEANS

di Barbara Gozzi

Ispirato da: i jeans che ho tenacemente portato nel corso delle scuole superiori come unica alternativa al nulla.

IV. Cinque mesi e un giorno dopo (l’inizio)

Quando riesco a tenere gli occhi aperti, l’orologio sul comodino segna le dieci e quaranta. Poco male. Oggi è domenica. Sbadiglio e mi rituffo tra il tepore rassicurante del piumone. Non ho voglia di alzarmi. In effetti, non mi va di fare alcunché. Ripensandoci, mi capita spesso, di recente. Sono stanca di essere stanca. Potrei abbandonarmi a una risata, per via del gioco di parole involontario, ma mi muore in gola. L’anno scorso, mi svegliavo alle sette per andare a correre con Lingualunga, il mio cucciolone la cui lingua perennemente a penzoloni ha fatto storia nel quartiere. Il nome è imbarazzante, me lo dicono tutti, ma non ho saputo dire di no alla bimba della mia vicina.

Mi sono ricordata di lasciargli da mangiare, ieri sera?

Mi alzo in fretta, con il pensiero del povero Lingualunga, affamato da più di dodici ore. Aspetto che la testa smetta di girare, poi mi avventuro lungo le scale per raggiungere il garage e lo apro. Lui è lì, davanti a me, con la coda che disegna figure geometriche e quell’aria felice, quella che ha sempre quando mi vede.

Come può essere contento, se l’ho tenuto a digiuno?

Gli verso una porzione generosa di bocconcini e lo accarezzo, mentre lui divora avidamente ogni pezzetto come fosse l’ultimo. Mi viene la tentazione di scusarmi ad alta voce, ma mi sento una stupida e desisto.

Non si parla con gli animali, è da suonati.

Eppure, ho la netta impressione che lui saprebbe capirmi molto meglio di tanti esseri umani. Quando rientro in casa, vedo la borsetta abbandonata sul divano e una luce si accende nella mia mente. Ieri notte, ero così stanca che mi sono addormentata, dimenticandomi del regalo.

Mi siedo con cautela tra i cuscini imbottiti. La testa mi gira ancora, appena un po’. Dovrei fare colazione, ma la curiosità è più forte. E poi, una tazza bollente con dentro un filtro di tè verde non è poi così allettante, stamattina.

Chissà cosa mi hanno regalato, quelle matte!

Lo libero dalla borsa e strappo la carta colorata, un po’ incerta. Le mie amiche non fanno mai niente per caso. Ma non è il mio compleanno!

Mi ritrovo tra le mani un mini album, di quelli che contengono al massimo dodici fotografie, ma che sono molto comodi perché si possono portare in giro senza ingombrare troppo. La copertina è morbida. Blu e azzurra. Nel centro, ci sono delle onde che si infrangono sulla spiaggia. Le osservo meglio alla luce del giorno e noto che, se cambio angolazione, le onde si muovono. Mi scappa un sorriso. Alzo le gambe e le incrocio sul divano, nel mezzo appoggio l’album e inizio a sfogliarlo. Il passato mi risucchia con la forza di un tornado.

Sono circondata dai compagni di classe e sorridiamo in modo scomposto. Dietro di noi, si intravede il Ponte dei Sospiri. E la prof. di italiano, la signora Rinaldi-tutto-a-memoria. Avevamo diciassette anni ed eravamo in gita. Le mie guance erano tonde.

Abbasso lo sguardo.

Mia sorella si nasconde dietro di me in modo goffo. Stiamo festeggiando il compleanno di mamma nel piccolo salotto di casa. Simona ha quattordici anni. Ed è già più alta e lunga e di me. Anche le sue guance erano tonde. Meno delle mie, ovviamente.

Volto pagina.

Sul lettino, le mie amiche sono sedute sopra di me. Facciamo delle smorfie strane all’obiettivo. Se non ricordo male, stava scattando Maria. Weekend lungo a Riccione. Io avevo superato i venti da un po’. Mia sorella è rimasta in piedi a fissare il mare. Il suo corpo sembra la metà del mio. O di quello di una qualsiasi delle mie amiche.

Abbasso lo sguardo.

Eleonora. Serena. Rossella. Maria. Io. Tutte attorno alla torta, con alcune candeline mezze storte. La mia faccia sbuca da dietro il quartetto con l’accendino, ma qualcuno scatta, prima che io riesca ad accenderle.

Quella sera ci siamo divertite come matte. Non avevo ancora compiuto i trenta.

Volto pagina.

Simona a capodanno. Con i jeans elasticizzati e un top aderente. Si vedono le ossa. Il seno e i fianchi sono scomparsi. Emergono solo i jeans, gli stivali col tacco, il top luccicante e il trucco pesate. Non riesco a trattenere le lacrime. Tre mesi dopo è morta. Aveva ventidue anni.

Abbasso lo sguardo.

Io, all’uscita del solito pub, due settimane fa circa. Un pugno in piena faccia. Non sapevo che le ragazze mi avessero scattato questa foto. Sto pagando il conto alla cassa. Si vede la camicetta corta che ho comprato per l’occasione. Le altre mi sono tutte troppo larghe. Il seno che spunta è il nocciolo di una prugna. C’è un fianco che sporge da dietro il tessuto dei jeans. E il resto della ciccia, dov’è? Sto piangendo e mi si appanna la vista. Ma c’è ancora un’ultima foto dietro. Tremo.

Volto pagina.

 Natale ‘94. Simona e io in giro per il centro con gli amici di allora. Abbracciate. Luccicanti. Spensierate. Bellissime. Le nostre guance sembrano assomigliarsi. Anche il luccichio negli occhi.

Il mio naso cola. Ho la faccia bagnata e i singhiozzi mi fanno sussultare.

Click.

Uno solo, ma sufficiente a farmi perdere un battito. Il secondo punto di svolta in pochi mesi.
Rivoglio quel luccichio. Subito.

E una brioche. Anche senza marmellata. Purché sia calda e croccante.


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Scritto giovedì, 9 agosto 2007 alle 17:30 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

51 commenti a “CLICK JEANS di Barbara Gozzi”

Naturalmente siete invitati a lasciare commenti e impressioni su questo brano di Barbara Gozzi, ma anche sul racconto pubblicato sul blog di Francesca Mazzucato (e che ho appositamente linkato sul post).
Che ve ne pare di Barbara?

Postato giovedì, 9 agosto 2007 alle 17:44 da Massimo Maugeri


Ooops, ho dimenticato di sottolineare che secondo me è davvero in gamba ;)

Postato giovedì, 9 agosto 2007 alle 18:11 da Massimo Maugeri


Brava Barbara: mi hai commosso. Non dico null’altro, non serve

Postato giovedì, 9 agosto 2007 alle 18:45 da alessandro pedrina


Tanti complimenti, Barbara. Ho letto questa parte del tuo racconto lungo e devo dire che mi sono sentita molto coinvolta. Mi è capitato di recente di sfogliare vecchi album fotografici e provare emozioni simili a quelle provate dal tuo personaggio. Brava.
Sono passata dal tuo blog ed a beneficio degli altri lettori mi permetto di inserire la sintesi di Click jeans.
Smile.
‘Click jeans’ racconta la storia di due sorelle. Divise dal rapporto col cibo che ha causato l’anoressia e poi la morte della minore. Un paio di jeans elasticizzati e a vita basso sono il filo conduttore di due donne diverse, a loro modo tenaci, che arrivano a conclusioni differenti nella gestione della vita e dell’alimentazione.

Postato venerdì, 10 agosto 2007 alle 00:15 da Elektra


bel racconto. davvero. complimenti all’autrice.

Postato venerdì, 10 agosto 2007 alle 12:32 da luisa


Scavando la miniera dei blogs di Barbara, che ho conosciuto recentemente come scrittrice, mi sono fatto una idea sulla sua interiorità e capacità di coinvolgimento. Questo racconto breve che sembra una scheggia di vetro conferma che mi trovo davanti ad una scrittrice di rango. Complimenti Barbara.
Il cantastorie errante

Postato venerdì, 10 agosto 2007 alle 12:51 da il cantastorie errante


mi è piaciuto, barbara. la tua scrittura mi pare essenziale ed efficace. “ficcante”, direi. continua così.

