Sul nuovo libro di Alessandro Baricco “Breve storia eretica della Musica Classica” (Feltrinelli) e sull’intervento su Gaza
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Perché abbiamo bisogno di Alessandro Baricco
Nel giro di pochi giorni Alessandro Baricco si è messo al centro del dibattito culturale italiano. In verità, lo ha animato e basta questo per una salva di applausi. C’eravamo lasciati con western metafisico “Abel” dove ci sono frasi come questa “Siamo gli unici razionali, in un mare di rintronati” e ci ritroviamo con una lettera a margine degli orrori di Gaza. E prima, a settembre per Feltrinelli, con un libro “Breve storia eretica della Musica Classica”: 30% mappa, il 70% saggio storico musicale cui aggiungere uno zero virgola di romanzo, perché Baricco è il romanzo. In verità, nella percentuale del saggio va compreso l’aggettivo antropologico: all’apparenza un’aggiunta ma, a vederci bene, il fulcro del testo. Baricco è un magnifico crapulone della narrativa: smodato nell’artigliare il lettore con una lingua sontuosa e diretta, eccessivo quando innesta segmenti narrativi nel corpo saldo della trama (Baricco narra la storia della Musica Classica dalle Origini alla Diaspora: questa, una sorta di Postumanesimo dello spartito), beffardo perché sa che il suo narrato è sempre una grande metafora che sta al lettore sciogliere, mentre lui sorride e guarda l’effetto che fa. L’effetto non tarda a venire e si sviluppa, appunto, su due fronti che sembrano procedere paralleli, ma rischiano (rischio calcolato?) di convergere almeno sul dogma letterario: i fenomeni accadono in ragione della lingua che li dice. La lingua di Baricco non solo li fa accadere, soprattutto li modella e infine li fissa nell’immaginario culturale e sociale con l’ineluttabilità delle rivoluzioni.
Una parallela è l’intervento dell’8 ottobre scorso su Gaza nel pieno dell’anniversario dell’eccidio di Hamas, delle trattative per la tregua tra Hamas e Israele, delle manifestazioni pro Pal, del desiderio di Trump di ricevere il premio Nobel per la Pace, del chiacchiericcio della politica italiana in merito a tutte queste questioni. Cosa scrive Baricco nei sette punti del suo testo? Scrive che “Gaza ha smesso di essere il nome di una terra per diventare la definizione di un limite…perché è una sintesi rovente, chiarissima, di una spaccatura enorme – è dove un intero terremoto trema una volta sola, in un solo posto, in un solo momento”. Di più. Gaza è un figlio che si ribella al padre, dove il padre è il Novecento e il figlio è la massa colorata, arrabbiata, pacifica e pacifista “quei ragazzi erano un quarto d’ora davanti a tutti” che sfila per le piazze e le strade dell’Italia e dell’Occidente per riappropriarsi della Storia. In pratica rilegge il nesso tematico peculiare del Novecento filosofico e letterario per abbatterlo dentro le sue stesse categorie di senso e di stile: “il Novecento ha venduto se stesso per lungo tempo: il culto dei confini, la centralità delle armi e degli eserciti, la religione del nazionalismo. È tutto un unico pacchetto: è il colpo di coda dell’animale morente”. L’aggressività bellicista si infrangerà naturalmente nel mondo dei nuovi barbari “un mondo immensamente più liquido, più trasparente”, il digitale senza “sacche protette dove far accadere la Storia al riparo da sguardi indiscreti; e abbiamo reso più impervio l’esercizio del dominio da parte di qualsiasi élite”.
Di immagine in immagine, tra un’iperbole e un’analogia, nel profluvio di enfasi e ferocia, Baricco lingua in resta procede a preannunciare l’arrivo del nuovo mondo, dei nuovi barbari digitali – come non pensare ai suoi libri “I barbari”, “I nuovi barbari” e “The Game”- armati della “ottusa pazienza con cui l’animale cerca l’acqua e i fiumi il mare”. Una civiltà fatta di ragazzi che vogliono dire anche di Storia ma anche la civiltà dell’ibridismo trumpiano e “la sua tendenza a virare sul volgare, il protervo, l’adolescenziale e il semplicemente imbecille”. Temi baricchiani certamente- si sono citati già i libri da cui attualizzare la mappa del mutamento appunto antropologico – con il surplus di guardare le cose da un’angolatura sconosciuta agli altri commentatori: non sembra che qualcuno abbia collegato le piazze al digitale, al limite a Trump per farne solo bersaglio. Baricco lo fa e fa anche di più. Pubblica la lettera sulla piattaforma Substrack e la dona ai lettori. Ma fa ancora di più e per questo si fa necessario. Usa una lingua meravigliosa. La cosa in sé non è una notizia perché Baricco possiede una lingua, uno stile, una capacità narrativa uniche. La notizia è riscoprirlo ogni volta che scrive, legge, racconta un testo nuovo. La sorpresa che esista uno scrittore, il quale per dire l’agonia del Novecento scavalca Philip Roth e arriva ai versi di William Butler Yeats ripresi nel romanzo dell’americano. In “Sailing to Bysantium” l’animale morente, “dying animal” di Yeats, è per dirla con il formalista Cleanth Brooks “l’invecchiamento contro il senza tempo, il sensuale contro l’intellettuale, e l’essere contro il divenire”. Il poemetto si apre con “That is no country for old men/ The young in one another’s arms”. Anche il ‘900 di Baricco non è un paese per vecchi ma per giovani che si abbracciano. Senza dimenticare che “Novecento” è uno dei capolavori di Baricco, che Novecento ha al cinema la faccia di Tim Roth, a teatro la voce di Baricco e sulle pagine la sua penna che scrive cose come questa “Era come quando si sedeva al pianoforte e attaccava a suonare, non c’erano dubbi nelle sue mani, e i tasti sembravano aspettare quelle note da sempre, sembravano finiti lì per loro, e solo per loro. Adesso so che quel giorno Novecento aveva deciso di sedersi davanti ai tasti bianchi e neri della sua vita e di iniziare a suonare una musica assurda e geniale, complicata ma bella, la più grande di tutte. E che su quella musica avrebbe ballato quel che rimaneva dei suoi anni. E che mai più sarebbe stato infelice.”