Postato venerdì, 10 agosto 2007 alle 15:31 da gennaro iozzia


Che dire?
Ogni racconto di Barbara mi prende e mi cattura, è davvero bravo ha uno stile tutto suo.
un saluto a Massimo
Francesco

Postato venerdì, 10 agosto 2007 alle 16:14 da francesco g.


ERRATA CORRIGE: seconda riga: è davvero brava
Scusate, la fretta.

Postato venerdì, 10 agosto 2007 alle 16:15 da francesco g.


I can understand a little bit of Italian. In my opinion this short story it’s really nice. Thanks.
Karen from http://www.topix.net/forum/who/jennifer-aniston

Postato venerdì, 10 agosto 2007 alle 16:55 da Karen


Una scrittura fotografica e mordiba per un tema forte e impegnativo. Brava Barbara. Continuo a seguirti con interesse e piacere.
Un bacio,
Emanuela

Postato venerdì, 10 agosto 2007 alle 19:15 da emanuela chiriaco


Ringrazio tutti, molto onorata.

Barbara

Postato venerdì, 10 agosto 2007 alle 20:03 da Barbara Gozzi


Un racconto quasi vero

L’anoressia è anche un “gioco” svelato, la via “veloce” per l’affermazione di un qualsiasi sé. Non è una provocazione, ma il mio pensiero, il mio punto di vista, dopo aver vissuto un rapporto, purtroppo molto ravvicinato, con il problema. Appunto, il Problema del Corpo. Corpo che diventa ossessione, modo, mezzo, manifesto, merce; unico Spirito nella nostra vita. I casi d’anoressia sono così numerosi, diffusi, trasversali alle classi sociali, all’educazione, alle condizioni familiari, da indurci ad una domanda: ma non è una moda? Un ricorso facile, massmediaticamente riconosciuto per la risoluzione dei problemi d’adattamento che il passaggio, dall’età felice a quella adulta, comportano? Nella classe di mia figlia c’erano ragazze magre, magrissime, brave a scuola, attente e preparate ma filiformi, taglie quaranta. All’intervallo non mangiavano niente, non un caffè, ne’una briosches, nemmeno dei crachers, niente; solo un po’ d’acqua. Una di loro faceva le notti piccole, in discoteca e al bar; sempre “tirata”, a suo gusto perfetta, truccata e voti strabilianti. Si presentava così, come prima della classe; stravagante e stucchevole con gli stivali a punta, i capelli piastrati e che cambiavano colore ogni quindici giorni. Telefonava alle amiche, a mia figlia, ogni giorno. Chiedeva gli appunti delle lezioni, che puntualmente saltava, per riprendersi dalle fatiche della notte o perché impegnata con lo psicologo. Non mangiava, acquistava abiti e con un piccolo bisturi si incideva la carne della braccia e delle braccia. Scolpiva su di sé delle iniziali, lettere stupide e insignificanti a cui attribuiva il valore del momento. Un odiato Luca o un amato Andrea. Sangue e croste che la mamma curava con pomate svizzere costose, acquistate “in nero” per evitare un viaggio e un po’ di spesa. Quando telefonava “sono Alessia c’è, Sara?” sembrava educata, corretta nella gestione dei rapporti, degli spazi convenuti, ma poco fine, scontata, volgare… così diversa da Sara… Io mi sentivo al sicuro. Sara leggeva molto, condivideva con noi interessi, poesie, arte, romanzi. Noi, solleciti, curavamo il suo aprirsi al mondo, rinnovando le nostre letture, il portafoglio degli acquisti in libreria. Ma facevamo di più: scrivevamo e inventando performance riempivamo i nostri studi d’idee meravigliose. Felici e convinti che il Bene è il Bello e che il fiorire di una vita è sempre la più grande delle opere, contenevamo i nostri desideri. Casti come monaci e felici eravamo operosi e offrivamo a Sara il nostro lavoro, sicuri della bontà dei gesti, della semina e del raccolto. Quando alla sera Sara iniziò, a mangiare solo yogurt e frutta ci sembrò una cosa giusta, addirittura salutare, forse anche da imitare. Pane integrale, marmellata, ricotta e caffè d’orzo al mattino; carne, pesce o pasta a pranzo con verdura, frutta e caffè. 100 grammi di pasta con il ragù di pesce o di carne, consumati con soddisfazione avida non erano sintomi di disagio. Semplicemente una corretta determinazione a non mettere dei chili di troppo. Sei ore sedute a studiare, ripetere e scrivere potevano far danni e, nella sua saggezza, Sara, metteva le mani avanti. Poi lo yogurt sparì. “Solo frutta”, moltissima frutta, ” le mele hanno molte calorie”. Il cervello lavora meglio e poi c’era la patente, tutte quelle schede. Noi, scrivevamo meno e ancor meno progettavamo; fermi sul già fatto riconsideravamo le proposte e in internet, ognuno ad insaputa dell’altro, consultavamo le tabelle delle calorie, confrontavamo le esperienze.
Ci amavamo. Belli, simpatici, forti, per alcuni eravamo straordinari; qualcosa però ci stava cambiando. Sara era dimagrita, poco, solo un paio di chili, ma erano sparite anche le mestruazioni. Un fatto normale, studiava i suoi voti erano alle stelle; greco, latino, persino fisica e chimica: cose mai viste. Noi, intelligentoni, leaders di movimento non ce li sognavamo nemmeno i nove e i dieci. Temi straordinari, analisi perfette nella ricerca di senso e di significato. Imparavamo da lei, dalla nostra Sara. Un suo testo sulla Comprensione dell’arte contemporanea ci apriva gli occhi verso nuovi parametri, altre dimensioni. Tesi intense di valori e di significato ci rallegravano e colmi d’orgoglio pensavamo al suo futuro. La ginecologa disse che Sara mancava di proteine, che 48 chili potevano anche bastare ma non per lei e se gli esami erano nella norma erano, però al limite. Sara stava diventando anoressica, doveva mangiare anche alla sera. Sessanta grammi di carne o pesce o legumi; la frutta non era sufficiente. Sono passati due anni, terribili, tremendi, cupi. Niente ciclo mestruale, solo bei voti, discussioni infinite, lacerazione di tutti i rapporti familiari. Dove avevamo sbagliato? Sara non aveva amici, nessuno con cui confrontarsi, sempre isolata dal resto del mondo. Per indole, scelta e ispirazione aveva sempre rifiutato il gioco. La piscina, i corsi di pattinaggio, i centri ricreativi estivi la infastidivano sino alla stizza e noi, sfiniti cedevamo alla sua solitudine. Del resto, alla sua età anch’io ero come lei. Forse aveva preso da me, da suo padre, dagli zii. Un po’ orsi lo eravamo tutti. Ma le condizioni, il contesto nostro era diverso, eravamo poveri e sempre sull’orlo delle rinunce. Un libro non valeva una pizza, un giro in centro, una maglietta nuova. Per me, per noi era normale stare con quel poco per poter avere il resto, l’accesso al mondo colto e interessante così lontano dalle nostre origini montanare e contadine. La sua indifferenza prendeva una forma ostile; Sara diventava fredda verso noi, la sorella e il mondo intero. Con pazienza, volontà e qualche ricatto l’aspetto fisico delle cose si è risistemato, ma tutto è cambiato. La sfida di mia figlia continua in un’ostinata indifferenza verso gli altri, nel suo perseguire a tutti i costi gli obiettivi “esistenziali” del momento. Nessun confronto è possibile, con lei si tratta! Ci scontriamo sulle sue piattaforme di comportamento, seduti al tavolo come in una vertenza infinita fra le parti. Io non riconosco la malattia che lei rivendica, mi pento per non aver compreso il suo egoismo, per non essermi opposta con durezza quando, sfidandosi anoressica, avanzava pretese capricciose e viziate. Ostinata come lei la fronteggio, anch’io la sfido e con rabbia penso alla letteratura sociologica che in questi anni ha sostituito il nostro Spirito. Alle medie, ricordo un progetto sulle condizioni adolescenziali, che, a vario titolo, coinvolgeva psicologi, medici, sociologi una ricerca “Che adolescente sei?” Uno sterminio didattico che durò per un intero anno con testi, questionari, suddivisioni delle tipologie. Fastidioso, inopportuno e negativo. Questo pensammo, mio marito ed io: la sociologia insegnata a dei ragazzini, a cosa può servire? E’ un po’ come illustrare alle future mamme la possibilità del fallimento educativo, a cosa porterà? L’immaginazione sostituita dai dati. Il proprio io al centro dell’universo.
Miriam Ravasio

Postato sabato, 11 agosto 2007 alle 16:01 da Miriam Ravasio


Io ero un’adolescente quando impazzavano le modelle magrissime, che ti chiedevi come riuscissero a stare in piedi così alte e sottili, come Kate Moss. Ho passato le superiori stretta nei jeans (e non lo dico per via del racconto ma perchè è proprio andata così). Se dicessi che non ci ho provato almeno una volta a smettere questo, a rinunciare a quello, a bere e basta o quasi mentirei. Ho avuto le mie fasi. E fallito. Nell’intento morboso di ridurre il peso drasticamente, ti entrare in un negozio e provarmi la quaranta che solo a nominarla ti arrivava in bocca un sapore meraviglioso. Ho fallito dicevo, nel senso che non mi è riuscito. Mangiare poco o comunque solo certi cibi è un impegno a tempo pieno, richiede molte energie. Troppe. E io finivo col dedicarmi ad altro (studio, lavoro, ..). Il fallimento di cui vado più fiera, devo dire, perchè oggi osservo taluni buchi neri e rabbrividisco. Quando non riesci più a smettere e il corpo si abitua a non mangiare il punto di non ritorno può essere dietro di te. Può essere. Ogni caso è un universo a parte.
Penso che talune volte è una miscela esplosiva ingoiata tutta d’un fiato la causa del cambiamento. Di vedute e stile di vita.
Desiderio di bellezza (perchè se sei magra sei anche bella nel complesso). Di sentirsi invidiata. Di essere al centro dell’attenzione. Di avere il controllo. Di infrangere le regole e fare a modo tuo. Di dimostrare quanto sei capace e fort, molto forte. Di avvicinarti alla perfezione… e forse anche altro.
E, da quello che ho visto nel mio piccolo, oggi non è più solo un problema adolescenziale o quasi. Si estende over trenta addirittura quaranta. Ho letto anche di casi tra i bambini di nove-undici anni. La pelle d’oca viene solo a me?
Oggi se ne parla di più, si fanno trasmissioni e approfondimenti in tv e sui giornali. Ci sono libri e specialisti. Molto bene.
Ma ancora ce ne sono troppe, secondo me. A rischio intendo. Mi capita nei luoghi pubblici se non ho fretta o devo aspettare di osservare la gente. Fateci caso. Impossibile non vedere una ragazza/donna che a prima vista sembra più magra del necessario rispetto alle sue proporzioni naturali. E vederne solo una è già incredibile.

Grazie a Miriam per aver condiviso la sua esperienza, davvero.

B.

Postato sabato, 11 agosto 2007 alle 16:41 da Barbara Gozzi


Volevo precisare una cosa sul testo.
Non è un racconto sull’anoressia vista ‘da dentro’, la narrazione ‘diretta’ del fenomeno che peraltro risulterebbe lacunosa e scarna. Tutt’altro.
E’una visione indiretta. La protagonista è infatti Giorgia che, a distanza di anni dalla morte della sorella (ammalatasi di anoressia da adolescente ne è poi morta), a causa di una serie di circostanze si mette in testa di voler perdere peso, di cambiare vita come non ha mai fatto (perchè in famiglia era lei quella più grassottella, che non si preoccupava della dieta insomma). Parte da lì il primo click a cui si allude in questo capitoletto.
Per cui, a scanso di equivoci, il testo non è nato con la pretesa di essere esaustivo o preciso sulla tematica. Anzi. Tenta di mostrarlo attraverso gli occhi di chi il disturbo alimentare non l’aveva capito a suo tempo (quando la sorella era malata) e adesso ci è entrata per una via secondaria senza esserne, in realtà, coinvolta con quella dose di ossessione distorta che invece è frequente in chi si ammala.

Barbara

Postato sabato, 11 agosto 2007 alle 17:12 da Barbara Gozzi


Il racconto è molto toccante e coinvolgente. Ti lascia delle immagini che prendono corpo lentamente. Arrivare poi con quelle immagini in testa a leggere i due precedenti commenti è stato il colpo di grazia.
Ovunque in giro si incontrano jeans di taglie troppo strette e scapole aguzze in bella vista a torto mostrate con orgoglio.
Resta tanta amarezza e qualcosa su cui riflettere.

Postato sabato, 11 agosto 2007 alle 17:29 da Carlo


Per Barbara, grazie per le tue precisazioni. Se ne potrebbe parlare a lungo… vorrei solo aggiungere che la “mia ” Sara è sempre stata molto bella, alta , ammirata e in condizioni normali portava una bellissima taglia 42. Durante la follia è arrivata alla 38 e ora si è assestata sulla quarantuno! (qualcosa manca ancora)
Ciao, un abbraccio, Miriam

Postato sabato, 11 agosto 2007 alle 19:27 da Miriam Ravasio


Desidero ringraziare Miriam per il bellissimo racconto/testimonianza e Barbara per le precisazioni.
Grazie davvero!
Questo post si sta evolvendo in maniera imprevedibile.

Postato sabato, 11 agosto 2007 alle 23:46 da Massimo Maugeri


Il racconto l’ho letto per intero su Concept Moda e l’ho trovato bellissimo e molto, molto realistico. Il passo tra l’insoddisfazione media verso un corpo che non assomiglia ai troppi che giornali e tv ci propinano come un modello di riferimento e la fissazione patologica sul peso è fin troppo breve.
Anche perché, tra tutti i sogni “irrealizzabili” e le aspirazioni (anche quelle falsate da modelli venduti come assoluti) è, se vogliamo, per una donna, la più facile da raggiungere.
Non posso avere il naso all’insù se non ho i soldi per un chirurgo estetico, non posso essere alta un metro e ottanta e avere gambe chilometriche, non posso permettermi i vestiti di lusso che fanno sembrare belle tutte quante e nemmeno di andare al centro estetico e dal parrucchiere ogni settimana… ma almeno posso smettere di mangiare ed essere magra.
Sembra una banalità, ma è innegabile: al nostro corpo possiamo imporre la magrezza, se non altro. A un prezzo mostruoso. Mostruoso, lo ripeto, ma tutto sommato accessibile a tutte.
E il fatto che spesso si parli con troppa leggerezza di diete et similaria, di “raggiungi la taglia che sognavi!” non fa che dare una idea falsa di facilità di controllo sulla situazione.
E così, molte donne in apparenza “equilibrate” si sono ritrovate intrappolate in una ragnatela infernale, e non penso solo a ballerine e modelle. Purtroppo i disturbi alimentari sono diffusi in ogni strato sociale, basta guardarsi attorno, in palestra, tra le amiche, per rendersene conto.

Postato lunedì, 13 agosto 2007 alle 11:04 da Sabrina


Il racconto l’ho trovato garbato – un modo possibile di leggere l’anoressia. Non certamente l’unico e certo non lo pretendeva. Mi ha colpito moltissimo l’intervento di Miriam Ravasio, e l’ho sentita molto vicina. anche se non ho figli e io stessa non ho avuto problemi di anoressia. Ma ho avuto una carissima amica anoressica, che per due anni, con la madre che se ne fotteva e il padre che era in ospedale – ove sarebbe morto, ha vissuto con me e i miei genitori. abbiamo fatto tutto quanto fosse in nostro potere. Tutto di tutto. Finchè non ho cominciato a stare male io, e mia madre chiese alla mia amica di andare via, pur garantendo ogni possibile forma di sostegno. Perciò capisco quel senso di sfida, di angoscia di terrore, quel tipo di clima che si instaura e che leggo nell’intervento di Miriam. Ma mi sento di dirle delle cose, magari pensando anche al lavoro che faccio adesso, in uno studio psichiatrico.
– E’ vero l’anoressia è una patologia culturalmente determinata. In psicopatologia le mode ci sono sempre state, agli inizi del novecento per esempio erano tutte isteriche. Nun facevano artro che svenì. Oggi hanno gli attacchi di panico – e anche io in questo senso sono stata una ragazza a la page, farmaci e psicoterapia compresi. Ciò non vuol dire che non sia una cosa da prendersi sul serio e con tutti i mezzi di cui si dispone – è una delle pochissime psicopatologie per le quali non ci sia manuale che esorti una terapia coatta, a prescindere dal consenso della persona. Perchè in effetti coinvolge un sacco di cose: marciscono i denti, amenorrea, problemi circolatori, e via di seguito… queste cose Miriam le saprà di sicuro.
Penso che comunque la sociologia, come la psicologia, ai bimbi e ai ragazzini, e qualsiasi forma di presa di coscienza siano cose sacrosante. Queste cose sono strumenti che la parte sana dell’individuo raccoglie – anche se mostra completamente il contrario – nell’adolesciente ciò è sistematico. Sono un sasso che gli va in fondo all’anima, un seme. Prima o poi germoglia.
E una cosa vorrei chiedere a Myriam – anche se mannaggia oggi parto e starò via dal mio computer per cinque gg – perchè tu non vuoi riconoscere “la malattia che lei rivendica”? Ci ha ragione a rivendicare la malattia, perchè questa è una delle situazioni patologiche che ha maggiori conseguenze fisiche, è qualcosa di violentemente autodistruttivo e insomma, che problema c’è a considerarla una malattia? Capisco tantissimo che sei esasperata, ma è umanamente sano, creare tanta esasperazione?