Parte da qui la seconda parallela. Parte da “Breve storia eretica della Musica classica”. Parte da raccontare il passaggio dal mistero del suono “I Greci del V secolo ignoravano la polifonia. Dal loro splendore quegli uomini ci guardano assurdamente muti, come vittime di un incantesimo” ai sei suoni di Guido D’Arezzo, dai canti gregoriani al Disordine del ‘600 con i cipressi non allineati delle armonie fino a Bach, Mozart, Beethoven. La musica classica è “un atto di grazia durato un secolo, giusto venato di qualche nervatura nostalgica e illuminato da piccoli lampi di bizzarria”. Fino a Wagner che porta a compimento la rivoluzione della “Nona” di Beethoven il 22 maggio 1872 al Teatro di Bayreuth. Fino alla Diaspora (notare il termine epico biblico) e oltre quando la Musica Classica diventa “invendibile per il suo portato ideologico. Lo percepiscono con chiarezza soprattutto le ultime generazioni […] non trovano la propria immagine ma quella dei padri che vorrebbero uccidere”. Lo sguardo finale ai nuovi musici con la loro energia e il loro splendore cui passare il testimone, il mantra, “non succederà nulla se non a umani eleganti e audaci”.
Ecco la convergenza delle parallele. La visione epica di una mappa storica e antropologica che ora è il grido per Gaza ora il suono di uno spartito. L’epica della storia di umani che dal silenzio crearono la musica, quanto di più vicino è a Dio, all’infinito, al mistero. Abbiamo bisogno di Baricco perché abbiamo bisogno di eresie. Del pensiero, della parola, del gesto. Abbiamo bisogno di Baricco perché in mezzo all’orizzontalità vieta delle chiacchiere c’è bisogno di un verticale innalzarsi della parola, di fare volute anche barocche se serve un passo non gregario. Quando Baricco scrive di musica o di luoghi o di personaggi o di pistole metafisiche ci solleva dal rintronamento generale. E se non si capisce fino in fondo cosa sia il temperato equabile o se non si prova shock di fronte alla “sua” Gaza, abbiamo bisogno di Baricco perché abbiamo bisogno di dire l’esistente con eleganza e audacia. Anche quella di scegliere una nave, un pianoforte e non scendere più. L’importante è lasciare scendere i nuovi barbari e di non averne paura.
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La scheda del nuovo libro di Alessandro Baricco: “Breve storia eretica della Musica Classica” (Feltrinelli, 2025)

Così la Prima Musica insegnò a vivere in armonia con la Natura, accogliendone mitemente i doni. La Musica del Disordine rivendicò alla disarmonia dell’umano il diritto di proprietà dei suoni. E la Musica Classica fondò su quel diritto la sua ambizione a fare del mondo un giardino. Possiamo riconoscerci in ognuna di quelle tre visioni – o menzogne
Per quale cammino gli uomini sono arrivati a produrre i capolavori della Musica Classica, e attraverso quali avventure, prodezze ed errori? Usando quali mappe?
“In principio era il mistero, e questo dà un senso a tutta la storia. I suoni – erano un mistero.”
Agli antichi sembravano fuochi fatui, segni del divino, imprendibili e impossibili da classificare; secoli dopo altri pensarono invece a un materiale piuttosto grezzo presente in natura, che gli uomini potevano conquistare, plasmare, usare per pronunciare se stessi.
Seguendo questa oscillazione fra armonia del Cosmo e paesaggio degli umani, fra perfezione e caos, Alessandro Baricco racconta in modo inedito, eretico, la conquista dei suoni: una storia europea, di musici europei. Un’impresa epica.