Postato lunedì, 13 agosto 2007 alle 16:16 da zauberei


Un bel racconto scritto con stile essenziale e diretto. Si legge rapidamente. Complimenti!

Lupi

Postato lunedì, 13 agosto 2007 alle 22:18 da Gordiano Lupi


A Zauberei, peccato che tu parta, leggerai dopo.
Non le riconosco la malattia, perché il non riconoscimento è la cura. Forte, drastica, dura, disperata ma alla fine poetica. In piedi in un equilibrio tremulo, entrambe abbiamo ripreso fra le mani la nostra vita. Traballanti ma più forti. In un percorso che ci riporterà lontano dal limite raggiunto, verso la nostra animalità latente che ci fa orrore, ma proprio per i divieti che questo sentimento comporta, ci salva. Se non ci si nutre, il corpo si ammala; se lo stomaco si restringe nutrirsi diventa doloroso; ogni sforzo fisico richiede energia , metodo , compostezza. Stille di sudore e respiri profondi e poi ci si sente sfiniti; come dopo ogni malattia debilitante. O come quando ci si rimette in piedi dopo mesi di letto, di immobilità quasi assoluta, con i muscoli che non ci sono più e i legamenti induriti. In questo senso l’anoressia è una malattia; lo è per le conseguenze che comporta. Cara Za ( censuro l’uberei perché suona troppo maschile), perché l’alcolismo è un fenomeno? la tossicodipendenza una devianza sociale e invece per l’anoressia ci trinceriamo con assoluta sicurezza, dietro il termine malattia?
E’ molto di più di una malattia, è il compimento di un rito rovesciato, è la creazione di una astrazione insensibile asessuata. Un rito nuovo lontano dal sensibile, dall’arte, dalla religione. Creazioni che nascevano dal significato del divieto che l’uomo concretizzò 15.000 anni fa, e che lo rese consapevole della sua umanità; dal suo riconoscersi diverso dal mondo animale che non conosce divieti, perché la sua limitazione è data dalla natura. L’uomo impiegò migliaia di anni a concepire il significato dei limiti, che tutti gli studiosi identificano in due gruppi fondamentali: la morte, il riconoscere il valore di una vita che non è più, e la sessualità , il significato della nascita. Fu il grande mutamento, l’inizio di una nuova era.
Riflettendo su questo fenomeno sociale, che sembra estendersi a tutte le categorie, e non solo alle adolescenti, penso che l’anoressia sia la manifestazione di una volontà “evolutiva”, di un mutamento in corso.
Siamo al superamento del Divieto; l’orrore per l’animalità latente, generatore di tabù è stato sostituito dal superamento della fisicità. Un corpo che diventa sostegno per le cose, una mente che è solo una banca dati. Le “anoressiche” sono solo un aspetto del fenomeno, il folklore tragico di un processo complesso, che fra le altre cose segna un mutamento estetico diffuso e generalizzato. Potremmo parlare a lungo degli abiti, delle scarpe che indossiamo, delle pance gravide esposte nella loro intima nudità; delle palestre, delle corse, delle nostre abitudini di vita, dei nostri desideri, della sessualità. Tutti, chi più chi meno, sembriamo disposti al superamento dei nostri corpi, dei nostri limiti.
Cara Za, nella tua risposta, a proposito di sociologia e psicologia insegnata ai ragazzini, sostieni che queste cose “sono un sasso che gli va in fondo all’anima, un seme. Prima o poi germoglierà”. No, forse è proprio perché abbiamo preso a sassate lo Spirito, che ora ci ritroviamo in questo stato di cose. Dai sassi non germoglia proprio niente, dal letame invece nasce qualche fiore. Meglio stare all’aria aperta e riscoprire con gioia la nostra genuina animalità.
Buona vacanza, un abbraccio, Miriam

Postato martedì, 14 agosto 2007 alle 20:57 da Miriam Ravasio


Hello, Your site is great. Regards, Valintino Guxxi

Postato domenica, 19 agosto 2007 alle 14:07 da Anonimo


Sono di passaggio veloce
Miriam – quello che dici è molto bello e molto condivisibile. quello che obbietto è una visione dicotomica del mondo, in cui chi cura la psiche non è in grado di avere le consapevolezze teoriche che tu hai. Eppure le cose che tu dici e che sono molto interessanti, si possono ritrovare in diverse pubblicazioni altrettanto interessanti, mi viene in mente ora solo un certo Philippe Jammet che si occupa di adolescenza per esempio. Ma potrei andare oltre. Patologia e fenomenologia sociale sono solo due sintagmi diversi per dire cose riguardo un medesimo oggetto, più prospettive si tengono sul tavolo e meglio è. Una dirà delle cose una dirà delle altre. Spero che siate sulla buona strada perchè l’anoressia non è un dramma di un soggetto ma di tutto un gruppo, un sistema di linguaggi che si inceppa e fugge altrove, ma è anche una parola che va presa sul serio. Qualcosa che chiede di ridiscutere le regole del gioco. Come la maggior parte delle cose che gli orribiloni del settore chiamano – patologie.

Infine, per favore, non mi vergogno a dire che lavorandoci ci credo e perciò ho un affetto nei confronti delle categorie con cui opero, per favore, stai attenta prima di giudicare se codesti sassi appartengono o meno alla categoria dello spirito, imputando alla conoscenza e alla ricerca di senso che per la psicologia passano, una serie di difficoltà moderne. Il male non è un’invenzione moderna.

Ora si nota soltanto perchè la vita conta (un po’) di più.

Postato domenica, 19 agosto 2007 alle 15:11 da zauberei


Commovente, mi è piaciuto. Così, dopo aver letto SPICCHI Barbara conferma di essere sulla buona strada.
Laura

Postato domenica, 19 agosto 2007 alle 18:56 da Laura Costantini


Grazie per la risposta.
Cara Za, non sono così grezza, così massimalista, da contrapporre il Pensiero allo studio della Psiche. La mia è semplice ostilità sociale, una rabbia sana, affettiva, che mi piacerebbe rivoluzionaria e da altri condivisa.
Tu, giustamente, affermi che” il Male non è un’invenzione moderna”, ma la potenza comunicativa sì ; l’espansione cosmica del pensiero debole caratterizza il nostro presente. Nel grande mare dei luoghi comuni ci sono pochi nuotatori. In superficie il “movimento natatorio”, che Ortega y Gasset riconosceva come espressione metaforica della cultura e della letteratura, si fa con i braccioli e le paperelle. Altrimenti si nuota contro o ci s’immerge, ma occorre forza e volontà. La distinzione è in crisi e come la matematica soffre d’impopolarità. Ormai l’uomo contemporaneo e occidentale, a prescindere dai luoghi comuni non è più in grado di riconoscere un proprio sentimento, né una volontà; forse nemmeno un’emozione. Ed è un generalizzato si salvi chi può; per provarlo basta leggere l’ottanta per cento delle parole scritte sui giornali, sui libri, sui blog.
Nel 1939, Maria Montessori, conosciuta più per aver insegnato ai bambini a mettersi il grembiule che per le importanti considerazioni pedagogiche, a Londra tenne delle conferenze proprio sull’importanza dell’immaginazione, vista come mezzo per la rappresentazione della realtà. Individuando nella matematica la strada, per l’affascinazione dei fanciulli alla conoscenza dell’universo
Dare il tutto, presentando il particolare come mezzo. Ogni cosa è strettamente collegata, ogni scienza non studia che i particolari di una conoscenza totale. Altro che “un posto per ogni cosa e ogni cosa a suo posto”! “L’immaginazione è la base stessa dello spirito; essa eleva ogni cosa su un piano superiore, sul piano dell’astrazione. Ma l’immaginazione ha bisogno di un supporto: ha bisogno di essere costruita, organizzata. Soltanto allora l’uomo può raggiungere un livello elevato, poiché penetra l’infinito”. Entrando concretamente nel vivo, Montessori prende ad esempio il tema dell’acqua “l’elemento grandioso” e considerando la quantità indefinibile di specie animali presente nei mari e negli oceani, propone di considerare un animale minuscolo, una specie piccola che si possa vedere al microscopio. Un essere che esiste in un numero così grande che nessun bambino sarebbe in grado di scriverlo; una “quantità enorme” a cui solo l’immaginazione può dare un senso. “Le colonie in cui vivono questi animali sono così grandi che una nave impiega più di 7 giorni ad aggirarle”. Esemplificando punto per punto il suo ragionare si espande, regalandoci , oltre dei numerosi ed attuali spunti per attività didattiche, un’idea dell’universo. Ricordandoci sempre che le classificazioni si dimenticano, l’immaginazione del mondo no!
Tutto è andato in un’altra direzione; l’educazione procede con l’età, divisa in fasi, per schemi, aperta a griglie tematiche e studi di settore. All’immaginazione si è contrapposta la fantasia che con il tempo è diventata sogno, proiezione; sembriamo più scientifici, più competenti, ma siamo solo tecnologici e incapaci ( oltre che con la matematica) a riconoscere ciò che ci succede.
Sono stata su altri blog e cercando post sull’anoressia ho trovato e letto i commenti: parole tutte uguali, ma è mai possibile?
Ciao, un abbraccio

Postato martedì, 21 agosto 2007 alle 11:30 da Miriam Ravasio


Per Miriam e Zauberei.
Solo per dirvi che sto seguendo la vostra “conversazione” con molto interesse.
Smile

Postato martedì, 21 agosto 2007 alle 12:03 da Elektra


Ha ragione Elektra. La ‘conversazione’ virtuale tra Miriam e Zauberei è disarmante. Assorbe.
Sto ancora mettendo il ghiaccio su una guancia, adesso, dopo aver letto l’ultima frase di Miriam.
‘ Sono stata su altri blog e cercando post sull’anoressia ho trovato e letto i commenti: parole tutte uguali, ma è mai possibile?’
Uno schiaffo. Non tanto a me in prima persona ma al ’sistema’, a tutti mi è sembrato.
Possibile si. E triste. Gretto. Deprimente per taluni. Motivo d’ira per altri.
Forse è paura. Forse è incapacità. Forse è superficialità. Forse è comodo. Forse è un far uscire qualche parola per pulirsi la bocca. Forse è giocare ai sapientoni in un mare agitato e pericoloso. Forse è desolazione. Forse è aridità. Di tutti i forse (e quelli che ho dimenticato) non saprei quale sia proprio il peggiore.
Si potrebbe continuare qui a inserire quei commenti ‘diversi’, non uguali agli standard?

Un abbraccio a tutti,
Barbara

Postato martedì, 21 agosto 2007 alle 15:23 da Barbara Gozzi


A essere sinceri credo di aver capito un po’ grossolanamente quello che dice Myriam, o forse ho capito proprio male. sento che argomenta cose che tendenzialmente denuncio anche io nella cultura contemporanea, ma ciò non mi ha impedito di sospendere le mie premesse scettiche, dinnanzi alla possibilità che le scienze associate forniscano qualcosa di utile. Questo tipo di atteggiamento Miriam perdonami, permette di apprendere pochissimo e forse solo dai morti. Ti mette in uno scetticismo pregiudiziale di partenza che va a sottovalutare le possibilità espressive dell’altro. E se tua figlia dice, sono malata, e ha ben ragione di farlo, e tu le dici che non è vero, come nel tuo primo messaggio raccontavi, difendi una weltanshauug ma neghi un’espressione. Non siamo solo plasmati ma siamo anche plasmanti. non siamo solo culturalmente determinati ma logicamente culturalmente determinanti. Gli psicologi d’altra parte sono come i medici. Hanno il difetto di non saper tollerare il fatto che qualcuno stia male, e che chiede aiuto. Aaaaaaaaaah certo collude con una mancanza di autonomia. Aaaaah certo si fa parte di un sistema sociale. Ma insomma, è una responsabilità che uno preferisce accollarsi.

Infine. Per quanto riguarda l’anoressia. O qualsiasi patologia. Premetto che scrivo queste cose Miriam solo perchè ormai mi trovo a discutere con te, se no sarei completamente d’accordo:) (e cerca di capire la conseguenza del fatto che una psicologa è d’accordo con te, e che questo non è un fatto tanto singolare) ma insomma i tuoi ragionamenti mi hanno suggerito quel che segue.
– Siamo sicuri che l’originalità sintattica, e concettuale siano la cosa più importante, nell’espresisone di come si vive? O quel modo, le metafore raffinate, citare un bel filosofo, sono il nostro mondo noto. La nostra roccaforte la nostra difesa? E quello che io chiamo patologia e tu chiamalo come te pare- è sempre un frutto di una mancanza di possibilità di immaginarsi e rappresentarsi? E se fosse una difficoltà a vivere strictu sensu? a toccare l’esperienza? l’erlebnis, il pathos, il dolore,l’amore?
Le belle parole in quel caso rischiano di essere lo specchio di un’inettitudine.

Postato mercoledì, 22 agosto 2007 alle 19:56 da zauberei


Cara Za, io sto dialogando con te e tu sei viva! Come vedi al mondo non siamo soli, nonostante la psicologia :) E’ una scienza che mi piace poco, perché è una disciplina facile, abbordabile e alla portata di molti. Ci siamo consacrati alla psicologia e lì cerchiamo conforto e soluzione e, forse precludendoci altre vie. Non sono nemmeno una mamma, per diciannove anni ho colmato un’assenza ed io e Sara eravamo sole fra immense difficoltà: economiche, organizzative e di salute (mia). Siamo cresciute insieme plasmandoci a vicenda: ho imparato a scrivere con lei, seguendola nei compiti; studiando con lei quando era al ginnasio e poi al liceo. Ho cambiato lavoro, da quello effimero legato alla moda ora sono nelle scuole con progetti di educazione all’immagine, e parte di tutto questo lo devo a Sara. La nostra è stata, nonostante il delirio della dieta, una stagione di vita felice, incredibile e probabilmente unica. Era un “Racconto quasi vero” in cui ho incluso realtà, luoghi comuni, proiezioni. Volevo capire e confrontarmi con gli altri , provocare reazioni che non fossero le solite frasi lette e ascoltate centinaia di volte. Possibile che i racconti di queste ragazze si assomiglino tutti? Se non fosse per gli esiti tragici che quel comportamento ha in sé, si potrebbe discutere anche del lato grottesco, per non dire comico che la volontà di ridursi in una piccola taglia, presenta.
Io porto una taglia 40, ma sono piccola e magrolina; Sara mi supera di ben 30 centimetri e portava una 42 che le stava larga. In piedi, di fronte alle nostre immagini riflesse nello specchio, ridevamo (anche in pieno delirio) all’idea che lei si stava riducendo al punto di potersi mettere tutti i miei vestiti: qualcosa usciva sempre. Le ossa erano sempre troppo lunghe, non ci stavano! Solo ora che tutto è passato ( che tutti i problemi si sono risolti, anche altri ) ho ceduto alla rabbia, e con la mente ho ricostruito quei momenti.
Ti ringrazio per le cose che hai scritto e per la tua pazienza. Ti abbraccio, Miriam

Postato mercoledì, 22 agosto 2007 alle 21:25 da Miriam Ravasio


Altre vie spesso non ci sono. questa è una delle vie possibili e non la liquiderei con l’abbordabilità che hanno tutte le discipline nella loro diffusione mediatica. Ogni disciplina – in senso stretto – ha una sua complessità. Ma tanto mica te lo prescrive il dottore di approfondire no?!
Ognuno si coltiva i pregiudizi che preferisce.
Comunque hai scritto cose interessanti.