Seguito ideale e in maggiore dei suoi Seminari della Tempesta – Quel che stavamo cercando e La Via della Narrazione –, proprio come I barbari e The Game, questa Breve storia eretica della Musica Classica trasforma una materia tradizionalmente colta in un racconto affascinante e comprensibile a tutti. “È una danza – comprenderla significa danzarla.”
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Alessandro Baricco è nato a Torino nel 1958, si laurea in Filosofia con una tesi in Estetica. L’amore per la musica e per la letteratura ispireranno sin dagli inizi la sua attività di saggista e narratore.
Come saggista esordisce con Il genio in fuga. Due saggi sul teatro musicale di Gioacchino Rossini (Il Melangolo, 1988; Einaudi, 1997). Castelli di rabbia (Rizzoli, 1991; Universale Economica Feltrinelli, 2007), suo primo romanzo, Premio Selezione Campiello e Prix Médicis Étranger, è un’autentica rivelazione nel panorama della letteratura italiana e ottiene il consenso della critica e del pubblico. Seguono Oceano Mare (Rizzoli, 1993; Universale Economica Feltrinelli, 2007), Premio Viareggio e Premio Palazzo al Bosco; il monologo teatrale Novecento (Feltrinelli, 1994; edizione speciale, 2014; “Audiolibri – Emons Feltrinelli”, 2011) da cui Giuseppe Tornatore trae il film La Leggenda del pianista sull’oceano; Seta (Rizzoli, 1996; Fandango Libri, 2007), portato sullo schermo da François Girard con una produzione e un cast internazionali, City (Rizzoli, 1999; Universale Economica Feltrinelli, 2007) e Senza sangue (Rizzoli, 2002; la graphic novel in “Feltrinelli Comics”, 2019, con Tito Faraci e Francesco Ripoli), tutti tradotti all’estero e recensiti dalle maggiori testate internazionali, dal ‟Guardian” al ‟New York Times”, da ‟Libération” a ‟Le Monde”. Tra i saggi, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin (Garzanti, 1993); Barnum. Cronache del Grande Show (Feltrinelli, 1995) che raccoglie gli articoli comparsi nell’omonima rubrica curata ogni mercoledì sulle pagine culturali del quotidiano torinese ‟La Stampa” e Barnum 2. Altre Cronache del Grande Show (Feltrinelli, 1998), in cui sono raccolti gli articoli frutto della collaborazione con ‟la Repubblica”; è del 2002 Next. Piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà. Compare in televisione nelle trasmissioni culturali ‟L’amore è un dardo”, sull’opera lirica, e ‟Pickwick”, dedicata ai libri. Tra le attività teatrali che lo vedono autore, regista e interprete, dopo i successi di Totem (di cui Fandango Libri ha pubblicato il libro nel 1999, Rizzoli due videocassette nel 2000 e Einaudi una videocassetta nel 2003) e di City Reading Project per il Romaeuropa Festival 2002 che ha dato origine a un volume fotografico (Rizzoli, 2003), Baricco ha realizzato Omero, Iliade, in tre serate, realizzandone poi il libro (Feltrinelli, 2004). Nel 2003 pubblica per Dino Audino Editore la sceneggiatura di Partita Spagnola, di cui è autore con Lucia Moisio. Nel 2005 è socio di Fandango Libri. Dello stesso anno è il romanzo Questa storia (Fandango Libri, 2005; Universale Economica Feltrinelli, 2007) cui segue, l’anno dopo, I Barbari. Saggio sulla mutazione (Fandango Libri, 2006; Universale Economica Feltrinelli, 2008), precedentemente pubblicato a puntate su ‟la Repubblica”. Nel 2007 propone all’Auditorium Parco della Musica di Roma una lettura interpretata (e ridotta) di Moby Dick, poi confluita in Herman Melville. Tre scene da Moby Dick (Fandango, 2009; Feltrinelli 2017). Tra le sue opere più recenti: Emmaus (Feltrinelli, 2009), Mr Gwyn (Feltrinelli, 2011), Tre volte all’alba (Feltrinelli, 2012), Una certa idea di mondo (Gruppo Editoriale L’Espresso, 2012; Feltrinelli, 2013), Palladium Lectures (2 dvd + libro; Feltrinelli, 2013), Smith&Wesson (2014), La sposa giovane (2015), Il nuovo Barnum (2016), Seta (2016; edizione cartonata con le illustrazioni di Rebecca Dautremer), Melville. Tre scene da Moby Dick, con Ilario Meandri (Fandango, 2009; Feltrinelli 2017), The Game (Einaudi, 2018) e The Game. Storie del mondo digitale per ragazzi avventurosi (Feltrinelli, 2020; con Sara Beltrame). Ritorna al romanzo nel 2023 con Abel. Un western metafisico per Feltrinelli. Nel 2025 esce per Feltrinelli Breve storia eretica della Musica Classica.
Nel 1994 ha ideato e fondato la Scuola Holden a Torino, di cui è preside, e dal 2005 è socio di Fandango Libri.
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