Postato mercoledì, 22 agosto 2007 alle 23:09 da zauberei


A Miriam e Zauberei…
Clap, clap, clap… davvero! :)
A Barbara: tu non hai bisogno di ghiaccio sulla guancia. Secondo me il tuo racconto è bello e originale. Inoltre, se tu non l’avessi scritto, e Massimo non te l’avesse pubblicato qui, questa bella discussione non sarebbe mai nata. Non trovi?
Smile.

Postato giovedì, 23 agosto 2007 alle 11:30 da Elektra


Brava Elektra, sei una portatrice di pace e il tuo smile mette sempre allegria, anche se si adagia su argomenti così difficili e profondi, soprattutto per chi li ha vissuti in prima persona. Io posso capire, anche se uomo; all’età di 20 anni ero arrivato a pesare oltre 110 kg per carenza d’affetto e malumori in famiglia (ne ho scritto un romanzo: Diario di un ex obeso affetto da attacchi di panico), per ritrovarmi poi a 22 a pesarne 67X182cm, e con lo stomaco che non accettava più il cibo. Ne sono uscito da solo, ma in un percorso doloroso e difficilissimo. Capisco se a volte gli animi si scaldano, ma il tuo sorriso mi ha messo di buon umore. Un abbraccio

Postato giovedì, 23 agosto 2007 alle 14:21 da alessandro pedrina


Grazie mille Alessandro.
:)
Smile (tutto per te!)

Postato venerdì, 24 agosto 2007 alle 09:30 da Elektra


la discussione si è fatta davvero interessante. anche alessandro pedrina un ex quasi anoressico? (dopo esser stato un ex obeso)?
per barbara gozzi. mi pare che c’è materiale ulteriore per nuovi racconti.

Postato venerdì, 24 agosto 2007 alle 22:42 da gennaro iozzia


Ringrazio in particolare Miriam e Zauberei per aver reso questo post ancora più appassionante (e su un tema così spinoso e difficile) dopo il bel racconto di Barbara.

Postato lunedì, 27 agosto 2007 alle 01:02 da Massimo Maugeri


A Zauberei (mi sei mancata, solo oggi ho letto l’ultima tua risposta. Dopo la confessionbe, non avevo più avuto il coraggio di curiosare sul post!), a Barbara, ad Alessandro e a tutti voi: avete visto i manifesti di Oliviero Toscani sull’ anoressia?
Cosa ne pensate?

Io scriverò più tardi, ciao a tutti, Miriam

Postato martedì, 25 settembre 2007 alle 12:18 da Miriam Ravasio


Ho visto Miriam, proprio stamattina on line.
Senza parole.
Sono immagini (e per ora se ne trovano di piccole piccole ma scommetto che fra qualche giorno ci sarà di tutto) dicevo, immagini così dure, crude e forti che personalmente ho aperto e chiuso alcune finestre sul pc, per reazione.

Postato martedì, 25 settembre 2007 alle 14:09 da Barbara Gozzi


E ce credo che eri sparita:)
Ma tanto la confessione Miriam non era di un grande peccato. Ora magari ti offendi, ma di fatto lo stile con cui tu ragioni di solito, il modo di difenderti che hai, non sembra almeno tanto dissimile da quelli di quella mamma incavolata, in finale mettevi in bocca a lei le cose che pensi tu.

La pubblicità funziona, credo. ho fatto un rapido sondaggio e il disgusto mi è parso assicurato. Ergo, i vestiti ne trarranno beneficio e il mercato pure, noi ne parliamo qui e Oliviero Toscani acquista quotazioni in borsa. io per mio lo trovo eticamente vicino all’orripilanza.

La pubblicità funziona, ma quella pubblicità all’anoressia farà un baffo. Non disconferma un sistema culturale e anzi lo conferma. alla fine sempre sul corpo rimane. Eh bimbe belle se volete fare carriera dovete avere tette sode, basta co sta tristezza. Le quali tette, naturallement non vi appartenevano prima nè adesso, e pertanto continuiamo a ricordarvi che forma devono avere. Oltre tutto l’anoressia è la forma culturale di una patologia. e le patologie non le attacchi addentando le forme, ma i processi interni.

Miriam tu ti rivolgi a me, e io cerco di risponderti gentilmente, ma indubbiamente sono una persona riottosa e perciò ti dico, non è che in questo periodo ho smesso di essere psicologa. Se mi fai delle domande sull’anoressia ritengo opportuno rispondere colle mie competenze, senza che siano respinte con una risposta pregiudiziale. Per tanto la sensazione che ho è che tu più che altro voglia dire la tua:) diccela va, che sappiamo comprendere quando un parere è interessante!

Postato martedì, 25 settembre 2007 alle 14:19 da zauberei


E’ vero ho voglia di dire la mia, e penso sia il sentimento, che più di ogni altro ci accomuna: noi scrittori sul blog ( io, però, frequento solo questo ).
Ho visto il manifesto di Toscani ieri sera sul TG Regionale mentre mi stavo organizzando per guadarmi sul PC, Tre metri sopra il cielo. L’immagine è forte e bestiale, nel vero senso della parola, una gigantesca ET, una figura da Spielberg, un effetto speciale. Le braccia però stanno giù, ma la testa e gli occhi ricordano l’extraterrestre che triste e disperato indicava il cielo: C A S A ! ! ! (In Internet ce ne sono molte altre, quella a cui mi riferisco ha lo sfondo blu e a Milano sta suscitando un effetto tremendo.)
Non amo le provocazioni, non le amo più, perché sono diventate un sistema, perché hanno sostituito le azioni e i pensieri; tutti questi sassi lanciati finiscono per diventare dei dolmen, delle camere mortuarie che custodiscono, non in pace (almeno spero), lo spirito dell’arte. Per questo, molte iniziative di Oliviero Toscani, mi hanno lasciata indifferente, uno sguardo e via senza pensieri. Immagini che si confondevano e si sedimentavano con molte altre e perlopiù chiassose. Ma questa sua nuova uscita ha la caratteristica della guerra. Una guerra d’attacco! Forte e riconoscibile come il cavallo verdastro del quarto sigillo dell’Apocalisse! Spero che spaventi, che disorienti, che crei disgusto, che ci faccia ritrovare il senso del pudore e della vergogna. Come zia-mamma spero che quelle tremendi figure rimuovano un po’ i pensieri e le attenzioni. Cara Zauberei tu tratti i problemi da psicologa da addetta ai lavori, io ( e le zie, mamme, nonne, papà, ecc) da addette alla vita, alla famiglia e a tutti i suoi componenti. Però, ritornando a quella immagine, lo sapete cosa mi ha colpita di più? Il ventre gonfio d’aria e floscio come una borraccia consumata e abbandonata in un deserto.
Era così anche quello di Sara (che non era così magrissima!). Il servizio del Tg, dopo aver mostrato i manifesti appesi nelle vie di Milano, si è poi spostato alle sfilate di moda; gli stilisti intervistati, a parte Armani, sono stati tutti concordi nel condannare l’iniziativa di Toscani, ma sulle loro passerelle sfilavano ragazze, ben truccate, ( “ben”) vestite e ben pettinate ma non superiori ai 38 chili! Braccia magre, magrissime, scapole aguzze, colli lunari….stralunari…..
Poi ho visto “Tre metri sopra il cielo” e ne sono rimasta impressionata, ma questa è un’altra storia (o post)

Postato martedì, 25 settembre 2007 alle 15:18 da Miriam Ravasio


Oggi sono andata in garage, per ordinare, per sistemare. Ho ritrovato le mie vecchie collezioni di Vogue Italia degli anni novanta: immagini tremende, che già annunciavano il macabro trend. La moda è molto, molto responsabile. Ai tempi, quando cacciavo notizie, forme e colori per disegnare le collezioni di tendenza, sorvolavo e le accantonavo, mi sembravano solo assurde. Invenzioni di qualche fotografo esibizionista, e invece, parte del futuro delle adolescenti era già lì. In quei golfini striminziti, in quelle scapole a lama, in quegli occhi cerchiati di nero e nelle gambe da insetto, lunghe, storte e assurdamente magre. Le pose…fetali, feti abortiti e conservati in formalina. La Moda dovrebbe espiare, pagare per questa sua diffusione orrorifica, per la scelleratezza e la leggerezza morale, per quel suo coitarsi con il disgustoso. Il sistema della Moda è colpevole, poi, in ordine veniamo noi, fruitori e fruitici incapaci di un bel Vaffa, cosmico, sbertucciante e liberatorio. Stilisti??? Ma vaffan…

Postato martedì, 25 settembre 2007 alle 21:08 da Miriam Ravasio


Caspita! Anche qui il dibattito si è riacceso. E alla grande.
Devo dire che non ho ancora visto i manifesti di Oliviero Toscani sull’anoressia.
Riguardo alla moda – in generale – io sono sempre stato uno di quelli che se ne impipano, forse per “sbracataggine” (sbracamento non rende). Istintivamente sarei portato ad assumere comportamenti e “mise” opposti rispetto a quelli (imposti?) consigliati dalla moda. Alla fine me ne frega così poco che non faccio nemmeno quello.
Che figo, vero?

Postato martedì, 25 settembre 2007 alle 22:21 da Massimo Maugeri


Massimo – sei un mito:)

Postato martedì, 25 settembre 2007 alle 23:18 da zauberei


Grazie Zauberei! Ma non dirmelo troppo. Non vorrei finire con l’autoadorarmi ;)

Postato martedì, 25 settembre 2007 alle 23:38 da Massimo Maugeri


Bene! Me ne “impippo” anch’io della moda! A dire il vero da autentica ex sesantottina ho sempre provato (provo) un certo gusto a snobbare le tendenze e a vestirmi a modo mio. Poi, per un caso strambissimo della vita (l’incontro con una persona molto particolare, che Zauberei mi ricorda), ho finito con il lavorarci per vent’anni.
Spero che i Ciceroni si diano da fare a cercare, scegliere e postare i commenti più significativi, che sulle immagini di Toscani fluiranno copiosi.
Ciao

Postato mercoledì, 26 settembre 2007 alle 11:22 da Miriam Ravasio


Visto che ero on-line accontento subito Miriam Ravasio.
Cicerone 4
=

Su giornali e cartelloni pubblicitari la foto di una ragazza anoressica
È l’ultima provocazione del fotografo milanese.
Campagna choc contro l’anoressia
Oliviero Toscani torna a far discutere
Armani: “Scelta giusta, vorrei poter conoscere questa ragazza”.
=
ROMA – L’anoressia ha gli occhi e il corpo nudo di Isabelle Caro: 31 chili di ossa, che da questa mattina campeggiano sui manifesti delle più grandi città italiane. Una sola foto, drammatica e controversa com’è nella storia dell’autore: Oliviero Toscani. E nella settimana della moda di Milano non poteva non far discutere “No anoressia”, la nuova campagna Nolita realizzata dal fotografo milanese per il gruppo Flash&Partners. Una provocazione, ma soprattutto un allarme su una tragedia del nostro tempo. Ancora più sconvolgente perché a interrogarsi sul problema è il mondo delle passerelle, accusato da tempo di diffondere falsi miti di bellezza.

La campagna. Non lascia spazio a interpretazioni la foto di Isabelle Caro. È lei la ragazza anoressica protagonista della campagna pubblicitaria di Nolita, il fashion brand del gruppo Flash&Partners. La modella francese ha accettato di esporsi nuda allo scatto di Oliviero Toscani per mostrare a tutti la realtà di una malattia che insieme alla bulimia, vede coinvolte oltre due milioni di persone in Italia. “Mi sono nascosta e coperta per troppo tempo – afferma Isabelle – adesso voglio mostrarmi senza paura, anche se so che il mio corpo ripugna”. Una malattia lunga 15 anni, che l’ha ridotta a pesare 31 chili: “Le sofferenze fisiche e psicologiche che ho subito hanno un senso solo se possono essere d’aiuto – spiega la ragazza francese – a chi è caduto nella trappola da cui io sto cercando di uscire”.

Non è nuovo alle polemiche Oliviero Toscani, che spiega: “Io ho fatto come sempre un lavoro da reporter: ho testimoniato il mio tempo. Sono anni che mi interesso al problema dell’anoressia. Un tema tabù per la moda. Come l’Aids ai tempi . Adesso l’argomento tabù è l’anoressia”. Quanto alle responsabilità, continua il fotografo milanese, il discorso è più complesso: “Io non credo che la moda abbia grandi responsabilità nel problema dell’anoressia, – conclude Toscani – è una cosa molto più ampia che riguarda tutti i media e in particolare la televisione, che propone alle ragazze modelli di successo assurdi “.

Le reazioni. Apprezzamenti ma anche dissensi. La campagna di Nolita divide, com’è nello stile di Toscani. Sostegno arriva dal ministro della Salute, Livia Turco. “Apprezzo sinceramente sia i contenuti che le modalità di realizzazione. Un’iniziativa come questa è uno strumento da prendere in assoluta considerazione”. Reazioni anche dalle passerelle milanesi, dove è in corso la settimana della Moda. “Credo che queste campagne con immagini così dure e crude siano giuste, opportune”. A pensarla così è Giorgio Armani che esprime anche un desiderio: “Vorrei poter conoscere questa persona per capire i motivi che l’hanno portata all’anoressia”. Dello stesso avviso anche i due stilisti Dolce e Gabbana che dicono: “Finalmente qualcuno dice la verità sull’anoressia, cioè non è un problema della moda, ma un problema psichiatrico”.

Critiche arrivano dall’Aba, l’Associazione per lo studio e la ricerca sull’anoressia, la bulimia e l’obesità. Secondo Fabiola De Clerq, presidente dell’associazione: “L’utilizzo di questa immagine è suscettibile di indurre fenomeni di emulazione e non aiuta certo i diretti interessati né le loro famiglie”. Insomma, si accendono riflettori, che si spegneranno: “Poi le ragazze e i genitori si vedono sbattere in faccia le porte degli ospedali”.

(24 settembre 2007)
Fonte: Repubblica.it
http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/spettacoli_e_cultura/campagna-no-anoressia/campagna-no-anoressia/campagna-no-anoressia.html

Postato mercoledì, 26 settembre 2007 alle 11:59 da Oliviero Toscani torna a far discutere (postato da Cicerone 4)


da Il Sole24Ore.com
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25 settembre 2007
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Ancora un Toscani shock con la modella anoressica
(di Giulia Crivelli)
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Isabelle Caro è apparsa ieri sulle pagine dei maggiori quotidiani italiani e sui cartelloni pubblicitari di moltissime città: la sua figura, nuda e immortalata da Oliviero Toscani, è associata al marchio di abbigliamento femminile Nolita. Con tanto di gioco di parole “No-anorexia-lita”: a un primo sguardo sembrerebbe lo slogan di una pubblicità progresso. Da domani circoleranno altre foto di Isabelle, scattate da Emmanuel Fradin per illustrare l’intervista che sarà pubblicata dal settimanale «Vanity Fair». Isabelle ha appena compiuto 27 anni (è nata a Parigi il 9 settembre del 1980), è alta un metro e 65 e pesa 31 chili; soffre di anoressia da quando aveva 13 anni, come racconta lei stessa sul suo blog (http://isabellecomedienne.vox.com). Le foto di Toscani per la campagna Nolita e quelle pubblicata da «Vanity Fair» mostrano la ragazza nella sua angosciante magrezza: ogni osso del corpo è visibile, i segni della malattia sono ovunque, dalla lanugine bionda che ricopre l’intero corpo di Isabelle, al colorito dell’epidermide, dalle occhiaia alla pelle del visto, su cui risaltano due grandi occhi chiari. Tra i grandi quotidiani italiani, solo il «Corriere della Sera» ha deciso di risparmiare quello sguardo ai suoi lettori.

Il marchio Nolita fa parte del gruppo padovano Flash&Partners, lo stesso che possiede il marchio Ra-re, per il quale Toscani ha ideato un’altra controversa campagna pubblicitaria, che mostrava gesti e ammiccamenti sessuali tra uomini. L’omosessualità, però, non è una malattia, mentre l’anoressia è un disturbo alimentare che può portare alla morte e colpisce soprattutto le ragazze (nel 95% dei casi) in età pre-adolescenziale. Non è la prima volta che Toscani fotografa la malattia e la sofferenza estrema.
La campagna ideata per Benetton nel 1992 scandalizzò perché era fatta da foto di agenzia che mostravano l’agonia di un malato di Aids. «All’inizio degli anni Novanta il tabù era l’Aids, oggi è l’anoressia. Per questo ho voluto una ragazza come Isabelle come protagonista della campagna che dovevo proporre alla Flash&Partners – spiega Toscani –. I proprietari dell’azienda sono giovani e intelligenti e hanno subito superato lo shock iniziale, dandomi l’ok per le foto con Isabelle e per il richiamo alla lotta contro l’anoressia».

Toscani non nasconde l’intento pubblicitario in senso classico della campagna: «È ovvio che le immagini faranno parlare del marchio. Ma faranno anche parlare dell’anoressia e questo è un bene». Di diverso parere associazioni come l’Aba, specializzata in disturbi alimentari, il Codacons, Forum giovani e molti parlamentari di entrambi gli schieramenti, che vedono sia il pericolo di «sfruttamento della malattia a scopi pubblicitari», sia l’inutilità della campagna di Toscani per Nolita come strumento di lotta alla malattia. Ma Luisa Bertoncello, amministratore delegato della Flash&Partners assicura: «Vogliamo usare i mezzi pubblicitari come strumento di sensibilizzazione ai mali sociali».

Paradossalmente, benché l’anoressia sia una malattia conosciuta fin dal 1200, in anni recenti anche i marchi della moda e gli stilisti sono stati ritenuti responsabile e all’inizio di quest’anno la Camera della moda ha preparato un decalogo per le sfilate che prevedeva anche limiti di peso e massa corporea sotto cui è vietato andare in passerella. Il decalogo fu messo a punto con il ministro delle Politiche giovanili Giovanna Melandri, mentre oggi è il ministro della Salute Livia Turco a dare il suo sostegno: «Apprezzo e sostengo la campagna di Toscani contro l’anoressia pur se portata avanti con la provocatorietà che appartiene al suo stile». Tra gli stilisti anche Roberto Cavalli, Giorgio Armani, che oggi ha sfilato con la prima linea a Milano (si veda l’articolo a pagina 25), Domenico Dolce e Stefano Gabbana si sono detti favorevoli a parlare dell’anoressia, a patto che sia chiaro che i disturbi alimentari «sono legati non alla moda ma a a disagi e disturbi piscologici profondi».
=
Fonte:
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Attualita%20ed%20Esteri/Attualita/2007/09/toscani-anoressia.shtml?uuid=13bdd132-6b37-11dc-9aad-00000e25108c&DocRulesView=Libero

Postato mercoledì, 26 settembre 2007 alle 12:07 da Ancora un Toscani shock con la modella anoressica (postato da Cicerone 4)


“Dello stesso avviso anche i due stilisti Dolce e Gabbana che dicono: “Finalmente qualcuno dice la verità sull’anoressia, cioè non è un problema della moda, ma un problema psichiatrico”.”

Perfetto. Si e no. Ni. Magari.
Io penso che l’anoressia abbia radici complesse, profonde, che vanno dall’ambiente in cui si è cresciuti, fino alle fondamenta caratteriali, per passare attraverso le frequentazioni (branchi, gruppi, associazioni, compagni di merende e non solo). Ma.
La moda o, se vogliamo ampliare il ragionamento, i modelli che ci bombardano cominciando dalla tv fino alla carta stampanta e a internet sono modellil ben precisi. Io ero un’adolescente all’epoca di Kate Moss che sfilava solo per gli stilisti migliori, i più grandi e importanti ‘perchè quelle come lei non perdono tempo con frignacce, la bellezza va preservata.’ Lo ricordo come fosse ieri.
Allora io penso: d’accordo le problematiche interne da cercare nella mente e nel background dell’anoressica in questione. D’accordo. Però chi cavolo da da lavorare a questa signorina in quanto anoressica? E a tutte le sue colleghe che per talune griffe non devono comunque pesare più di 38/40 chilogrammi (e non è una svista, non volevo scrivere taglia ma proprio peso – l’ho letto stamattina in un articolo ) ed essere (ovviamente) alte almeno 1,60. Allora? Qualcuno me la spiega questa dinamica? Nella fattispecie, l’anoressica in questione (Isabelle Caro) ha un sito ben nutrito di immagini (chiaramente scattate da professionisti) con annesso curriculum (nel caso qualcuno del settore fosse interessato).
Ci rendiamo davvero conto che sono questi stessi meccanismi che autoalimentano disturbi come questo?
A me sembra di no.
Intendiamoci: non che se da oggi si imponesse che per sfilare non devi avere meno della taglia 42, da dopo domani le anoressiche scompaiono. Chiaro che no. Però.

Postato mercoledì, 26 settembre 2007 alle 14:40 da Barbara Gozzi


“Io non credo che la moda abbia grandi responsabilità nel problema dell’anoressia, – conclude Toscani – è una cosa molto più ampia che riguarda tutti i media e in particolare la televisione, che propone alle ragazze modelli di successo assurdi “.[Toscani].

Benissimo.
Allora perchè non la smettete tutti insieme allegramente?
Gli stilisti rifiutino le modelle al di sotto della 42(taglia). Nelle pubblicità si smettano le immagini di corpi secchi, piatti e con gambette che sembrano rami. Negli spettacoli, televisivi quanto cinematografici, siano drasticamente limitate le attrici/ballerine/cantanti/quello che volete in evidente stato di denutrizione.
E’in queste dinamiche che scattano i primi click. In queste associate ad altre soggettive.
Ma, santa pazienza, ne fotografiamo una come esempio di caso grave poi siamo circondati da centinaia di modelle/attrici/ballerine/cantanti che se vogliono lavorare devono passare per la ‘prova peso’… ragazzi che schifo… [mi sto trattenendo, giuro]

Postato mercoledì, 26 settembre 2007 alle 15:09 da Barbara Gozzi


Barbara: parole sante, non trattenerti…continua…
Dirò di più; all’inizio del mio lavoro in quel settore, mi capitava di assistere ad alcune sfilate e poi di accedere (con altri addetti ai lavori) all’acquisto dei capi indossati dalle modelle. Bene, io non ho mai potuto acquistarli, perché mi erano troppo grandi ( portavo e porto una 38/40, ma sono piccolina), ultimamente, invece succedeva il contrario: tutto mi era stretto! E questo la dice lunga sul ruolo degli stilisti, perché la modella “non deve esistere, in passerella quello che conta è il vestito”, “camminare veloci e sparire”…
…..ciao….

Postato mercoledì, 26 settembre 2007 alle 16:19 da Miriam Ravasio


L’aspetto più deprimente, secondo me, quello che mi fa arrabbiare alle volte anche troppo è che sembra che chi legge gli articoli o sente le interviste alla tv non sia capace di ragionare con la propria testa.
Come se noi ‘fruitori’ dei mass media fossimo tutti dei sempliciotti stupidini.
In questo caso ad esempio, vuoi che io (per dire chiunque che legge o sente) non colga l’incoerenza in un messaggio spacciato per positivo (combattere l’anoressia) quando il mondo della moda/pubblicità da cui proviene vive solo di modelle magrissime? Davvero pensano che si può parlare bene e razzolare male ricevendo applausi e consensi?
Poi ripeto, il problema è serio e ha tante angolazioni che merito attenzione però smettiamola almeno di coprirci gli occhi e diciamo le cose come stanno. C’era da organizzare una pubblicità che colpisse, stordisse, facesse discutere all’ennesima potenza e possibilmente con una nota positiva, un ipotetico quanto volatile messaggio positivo… sul personale non entro perchè non posso, non conosco Toscani and C. per cui può essere benissimo che davvero vogliano fare qualcosa, favorire la comunicazione contro una malattia così diffusa quanto bistrattata. Può essere. Ma in primis c’è lo show business. Questo è innegabile.

Postato mercoledì, 26 settembre 2007 alle 16:55 da Barbara Gozzi



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